Piansi a lungo quella sera, tanto che
rischiai di addormentarmi a causa dei miei occhi stanchi ed arrossati.
Riuscii però a tenermi sveglia con un
pensiero fisso: “Dovevo provare a contattare Ron ed Harry”.
Erano parecchie sere che continuavo a
provarci, ma speravo che quella sarebbe stata la notte giusta.
Tirai fuori dalla tasca dei miei
pantaloni il galeone, ricordando come, prima di venir perquisita l’avevo
nascosto sotto tutti gli stracci che componevano il materasso del mio letto.
Quello era stato l’unico momento in cui
ero stata costretta a separarmene e, anche se temevo di perderlo o che mi
venisse preso, non potevo fare a meno di portarlo sempre nella mia tasca
destra.
Era come se fosse diventato il
sostituto della mia bacchetta, era l’unico che mi avrebbe potuto mettere in
contatto con Ron ed Harry e di conseguenza era la cosa più preziosa che
possedessi nella mia situazione di prigionia.
Me lo rigirai per alcuni secondi tra le
mani, complimentandomi con me stessa per l’idea di utilizzare i galeoni che ci
erano stati tanto utili l’anno precedente per contattare l’ES.
Ma il mio autocompiacimento non durò a
lungo, dato che dovetti alla fine provare per l’ennesima volta ad utilizzare la
mia magia senza il supplemento della mia bacchetta e, ovviamente, fallii
miseramente.
Era difficile mantenere il controllo
necessario per far fluire tutta la magia che sentivo nel mio corpo verso un
unico punto, infatti dopo una decina di minuti di concentrazione ero solo
riuscita a spostare una piccolissima percentuale, rispetto a tutto il potere
che mi fluiva nelle vene, verso la mia mano destra.
Ma la fame e la stanchezza, sia fisica
che mentale, non facevano altro che intralciarmi nei miei tentativi, tanto che
dopo pochi minuti mi ritrovai ad ansimare ed a sudare come se avessi corso per
cinque chilometri il che, per una ragazza poco atletica come me, erano
l’equivalente di un suicidio.
Quando pensai di aver accumulato
abbastanza potere sul palmo della mia mano provai a pronunciare l’incantesimo
e, per pochi secondi, vidi una luce argentata comparire attorno al galeone e
avvolgerlo in una bolla.
La sorpresa e la felicità per il mio
tentativo riuscito mi fece perdere per pochi istanti la concentrazione e, così
come era comparsa, la luce scomparve.
Imprecai, provando l’istinto di gettare
via il galeone e di mettermi a piangere, ma non mi lasciai scoraggiare e provai
ancora un paio di volte, cercando di concentrarmi maggiormente, ma ormai ero
troppo stanca e mi rassegnai a provarci poi la sera successiva.
Riposi il galeone nella mia tasca
destra e mi sdraiai tra gli stracci, ignorando il cattivo odore e la loro
scomodità, mentre tornavo a piangere, vergognandomi della mia fragilità, ma non
potendo fare altro se non disperarmi in solitudine.
***
Breedy quella mattina era parecchio
circospetto, continuava a guardarsi intorno, ed a lanciare occhiate sospette
dietro di sé, mentre andavamo verso la lavanderia.
Avrei voluto chiedergli cosa avesse, ma
ottenni la risposta senza che fossi costretta a porre la domanda.
«Veloce, signorina», mi disse, facendo
comparire dal nulla una fetta di quella che sembrava proprio una torta di
zucca.
Sbarrai stupita gli occhi, lanciandomi
occhiate allarmate intorno, prima di afferrare la torta e di morderne la punta.
La consistenza morbida e pastosa del
dolce era davvero qualcosa di divino ed il sapore, così simile al succo di
zucce di cui andavo pazza, era qualcosa di celestiale per le mie pupille
gustative.
Avrei voluto avere più tempo per
poterne mangiare un boccone per volta, assaporandone a fondo il gusto, ma fui
costretta, per questioni di sicurezza, ad ingurgitare tutta la fetta in pochi
bocconi.
Stavo ancora masticando quando
arrivammo davanti al portone della lavanderia, così mandai tutto giù e mi
passai la manica della maglia sulla bocca, eliminando ogni segno di briciole
sul mio volto.
Prima di entrare però fermai Breedy,
che camminava pochi passi davanti a me: «Grazie», gli dissi.
Lo vidi arrossire e fare un veloce
gesto della mano, come per dire che era stato un piacere per lui farmi
contenta.
Una volta dentro però non mi ci volle
molto prima di perdere il mio poco buon umore.
Il Mangiamorte urlante era tornato, lui
ed i suoi ordini insensati gridati a destra e a manca.
Gli lanciai uno sguardo di puro odio,
prima di raggiungere il mio lavello e di afferrare nella mano destra la
saponetta, mentre con la sinistra aprivo l’acqua e cercavo di regolarla sulla
temperatura giusta.
Breedy lasciò cadere accanto a me i
vestiti sporchi e come ogni giorno cominciò ad aiutarmi a smistarli.
Mi guardai intorno e, non vedendo la
biondissima chioma di Luna ed il suo sorriso dolce, andai in panico,
cominciando a girarmi su me stessa, cercando la mia amica ovunque.
Lanciai un’occhiata allarmata a Breedy,
ma lui, con un gesto veloce della mano, mi ricordò di tornare al lavoro se non
volevo finire nei guai.
Svolsi automaticamente ogni lavoro
necessario, ma parte della mia mente era sempre in allarme ed all’erta, pronta
a sondare ogni individuo all’interno della sala per cercare l’unica amica
rimastami.
Passò quasi un’ora prima che vedessi
finalmente comparire Luna, scortata da un Mangiamorte, con il volto abbassato e
le gambe che sembravano non sorreggerla.
Mossi alcuni passi nella sua direzione,
ma Breedy si piazzò davanti a me, con le braccia aperte e con una smorfia di
compassione e tristezza sul volto.
Mi intimò di tornare al lavoro ed io,
mordendomi a sangue il labbro inferiore, mi costrinsi a fare come mi aveva
detto.
Non persi però di vista la mia amica, e
la osservai per tutta la mattinata, sondandone i movimenti e cercando di
abbinare ad ogni suo gesto uno stato d’animo.
Notavo con orrore che le dita e le mani
continuavano a tremarle, mentre aveva lividi violacei sulle braccia e un taglio
sulla fronte che le faceva gocciolare del sangue lungo la tempia e la guancia
pallida.
Rischiai di correre da lei per aiutarla
un centinaio di volte nel giro di mezz’ora, chiedendomi per quale motivo
l’avessero torturata in quel modo; a me non avevano mai lasciato tanti segni sulla
pelle, preferendo ferirmi nell’animo... perché a lei invece sembravano aver
utilizzato la tecnica opposta?
Solo verso metà mattinata riuscii ad
incontrare i suoi dolci occhi azzurri che, malgrado tutto, si illuminarono
incontrando i miei e vidi comparire sulle sue labbra un debole sorriso che
cercai di ricambiare con scarsi risultati.
Dopo di che il Mangiamorte di guardia
cominciò ad urlarle contro, dicendole di svolgere il suo lavoro invece di
perdere tempo a guardarsi intorno.
Una forza a me sconosciuta sembrò
trattenermi dall’intervenire, come se qualcuno fosse entrato nella mia mente e
mi avesse imposto di rimanere ferma.
Voltai il viso verso Breedy, rendendomi
conto che era stato lui a farmi un incantesimo per impedirmi di muovermi dal
busto in giù e, anche se una parte della mia mente lo ringraziò di cuore,
l’altra avrebbe voluto avere ancora una bacchetta per poter schiantare lui ed
il Mangiamorte.
Dopo quell’episodio però riuscii a
calmare abbastanza i nervi da non aver più bisogno dell’incantesimo dell’elfo
domestico per non saltare addosso e
prendere a calci nel sedere quell’ombra scura che continuava ad importunare
ogni singolo prigioniero o elfo che gli si trovava di fronte.
Tornai al mio lavoro cercando di non
lasciarmi distrarre da nulla, anche se a volte continuavo a guardare nella
direzione di Luna per accertarmi che non stesse troppo male.
Stavo pulendo una camicia bianca quando
udii il Mangiamorte urlare con un tono più forte del solito.
Alzai lo sguardo e vidi un ragazzino,
che mi sembrava fosse di Tassorosso, tremare tutto mentre l’uomo in nero
seguitava a strillare a due centimetri dal suo volto pallido e giovane.
Non ricordavo il nome di quel
poveretto, ma ero certa che fosse solo del primo anno e sentii montarmi dentro
una rabbia infinita, mentre stringevo le dita intorno alla saponetta e fissavo
con odio la scena.
«Non ti devi mai fermare, chiaro? Devi
lavorare, LAVORARE! Quelle camicie ti sembrano pulite?!», il Mangiamorte
sollevò la bacchetta, con il chiaro intento di lanciare un incantesimo al
ragazzino.
Sentii nuovamente le mie gambe bloccate
dall’incantesimo di Breedy e, senza prestare attenzione alla vocina nella mia
testa che mi diceva di non farlo, sollevai il braccio e lanciai la saponetta.
Mi resi chiaramente conto di quello che
avevo appena fatto solo quando ormai l’oggetto stava compiendo una perfetta
parabola diretto alla nuca dell’uomo in nero e mi pentii del gesto quando la
saponetta era giunta con precisione a destinazione.
Mi imposi però di non sembrare in
nessun modo scossa e rimasi con orgoglio e coraggio a fissare il Mangiamorte
dritto in quelli che dovevano essere gli occhi, anche se erano coperti dalla
sua maschera.
L’uomo in pochi passi mi aveva
raggiunto e, con mio sollievo, aveva lasciato in pace il povero ragazzino che
ora provava a trattenere le lacrime, mentre mi fissava con lo sguardo pieno di
profonda gratitudine.
Non udii cosa disse l’uomo, anche se
percepii chiaramente le parole chiave del discorso: “sporca Mezzosangue”...
“pagherai”... “lavorerai”... “cucina”... “tutta la notte”.
Sentii perfettamente però il dorso
della sua mano che colpì con forza la mia guancia sinistra, provocandomi un
intenso bruciore in viso.
A quel punto avrei dovuto rimanere
immobile, magari fingermi timorosa, dandogli la soddisfazione di avermi messo
paura, ma ancora una volta mi mossi senza pensare a ciò che facevo e gli sputai
dritto contro la maschera che portava sul viso.
Avrei pagato per vedere la sua
espressione in quel momento, ma l’unica cosa che otteni fu un altro schiaffo
che mi fece voltare il viso di novanta gradi.
«Crucio!», urlò l’uomo, mostrando di
avere molta fantasia per quanto riguardavano le punizioni da infierire a noi
“schiavi”.
Ma fui in grado di essere sarcastica
solo un decimo di secondo, prima che il solito dolore di coltelli dalla lama
infuocata mi trafiggesse interamente, facendomi cadere a terra, in ginocchio.
Non saprei come, ma riuscii a non
urlare e, quando la tortura finì, fui fiera di me stessa per non aver
supplicato perdono o pietà.
Ottenni ancora un calcio all’altezza
dello stomaco, prima che quell’uomo mi afferrasse per i capelli,
trascinandomi fino alle cucine e mi
lasciasse lì, a terra.
Mi sollevai in piedi a fatica, provando
a combattere il tremore di braccia e ginocchia e, guardandomi intorno, vidi un
centinaio di occhi che mi fissavano con stupore.
All’interno di quella stanza c’erano
solitamente più elfi domestici che prigionieri, anche perché noi “schiavi” non
potevamo usare la magia e questo penalizzava il nostro possibile contributo
nel campo culinario.
Le dita del Mangiamorte afferrarono
nuovamente una manciata dei miei capelli e mi trascinarono fino a farmi cadere
davanti ad una scopa: «Pulirai tutto, da cima a fondo e potrai andartene solo
quando avrai finito, lurida Mezzosangue»
Scomparve oltre la porta con poche
veloci falcate e, quando fui certa che se ne fosse andato mi alzai in piedi
lentamente, cercando di concentrare le mie forze sulle gambe per non cadere
nuovamente a terra.
Mi appoggiai alla parete davanti a me,
riprendendo fiato e cercando in tutti i modi di non piangere e rimasi immobile
in quella posizione per alcuni istanti.
Presi poi la scopa e, ignorando il
bruciore alla guancia e l’intenso dolore allo stomaco, cominciai a spazzare per
terra.
Sentivo la presenza di un’altra persona
nella stanza, ma non alzai lo sguardo, sapendo perfettamente che era un
Mangiamorte.
Rischiavo spesso di inciamparmi sui
miei stessi piedi, ma continuai come se nulla fosse a zigzagare tra gli elfi
domestici per pulire per terra, provando ad essere abbastanza forte, anche se
l’unica cosa che avrei voluto fare era rannicchiarmi in un angolo e piangere
fino a quando non avrei avuto più lacrime a disposizione.
Speravo che il ragazzino che avevo
aiutato non avesse avuto altre difficoltà e che la ferita di Luna all’altezza
della tempia non sanguinasse più, ma per accertarmi della loro salute avrei
dovuto aspettare fino al giorno dopo, quindi smisi di tormentarmi pensando a
loro e cominciai concentrarmi maggiormente sul mio compito.
Quando ritenetti che il pavimento fosse
abbastanza pulito afferrai uno straccio da un bancone e cominciai a spolverare
ogni superficie piana che incontravo.
Tutte quelle pulizie mi ricordavano
tremendamente la mia vita da babbana e tutti i pomeriggi che avevo aiutato mia
mamma a pulire casa in vista dell’arrivo di qualche ospite per cena. Mia mamma,
oltre ad essere una dentista, aveva la fissazione per le pulizie e, almeno una
volta ogni due settimane, doveva trascorrere un intero week end a pulire
qualsiasi cosa le fosse capitata in mano.
Era precisissima per quello che riguardava
le pulizie e l’ordine e sapevo di aver preso da lei questo lato meticolosamente
preciso con cui etichettavo ogni cosa e davo definizioni a tutto quello che
potevo.
L’unica persona che non ero mai
riuscita davvero a classificare era proprio Draco Malfoy...
Strinsi forte lo straccia tra le dita
delle mani, che mi tremavano, e chiusi forte gli occhi per qualche istante, nel
tentativo di cancellare il mio ultimo pensiero, ma con scarsi risultati.
Il portone della cucina si aprì con un
colpo secco e vidi entrare a passo di marcia un nuovo Mangiamorte che prese il
posto di quello precedente.
Non prestai loro molta attenzione
concentrata nel scacciare dalla mia mente gli occhi chiari e caldi di un certo
biondino che in meno di un mese era riuscito a farmi innamorare di lui, ma li
sentii scambiarsi poche veloci parole.
Quando alzai lo sguardo mi stupii nel
constatare che la figura appena entrata aveva qualcosa che me la faceva
classificare come una donna, forse era la sua sagoma minuta e delicata, oppure
il modo in cui era seduta, con le gambe accavallate, su una sedia.
Non la degnai però di molte attenzioni
e tornai in fretta ai miei doveri, sperando di essere ignorata come facevo io
con lei.
Le passai davanti solo per recuperare
un altro straccio, dato che quello precedente l’avevo già riempito di polvere,
ma per il resto non ci degnammo di molte attenzioni, lei troppo impegnata a
limarsi le unghie e io troppo indaffarata a svolgere il mio compito.
Gli elfi erano silenziosamente
efficienti, tanto che sembrava che non ci fossero nemmeno.
Avrei voluto allungare una mano ed
afferrare qualcosa da mangiare per zittire il continuo borbottare del mio
stomaco, oppure prendere semplicemente un bicchiere d’acqua per dare sollievo
alla mia gola riarsa o alle labbra spaccate, ma riuscii chissà come ad ignorare
la vocina affamata ed assetata nella mia mente, imponendomi di fare il mio
dovere, anche se avrei voluto distruggere tutto quello che mi capitava a tiro,
a partire da quella Mangiamorte che aveva qualcosa di familiare nella postura e
nel modo in cui continuava a guardarsi le unghie perfettamente laccate da uno
smalto color rosso acceso.
Quando passò l’ora di cena e gli elfi
cominciarono a ritirare ogni spezia e condimento al proprio posto nella
credenza mi resi conto che il mio lavoro invece era appena all’inizio, dato che
in pochi secondi capii a chi spettasse pulire le centinaia di piatti che erano
stati riportati vuoti dalla sala da pranzo.
Mi rimboccai le maniche e cominciai a
darmi da fare, prendendo una spugna e riempiendola di detersivo per poi
iniziare a scrostare energicamente tutte le pentole, i piatti, i bicchieri, le
posate e i mestoli.
In meno di un’ora le dita erano già
cotte, piene di quelle rughette sui polpastrelli causate dal contatto
prolungato con l’acqua e i dorsi delle mani erano arrossati e screpolati.
Riuscii a trattenere le lacrime per il
dolore e l’umiliazione solo perché sapevo che c’era ancora la Mangiamorte di
“guardia”.
Non ce la facevo più a sopportare tutto
quello e, anche se ero felice di non esser dovuta andare da Bellatrix almeno
quel giorno, mi sentivo comunque ancora scossa dalla maledizione Cruciatus
ricevuta da quel Mangiamorte ed ero fin troppo desiderosa di tornarmene nella
mia cella per poter provare con le poche forze rimastemi ad usare la magia
senza la bacchetta, prima di poter finalmente piangere e dormire.
Ci fu un altro cambio di guardia e,
quando la Mangiamorte se ne fu andata, comparve nella mia mente il suo nome:
Daphne Greengrass.
Ero certa che fosse lei perché ricordavo
perfettamente come si limasse le unghie durante le ore di lezione, soprattutto
quelle di Storia della Magia o di Trasfigurazione.
Avrei voluto correrle dietro per
accertarmi che fosse lei ma, voltandomi, vidi l’ombra di un altro Mangiamorte
al suo posto e desistetti, tornando a fissare la pila di piatti accanto a me.
Sospirai mentre riempivo per la
ventesima volta la mia spugna di detersivo e, nel tentativo di combattere la
stanchezza e le ginocchia che cominciavano a cedermi, cominciai a canticchiare
nella mia testa una canzone babbana che piaceva tanto a mia mamma e che spesso
metteva mentre faceva le pulizie.
Sperai che mamma e papà stessero bene
dalla zia e che nessun Mangiamorte li avesse trovati in quella piccola casetta
di campagna, anche se una parte di me cominciava già a prevedere il peggio.
Sbadigliai, mentre ciondolavo appena
sulle caviglie.
Ero talmente stanca che non mi resi
nemmeno conto che nella stanza era entrato un altro Mangiamorte.
Quando anche l’ultimo piatto fu pulito,
asciugato e messo al suo posto nella credenza, provai ad appoggiarmi al bancone
per non cadere a terra dalla stanchezza, mentre le ginocchia cedevano e la
mente mi si annebbiava come se mi fossi trovata in un semplice sogno.
Delle braccia mi afferrarono prima che
cadessi e mi sentii subito confortata dal calore di un altro corpo umano contro
il mio.
Senza pensare a nulla affondai i volto
contro il petto di quella persona inspirandone a fondo l’odore e sussultando,
quando mi resi conto di conoscere fin troppo bene quella fragranza di menta,
tabacco e liquore.
«No...», mormorai, mentre dita
familiari affondavano contro la mia schiena, stringendomi a sé.
No, no, no,
no, no!
Avrei voluto allontanarlo con tutte le
poche forze che ancora possedevo, ma ormai era troppo tardi e calde lacrime
avevano cominciato a bagnarmi il volto, mentre la consapevolezza di essermi
addormentata e di star sognando il mio peggiore incubo si faceva strada nella
mia mente, distruggendomi.
«Draco...», sussurrai, ma la voce mi si
spense prima di poter dire altro.
«Ci sono qua io ora», mormorò contro il
mio orecchio, provocandomi caldi e freddi brividi ovunque.
L’istante dopo mi ritrovai sollevata da
terra e comodamente avvolta dalle sue braccia.
E, come ogni sogno che si rispetti, quando mi svegliai non aveva lasciato altro che un’odore familiare di menta, tabacco e liquore.
****************************************************************************************
Ciao! :)
Avete visto? Sono riuscita ad essere puntuale! ;)
Dunque, come potete vedere anche questo capitolo è dal punto di
vista di Hermione, ma il prossimo ho deciso di metterlo con Draco pov, che ne
dite?
Come al solito spero che vi sia piaciuto e ringrazio tutte le persone
che hanno commentato il primo capitolo di questa storia, davvero grazie mille
ed abbiate fede che prima o poi riuscirò a rispondere alle vostre recensioni!
;)
Spero di riuscire a scrivere presto il prossimo capitolo che
comunque dovrei riuscire a postare entro il 6! ;)
Auguro a tutti un felice Anno Nuovo e vi mando un grosso bacio! :-*
LazySoul
p.s. Se avete voglia e tempo di lasciarmi una recensione mi fareste
davvero felice ;)