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Autore: Water_wolf    01/01/2014    14 recensioni
Tutti conoscono Percy Jackson e Annabeth Chase. Tutti sanno chi sono. Ma ancora nessuno sa chi sono Alex Dahl e Astrid Jensen, semidei nordici che passano l'estate a sventrare giganti al Campo Nord.
Che cos'hanno in comune questi ragazzi? Be', nulla, finché il martello di Thor viene rubato e l'ultimo luogo di avvistamento sono gli States.
Chi è stato? No, sbagliato, non Miley Cyrus. Ma sarà quando gli yankees incontreranno il sangue del nord che la nostra storia ha inizio.
Scritta a quattro mani e un koala, cosa riusciranno a combinare due autori non proprio normali?
Non so bene quando mi svegliai, quella mattina: so solo che quel giorno iniziò normale e finì nel casino. || Promemoria: non fare arrabbiare Percy Jackson.
// Percy si diede una sistemata ai capelli e domandò: «E da dove spunta un arcobaleno su cui si può camminare?» Scrollai le spalle. «L’avrà vomitato un unicorno.» «Dolcezza, questo è il Bifrost» mi apostrofò Einar. «Un unicorno non può vomitare Bifrost.»
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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I nostri colleghi del Nord ci fanno visita
 

Annabeth

Ero china a decifrare un progetto di Dedalo, quando uno dei miei fratelli entrò nella Cabina 6 e annunciò che erano arrivate le Cacciatrici, insieme ad altri semidei. Raddrizzai la schiena di scatto, pensando subito a Talia.
Cosa ci faceva qui? Sapevo che Artemide e le sue discepole avevano un gran daffare, non credevo sarebbero venute tutte qui al Campo Mezzosangue. Senza contare che, quando ci facevano visita, si scoprivano sempre nuovi problemi. Abbandonai il lavoro e seguii mio fratello oltre la porta, camminando veloci verso la Casa Grande, dove già altri si erano recati per assistere alla novità.
Mi si avvicinò Percy, sudato per essere appena stato nell’arena di scherma, e mi scoccò un’occhiata interrogativa, la fronte aggrottata in una tenera espressione confusa. Scossi la testa, non potendo fornirgli altre spiegazioni. Il ragazzo si infilò una mano in tasca, lì dove c’era Vortice sotto forma di penna. La maglietta arancione gli si era incollata alla schiena per via del sudore, la pelle luccicava leggermente per alcune goccioline, mentre gli occhi verde oceano erano persi nelle sue considerazioni. Era comprensibile, l’ultima volta che le Cacciatrici erano state qui, Bianca si era sacrificata per il bene del gruppo e Nico, il figlio di Ade, era fuggito. Era probabile che sperasse in circostanze d’incontro migliori.
Chirone ci lanciò una breve occhiata, prima di dirigersi al passo da Talia, salutandola. Con una zampa posteriore, scavava un lieve solco nel terreno, gesto che tradiva l’ansia. Un ragazzo sui diciassette anni, capelli ricci e scuri, e dagli occhi grigi, si fece avanti e si presentò.
«Io sono Alex Dahl, figlio di Odino. Siamo qui per cercare un oggetto di grande valore.»
Chirone ebbe un fremito quasi impercettibile, poi sospirò, aggiungendo una decina d’anni a quelli che già portava.
Percy, accanto a me, si sporse verso il mio orecchio e sussurrò: «È qualche divinità minore, per caso?»
«No» risposi, subito, certa che quel nome non facesse parte della cultura greca. «Odino… Odino è un dio norreno.»
Nel momento in cui lo dissi, realizzai che era impossibile. Il Campo Mezzosangue era l’unico in tutto il mondo che accoglieva semidei, perché gli Dèi Greci si erano trasferiti in America per via della sua influenza sulla cultura, Stati tra i più importanti, come lo era stata la Grecia. Quel ragazzo doveva essersi preso un colpo in testa.
«Annabeth, non credo sia il momento adatto per prenderti gioco di me» riprese Percy, ma non ci feci caso, perché Chirone parlò: «Credo che dovremmo discutere di questo in un luogo più consono. Che ne dite di entrare e-»
«Perché?» lo interruppe una ragazza del gruppo di Alex, precedendo lei stessa il giovane.
Si guardò intorno, la sua espressione si incupì, notando come tutti se ne stavano zitti e intimoriti. Si lasciò sfuggire un “oh” sussurrato.
Chirone fece strada al terzetto e, mentre faceva scomparire la sua parte equina nella sedia a rotelle, si rivolse a noi.
«Capigruppo, venite anche voi; abbiamo un bel po’ di cui parlare. Voi altri, ritornate alle vostre attività. Non c’è niente di cui preoccuparsi.»
Certo, come no. Conoscevo da troppo tempo il centauro per non accorgermi che mentiva, o che non diceva tutta la verità. Presi Percy per un braccio e lo trascinai dentro la Casa Grande, ansiosa di ricevere chiarimenti.
Perché non potevano esserci altri semidei, figli di altri dèi e dee. Non potevano non discendere dal pantheon greco. Sarebbe stato innaturale. Inoltre, se così fosse stato, si sarebbe venuto a sapere, visto che non è molto facile tenere segreti i disastri che combinano ragazzi con deficit dell’attenzione e dislessia con l’inclinazione a distruggere tutto ciò che toccano. Non si poteva certo nascondere un intero Campo.
Eppure, qualcosa mi diceva che stava accadendo proprio il contrario.
Ci accomodammo tutti nella sala che usavamo per la riunione dei capogruppo. Silena Beauregard aveva la mano intrecciata con quella di Beckendorf, come se il figlio di Efesto potesse darle la sicurezza di cui aveva bisogno. Talia mi passò una mano sulla spalla, prima di sedersi alla mia destra sul divanetto. Non era cambiata di una virgola dall’ultima volta che l’avevo vista, l’aura di immortalità la lasciava immune dai cambiamenti del tempo.
«Bene» iniziò Chirone, dopo aver contato le presenze. «Alex, potresti presentarci i tuoi compagni?»
Il ragazzo guardò il centauro, cercando di capire se stava temporeggiando o meno, e indicò un giovane ragazzo moro che aveva il naso livido, probabilmente rotto da qualcuno.
«Karen, una mia Cacciatrice» mi spiegò Talia, all’orecchio.
«Lui è Einar Larsen, figlio di Loki.»
Memorizzai l’informazione. Einar, tipo che ci provava con le ragazze, anche se erano Cacciatrici, non molto pericoloso, per il momento.
«E lei è Astrid Jensen, figlia di…» si interruppe, quasi temesse di dire qualcosa di sbagliato.
La ragazza fece una smorfia, mentre completava: «figlia di Hell. Ora, possiamo sapere perché ci guardate come se fossimo dei marziani?»
Astrid era diversa. Dal timore con cui pronunciavano il nome della madre, o del padre, si intuiva che non era la persona che cercavi se avevi bisogno di conforto o di un abbraccio.
Chirone fece un sorriso tirato.
«Venite dall’Europa, giusto?» domandò.
Alex annuì, senza smettere di scrutare il centauro. «Oslo.»
Norvegesi. La capitale del Paese, famosa soprattutto per L’Urlo, il quadro di Munch, per i fiordi e il fatto che fosse la patria di Babbo Natale. Ma io la conoscevo per un edifico, il quale si estendeva per diversi piani sottoterra, che però era ugualmente efficiente. C’erano persino degli uffici.
Chirone si passò una mano sul viso, pensoso.
«Non avevamo notizie di voi e del vostro Campo da molto tempo.»
Fu come se avesse sganciato una bomba. Venne sommerso da una marea di “cosa?!” e “come!?” e “non è possibile!” da tutte le parti. Talia era sbiancata. Percy era sconvolto, il viso dal colorito leggermente verdognolo, e guardava il centauro con aria stralunata. Invece, io trovai solo conferma ai miei timori.
Chirone spese parecchi minuti a recuperare l’ordine, nonostante fossimo tutti tesi come corde di violino. Persino ai gemelli Stoll era passata la voglia di fare scherzi. Anche ai compagni di Alex erano comparse espressioni stupite sul volto, mentre il ragazzo sembrava semplicemente preoccupato che le sue ipotesi fossero corrette. Altra persona da tenere sotto controllo; era troppo furbo e troppo intelligente per essere sottovalutato, sicuramente non era lui l’anello debole del gruppo.
«Quindi il vostro Campo Mezzosangue è un altro punto di raccolta per semidei» esordì, in fatti. «Solo che non siete norreni, ma greci, giusto?»
Aveva una pronuncia diversa, molto inusuale. Sicuramente l’inglese non era la sua prima lingua, anche se lo parlava piuttosto bene.
«Ehi, amico, voi siete gli altri che vengono da un altro Campo. Sai da quanto tempo è in piedi la civiltà greca?» lo aggredì Michael Yew, il capogruppo della Casa di Apollo.
Lessi nell’espressione di Alex una brutta risposta che, però, si costrinse a ingoiare per rivolgersi a Chirone, ignorando completamente il ragazzo.
«Potrebbe spiegarci questa storia, signore?»
«Ci farebbe molto comodo» borbottò Talia, vicino a me.
Il centauro prese un grosso sospiro e iniziò a spiegare. Parlò di come la Grecia viveva fulgida, delle divinità che furono inglobate dalla cultura romana, di come sopravvissero in quelle forme sotto l’Impero di Roma. Elencò le divinità principali a favore degli ospiti, accennando poi ai semidei più famosi e a noi capogruppo, che organizzavamo le attività delle Cabine dedicate ai figli di ogni dio o dea.
Poi, raccontò le incursioni barbariche che contribuirono in buona parte alla distruzione dell’Impero Romano e di tutte le sue provincie. Citò, allora, le divinità norrene, che erano in conflitto con quelle greco-romane e che, dopo sanguinose battaglie e numerosi caduti da entrambe le parti, decisero di isolarsi completamente una dall’altra, covando un rancore segreto per gli altri. Per questo non eravamo mai venuti a conoscenza del Campo Nord, né loro di quello Mezzosangue. Non si era nemmeno sicuri che esistesse ancora.
Ma ciò che trasparì di più dalla spiegazione, fu il profondo odio tra le due cerchie di Dèi. Sperai vivamente che Zeus non decidesse di scagliare la sua folgore sulla Casa Grande perché il figlio di un altro sovrano degli Dèi si trovava qui.
Il discorso di Chirone aveva lasciato spazio a un silenzio di riflessione. Ognuno meditava su quelle informazioni acquisite, scoccando occhiate di soppiatto ai nuovi arrivati.
«Ma voi non siete venuti qui per muoverci guerra» esordii, rompendo il silenzio e attirando diversi paia di occhi su di me. «State cercando un oggetto, e per farlo vi serve la nostra collaborazione.»
«Esatto» confermò Alex.
«Oppure, sapete della guerra contro Crono e volete rallentarci, cosicché ci trovi impreparati» replicò Miranda, della Casa di Demetra.
«Già, potreste essere qui per metterci i bastoni tra le ruote o accusarci di qualcosa che non abbiamo fatto» rincarò Clarisse.
Astrid si sporse verso di lei, poggiando i gomiti sulle ginocchia e il viso tra i pugni.
«Finora, mi sembra che stia accadendo il contrario» ribatté, ostentando calma. «Non sapete niente e giudicate a prescindere, dando per scontato che siamo dei bugiardi o peggio. Ci terrei a precisare che, per me, fino a cinque minuti fa, Crono poteva essere una nuova marca di spaghetti cinesi e non un titano.»
«Ascoltiamoli, almeno» intervenne Percy, in tono conciliante. «Se possiamo aiutarli, lo faremo e sarà finito in poco tempo.»
E bravo Testa d’Alghe, pensai, notando l’effetto che le sue parole avevano avuto sugli altri. Feci del mio meglio per nascondere un sorriso compiaciuto, sapendo quanto sarebbe sembrato stonato in quel frangente.
«Ebbene, a cosa dobbiamo la vostra visita?» domandò esplicitamente Chirone.
Alex si schiarì la voce. «Anche gli Dèi Greci hanno una loro arma prediletta, se non sbaglio, vero?»
«Come la Folgore per Zeus» disse Talia.
«Ok. Mjiolnir, il martello di Thor, è introvabile, perciò sospettiamo che sia stato rubato. Ha un GPS che ne indica la posizione che, però, ha smesso di funzionare quando segnalava la sua presenza a New York.»
«Non è mica colpa nostra se un vostro dio sbadato ha perso la sua arma» si intromise la figlia di Ares.
«Clarisse, sta’ zitta» sbottai, accorgendomi che anche Percy aveva parlato nello stesso momento per dire le stesse parole.
Desiderai scomparire, mentre un velo di rosso mi colorava le guance. Silena mi fissò per qualche istante, prima di tornare a dedicare la sua attenzione a Beckendorf.
«Grazie» riprese Alex, scoccando un’occhiataccia a Clarisse, che ricambiò. «Be’, abbiamo salvato le Cacciatrici da un gigante di ghiacc-»
«… coff aiutatocoff…» tossicchiò Talia, abbastanza forte perché tutti la sentissero.
Alex era sul punto di alzare gli occhi al cielo e mormorare una preghiera. «Va bene, aiutato a sconfiggere quel gigante e loro ci hanno portato qui, pensando che fossimo semidei greci.»
Chirone annuì più volte, senza parlare.
«È la nostra impresa, e ci terremmo a portarla a termine nel minor tempo possibile» aggiunse, ma il modo in cui pronunciò l’ultima frase non mi convinse. Non era solo per l’impresa che dovevano fare in fretta. «Una mano ci servirebbe» concluse.
«Poiché non siete venuti con intenzioni bellicose e avete aiutato le Cacciatrici, credo di potervi accordare la nostra collaborazione. Comunque, ne discuteremo questa sera al falò.» si rivolse a noi capigruppo. «Spargete la voce tra i vostri fratelli, mi raccomando. »
Uscii dalla Casa Grande dopo che Chirone invitò le Cacciatrici a ritirarsi nella casa di Artemide, le quali, a loro volta, si offrirono per tenere con loro Astrid, mentre Alex ed Einar finivano tra i figli di Ermes.
Mi diressi verso la Cabina 6, rimuginando sui miei pensieri, così da esporli meglio ai miei fratelli e sorelle. Quella sera, ero sicura che non sarebbe stata una passeggiata.

 

 

 

«Ci hanno chiesto una mano, e noi abbiamo deciso di offrirgliela…»
Una mano metallica, fatta in fretta e con alcuni bulloni sporgenti, atterrò ai piedi del figlio di Loki.
«Eccola!» gridò un figlio di Efesto, prima che Beckendorf si alzasse in piedi e ruggisse un rimprovero.
Einar la raccolse, ci giocherellò un po’ e provò a infilarsela come un guanto. Alzò le spalle, la lanciò dritta verso la casa di Ares e commentò, noncurante: «Non mi serve, tenetela pure.»
La mano sorvolò parecchi semidei, la sua traiettoria si abbassò sempre più, finché non cadde sulla testa di Clarisse con un lieve tonfo.
«Avete sentito?» esclamò qualcuno. «È lo stesso rumore che fa una scatola vuota!»
«Vieni qui se ne hai il coraggio!» sfidò la figlia di Ares, scattando in piedi, ma la botta la fece barcollare un po’. Mi affiorò un sorrisetto divertito.
Chirone batté lo zoccolo per terra tre volte, prima che lo ascoltassero. Gli occhi di Clarisse mandavano scintille più della sua lancia elettrica.
«Ci sono opinioni contrastanti, è vero, ma non possiamo negar loro aiuto. Sono convinto che sia la soluzione migliore» tentò il centauro.
«Perché non possiamo semplicemente rispedirli da dove sono venuti?» protestò un semidio dalla Casa di Apollo.
Percy si alzò in piedi e fece qualche passo in avanti. «Sono quello che, qui, di imprese ne sa di più. E posso parlare anche a nome di Annabeth, che mi ha accompagnato. Quindi, ascoltatemi.»
Prese un respiro profondo, si riavviò il cespuglio nero di capelli.
«Nessuno compie un’impresa senza un briciolo d’aiuto, che venga dagli Dèi o dai mortali. Senza Rachel, per esempio, non sarei mai uscito vivo dal Labirinto di Dedalo. C’è chi si è sacrificato per la mia salvezza o quella di un mio amico, anche senza che glielo chiedessi. Ed ehi, cavoli, quanto costerà dare una mano a questi tre? Siamo così egoisti, rancorosi e inetti come…» si morse la lingua. «Sapete a chi mi riferisco. Be’, io non lo sono. Se li aiutiamo, quando saremo noi i bisognosi, loro faranno lo stesso. Se li rifiutiamo, perdiamo. E, di questi tempi, non ci serve un’altra sconfitta.»
Il suo petto viaggiava su e giù molto velocemente, il discorso l’aveva talmente coinvolto che gli era venuto un leggero fiatone. Deglutì e si andò a sedere. Silenzio.
Mi alzai a mia volta in piedi.
«Percy ha ragione» dichiarai, decisa. «Non dobbiamo avere paura di persone e Dèi che non conosciamo, non dobbiamo essere dei codardi, non dobbiamo basarci sui pregiudizi, non dobbiamo fidarci completamente dei nostri genitori, ma crearci nuovi ricordi su cui basarci. È così difficile aiutare l’impresa di questi ragazzi? Siamo semidei, oppure no? Dov’è finito il nostro coraggio? Avanti, chi è d’accordo si alzi in piedi!»
Scrutai ansiosa i miei compagni, ma non ci fu bisogno di ulteriori discorsi per far si che molti seguissero il mio invito, trascinando i loro fratelli, finché tutti o quasi, fummo alzati. Chirone sembrava compiaciuto, mentre Alex, Astrid ed Einar avevano espressioni che andavano dallo stupore alla gratitudine.
«Così sia» concluse il centauro.
Non avevo molta voglia di rimanere ancora al falò, così mi avviai da sola verso la mia Casa. Dopo poco, sentii dei passi dietro di me. Mi voltai, mentre Percy mi faceva cenno di aspettarlo con un mano. Le sue iridi avevano una strana sfumatura al buio, come se una nuvola fosse passata sopra la superficie del mare, oscurandolo.
«Volevo solo dirti che sei stata grande, prima, Annabeth» disse, grattandosi distrattamente il collo.
«Grazie» replicai.
Passò un interminabile momento di silenzio, durante il quale nessuno dei due sembrava sul punto di parlare ancora, né voleva andarsene.
«Credo che andrò a dormire» riuscii a farmi uscire dalla bocca.
Voltai subito la schiena, dirigendomi verso la sesta Cabina. Contai i passi – uno, due, tre, quattro…-, al decimo mi girai di nuovo e chiamai: «Percy!»
«Sì?»
La sua voce era più lontana, distinguevo appena la sua figura.
«Anche tu sei stato grande.»
Nonostante le ombre e la distanza, mi parve di vederlo sorridere, mentre salutava: «Grazie. Buonanotte, Annabeth.»
«Buonanotte, Testa d’Alghe» replicai, più fievolmente.
Quando mi coricai, quella sera, per la prima volta da parecchio tempo non pensai a Luke prima di addormentarmi.

 

BUON ANNO A TUTTI!
Water è bevuta completamente, ha usato la sua poca sanità mentale per pubblicare questo capitolo ed è già molto.
Confermo! Il brindisi ha solo contribuito alla mia demenza naturale, percui, scusatemi se ci sarà qualche errore.
Qualche recensione per il 2014? Io piango se non ne ricevo :C
Peace, love and Percabeth occulta!

 
  
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