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Autore: Dragana    01/01/2014    7 recensioni
"Tutti, in paese, sapevano che Adela Cortés odiava i galli. Forse solo San Pietro odiava i galli più di Adela Cortés."
La storia di come Antonio ha smesso di giocare.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GALLI

Tutti, in paese, sapevano che Adela Cortés odiava i galli.
Forse solo San Pietro odiava i galli più di Adela Cortés. Quindi, quella mattina, non pochi si chiesero come mai ci fosse proprio Adela, con i suoi tre bambini che le scappavano continuamente in mezzo ai piedi, a trattare con Pedrito sul prezzo di un gallo da combattimento che sembrava particolarmente agguerrito.
-È questo, vero, il gallo più forte di tutti? Quello addestrato?
-Il più forte, doña Adela.
-Quello che ha visto mio marito, ma non aveva abbastanza soldi e voi non gli facevate credito?
-Lui. Non sapevo che li tenevate voi i soldi, doña Adela.
-Non lo sapeva nemmeno Antonio.
Pedrito la fissò per un attimo, in silenzio. Poi non si trattenne.
-E allora perché, doña Adela? Vado contro i miei interessi, ma non fate meglio a tenervi ben stretto quel denaro?
-Perché ha detto che vuole questo gallo per sfidare Azùcar e vincergli i suoi anelli, e poi smetterà per sempre con le scommesse e i combattimenti di galli.
Pedrito la fissò, alzando le sopracciglia.
-Stavolta me l’ha giurato. Su Gesù e la Madonna.
Lui alzò le spalle, poi coprì la gabbia con un telo. -Se l’ha giurato… comunque, ha scelto bene il suo ultimo gallo. Questo è un campione. Mi raccomando, lo tenga allenato…
-Certo, Pedrito.
-E gli dia da mangiare carne cruda, così sente l’odore del sangue, e…
-Se ne occuperà mio marito.
-E se davvero vostro marito smetterà con le scommesse, tornate a venderlo, lo ricompro volentieri.
Lei lo fissò con due occhi che parevano i fulmini di Santa Barbara.
-Se vince questo incontro, io a questo gallo tiro il collo e lo metto in pentola.
-Come volete. Se cambiate idea, però, sono qui. Vi farei un buon prezzo. Pensateci.
-Ci penserò-, rispose Adela, con un tono che faceva capire chiaramente che non ci avrebbe pensato nemmeno un secondo. Radunò i suoi bambini e si incamminò verso casa, col gallo che gridava il suo disappunto dalla gabbia.
Pedrito guardò doña Carmen, che vendeva frittelle nella bancarella accanto alla sua.
-Gliel’ha giurato, dice. Quella farebbe meglio a farselo giurare su San Tommaso, e a non crederci finché non lo vede…
Doña Carmen annuì vigorosamente, poi raccontò la scena alla cliente che era appena arrivata.

Nonostante la polvere dell’arena, Roy Elizondo Maria Paredes De las Casas, meglio noto come Azùcar, riusciva a essere impeccabile anche indossando il suo elegante completo bianco. Non si sapeva se il soprannome fosse dovuto al fatto che da quando il vecchio don De las Casas si era ammalato la gestione di tutte le piantagioni erano passate sotto il suo diretto controllo, se fosse a causa dei suoi traffici non troppo segreti di cocaina, o semplicemente perché vestiva sempre di bianco.  
Si diceva che un giorno, quando un tizio gli aveva chiesto se dovesse fare la Prima Comunione, con quel vestito bianco, Azùcar si fosse tolto con estrema calma la giacca del completo e la camicia immacolata, affidandole ai suoi uomini. Dopodiché si era scrocchiato le dita e aveva spaccato i denti al tizio, senza che nemmeno uno schizzo di sangue andasse a macchiargli i pantaloni bianchi, e poi gli aveva risposto che per mangiare l’ostia i denti non servono. Dicevano che avesse un tatuaggio della Vergine di Guadalupe sulla schiena, e che se lo fosse fatto dopo un regolamento di conti durante il quale era stato gravemente ferito, ma si era rimesso a Lei ed era guarito. Pareva che si fosse tatuato, avesse ammazzato quello che gli aveva fatto sparare, e poi fosse andato in pellegrinaggio, in quest’ordine. Antonio pensò che era un buon ordine, per farsi perdonare i propri peccati.
Afferrò il suo gallo e scavalcò il recinto dell’arena con passo sicuro. Azùcar reggeva il suo con entrambe le mani, tenendolo discostato dal corpo; forse aveva paura che Rosito gli macchiasse il completo immacolato. Che nome del cazzo per un gallo, pensò Antonio.

I combattimenti di galli sono come quelli degli uomini.
I galli combattono per la terra e per le femmine, e non hanno paura di versarci sopra del sangue. Di morirne, anche. Come gli uomini, se sono uomini veri.
I galli si studiano, girando in tondo.
Poi si lanciano uno contro l’altro.
Quando i galli si scontrano è tutto un frullo di penne, di verde smeraldo e rosso, di polvere dell’arena e di voli. È come vedere combattere Ogun  e sentire le sue grida di guerra, è come vedere San Giorgio e il drago avvinghiati, a un metro da terra, in una confusione di piume iridescenti.
Gli avversari si separano, atterrano senza cadere, si studiano. Si gettano uno contro l’altro, ancora. Una volta, tre, cinque. Saltano, sbattono l’aria con le ali, cercano di raggiungere il collo dell’altro. Sono feriti, ma non se ne curano. Come gli uomini, quelli veri.
Allargano le ali, si lanciano grida di sfida. Hanno i becchi affilati e gli speroni di più.
Gli uomini li incitano.
Antonio da solo incita il suo gallo quanto tutti gli altri messi insieme. Azùcar no, lui è immobile, una sagoma bianca su cui si proietta quel frullar di ali.
I galli si scontrano, di nuovo. Atila incalza l’avversario, lo spinge contro il bordo dell’arena, lo intrappola. L’altro non riesce a sfuggire, tenta di difendersi ma Atila lo becca, lo trafigge.
Antonio urla, si protende verso l’arena, qualcuno lo respinge con un braccio o ci finisce dentro.
Rosito non cede. Ali e petto potenti, svicola.
Svolazza al centro dell’arena. Svolazza male. Ha un’ala danneggiata.
Per un attimo tutto è immobile. I galli si fissano. Tra la polvere dell’arena, piume verdi e rosse. Dietro, il bianco.
Atila si getta contro l’avversario, lo carica. Rosito lo aspetta con le ali aperte.
Si gioca il tutto per tutto, come fanno gli uomini.
È questione di un attimo, un battito di palpebre di Azùcar, un grido di Antonio.
Rosito si aggrappa alle penne dell’avversario, si regge in aria con le ali, quella danneggiata lo sbilancia, ma è abbastanza. Con un colpo di sperone gli taglia la gola…
…E mentre il suo gallo si accaniva sullo sconfitto, e Antonio riusciva a liberarsi dalle braccia di chi lo tratteneva per sottrarre Atila dalla furia dell’avversario, Azùcar non era più impassibile.
Sorrideva.

Si dice che quando Azùcar arrivò in casa di Antonio per riscuotere il debito, Adela mandò fuori i bambini e si limitò a fissare, immobile e con le braccia lungo i fianchi, gli uomini di Azùcar che le portavano via tutto. Suo marito provava a convincerli a lasciare qualcosa, cosa se ne faceva Azùcar del tavolo dove mangiavano, o del letto dove facevano l’amore, tentava di muoverli a pietà, gli ricordava che aveva tre figli. Invece lei stava lì e fissava e basta.
Pare che Azùcar ogni tanto guardasse nella sua direzione, un po’più spesso di quanto sarebbe stato necessario. Quando la casa fu vuota le si avvicinò, i passi che rimbombavano lievemente. Lei non si mosse quando lui la fissò e allungò una mano verso di lei, a sfiorarle la clavicola. Antonio gli gridò di non toccarla, fece per scagliarsi contro di lui, ma gli uomini di Azùcar lo tennero fermo.
Azùcar la guardò negli occhi, e ancora Adela non disse nulla, ma nemmeno abbassò lo sguardo.
Chiuse le dita attorno alla catenina d’oro che portava attorno al collo.
Tirò.

Non si sa bene cosa si dissero, Adela e Antonio, quando la casa rimase vuota. Di sicuro Adela non urlò, non lo maledisse, e se pianse lo fece in silenzio e da sola. Di certo si sa che lei continuò a fare le sue faccende, ad accudire i figli e a preparare pranzo e cena al marito, come se nulla fosse successo. Non sembrava dispiaciuta della perdita; forse perché, ora che suo marito non aveva più niente da giocarsi, non avevano nemmeno più nulla da perdere.
Invece Antonio non riusciva a darsi pace.
Passava le giornate senza curarsi dei suoi affari, girovagando senza senso tra il cortile e la casa vuota; poi, appena scendeva la sera, andava a bere, ma senza bere, aspettando che qualcuno si impietosisse e gli offrisse qualcosa. Se la gente si impietosiva parecchio, tornava a casa ubriaco.
Poi una sera fu Azùcar a offrirgli da bere. Non si sa se l’avesse visto e gli fosse venuto in mente di fargli la proposta che gli fece in seguito, o se avesse aspettato come un gatto che punta la preda, per poi scattare al momento giusto. Ad ogni modo, ebbe successo.
Trovò Antonio come si trovava sempre in quel periodo, seduto al bancone con la testa tra le mani. Dicono che sorrise, e gli si avvicinò per salutarlo.
Antonio lo smicciò; forse gli sarebbe saltato al collo, se fossero stati soli.
-Ti diverti, Azùcar, a venire qui e ridere di me? Ti danno soddisfazione i mobili di casa mia?
-Non me ne faccio nulla dei mobili di casa tua.
-E allora ridammeli. Ho tre figli.
-Eh, no, Antonio. I debiti di gioco si pagano. Però, che non si dica che Azùcar rimane insensibile davanti a tre bambini. Se vuoi provare a vincere indietro i tuoi mobili, sono disposto ad accettare la sfida quando vuoi.
Antonio fece una risata sprezzante.
-E come? Non ho denaro. Non ho più niente. Le ultime cose che avevo te le sei prese tu. Non posso nemmeno prendere da bere.
-Oh, ma a tutto c’è rimedio. Se vinci, oltre ai tuoi mobili ti do i miei anelli, come l’ultima volta. Per quanto riguarda il bere… due, qui.
Il barista riempì di rum due bicchieri e glieli mise davanti. Il rum era di quello buono, costoso; Antonio affondò gli occhi in quel colore ambrato.
-Forse ti sfugge un particolare. Non ho niente da giocare. Niente che vorresti.
Azùcar prese il suo bicchiere. Annusò il liquido, gli anelli baluginarono nella penombra del locale.
-Sì che c’è qualcosa che vorrei. L’ho vista a casa tua, ma non ho potuto portarmela via. Non era nei patti.
Antonio ci mise un attimo a capire a cosa si riferisse Azùcar. Poi comprese.
-Potrei ammazzarti per quello che hai appena detto…
-Potresti provarci. Ma moriresti.
-Morirei con l’onore intatto!
Antonio aveva dato un pugno al bancone. Il rum dentro al bicchiere sussultò.
-Calmati, amico. Sono un gentiluomo: non toccherò tua moglie nemmeno con un fiore, senza essere nel mio diritto.
-No. Vai a farti fottere, Azùcar. La mia risposta è no.
-Come vuoi. Potresti riavere la tua casa, la ricchezza, e tua moglie per una volta sarebbe fiera di te. Ma ti capisco. Hai già perso una volta, magari non…
-Anche se volessi accettare, non ho un gallo da far combattere. O per caso saresti disposto a darmi tu anche quello?
Il tono di Antonio era mellifluo. Azùcar rise.
-Io potrei anche farlo, ma non accetteresti perché sapresti che il migliore l’ho tenuto per me. Però è tornato Pedrito, pare che stavolta i suoi galli siano campioni sul serio… io dico che se uno volesse davvero, in qualche modo potrebbe procurarsene uno. I miei anelli valgono molto. E se dovessi vincere, mi accontenterei di una notte sola. Non sono un uomo avido.
Antonio fissò il bicchiere di rum che non aveva toccato, pensieroso. –No-, disse alla fine.
-Io domani sera sarò là. Non devi dirmi nulla. Se verrai, combatteremo. La posta è stata decisa.
-Non verrò. L’ho promesso.
-Le tue cose, la ricchezza, il rispetto. Pensaci. E bevi quel rum, è tuo.
Antonio bevve.

La sera del combattimento, Adela era fuori dalla porta a vedere il cielo che si imbruniva, mentre i suoi figli continuavano a giocare nel cortile. La cena era pronta da un pezzo, apparecchiata sul tavolo di fortuna che avevano ricavato usando vecchie cassette. Antonio tardava.
Quando la vicina la guardò con quello sguardo strano, quello tra preoccupazione e compatimento e una sorta di piacere perverso, Adela capì che qualcosa non andava.
-Posso fare qualcosa per voi, doña Manuela?
-Lo sapete dov’è vostro marito?
-Sarà rimasto a bere con gli amici e non si è accorto del tempo che passa.- Mentre lo diceva, era evidente che non ci credeva nemmeno lei.
La vicina non riuscì a nascondere del tutto un sorriso soddisfatto. –E invece no. È all’arena.
-All’arena?
-A far combattere un gallo contro quello di Azùcar.
-Ma non può essere all’arena. Non ce l’ha un gallo!
-Pare che abbia rubato uno di quelli di Pedrito, e glielo voglia ripagare con i soldi che vincerà all’incontro. Non so, doña Adela, di incontri ne ha già perso uno, ma magari stavolta…
-Ma non aveva nulla da giocarsi! Cosa si è giocato, che non abbiamo nemmeno le sedie per stare attorno al tavolo?
Dona Manuelita fece una faccia strana, come se avesse appena mangiato un limone. –Non vorrei davvero essere io a dirvelo, ma ecco, qualcosa da giocarsi vostro marito ce l’aveva ancora…
Adela rimase immobile per qualche istante. Poi pregò la vicina di dare un’occhiata ai bambini e corse in strada senza nemmeno mettere lo scialle, a rotta di collo per le strade, fino a vedere le luci dell’arena. Sgomitò tra la folla, insinuandosi tra gli uomini che cercavano di vedere meglio, urtandoli e spingendoli. Arrivò al bordo del recinto appena in tempo per vedere il gallo di Antonio che veniva sopraffatto dall’avversario. Azùcar, in mezzo alla polvere e ai corpi sudati e agitati di chi guardava, scommetteva e incitava il proprio campione, era una macchia immobile e immacolata.
La vide dall’altra parte del recinto, con gli occhi sgranati e il volto tra le mani. La fissò. Si portò una mano al collo.
Adela vide qualcosa baluginare tra le sue dita, tra il fumo e la luce delle torce.
Era la sua catenina.

Pare che il giorno dopo il combattimento Adela avesse passato tutta la giornata a farsi bella per Azùcar, sedando le proteste del marito con un semplice –Taci, Antonio.
Alla sera, quando alla fine fu pronta per uscire, lui la prese per il polso. –Adela, non devi farlo. Se non lo fai Azùcar mi ucciderà, ma non importa. Sono sempre stato una rovina per te… lascia almeno che muoia per difendere il tuo onore!
Lei per la prima volta in tutta la giornata lo guardò davvero, fisso negli occhi.
-Lo sai, Antonio? Tutte le donne sposate prima o poi desiderano di andare a letto con un altro. Però non lo fanno, a meno che non siano delle sciocche o delle puttane. Perché onorano il marito, per amore dei figli, e per il timor di Dio. Tu invece, con quello che hai fatto, mi hai dato la possibilità di andare a letto con un altro uomo e di apparire come una martire. Non sarò colpevole di adulterio né davanti a Dio né davanti agli uomini, e tu non avrai ragione di arrabbiarti, ma potrai soltanto ringraziarmi, perché l’ho fatto per salvarti la vita e perché l’hai voluto tu. Adesso lasciami andare.
Antonio aprì la bocca per parlare, ma poi tacque. Non sapeva cosa dire.
Adela uscì di casa con il suo vestito rosso, le scarpe col tacco e il profumo. Tornò all’alba, senza dire una parola.
E da quella volta, Antonio non giocò mai più.











Note: Eeee BUON ANNO!
Seguo la tradizione del “chi pubblica il primo dell’anno pubblica tutto l’anno”, sperando mi porti fortuna. Questa storia sedimentava nel pc per un po’, l’ho tirata fuori dalla naftalina ed eccola pronta! Sì, è becera. Ma becera forte. Però a me piace; lo so, non è perfetta, ma le voglio bene lo stesso. È la classica cosa orribile che però mi piace, ecco… magari piace anche a qualcuno di voi!
Ringrazio la mia ex coinquilina Ludovica che mi ha suggerito il nome per il gallo di Azùcar, le mie insostituibili beta OttoNoveTre e vannagio, che sono anche delle insostituibili amiche, e naturalmente tutti quelli che hanno letto questa storia e l’hanno apprezzata nel suo essere così becera. Grazie di cuore a tutti, e che il vostro 2014 sia meraviglioso e sereno e pieno di cose bellissime e storie degne di essere raccontate.
Auguri a tutti!
   
 
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