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Autore: Mikirise    31/12/2013    5 recensioni
Diciamo che quel giorno Romano ebbe due sorprese.
La prima era che il Nonno, ossia, non il Nonno, la cagnolina del Nonno, Olimpia, aveva avuto due cuccioli.
In realtà erano tre, ma ai tempi a Romano non importò molto delle pratiche legali e dei documenti di quei cuccioli.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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20. Un lungo viaggio

Antonio inspirò profondamente, lasciando che il profumo di Romano entrasse nelle sue narici prepotentemente.
Era così difficile stargli così vicino; la testa poggiata sulla sua spalla, le loro dita intrecciate, il silenzio nell'autobus di notte, mentre tornavano a casa. Il respiro, che finalmente si era tranquillizzato del ragazzo, sfiorava lievemente i capelli del riccio, ed Antonio si lasciava cullare da quel ritmo, perché era l'unico che aveva sempre voluto ascoltare e seguire.

Quante volte aveva cercato, nella sua adolescenza, un ragazzo, una ragazza, che avesse il suo stesso sospiro, il suo stesso broncio adorabile, il suo stesso carattere?
Eppure non l'aveva mai trovato.
Nessuno era come Romano e se n'era reso conto, quando si erano ritrovati sdraiati uno accanto all'altro, nello stesso letto, l'italiano profondamente addormentato, lo spagnolo vegliando su di lui, osservandolo, pensando a quanto tempo avevano sprecato lontani. Sorrideva, Antonio, guardando Romano che apriva le braccia nel sonno, che dava calci, che borbottava stupidaggini, e, a volte, doveva star attento ad evitare i colpi del minore, che sognava di correre, combattere, mangiare e di parlare con suo fratello, Feliciano.
Lo spagnolo aveva sempre pensato che forse Romano non fosse in grado di dormire insieme ad un'altra persona nello stesso letto, teoria che fu abbandonata per due ragioni.
La prima era che Romano e Feliciano, a volte, dormivano nello stesso letto, quando erano bambini e l'abitudine era stata ripresa da quando i due fratelli si erano finalmente riuniti. Antonio si era stupito non poco al vedere Feliciano e Romano nel letto, dormire di fianco, entrambi girati verso il centro, come se avessero passato l'intera notte a raccontarsi i loro segreti più profondi e le loro esperienze più recenti. E forse si era un po' ingelosito, perché aveva prontamente svegliato Romano che lo aveva pesantemente insultato con la voce impastata.
La seconda ragione era che dopo mesi in cui Romano ed Antonio si ritrovavano addormentati nello stesso letto, un giorno, il minore aveva fatto spazio nel sonno allo spagnolo, che finalmente poteva abbracciarlo, affondare le narici tra il suo collo e le sue spalle e respirare. Respirarlo. Mentre dormiva, Antonio contemplava la loro vicinanza, la sua bocca leggermente aperta, i suoi cambi d'espressione, i movimenti che l'italiano faceva con le mani.
Quando era sveglio era difficile riuscire a guardarlo a lungo, o abbracciarlo senza finire a terra, con le mani sulla pancia appena colpita.

Era veramente molto difficile, eppure nell'autobus, Romano ed Antonio si tenevano per mano e lo spagnolo aveva appoggiato la testa sulla spalla del minore. Nel farlo, all'inizio si era reso conto dell'irrigidimento del ragazzo, del suo trattenere il respiro e mordersi lievemente il labbro inferiore, quasi avesse paura di disturbarlo; aveva poi deglutito e guardato fuori dalla finestra, nascondendo un lieve rossore, sicuramente. Non aveva protestato come suo solito, aveva semplicemente cercato d'ignorare il tocco dello spagnolo, che comunque continuava ad inebriarsi di lui, del suo profumo, di quella parte di pelle nuda sopra il colletto.
Romano, ogni tanto, muoveva la mano che era intrecciata con quella di Antonio, in uno strano tic nervoso, e lo guardava con la coda dell'occhio, quasi avesse ancora il bisogno della prova che il riccio era poggiato su di lui, quasi non si fidasse più dei propri sensi. Quando si rendeva conto che ogni tanto Antonio alzava gli occhi verso di lui ed i loro sguardi s'incontravano, allora s'irrigidiva di nuovo, arrossiva lievemente e, sbuffando, tornava a guardare fuori dalla finestra, sotto il sorriso divertito di Antonio.

Cosa sarebbe cambiato se Romano avesse avuto la sua età? Se lo avesse incontrato non grazie alla parentela di un cane, ma, che so, in classe?
Si sarebbero scambiati gli stessi sguardi fugaci? Avrebbero studiato insieme, anche se entrambi erano dei capoccioni? Divisi da un tavolo, avrebbero parlato di chimica, di filosofia, d'italiano, e ad ogni materia le loro sedie si sarebbero avvicinate, i loro corpi anche, e mentre parlavano dei legami covalenti, di Pascal e le ragioni del cuore, di Paolo e Francesca, avrebbero perso la testa, i loro gomiti si sarebbero sfiorati e così le loro labbra, i loro corpi interi e… e non ci sarebbe stato nessun Francis con i suoi strani consigli, nessun Arthur a rompere le palle, solo loro due e dei libri caduti a terra. Perché quel giorno, come Paolo e Francesca, neppure loro sarebbero più andati avanti nella lettura.
Antonio lo aveva fatto, non andare più avanti, con altre persone. Quando alzava gli occhi dai libri e vedeva una ragazza con la bocca semiaperta, pronta ad amarlo con tutta se stessa ed amare anche al posto suo, senza bisogno che lui sentisse niente. Aveva provato, Antonio, a colmare quel vuoto che gli aveva lasciato Romano da quando non si parlavano più, ma non ce l'aveva mai fatta; tutte quelle ragazze, quei ragazzi… non significavano nulla e chissà quanto dolore aveva causato per il suo egoismo ed egocentrismo. Aveva seminato dolore a destra e a manca, quello che lui provava. Quello che tutti dovevano provare.
Il fatto che la sua lussuria, il suo vedere Romano in ogni persona con cui giaceva, trovasse il suo adempimento mentre studiava con altre persone, che seguisse alla lettera la frase “Perché fare i compiti se possiamo fare l'amore?„,gli portava un immenso senso di frustrazione quando Francis, di proposito, gli parlava dei pomeriggi di Arthur e Romano, che passavano le giornate immersi nello studio.
Nello studio. Quanto poteva essere vero?
In fondo, quanto ne sapeva di Arthur? Sapeva solo che aveva chiesto a Romano di non stare con lui, che era stata la causa della sua arrabbiatura, del suo sputare odio su Roma, su Roma! Chi gli poteva assicurare che Arthur non fosse innamorato di Romano? Che non avesse architettato tutto per separarli, sapendo dei punti deboli di entrambi?
Chi glielo poteva assicurare? Chi?
Antonio passava le notti a letto, con la testa schiacciata contro il cuscino, cercando di togliersi dalla testa l'immagine di Romano tra le braccia di Arthur, che lo abbracciava, che lo toccava, che lo baciava, che lo… che lo…
In realtà, avrebbe potuto capire subito che una cosa del genere non sarebbe mai potuta succedere.
Romano si era annullato nello studio. Passava i pomeriggi studiando, le notti insonni, studiando, le sere da solo, studiando. Non mangiava più di tanto, non dormiva più, non faceva nient'altro che non fosse collegata con lo studio.
Arthur aveva chiesto aiuto a Francis, per paura che il ragazzo un giorno potesse avere delle ripercussioni del suo drastico cambio di vita.
È colpa nostra, vero? aveva chiesto l'inglese, col capo basso, dando tormento alle proprie mani.
Fu Alfred, tuttavia, a riportare in vita Romano.
Iniziò a nascondere i libri di scuola, a portaseli a casa, pur di non lasciarli all'amico e a saltare qualche allenamento di boxe, per trascinarlo nei parchi, a fare corse, fargli prendere un po' di sole e mangiare insieme schifezze su schifezze.
Vedi di farlo anche tu, aveva detto con tono sprezzante ad Arthur, è diventato pallido quanto te.
Arthur sentì i sensi di colpa nel petto, non disse nulla, semplicemente chiuse la porta di casa.
La prima volta che Antonio e Romano si erano rincontrati per caso, dopo quella volta, lo spagnolo si era reso subito conto che qualcosa non andava: il pallore di Romano era eccessivo, era preoccupante e così lo era anche il suo dimagrimento. Quanti chili aveva perso? Veramente tanti.
In quel momento gli erano venute in mente le parole del Papà di Romano. Il cibo è amore, ripeteva sempre, cucinare è amore, mangiare accettare quell'amore. E se la persona in questione non sa cucinare… beh, allora è un sacrificio per amore.
Antonio aveva guardato quindi di nuovo Romano, da lontano, mentre passeggiava con Alfred lamentandosi del caldo d'inizio aprile. Aveva scosso la testa e pensato a quanto fosse stupido. Certamente a Romano non mancava nessun tipo d'amore. Quel pensiero lo aveva ferito, di nuovo, e si era ritrovato a letto con un'altra ragazza.
Perché magari a Romano non mancava amore, ma ad Antonio sì.
Forse fu proprio quello il giorno in cui Arthur si era presentato a casa sua; nervoso come non mai, era entrato in casa, prendendo le chiavi che Antonio nascondeva in una pianta accanto la sua porta, perché altrimenti, le chiavi le dimenticherebbe tutti i giorni, come aveva detto con aria di sufficienza Romano. Ma sicuramente lo scenario davanti a lui non fu il migliore. La ragazza che Antonio aveva portato a casa, girava per casa nuda, mentre Antonio era sdraiato sul divano, con gli occhi coperti dalle mani.
Ah, aveva esclamato Arthur, d'improvviso rosso d'ira, con i pugni stretti ed un ringhio dipinto in volto, sei un coglione di merda, aveva detto richiudendo il portone di casa.
Antonio non si era neanche dato la briga di alzarsi dal divano. Era rimasto sdraiato nella stessa posizione in cui si trovava, perché, certo, Arthur era l'ultima persona al mondo con cui voleva parlare.

Romano mosse leggermente le dita, stringendo di più la mano di Antonio e sussurrando qualcosa.
"Come?" chiese l'ispanico, muovendo leggermente la testa per fare in modo che i loro occhi s'incontrassero in un contatto visivo più diretto e meno nascosto.
Romano girò la testa di malavoglia e, con le orecchie che fumavano per quanto erano rosse, disse a mezza voce "Grazie"
Antonio si mosse leggermente, posando non più la chioma castana sulla spalla di Romano, ma il suo mento, in modo tale che, quando il più piccolo aveva girato la sua testa, si erano ritrovati ad una vicinanza più che imbarazzante, per l'italiano.
Il ragazzo arricciò le labbra, prima di chiedere con la più sincera delle ingenuità "Per…?"
"Per avermi accompagnato a prendere Feliciano" spiegò il più seccamente possibile, guardando la sua mano libera, alla quale stava togliendo alcune pellicine. "Avevo paura di doverci andare da solo…" aggiunse in un fil di voce, forse più per se stesso che per l'altro, che comunque riabbassò la testa, appoggiando l'orecchio sulla spalla di Romano.

Solo, eh?
Beh, solo c'era stato abbastanza, a causa sua. E forse anche Antonio era stato solo, a causa di Romano.
Magari se quel giorno in cui Arthur era venuto a parlargli, Antonio avesse ascoltato, si fosse alzato dal divano e fosse corso dietro a quel sopraccioglione, allora… allora niente. Potevano essere due le opzioni, o l'avrebbe ascoltato e lui e Roma avrebbero fatto pace in poco tempo, o l'aver davanti l'inglese lo avrebbe fatto incazzare così tanto da spezzargli la testa, il collo, la milza, qualcosa, determinando così la fine, la vera fine, dei contatti con Romano.
Successe qualcos'altro, invece.
Quando Antonio vedeva l'italiano nelle sue passeggiate forzate con Alfred , la sua frustrazione cresceva, e l'altro sembrava star perdendo la voglia di fare qualsiasi cosa.
Magari i suoi voti erano migliorati, ma la sua pelle, prima abbronzata e vitale, era sempre più bianca, ed il suo viso, prima sempre riposato e paffuto, era scavato ed intorno ai suoi occhi si erano delineate due grosse ombre scure.
Suo padre pensava stesse diventando anemico, o che fosse in una sorta di depressione e aveva provato molte volte a parlare con Romano, a lasciarlo a casa in alcuni giorni di scuola e portarlo dal medico. La risposta del ragazzo era scuotere la testa e fare cenno con la mano di smetterla, perché stava bene.
In realtà Romano era lucido, forse anche troppo.
Era arrivato alla conclusione, durante le sue conversazioni con le altre persone, di aver perso qualcosa di molto importante per fare in modo che la sua vita avesse un senso.
Aveva perso una motivazione che lo spingesse ad andare avanti e finché non l'avrebbe ritrovata, aveva detto ad Arthur, sarebbe rimasto fermo ad aspettarla. Non l'avrebbe cercata. E se non la cercava, era perché sapeva perfettamente dove l'aveva persa. E sapeva anche che la sua motivazione, non lo voleva vedere neanche da lontano. Cioè, continuava a voler bene a tutta la sua famiglia e voleva renderli fieri, ma… ma come scusa per andare avanti non bastava più. Almeno, non da sola.
Alfred mentre lo spingeva a forza per le strade di Roma, gli ripeteva che la sua unica motivazione, doveva essere se stesso. Lui. Non Mamma. Non Papà. Non Feliciano. Non Antonio. Solo lui.
E alla fine, Romano ci stava credendo, piano piano.
Ci stava ricominciando a credere che se studiava, studiava per se stesso, se mangiava, mangiava per se stesso, se dormiva, dormiva per se stesso, se andava a correre insieme ad Alfred, correva per se stesso. Ed il suo aspetto era leggermente migliorato, anche se sarebbe stata una ripresa molto lenta: Antonio ricordava che la prima volta che lo aveva riabbracciato, si era sorpreso della gracilità che dimostrava la sua corporatura.
Romano, in quei mesi, era maturato tanto. Aveva fatto di se stesso il suo punto di riferimento e si riconosceva, nei suoi lineamenti e pensieri, un uomo, non più un bambino che si lamentava continuamente, che rimaneva fermo a fare capricci se qualcosa andava male.
Alfred, in questo, lo aveva aiutato enormemente, dimostrandosi un amico sincero e leale.
Quando Antonio li vedeva correre per il parco, Romano non si girava neanche a guardarlo; continuava a correre guardando avanti e cercando d'ignorare il peso nel cuore che faceva rallentare le sue gambe ed annebbiare i suoi pensieri. Alfred, d'altro canto, girava il suo sguardo verso lo spagnolo, rallentava e sembrava rimanere in attesa di qualcosa che puntualmente non accadeva. Da lì il suo sguardo scocciato e il suo scuotere tristemente la testa.
Quando hai intenzione di parlargli?, gli aveva chiesto un giorno in cui Romano era a casa, rotolando insieme a Baffo, nell'attesa di Arthur. Alfred, con il borsone in spalla ed i guanti da boxe in mano, sembrava addirittura minaccioso, parlando con Antonio, che seduto sulla panca controllava sua sorella da lontano. Allora?
Antonio aveva fatto spallucce e detto che non sapeva di cosa stesse parlando, provocando l'irritazione dell'altro che sbottò in un Siete uguali, voi due, sedendosi accanto a lui e continuando a parlare, senza guardare negli occhi il castano, Però… però Romano è più fortunato di me. Per te, lui è importante.
Antonio non capiva. Alfred sorrise, raccontando delle similitudini tra se stesso e Romano, entrambi innamorati di due persone che quando avevano avuto bisogno di loro, li avevano in un certo senso abbandonati. Sorrise, come se stesse parlando di un fratello minore, quando raccontò la sua cotta per Arthur, finita male per la gelosia che aveva provato a causa di Francis. Si massaggiò la testa, raccontando che sentiva che il rapporto tra Francis ed Arthur non era di semplice amicizia, e gli dava così fastidio la devozione dell'inglese per il francese. Poi era scoppiato in una fragorosa risata, quando aveva ricordato che la sua voglia d'indipendenza era un urlo disperato alla ricerca dell'attenzione del maggiore; urlo non ascoltato dal Sopracciglione, che l'aveva interpretato come un segnale di odio profondo. E forse è per questo che adesso mi tratta male, rise ancora più forte Alfred.
Perché me lo racconti?, chiese ancora più confuso Antonio.
Perché questo è quello che succederà se non lotterai per Romano. Era rimasto solo, io l'ho aiutato in quello che potevo. Non potevi essere la sua unica fonte di coraggio. Però quando ti vede, la sua corsa rallenta e trascina i piedi. Perché ci tiene ancora a te. Anche tu ci tieni ancora, o sbaglio? Sappi che adesso ha abbastanza coraggio per andare avanti. E l'amore può diventare solo una cosa andando avanti:, Alfred rise,odio.

Antonio strofinò il naso contro il collo di Romano, sospirando leggermente. "Beh" sussurrò "tuo fratello è simpatico"
In quel momento le spalle di Romano si rilassarono ed Antonio si perse un sorriso lieve dell'italiano mentre mormorava, con le labbra molto vicine alla sua fronte "Sai che ci ha già scoperti?"
"Mmm?"
"Stamattina mi ha fatto tantissime domande e parlava d'indizi e prove. Una cosa assurda."
"E alla fine? Che gli hai detto tu?"
"La verità"
"Cioè?" Antonio alzò il capo.
"Cioè" balbettò Romano distogliendo lo sguardo "che stiamo insieme"
Lo spagnolo sorrise soddisfatto "Ora che ci penso, ci stava guardando ieri, dalla finestra"
"Come?"
"Sì! Dalla finestra! Quando me ne sono andato. Ci guardava dalla finestra di camera tua"
"Perché non mi hai detto niente?"
"Perché l'ho visto mentre uscivo, mica prima. E poi mi sono dimenticato di dirtelo… mi è passato di mente…"
"Coglione"
"E come l'ha presa? Ho la benedizione di Feli?"
Romano abbassò lo sguardo e ricominciò a torturare le proprie mani "Beh…" fece una lunga pausa in cui Antonio sentì il cuore battergli fortissimo, mentre guardava il minore mordicchiarsi il labbro inferiore e portare il suo sguardo verso l'alto "È complicato… penso"
Il riccio chiuse gli occhi ed arricciò le labbra, quasi fosse stato colpito da un pugno.

La prima volta che aveva rivisto Romano da vicino, tanto che, se avesse voluto, avrebbe potuto anche toccarlo ed abbracciarlo, c'era un sacco di vento. I capelli dell'italiano volavano di qua e di là, mentre correva verso di lui con un'espressione di sollievo.
Si era dato il tempo di guardare i suoi occhi nocciola e la sua corporatura coperta da un'enorme giubbotto, tanto grande che ci avrebbe potuto ballare dentro.
Quando Romano era arrivato a pochi passi da lui, però, Antonio si rese conto che non stava cercando lui, ma Baffo, che si rotolava lì vicino, insieme ad Isabel.
Il ragazzo si era buttato sul cane, abbracciandolo.
Era tutto il giorno che lo cercava.
Pensava fosse scappato e non sarebbe tornato più a casa e… e… Romano era scoppiato a piangere come un ragazzino abbracciando il cane. Baffo aveva semplicemente inclinato la testa. Quando però lo sguardo del ragazzo aveva incontrato quello dello spagnolo, il suo volto si era indurito e, senza dire una parola se n'era andato, trascinando con sé il cane.
In quella frazione di secondo, Antonio era riuscito ad intravedere nelle pupille di Romano un pizzico di odio, ed ebbe paura.
Paura perché lo stava perdendo.
Paura perché dall'odio, gli aveva detto Alfred, non si tornava più indietro.
Dovette quindi, ingoiare tutto il suo orgoglio e cercare Romano; cercare di fermarlo quando correva con Alfred, cercarlo mentre tornava a casa, mentre si nascondeva.
Dal canto suo, l'italiano era confuso e non capiva. E questa sua confusione lo spingeva a cercare di tener ben lontano il riccio da sé, per paura; perché non capiva le intenzioni di Antonio, che, come poteva voler semplicemente essere di nuovo suo amico, poteva tranquillamente cercare di riavvicinarsi a lui, solo per poi ferirlo.
Fu Papà a fare in modo che i due si riavvicinassero, portando il maggiore in casa, una notte in cui il ragazzo aveva una lezione all'università in un'ora molto tarda, con la scusa che era tanto tempo che non lo vedeva, che voleva parlare con lui ed aggiornarsi, come dicevano i giovani, aveva detto ridendo. Quando Romano aveva sentito la porta di casa aprirsi, aveva alzato un sopracciglio, cercando di mascherare la sua sorpresa.
Cenarono insieme, parlò soprattutto Papà, ridendo con Antonio e raccontando vecchi aneddoti, e, siccome non era un vecchio stupido, iniziò a raccontare una storia, che gli aveva raccontato a sua volta Charles quella sera, mentre parlavano davanti ad un buon bicchiere di vino. Era una storia triste e romantica, di due persone che si erano tanto amate, ma che per colpa del proprio orgoglio mai erano stati veramente insieme, mai avevano portato il loro rapporto oltre la semplice amicizia. Lui sarebbe morto in una battaglia e gli avrebbe scritto una lunghissima lettera dove gli raccontava del suo amore per lei, in maniera timida, addirittura, scrivendo che probabilmente lei nemmeno lo aveva amato ma che non voleva che i suoi sentimenti diventassero niente, come lui lo sarebbe diventato.
Dopo aver finito il racconto, aveva sbadigliato e detto, abbastanza falsamente, che aveva molto sonno, che sarebbe andato a dormire, che si aspettava che Antonio chiamasse sua madre, per avvisare che dormiva da loro, visto che era troppo tardi per lasciarlo andare via.
No, decisamente non era un vecchio stupido.
Erano rimasti solo Antonio e Romano in cucina, ed il minore si era alzato dal tavolo, aveva sparecchiato e lavato i piatti, cercando di parlare il meno possibile. Lo spagnolo, invece, continuava a fare domande su domande, a parlare, a ridere, a comportarsi come se quel periodo in cui nemmeno si guardavano non ci fosse mai stato… parlava con la stessa familiarità con cui gli parlava prima, faceva le stesse domande, cercava anche di abbracciarlo e Romano non ce la faceva, non ci riusciva proprio a contenere la sua rabbia.
Che cazzo vuoi da me?, gli aveva ringhiato contro.
Voglio stare con te. Esserti amico di nuovo.
Mi avevi detto che non mi volevi più vedere
Mentivo.
Non sono il tuo giocattolo
Non voglio che tu lo sia
Vaffanculo
Mi sei mancato, tanto. Mi manchi ancora. Sono arrivato al punto di vederti ovunque io vada, in qualunque persona con cui parlo. E per quanto ti possa sembrare strano, questo è uno dei momenti più belli degli ultimi mesi, solo perché mi stai parlando. Solo con te mi sento in questo modo… solo tu mi… io credo, anzi, sono più che sicuro di amarti e…
Bugiardo,
Romano si era girato verso di lui e si era avvicinato rabbiosamente, bugiardo, ripeté con disprezzo, chi ama ascolta e cerca di comprendere. Tu non hai fatto nessuna delle due cose. Quante volte ho cercato di parlarti dopo quella volta? E quante volte mi hai lasciato farlo? Quante? Quante Antonio? lo spagnolo aveva abbassato lo sguardo, Te lo dico io. Mai.
Mi dispiace.

L'italiano si era morso il labbro e aveva distolto lo sguardo, Non mi ci faccio niente delle tue scuse. Io, in te, non ci credo più. Non mi fido più. Non ci casco due volte. Non sono così stupido.
A me basta poterti stare vicino
Fa come cazzo ti pare
Allora dovrò semplicemente farti innamorare di me.
Vaffanculo.
Ti amo.
E da lì era cominciato un lunghissimo corteggiamento da parte di Antonio, che arrivava sotto casa dell'italiano regolarmente, che portava con sé Tomate e dolcetti, che riempiva ogni singolo momento della vita di Romano con la sua gentilezza. Si dovette riguadagnare molto lentamente la fiducia del ragazzo, che comunque si guardava bene dal fare totale affidamento su di lui.
Francis consigliava Antonio, questa volta con la sincerità che un vero amico deve sempre avere, e Antonio alla fine, faceva sempre di testa sua, pensando bene che magari sì, l'amore è come la guerra, ma nell'amore i più disonesti e machiavellici perdono.
Quando Alfred era impegnato con le regionali di boxe, quando Arthur era occupato a studiare per la maturità, Antonio s'infilava in casa di Romano, imponeva la sua presenza, guardava insieme a lui telenovelas argentine, lo iniziava alle sieste e, attraverso trucchetti che avevano stupito tutti per quanto erano astuti, aveva riacceso l'interesse di Romano per la cucina.
Arthur lo scherniva, dicendo che dall'orgoglioso uomo che era, Antonio era diventato un sottone, un sottomesso, in pratica. Lo spagnolo non dava molto peso a quelle parole; il solo stare con Romano lo riempiva di gioia ed il giorno in cui il minore aveva mormorato, balbettando, con il viso arrossato e gli occhi puntati ovunque tranne che su di lui, che in fondo, non gli dava fastidio la sua compagnia e che forse potevano stare insieme, aveva capito che tutto, tutto quello che aveva fatto, che aveva pensato, che aveva sopportato, valeva la pena. Valeva la pena quel bacio timido e casto, con le mani bollenti di Romano tra i suoi capelli ed i suoi occhi chiusi, per assaporare ogni tocco, ogni respiro.
Decisamente, valeva la pena.

"Cos'è complicato?" chiese Antonio confuso.
Romano scosse la testa e mosse la mano in aria, dicendo "Sai che mio fratello e quel Macho-Patate stanno insieme?" il ragazzo commentò la notizia con una smorfia disgustata sul viso e continuò "Sicuramente quel Crucco di merda ha deflorato il mio dolce ed ingenuo fratellino… bleah, che schifo"
Antonio sorrise, ricordando le attenzioni del tedesco verso il minore dei Vargas e quelle atmosfere rosa che li circondavano a volte, mentre parlavano in giardino e passeggiavano uno accanto all'altro "Allora è ufficiale!" annuì contento, per poi scontrarsi in uno sguardo omicida del minore, che comunque non durò a lungo.
"No" borbottò " non sono una coppia ufficiale…"
"In che senso?"
"Nel senso che ha paura di dirlo a Mamma"
Antonio dovette pensarci bene prima di domandare, il più lentamente possibile e col tono di voce più comprensivo e dolce che aveva, "Ne hai paura anche tu?"
Romano sbatté velocemente le palpebre, prese aria più volte per rispondere, divenne rosso in faccia ed Antonio ebbe paura che stesse per avere una crisi di pianto. Invece l'italiano scoppiò in una risata nervosa e disse "Certamente non ho paura di quella vecchia arpia"
"Avevi paura di dirlo a tuo fratello…"
"Perché lui è piccolo ed è pure ingenuo e stupido ed innocente e… e… deve essere preservato!"
"Da cosa?"
Il cervello di Romano si attivò alla ricerca di una risposta coerente e che non la desse per vinta allo spagnolo e sbottò in un accusatorio "Da te!"
"Da me?" domandò grattandosi la testa Antonio. Poi sospirò, quasi avesse capito che continuando a battere su quella strada non ne avrebbe ricavato un soldo, quindi mise su un adorabile broncio biascicando "Però non è giusto"
Romano, con le guance ancora rosse, muoveva nervosamente la sua frangia con un dito e chiese "Cosa?"
"Tu, mia madre, la conosci. Ed anche mio padre, e mia sorella stravede per te. E hai passato con noi Capodanno, tutti i compleanni… e loro sanno che noi due stiamo insieme. È ingiusto che io conosca solo tuo padre e tuo fratello e che noi due abbiamo deciso di dire fi noi solo a tuo padre. Tuo fratello ci ha scoperto, quindi non vale."
"Ti rendi conto di star dicendo frasi senza senso?"
"Quello che dico è che tu non avrai mai il coraggio di dire a tua madre che stiamo insieme… tantomeno di presentarmi a lei come…"
"Mi stai dando del codardo?" urlò il ragazzo puntandogli un dito contro il naso.
Antonio ridacchiò.
Nella mente di Romano passarono migliaia di pensieri, d'immagini e di ricordi; dei flash, che tutti insieme lo spinsero a gridare allo spagnolo "Merda. Prepara le valigie Antonio Fernandez Carriedo perché, quanto è vero Iddio, quest'estate vieni con me a Torino!"e se ne pentì esattamente 3 secondi dopo aver detto quella frase, per la faccia idiotamente contenta dello spagnolo, che aveva iniziato a muoversi come se stesse scodinzolando e ad abbracciarlo con troppo affetto in pubblico.
Se ne pentì ancora di più quando lo annunciarono a suo padre e a suo fratello, quando Feliciano iniziò a saltellare prendendo le mani di Ludwig e decantando le bellezze che avrebbe fatto vedere loro a Torino, e quando Papà aveva preso per le orecchie Antonio e gli aveva fatto un discorsetto su quello che lui e Romano potevano e non potevano fare quando erano da soli, in viaggio, lontano dal suo controllo o di quello del Vecchio. Se ne pentì quando lo stesso discorso fu fatto a lui da Beatriz e Gabriel.
Se ne pentì amaramente durante il viaggio, in cui Antonio aveva cercato di infrangere le regole, dalla prima ala ventitreesima, che avevano dato loro i tre genitori più il nonno, e ancora di più mentre Mamma ed Antonio si conobbero e lui non piacque per niente a lei.
Alla notizia del loro stare insieme, poi, Feliciano aveva cercato di reprimere la sua espressione stupita, ricordando che lo stesso Romano quando aveva scoperto della storia tra lui e Ludwig aveva fatto la stessa faccia e detto le stesse parole che la madre diceva in quel momento a lui, solo che Mamma aveva aggiunto, gridando verso Antonio "Stai cercando di traviare mio figlio?" e cercò di non piangere, quando, per la prima volta, vide Romano difendere Antonio, con poche parole, come voleva il carattere del fratello maggiore, ma con tanta determinazione da far paura.
Alla fine, Mamma accettò la decisione del figlio, ma avrebbe trattato sempre con diffidenza lo spagnolo. Romano si accontentò di questo e così dovette fare anche Antonio.
"Niente cenoni di Natale con i tuoi, allora" aveva mormorato durante il viaggio di ritorno.
"Perché? Volevi farne uno?" domandò annoiato Romano, giocherellando con l'ennesimo souvenir che gli aveva dato Feliciano.
"Beh, sì. Ma tua madre mi detesta"
"Se ti consola, Mamma a Natale non è granché. Non sa neanche cucinare."
Antonio sorrise e grattandosi una guancia rispose "Però dovremmo invitarla ogni anno. Così magari prima o poi gli starò simpatico"
Romano diventò rossissimo "N-non parlare come se fossimo sposati!"
"Prima di sposarci devi finire il liceo, è ovvio…"
"Ti ho detto di smetterla"
Antonio amplificò il suo sorriso, guardando il ragazzo in fiamme davanti a lui, che sviava il suo sguardo girando la testa verso il finestrino, e gli sembrò così in bello in quel momento da farsi sfuggire, con un tono di voce candido, quasi infantile, un "Sai cosa mi andrebbe di fare ora?"
Romano alzò un sopracciglio in risposta. "Infrangere la regola 14"
Il minore aggrottò le sopracciglia e seguì lo sguardo dello spagnolo che puntava al bagno del vagone.
"Maniaco" mormorò Romano alzandosi dal sedile, seguito da un troppo allegro Antonio.



"Regola numero 14, e questa è importante ragazzi", diceva Papà con uno sguardo severo e che non ammetteva repliche ad Antonio e Romano," Quando io o il Nonno non ci siamo, non dovete assolutamente, per nessuna ragione al mondo, fare sesso nel bagno del treno."
Romano fissò il padre per qualche secondo, diventando rosso dall'imbarazzo e sbattendo le palpebre, nella speranza di non aver sentito quello che aveva sentito, che fosse tutto un incubo e che nulla di tutto ciò fosse reale. Senza dire niente, prese il suo zaino in spalle e si apprestò a salire sul treno, per sottrarsi ad una situazione così assurda, ma la voce di Antonio lo fermò. "Perché?" sentì dire allo spagnolo "Se lei ci fosse sarebbe una pratica autorizzata?" con un tono di voce troppo innocente per i gusti sia di Romano che di suo padre. Il Nonno, dal canto suo, rideva, approvando la replica del ragazzo.
"Cosa?" chiese incredulo Papà
"Comunque non c'è problema!" sorrise infine lo spagnolo "Io e Roma non facciamo sesso. Facciamo l'amore"
L'italiano si girò verso Antonio, lo tirò dal colletto e gli ringhiò contro "Tu hai deciso di morire giovane. Mi stai pregando di ucciderti"
"Perché?" rise l'altro
"Fossi in te" s'intromise, sempre ridendo il Vecchio "salirei il più in fretta possibile in treno, prima di avere addosso non uno, ma due Vargas"
Il sorriso di Antonio sparì per un secondo, nel vedere Papà con lo sguardo basso e i pugni chiusi, e, liberandosi senza troppe difficoltà dalla presa di Romano, salutò con la mano e sparì all'interno del vagone.
Dopo aver scosso la testa e sospirato, Romano sembrava stare per raggiungerlo, ma si fermò e borbottò mettendo il broncio un debole "Vi voglio bene", che ebbe come risposta un forte e chiaro "Anche noi" seguito da grandi sorrisi dei due uomini. Romano non si diede il tempo di osservarli più a lungo. Salutò con la mano e corse ad uccidere di botte Antonio.





Note dell'autore
E questa è la fine. Questo capitolo, essendo l'ultimo, mi ha fatto penare non poco. Avevo tante idee per far finire la raccolta. Volevo far parlare Romano con Feliciano, e Ludwig con Antonio, in una conversazione divisa ma in contemporanea, ma questo mi avrebbe fermata alla visita di Feliciano a Roma e forse era un po' limitativo, non so…
Alla fine ho pensato semplicemente ad un viaggio ed infatti ho deciso d'iniziare a raccontare da un ritorno a casa dopo una lezione all'università di Antonio
Spero l'ultimo capitolo vi sia piaciuto, ci ho pensato a lungo e l'ho riscritto più volte… doveva essere perfetto… ahah, a me basta che vi piaccia
E farò un po' di pubblicità ora che ci penso: ho utilizzato un po' di spunti qua e là. Come Dante, che tutti avrete riconosciuto; il quinto canto, che parla d'amore in realtà, è uno dei miei preferiti, mi rivedo la lettura di Benigni almeno una volta a settimana, tanto mi piace. Poi Pascal, che era fisico quanto vi pare, ma per me rimarrà per sempre un filosofo straordinario e, soprattutto dopo aver studiato Cartesio, l'ho amato, per il suo ritorno alla scienza umana.
Per il resto… la frase, "Perché fare i compiti se possiamo fare l'amore?", viene da Acción Poetica, un movimento prevalentemente latinoamericano, che si può seguire su Tumblr e Instagram, mi mette sempre di buon umore vedere una loro foto, le amo particolarmente e la filosofia del cibo è tutta mia: ci sono cresciuta in mezzo e ne ho avuto le prove.
Mi sembra strano il pensiero che la prossima settimana non aggiornerò la storia, mi sembra strano anche il pensiero che ormai la raccolta è completa.
Vi ringrazio di cuore. A tutti quanti, alle persone che hanno seguito dall'inizio, a chi ha recensito e mi ha fatto venire tante idee e a chi ha semplicemente letto. Mi ha fatto piacere dividere questa mia idea con voi, ed il fatto che abbiate risposto alla mia storia mi ha resa fiera, felice e spero che qualcosa sia rimasto anche a voi tutti.
Grazie di cuore, davvero.
Beh, allora penso che vi darò l'ultimo abbraccione della storia, non in assoluto!
Abbraccione psicologico e ci rileggeremo presto, penso.

Miki
  
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