Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: MadLucy    01/01/2014    3 recensioni
Sono passati ormai otto anni dalla prematura morte di re Joffrey; ora sul Trono di Spade siede Tommen Baratheon, bello quanto ignaro, manovrato con fine astuzia dall'intraprendente moglie, Margaery Tyrell. Al Nord regna Bran Stark: il suo improvviso ritorno è avvolto in una caligine di mistero, così come il sinistro e devastante potere grazie al quale ha conquistato il comando; al suo fianco c'è la moglie Meera, ma a corte tutti sanno che il re passa le notti nel letto del suo consigliere più fidato. Quando, per vendicare i torti subiti dalla sua famiglia in passato, il principe barbaro Rickon Stark si sporca le mani di sangue Lannister e rapisce la principessa Myrcella, non si può più tornare indietro: è guerra. Che parte interpreteranno Sansa Stark, Yara Greyjoy e Gendry Waters in tutto questo? Tra amori conflittuali, alleanze strategiche e scandali a palazzo, i nuovi concorrenti possono schierare le pedine: e che il gioco del trono abbia inizio.
(Bran/Jojen; Rickon/Myrcella; Gendry/Arya)
Genere: Generale, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bran Stark, Myrcella Baratheon, Rickon Stark, Shireen Baratheon, Tommen Baratheon
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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VII. Rossa fu la nebbia.




Myrcella sapeva di non conoscere ancora Rickon, almeno non tanto quanto avrebbe desiderato. Aveva imparato cosa era meglio fare quand'era arrabbiato, per esempio, o come distoglierlo dai cattivi pensieri: e allo stesso tempo, i giorni di marcia che trascorse sempre al suo fianco le avevano insegnato che talvolta il giovane Stark aveva bisogno di alcuni momenti di silenzio, durante i quali nessuno doveva rivolgergli la parola nè scostarlo dalle sue riflessioni. Il suo sguardo s'incupiva, la sua espressione si rabbuiava e d'un tratto non aveva più intenzione di ascoltare nessuno. Allora Myrcella lo lasciava al suo passato, alla sua malinconia, e si limitava a carezzarlo piano, senza disturbarlo. Non sapeva bene come amarlo: tutto ciò che avrebbe potuto offrirgli, egli se l'era già preso da solo. Però avvertiva la pressante esigenza di fargli presente in continuazione quanto gli voleva bene e quanto gli era grata, per tutto quel che aveva fatto. Non riusciva più a distinguere Rickon dall'idealizzazione nella sua mente. Perchè lui aveva perso qualsiasi colpa agli occhi di Myrcella: era la vittima, soltanto la vittima, non il carnefice. Ogni volta ch'ella lo pensava, in passato, scacciato dalla propria casa, privato della sua famiglia, costretto a vivere nei boschi di un'isola di cannibali, le veniva da piangere penosamente, all'idea di tutto il dolore ch'egli doveva aver provato, di tutti i traumatici ricordi che doveva aver conservato, e avrebbe voluto strapparglieli via tutti dalla mente con le proprie mani, concedergli un pizzico di quella felicità che Rickon stesso aveva portato nella sua vita. Qualsiasi efferatezza egli avesse compiuto, le appariva assolutamente giustificata, quasi legittima. Non avrebbe fatto tutte quelle cose orribili, se la mia famiglia non avesse sterminato la sua. È successo tutto a causa loro. Ha perso suo padre, sua madre, le sue sorelle e suo fratello, eppure il suo cuore è ancora così puro e gentile che si è innamorato di me lo stesso. Questo era inspiegabile per lei, eppure incontestabile al tempo stesso. Rickon l'amava come i principi dei suoi sogni, i lord della sua infanzia non avrebbero mai potuto fare. Le aveva fatto riscoprire una nuova gioia di vivere, una capacità più vivida e sincera di apprezzare ciò che la circondava -dal misero lusso di una tavola apparecchiata ai giochi di luce fra le foglie irrigidite di brina- e un sentimento inedito, perchè mai prima d'ora aveva sul serio amato qualcuno più di se stessa. Rickon voleva lei e soltanto lei, tutta per sè, e non permetteva a nessuno di avvicinarsi, e non si stancava mai della sua presenza, come se la sua bellezza potesse rinnovarsi ogni giorno e riservargli sempre una sorpresa. La toccava e le parlava in un modo che prima le era completamente sconosciuto -anche questo era un dato di fatto abbastanza importante, che aveva determinato l'esclusiva, straordinaria singolarità del loro rapporto, perchè per una fanciulla come lei sarebbe stato impossibile considerare irrilevante il fatto che Rickon era stato il primo uomo della sua vita. A quel misto di violenza, possessività e voracità, ch'egli dimostrava nelle avide attenzioni che dedicava al suo corpo, ormai Myrcella ci aveva fatto piacevolmente l'abitudine, divertita ed indulgente. Le sue maniere rudi, anzichè darle fastidio, le erano care. Insieme a questo sentimento per Rickon, aveva preso forma in Myrcella anche un'intrinseca ostilità verso tutti gli altri: tutti gli altri non intesi singolarmente, ma in quanto folla, estranei, altri. L'amore fra loro era talmente contestato e ostacolato universalmente, da spingerla a provare un risentimento generale verso gli esterni, esclusi dall'entità ch'era il loro rapporto, incapaci di comprendere cosa fosse e quanto indispensabile fosse ad entrambi. Era da loro che Rickon la voleva proteggere, quando l'aveva chiusa nelle segrete, da quelle persone malvagie che non capivano niente. E ancora Myrcella non poteva fare a meno di guardarli con sospetto, tutti, e di aggrapparsi saldamente a Rickon, come a dire provate a separarci, se ci riuscite quand'erano in pubblico.
 Rickon, dal canto suo, aveva sviluppato una dipendenza nei suoi confronti non tanto più sana di quanto lo era quella di Myrcella. Da quando l'aveva rapita, non era mai andato a letto con nessun altra -il che lo stupiva parecchio. Non aveva voluto farlo, questo lo preoccupava sul serio. Riusciva a pensare soltanto a Myrcella, a quanto la sua bellezza lo ammaliasse sia in quanto tale, sia perchè rievocava lo spettro dei Lannister, odioso eppure misteriosamente conturbante -perchè era proprio il contrasto fra l'attrazione dei sensi e la repulsione dello spirito ad essere eccitante.
Myrcella sapeva di non conoscere ancora Rickon, almeno non tanto quanto avrebbe desiderato, però aveva imparato che quando Rickon diceva sarà davvero divertente, con quel suo sorriso aguzzo e sfrontato, c'era da avere paura. Davvero divertente, per Rickon, era soltanto scorticare le persone vive per poi arrostire i nervi e divorarle a zannate. Davvero divertente era saccheggiare i villaggi e staccare le teste a mani nude.
Così, quando il giovane Stark descrisse l'attacco alle Torri Gemelle come divertente, Myrcella aggrottò la fronte preoccupata.
-Non sarà niente di troppo pericoloso, vero?- si volle assicurare, stringendo gli occhi sospettosa; immaginava che dovessero essere coinvolte le catapulte che seguivano l'esercito, però niente più di questo. Rickon ridacchiò.
-Sarà pericoloso, sì, ma non per noi, piccola Lannister. Se ne pentiranno, oh, quanto se ne pentiranno! Correrebbero a cercare il cadavere di mio fratello per ricomporlo e resuscitarlo, se sapessero cosa li attende...-
Myrcella sbuffò e picchiettò le dita contro la sua nuca. -Avanti, raccontami! Non tenermi sulle spine. Cosa avete intenzione di fare?-
-Vedrai, vedrai.- fu l'enigmatica risposta. -Tutti vedranno, fino a Dorne lo vedranno, e non dimenticheranno. Così come noi non abbiamo dimenticato.-
-Ho così paura per te.- sospirò Myrcella. -Tu non hai nemmeno un po' di paura?-
Non si aspettava certo un sì come risposta, però voleva essere rassicurata dalla tracotante spavalderia che il ragazzo sfoggiava ben volentieri.
-Paura?- ripetè Rickon, con una smorfia aspra. -Un tempo avevo tanta paura, Myrcella Lannister, come te. Paura ogni giorno, per qualsiasi motivo. Tutto mi faceva paura. Ora no. Ora l'unico pensiero che mi fa paura è quello di avere paura di nuovo.- Il suo tono era indecifrabile, ma la fanciulla capì di dover cambiare argomento.
-Promettimi che non rischierai troppo. Guarda che, così come tu sei spaventato all'idea di perdermi, ugualmente è per me. Non hai più bisogno tu di me che io di te.-
Rickon fece un sorrisetto arrogante. -Ah, è così? Tu credi che io sia addirittura spaventato all'idea di perderti, piccola Lannister?-
Myrcella gli lanciò un'occhiata sollecita e premurosa da sotto le ciglia, denudando amorevolmente la sua fronte dai ciuffi spettinati.
-Io non lo credo, Rickon Stark, io lo so. Tu sei terrorizzato all'idea di perdermi. E mi ami perchè hai un costante ed urgentissimo bisogno della mia presenza. Perchè hai bisogno di qualcuno che ti adori indiscutibilmente, come faccio io, qualunque cosa accada... qualcuno che capisca.-
Allora Myrcella tacque e rimase a fissarlo negli occhi, emozionata. Non precisò cosa intendesse con capire, ma Rickon non obiettò nè pretese spiegazioni. Anch'egli la osservò, con una nuova curiosità, come se la vedesse sotto una luce diversa. Quelle parole parvero confonderlo. Qualcuno che capisca.
Poi si riscosse, tirando nuovamente un ghigno, e la spinse con la testa sul giaciglio. -Io non ti amo, ti possiedo. Perchè dovrei desiderarti ancora, se ti ho già?!-
Ma era proprio questo il punto. Egli continuava ad avvertire un'inappagata sete di lei, come se la sua conquista, nonostante i risultati, non fosse ancora definitiva. Continuava a necessitare di quell'odio senza più dolore, di quell'amore troppo crudele, come uno sprono. Questo perchè Rickon non sapeva distinguere fra il possedere e l'essere posseduti.
-Perchè non siamo ancora uniti per sempre.- rispose invece Myrcella, apprensiva. -Tommen potrebbe cercare di recuperarmi... potrebbe attaccare... di certo tenterà...-
Questo era l'unico timore che aveva, al pensiero di seguire Rickon in guerra: che l'esercito di Tommen potesse riportarla ad Approdo del Re e sottrarla a Rickon.
-Che tentino pure. Nessuno ti ruberà.- replicò subito, con l'arroganza inamovibile dell'ossidiana. Mi hanno rubato già troppo, pensò con rimpianto, anche se non lo disse. Ad ogni modo, quel breve dialogo fra lui e la ragazza lo stava inducendo a prenderla in considerazione sotto un altro aspetto. Con queste promettenti premesse, a Myrcella non restava che sperare che Rickon sapesse quel che stava per fare.
Intanto il re del Nord aveva radunato, nella tenda in cui alloggiava, i suoi alleati finalmente al completo: infatti, quando avevano raggiunto l'Incollatura, Edmure Tully li aveva raggiunti con il suo esercito. Gli anni e le sventure che la sua famiglia aveva subìto avevano contribuito a segnare il suo volto, ma non aveva perso il sorriso: la giovane moglie e i due figli, Myles ed Elyn, che aveva lasciato al sicuro a Delta delle Acque, erano la luce dei suoi occhi. Era sembrato molto contento d'incontrare i suoi nipoti sopravvissuti: aveva sorriso rispettosamente a Bran (aveva udito le chiacchiere che giravano su di lui, e aveva notato il ragazzetto vestito di verde che lo seguiva ovunque, ma non ci aveva dato troppa importanza) e aveva strizzato l'occhio a Rickon, con un'aria complice che aveva fatto corrucciare il viso del nipote di disappunto, specialmente per la lunga ed esplicita occhiata che aveva rivolto poi a Myrcella. In quel momento Edmure osservava il nipote con un'espressione assolutamente concentrata ed un po' inquieta, perchè sapeva qual era l'attacco che stavano per progettare. Stannis, con al fianco il fedele Davos Seaworth, sedeva composto al fianco di Bran ed attendeva ch'egli svelasse quei piani che da tanto tempo teneva segreti, con un'espressione più torva che curiosa, però come sempre il suo viso severo non lasciava trasparire granchè i suoi pensieri. Davos tamburellava nervosamente le dita sul tavolo, perchè era al corrente di quanto astio provasse il re del Nord nei confronti della famiglia Frey e temeva al pensiero di udire quegli stessi piani che Stannis attendeva invece con impazienza: spesso, nelle faide di sangue fra casate, mentre si architetta la punizione per i colpevoli, è facile dimenticare quanti innocenti possono finire coinvolti. In verità era da un pezzo che Davos non riusciva a darsi pace, fin da quando Stannis, prima ancora di partire per Grande Inverno, lo aveva messo al corrente dei propri piani: offrire Shireen in sposa a Rickon Stark. Stannis poteva anche non prestare ascolto alle voci che giravano riguardo quel ragazzo, però lui lo faceva: e non aveva gradito affatto ciò che aveva sentito.
-Non puoi sacrificare tua figlia in questo modo per scopi politici! Se vuoi recuperare il Trono di Spade per tornarle la vita che merita, se il tuo obiettivo ultimo è renderla felice, così sarà tutto inutile.-
-Se non sarà lei a lamentarsi, Seaworth, non vedo perchè dovresti farlo tu.- era stata la lapidaria risposta.
-È perfido approfittare della sua indole docile, del rispetto e della grande obbedienza che ti riserva, per sfruttarla come un capo di bestiame.- aveva insistito Davos, ansioso per la sorte della bambina -bambina? ragazza, ormai- che amava come la figlia che non aveva avuto. Era stato tutto inutile, naturalmente, perchè quell'ostinato di Stannis aveva voluto fare a modo suo.
Quando in seguito aveva incontrato Shireen a Grande Inverno, Davos le aveva chiesto cosa ne pensasse del suo promesso sposo.
-Lo so che sembra un pazzo, però in realtà non è cattivo. Credo che nasconda un'indole molto sensibile.- aveva commentato Shireen, e il Cavaliere delle Cipolle si era fidato del suo giudizio, visto che spesso la ragazza dimostrava un gran talento nel decifrare l'anima delle persone, svelandone i segreti più nascosti.
-Ma sei felice di sposarlo?- aveva domandato ancora.
Shireen non aveva risposto per qualche istante. -Non mi dispiacerebbe.- aveva concluso. -Se con il tempo iniziasse a fidarsi di me, tutto andrebbe benissimo. Però dubito che andrà così, in tutta onestà.-
-Che vuol dire?-
-Che questa storia avrà un finale diverso, suppongo.- aveva sorriso lei, e non c'era stato verso d'estorcerle una parola di più. Con questi dubbi, Davos era poi partito per accompagnare nella campagna militare il suo re, e aveva dovuto affidare Shireen alle cure di sua madre ed alla protezione della regina del Nord, Meera Stark, una giovane donna che gli ispirava fiducia.
Ma torniamo a quel concilio che si stava svolgendo nella tenda. Bran, dispiegata la cartina dei Sette Regni davanti a sè, vi poggiò le mani ed intrecciò le dita, per poi rivolgere un ampio sguardo a tutti gli uomini riuniti al tavolo.
-Innanzitutto vi ringrazio molto per essere qui, miei lord. La vostra presenza non è soltanto formulare, ma fondamentale per la buona riuscita dell'iniziativa. Voi siete degli uomini esperti ed io solamente un ragazzo che oserà approfittarne, perciò vi prego di farmi notare qualsiasi errore di valutazione rileviate. Se avete delle domande, prima di cominciare, non esiterò a rispondere in maniera più esauriente possibile.-
Edmure parve piuttosto lusingato dalle parole del nipote e gli indirizzò un sorriso che pareva quasi incoraggiante; Stannis, al contrario, arricciò la bocca un po' disgustato e parlò.
-Mi sembra di capire che procederemo attraverso la Strada del Re, sia ora, sia al termine della, ehm, spedizione punitiva contro i Frey.-
Bran esaminò per un istante le sue intenzioni, circospetto, infine annuì con il capo, protendendosi appena in avanti sul tavolo. -Sì, esatto.-
-Posso chiedere perchè?- chiese l'uomo, inarcando appena le sopracciglia. Davos seguiva lo scambio con sguardo preoccupato.
Il re del Nord fu più tentato di tirargli una sediata in testa, che di spiegargli la motivazione della sua scelta. Ragazzino alle prime armi o no, Stannis Baratheon era restio a concedere la sua fiducia fino a portare all'esasperazione. Mi sono preso in casa tua figlia, ti ho dato le armi, ti ho concesso il comando delle truppe, ma così vuoi di più? Una dichiarazione d'amore?!
Comunque prese fiato e si accinse ad esporre i suoi argomenti con chiarezza e cortesia, come Jojen gli ripeteva sempre ch'era necessario fare, nè troppo boriosamente, nè in maniera sconclusionata.
-Perchè non abbiamo niente da nascondere. Tutti crederanno che la nostra destinazione sia Approdo del Re. Non possono immaginare che attaccheremo le Torri Gemelle: questo perchè pensano che, se avessimo voluto farlo, l'avremmo già fatto prima, quando Rickon ha fatto irruzione al torneo di Runestone.-
Stannis non parve per nulla impressionato da quella risposta. -E se veniamo attaccati all'improvviso, c'è un piano?-
-Non ci serve un piano.- replicò Brandon, cercando di trattenere l'impazienza. -Siamo ancora nei territori del Nord, subito adiacenti a quelli sotto la supervisione di Edmure, quindi non ci sono casate nemiche nei dintorni. E anche se avessero deciso di tenderci un agguato marciando verso il Nord,- aggiunse in fretta, prima che Stannis potesse interromperlo con quell'obiezione, -ebbene anche questo sarebbe impossibile, perchè, come tra l'altro ho intenzione di fare da qui a sempre, ho mandato degli esploratori in avanscoperta a ispezionare la zona prima di avanzare con l'esercito. Tutto sotto controllo, come vedi.- 
-Me lo auguro.- s'arrese Stannis, fortunatamente evitando di avanzare l'ipotesi che gli esploratori fossero stati corrotti dai Lannister (come Bran malignava fra sè), lanciando un'ultima occhiata indagatrice alla mappa, quasi nella speranza di cogliere un dettaglio per incastrarlo. -Adesso puoi esporci il tuo famigerato piano, direi.-
Bran annuì gravemente. -Molto bene. Ma prima ancora, permettetemi di dimostrarvi come questo potrà essere attuabile. Jojen ha qualcosa da riferirci.-
Gli sguardi degli uomini scivolarono nella direzione del consigliere del re. Jojen Reed li sostenne senza vacillare.
-Questa notte, ho avuto delle visioni.- annunciò. -Fra le altre cose, ho visto l'esercito di Tommen. Non ho dubbi a proposito: ricordo l'insegna, con il cervo ed il leone. Non so con precisione dove fosse, ma c'era un fiume, il corso di un fiume...-
Edmure s'allungò verso la cartina. -Dando per scontato che stava percorrendo la Strada del Re, perchè non può essere altrimenti, si trattava forse della Forca Rossa?-
Jojen scosse il capo. -La Forca Rossa ha un andamento orizzontale. Quello che ricordo aveva un andamento verticale, ne sono certo; quindi, più probabilmente, era la Forca Verde. Alla destra del fiume, in lontananza, s'intravedevano in lontananza le luci di una città. Penso che fosse Seagard.-
-Quando?- chiese Stannis.
-Il cielo era buio.- esitò Jojen. -Visto che il loro esercito è in marcia da pochi giorni, pur non essendo informato riguardo il ritmo che tiene, ritengo più verosimile che avverrà domani notte. Ciò significa che soltanto domani notte l'esercito giungerà vicino alle Torri Gemelle, e che quindi abbiamo tutto il tempo per mettere in atto il piano che Sua Maestà esporrà immediatamente.-
-Possiamo venire al dunque?- sospirò Stannis. Ora anche Edmure sembrava incuriosito.
Brandon era a disagio; aveva rimandato quel momento il più possibile, ma non avrebbe potuto farlo ancora a lungo. Doveva svelare il piano. Così raccontò tutto, dalla prima all'ultima parola, senza trascurare nulla, con stoico raziocinio. Mentre proseguiva a parlare, l'atmosfera nella tenda raggelò.
Davos era impallidito; non riuscì a trattenersi e si alzò in piedi di scatto, così rapidamente da urtare la sedia, che arretrò con uno stridio lamentoso.
-È una follia! Il maniero è pieno di donne, di bambini... Moriranno tutti della peggior morte immaginabile!- Si voltò verso Stannis, in cerca di supporto, quasi supplicandolo con lo sguardo d'essere ragionevole. -Signore, non si può permettere una strage così... abominevole!-
Bran Stark non reagì. Il suo sguardo era fisso, quasi vitreo. Assente. Sapeva che ci sarebbero state proteste, dissensi, opposizioni, e sapeva anche che nessuno lì dentro avrebbe potuto capire cosa l'avesse spinto ad una decisione così estrema. Ma non si sarebbe mosso dalla propria posizione, non circa quello.
-Peccato che nessun Frey abbia pronunciato queste stesse parole per impedire che le Nozze Rosse venissero messe in atto.- commentò, con un sarcasmo pregno d'amarezza. -Ad ogni modo è troppo tardi, cavaliere. Jojen l'ha visto accadere.-
Davos ricadde sulla sedia, come una marionetta alla quale taglino i fili. Rivolse un'ultima occhiata disperata a Stannis, appellandosi a quel cuore duro ma onesto, che intimamente non approvava nessun tipo d'ingiustizia.
-Questa è la vostra vendetta.- concluse però l'uomo, impassibile. -Affari che non mi riguardano. Vostri diritti, vostra responsabilità.-
Davos, che lo conosceva bene, colse il bagliore di tristezza nel suo sguardo - meno di una lacrima, ma non più indifferenza.
Anche Edmure sembrava incerto eppure, quando Bran lo interrogò silenziosamente, annuì in fretta -quasi per sgravarsi della pericolosità della sua decisione. La ferita inferta dalla morte invendicata di sua sorella Catelyn era rimasta aperta e gli aveva infettato l'anima, una piccola piaga fastidiosa nella sua vita finalmente felice.
Così il concilio fu sciolto, e quell'ultima irrevocabile decisione ufficialmente presa, mentre i presenti uscivano dalla tenda, seguiti da un silenzio di morte.
La sera prima dell'attacco, Bran si ritirò presto per la notte. Per tutto il giorno era stato assillato dalle manie di persecuzione di Stannis, che giudicava la sorveglianza alle proprie tende inadeguata, e che l'aveva costretto a sbottare io non ci guadagnerei assolutamente niente a tradirti o ad ucciderti, dai discorsi d'esortazione che aveva tenuto a tutte le truppe, dalla precisa organizzazione dell'intero piano, dettaglio per dettaglio, e dalle disposizioni che di conseguenza aveva impartito a tutti i comandanti. Ormai, il re del Nord riteneva di conoscere la pianta delle Torri Gemelle meglio di casa propria, tanto ci aveva riflettuto su. Per la buona riuscita del piano, non doveva essere fatto alcun errore di calcolo.
La verità era che egli aveva bisogno del conforto di Jojen. Durante la giornata non poteva mai cercarlo, non davanti a tutta quella gente che aspettava soltanto di vederli un po' più vicini del consentito per spettegolare di quanto il re del Nord amasse darsi alla pazza gioia persino nel bel mezzo di una guerra, quindi poteva farlo soltanto in quelle ore, sporadicamente. Jojen solitamente non era prodigo di effusioni, però la sola sensazione di quello sguardo rasserenante su di lui e di quelle mani a carezzargli la testa era già più di quanto sperasse.
-Il piano è stato accolto bene, tutto sommato. Non hanno contestato troppo.- commentò, ricadendo sui guanciali del letto su cui Jojen, seduto con il manico lavorato di un portacandela fra le dita, ripassava gli schemi dell'attacco.
-Quella dei Frey non è una casata granchè amata.- ammise il suo consigliere. -E tu stai acquisendo autorità ai loro occhi, Maestà. Stanno imparando a rispettarti.-
-Non vedo l'ora che tutta questa storia sia finita. Il nostro esercito già inventa nuovi nomi strambi, per l'attacco alle Torri di domani, però io non trovo definizione pià adatta di massacro di massa.- confessò Bran.
-Sarà un massacro di massa, niente da ridire.- annuì Jojen, serio. -Ma un massacro necessario. Non avresti potuto agire altrimenti. Fin da quando tu sei tornato a Grande Inverno, i Sette Regni immaginano il compimento di questa vendetta ed i Frey raddoppiano le misure di sicurezza della loro fortezza. Sei il loro incubo, Maestà, soprattutto da quando hanno scoperto dei tuoi poteri. Era tuo dovere riparare quest'onta, e lo stai facendo.-
Bran sapeva ch'egli parlava così soltanto per farlo sentire meglio, e glie ne fu intimamente grato. -Nessuno sopravvivrà, non è vero?-
Non sapeva quale risposta avrebbe gradito di più udire, in quel momento d'esitazione.
La voce di Jojen era piatta come una lama. -Li ho sentiti urlare in sogno, uno per uno. Moriranno tutti, Maestà.-
Il re del Nord capì ch'era più saggio cambiare argomento, prima di essere aggrediti dai rimorsi. Si concentrò su un altro pensiero che lo assillava instancabilmente da un pezzo.
-Rickon mi ha chiesto di guidare l'attacco, anche questa volta. Dato il successo della sua impresa precedente, glie l'ho accordato: dopotutto, è quasi un suo diritto. È normale che sia arrabbiato. Poi, ovvio, lui esagera in tutto ciò che fa, quindi persino il suo stato di rancore perenne è innaturale. Se riuscissi a trovare qualcuno... beh, non pretendo capace di mettergli un freno, ma che almeno sapesse zittirlo quando parte per la tangente...-
Jojen sorrise, senza alzare lo sguardo dai fogli. -A questo ci penserà Levenna.-
Bran aggrottò la fronte all'udire quel nome, ignoto alle proprie orecchie. -E chi sarebbe?-
-Tua figlia.- ribattè il suo consigliere, con tutta la disinvoltura del mondo, come se nulla fosse, continuando a lambiccarsi con quelle sue mappe e schemi. Il ragazzo avvertì una strana fitta al petto. Una figlia? Allora avrebbe avuto anche una figlia? I pensieri gli affollarono la mente, e si rese conto che avrebbe voluto chiedere una miriade di cose.
-Quando nascerà?- riuscì a domandare, dopo qualche istante. Jojen sbattè le palpebre, pensoso.
-Fra circa otto mesi e mezzo.-
Bran sgranò gli occhi, stupito. -Significa che...-
-Sì, certo, però Meera non ha avuto il tempo di accorgersene. Fra qualche settimana ti manderà un corvo, immagino.- mormorò Jojen, scarabocchiando un appunto in un angolo di una pergamena.
-Sapevi della sua esistenza, e non me l'hai mai detto prima d'ora?- bofonchiò Bran, contrariato. L'idea di non essere messo al corrente di tutto ciò che Jojen sognava era ancora motivo di disappunto, ed oggetto delle poche discussioni che talvolta avevano i due. Insomma, in un caso del genere, che lo riguardava in prima persona, avrebbe potuto anche fare un'eccezione. Di sicuro nessun dio avrebbe mandato un fulmine per punirlo. 
-In effetti è da un pezzo che compare nelle mie visioni.- osservò Jojen, tagliando una didascalia con la piuma e scribacchiando qualcos'altro. -Parliamo, a volte.-
L'idea sconvolse Bran assolutamente. Parlavano?! Jojen parlava in sogno con sua figlia?! Voleva dire che la incontrava quando lei era già grandicella, forse addirittura adulta. E che, di conseguenza, lei sapeva come era andata a finire la guerra attualmente in svolgimento, e che quindi Jojen avrebbe potuto chiederglielo e saperlo... Oltre a questi dettagli puramente formali, Bran si ritrovò ad immaginare una sua ipotetica figlia ed a ritrovarsi nello smarrimento più totale. Come poteva mai essere? 
-Parlate? Sul serio? E di cosa?- esclamò intanto, sperando di ottenere qualche informazione sulla guerra o su Grande Inverno. Chi sarebbe stato al trono del Nord, a quel tempo? Ancora lui? Kenned? Rickon? O forse... un alfiere dei Lannister?
Jojen gli lanciò un'occhiata ammonitrice da sopra la pergamena. -Questo non te lo posso dire. Sai come funziona, Maestà.-
Il re sospirò. Sì, lo sapeva, anche se se ne dimenticava molto volentieri. -E lei... com'è?- aggiunse esitando, impacciato, rivolgendogli uno sguardo quasi intimidito.
Allora l'espressione di Jojen s'ammorbidì ed il ragazzo gli concesse un piccolo sorriso.
-Levenna è... qualcosa di meraviglioso.- rivelò, con voce bassa ma vibrante di un'emozione inusuale, che non era soltanto affetto, ma un'indistinguibile amalgama di rispetto ed ammirazione.
Bran avvertì una strana gelosia aggredirgli il cuore, con un morso feroce e subitaneo. Non aveva mai sentito Jojen utilizzare l'aggettivo meraviglioso. Non era da lui, semplicemente. Non tendeva a mostrare le proprie emozioni nè ad assoggettarsi a forti turbamenti, e proprio per questo Bran lo idealizzava come un'entità superiore, distante, infallibile ed onnisciente. E adesso quel meravigliosa gli aveva fatto crollare la terra sotto i piedi.
Jojen non doveva definire nessuno meraviglioso. Nessuno, se non il suo re. La missione della sua vita era stata cercare, accompagnare ed aiutare Brandon Stark, non quell'altra. Quell'altra doveva stare al suo posto nel futuro e non impicciarsi. Bran stava proprio per chiedere cosa la rendesse tanto meravigliosa, questa Levenna, ma poi decise che non glie ne importava un ben nulla, e che Jojen probabilmente non glie l'avrebbe detto, e che era ora di dormire. Fece distrattamente cenno al suo consigliere di liberarsi di quelle scartoffie e spegnere la candela. Jojen obbedì, per poi rimboccargli le coperte fino al mento.
Un altro motivo per cui Bran s'era innamorato di lui era la tacita adorazione che aveva per il suo corpo, quello stesso corpo spezzato a causa del quale tutti avevano additato il proprietario come debole ed inutile, quello stesso corpo che rompendosi aveva infranto i sogni e le speranze di un bambino di dieci anni. Lo toccava con deferenza, con premurosa delicatezza, come se fosse qualcosa di inestimabilmente bello e fragile. Perchè Jojen lo aveva onorato e rispettato fin da prima che diventasse il potentissimo Re Metamorfo del Nord, fin da quando era soltanto un piccolo storpio spaventato in mezzo al bosco.
-Dormi bene, Maestà. Domani sarà una giornata lunga.- gli augurò, prima di sfiorargli la bocca con un bacio fugace.
Le sue parole svuotarono Bran di tutto il resto e lo colmarono come il calore del fuoco, come il sole in uno specchio.
-Buonanotte, Jojen.- sussurrò piano, carezzandogli appena una guancia, sistemando poi la mano sotto il cuscino e chiudendo gli occhi. Si addormentò quasi immediatamente, sfinito, i pensieri perduti in un pozzo dal fondo irraggiungibile, e di certo non si aspettava quanto brusco sarebbe stato il suo risveglio.
S'accorse d'essere di nuovo cosciente quando un urlo prese forma e gli sconquassò la mente, fino a fargli tremare le vene. Non ci mise troppo a capire che si trattava di Jojen ma, quando si sollevò precipitosamente dal materasso e si strofinò gli occhi impastati di sonno, scostando le coperte, il grido s'era già affievolito nel silenzio. Bran cercò il suo consigliere con lo sguardo, allarmato, e lo trovò seduto a terra, la schiena poggiata contro il letto e gli occhi sbarrati.
-Jojen? Che succede?- tentò il re, inquietato, allungando una mano per toccargli la spalla destra. Il ragazzo però si mosse: il suo petto si gonfiò, assecondando il respiro concitato, le iridi si dilatarono a contatto con la luce del giorno e la bocca si schiuse in un ultimo gemito soffocato. In fretta allungò le mani sotto il letto, afferrò il pitale e ci vomitò copiosamente dentro.
Bran era atterrito. -Cosa c'è? Cos'hai? Jojen...-
Quando l'aveva sentito urlare, i peggiori presentimenti lo avevano assalito. Per qualche angosciante secondo, le disgrazie più terribili si erano susseguite nella sua mente: torture, rapimenti, interrogatori, ma anche l'immagine di una sola spada conficcata in quel petto sul quale tante volte aveva trovato conforto...
Jojen sollevò la testa. Il suo viso era cereo e provato, come se avesse visto l'inferno e fosse tornato indietro in una sola notte.
Infine riuscì ad aprire la bocca. -L'ha mangiata...-
Bran corrugò le sopracciglia, finchè non realizzò, in un'ondata di mortificazione. -Chi?-
-Si è mangiato... si mangerà la figlia minore dei Frey.- I suoi occhi erano frantumati dall'immagine delle fauci di Rickon, impastate di rosso, che frugavano ingorde nel ventre squartato e straziato di una ragazzina esanime.
Si mangerà la figlia minore dei Frey. Bran scosse la testa, appoggiandosi con il braccio al materasso. Avrebbe potuto forse fare qualcosa per impedirlo? Voleva forse fare qualcosa per impedirlo?
-Che gli dèi abbiano pietà di lei.- ribattè stancamente, e tutto quello che c'era nella sua voce era soltanto la logorata freddezza d'una compassione esausta.
***
-Yara.-
Durante la notte, una notte che, fino al momento di spegnere la candela, sembrava destinata ad offrire soltanto il tepore negligente delle coperte, la dolcezza antica della luna.
-Yara.-
Durante la notte, ancora.
-Yara Greyjoy...-
La Regina del Mare sollevò le palpebre, lottando contro il bruciore della sonnolenza, affrontando la vivida oscurità della stanza con le sue pupille indolenzite ed impreparate. Nonostante la difficoltà che avrebbe dovuto affrontare per riaddormentarsi -sia a causa dell'inquietudine, sia di quel sofferto risveglio dei sensi- ispezionò l'intrico delle tenebre come se volesse fenderne l'immunità e penetrarne il mistero, strappando quei drappi neri che impedivano il suo sguardo, ed andare oltre la difensiva apparenza di quei segreti. Il silenzio era piatto, spietato, apatico. Le ombre della stanza, indifferenti e boriose nella loro ragionevolezza -era ovvio che, se là in fondo c'era un armadio, lì ci fosse una grande chiazza nera, no? Assolutamente logico- sembravano schernire annoiate i suoi indistinti timori; ma Yara non si fidava certo della loro statica finzione. Sapeva quel che aveva sentito. Inquieta, lanciò un'ultima occhiata circolare alla stanza, attenta a cogliere qualsiasi piccolo rumore. Benchè l'idea fosse poco allettante, si sporse anche giù dal letto per controllare che non ci fosse nessuno sotto di esso, così come presso il comodino.
Infine, lo sguardo di Yara scivolò sulla figura sdraiata nel letto accanto a lei. Tristifer, fasciato dalle lenzuola, dormiva con un'espressione assorta ed il viso affondato nel cuscino, inconsapevole delle preoccupazioni della moglie. Lei continuò a fissarlo per qualche secondo, cercando una risposta alle sue domande, e poi sospirò. Forse, per mettersi l'animo in pace, avrebbe dovuto setacciare il castello corridoio per corridoio: ma aveva già assegnato alle guardie quel compito, e sicuramente sarebbe stato tutto inutile. Allora, sebbene scossa ed incerta, si arrese a sprofondare nel materasso e chiudere gli occhi, alla ricerca del sopore perduto, incapace di svuotare la mente come avrebbe dovuto per riposare al meglio.
Il giorno successivo, proprio come sospettava, furono rinvenute altre due guardie morte. Ancora. Era da una settimana a quella parte che si ripeteva la stessa, ineluttabile tragedia, senza che il colpevole venisse colto con le mani nel sacco.
-Si tratta di veri esperti nell'arte dell'omicidio, mia signora.- era tutto quello che il capo delle guardie aveva saputo dirle. E intanto gli uomini continuavano a morire, stroncati come foglie su rami autunnali, e le voci si diffondevano per le Isole di Ferro: un mercenario attenta alla vita della regina, e lei è così incompetente che lo permette, ma in fondo c'era da aspettarselo, è solo una donnetta, e tutti si chiedevano chi potesse essere il mandante, e si ipotizzava questa o quella famiglia nobile ed influente, ma erano meri pettegolezzi da mercato. Gli abitanti di Pyke tremavano nei loro letti all'idea che la prossima vittima potesse essere un loro familiare, amico, conoscente, o loro stessi. Non si capiva cosa stesse cercando di ottenere, questo assassino misterioso, perchè finora non aveva mai tentato di prendersi la vita della regina, benchè ella sembrasse il bersaglio più logico, benchè egli paresse invincibile ed il suo successo una spaventosa certezza. Anche Yara non aveva dubbi: se il killer avesse deciso di ucciderla, sarebbe morta. Se questo tipo riusciva a trucidare guardie armate fino ai denti in gruppo, per lei non c'erano speranze. Confidava nella propria forza e nelle proprie capacità, non si sottovalutava in quanto donna a prescindere, però era anche dotata di grande obiettività, ed obiettivamente quello era un nemico ch'ella non era affatto sicura di poter eliminare in uno scontro fisico: però certo non lo evitava per codardia. Aveva fatto tutto il necessario, il possibile; aveva rafforzato la sicurezza, innalzato nuove fortificazioni alla bell'e meglio, assoldato nuove guardie sia come scorta personale, sia come sentinelle di vedetta. Tutto era stato inutile. Ogni volta che Yara faceva un passo avanti per scampare all'assassino seriale, egli la sbeffeggiava vanificando i suoi sforzi e mietendo il doppio delle vittime. Era un fenomeno terrificante, inarrestabile, a tal punto che Tristifer le aveva proposto di trasferirsi.
-Potremmo chiedere asilo in un'altra isola e trovare un nascondiglio nelle segrete, o qualche altro posto di massima protezione.- aveva insistito, sollecito.
-Oh, molto astuta l'idea di chiedere asilo alle stesse persone che probabilmente ci hanno messo un assassino alle calcagna.- aveva replicato lei acidamente. -Non possiamo fidarci di nessuno, Tris, men che meno degli abitanti delle altre isole. Mi odiano e, anche se non fossero loro ad aver architettato tutto questo, non vedono l'ora che il tipo riesca a uccidermi, così si sarebbero liberati di me senza doversi nemmeno sporcare le mani. E non guardarmi così,- aveva aggiunto, squadrando l'espressione allibita e disincantata del marito, -perchè non tutti sono buoni e scemi come te. Apri gli occhi, maledizione! Il mondo è pieno di brutta gente, e tu lo scopri adesso? Scendi dalle nuvole, per l'amor del Cielo.-
Un po' deluso, egli non aveva insistito sull'argomento. -Però non possiamo nemmeno rimanere qui a farci ammazzare.- le aveva fatto notare, ansioso.
Yara aveva scosso la testa, sconfortata. -Non esiste un maniero più protetto di Pyke.-
Era vero, ma ormai Pyke era la scacchiera sulla quale l'assassino muoveva le proprie pedine e faceva le proprie mosse, indisturbato, come uno spettro. Era incredibile come facesse ad agire così silenziosamente, rapidamente ed efficacemente, senza mai mancare l'obiettivo. Il mare assisteva imperturbabile, ruggendo e scrosciando, manifestando una rabbia intraducibile e cantando il dolore di un popolo intero.
Avvenne durante un pomeriggio in cui la gradine s'era alleata con la pioggia battente per impedire a Yara di uscire da Pyke; di solito, lei preferiva fare un giro a cavallo fino ai villaggi per prendere un po' d'aria, testare il clima che c'era e rassicurare la gente (il che non le riusciva particolarmente bene, in parte perchè la situazione era davvero disastrosa come sembrava, in parte perchè il carattere scontroso di Yara non l'agevolava granchè nei rapporti umani). Mentre percorreva un corridoio in direzione dello studio dove teneva la contabilità, per controllare un importo proveniente dalle Città Libere, lo sguardo della ragazza -pronto e vigile per necessità- cadde su un minuscolo frammento di stoffa rossa, che una volta raccolto ed esaminato parve il lembo di un mantello. Le guardie a Pyke non vestivano di rosso, e non erano venuti ospiti di recente: tranne uno, non molto desiderato. Ma la cosa più interessante era il luogo del ritrovamento; si trattava di una porta che conduceva ai sotterranei, una serie di gallerie scavate appena sopra il livello del mare, come ce n'era in quasi tutti i vecchi castelli, d'altronde. Significava che l'assassino si serviva di quei passaggi per muoversi per il castello, dato che esistevano quattro accessi dislocati in diverse parti del maniero. Yara non ricordava d'avere ordinato alle guardie d'ispezionarli, ma probabilmente lo avevano fatto, senza però ottenere risultati. Utilizzare quelle gallerie per spostarsi significava anche conoscerle benissimo, a tal punto da sapere dove nascondersi, in che punto v'era il collegamento con il castello, eccetera. Possibile che l'intruso le avesse studiate?
Yara non perse altro tempo e decise di prendere un po' di guardie con sè per ispezionarle daccapo, personalmente. Anche se magari non avessero trovato proprio il responsabile, almeno ci sarebbero state tracce del suo passaggio: resti di cibo, mozziconi di candela, coperte. Altrimenti cosa se ne faceva, dopo averne usufruito?
Yara andò in cerca del capitano delle guardie, per riferirgli la sua scoperta e le sue intenzioni, e le venne detto che lord Tristifer l'aveva mandato a chiamare, perchè desiderava fare un'uscita a cavallo. Infastidita, la ragazza si diresse quindi alle stanze del marito. Giunta alla porta, l'aprì e varcò la soglia in tutta fretta.
-Tris, dov'è Orkwood? Devo parlargli il prima po-
La voce le morì in gola. Tristifer Botley la fissava un po' sconcertato, con gli occhi sgranati in un'espressione appena allarmata; dalla bocca socchiusa colava una stilla di sangue che sembrava una lacrima. Una grossa spada si faceva largo fra le sue viscere, conficcata nello stomaco fino all'elsa, e lo teneva sollevato da terra di pochi centimetri. Attorno a lui soltanto sangue, sul muro, sul pavimento, sui vestiti pregni ed appesantiti. Le pupille vacue di Tristifer erano fisse sulle sue, come una lenta, inconsolabile accusa.
L'urlo che salì alle labbra di Yara venne incompreso e rifiutato dalle labbra, che lo respinsero nella gola, al punto di rischiare di strozzarla. Non riuscì a muoversi, a parlare, a chiamare aiuto. Sapevi che sarebbe potuto succedere. Lo sapevi. Soltanto diversi minuti più tardi le guardie, svolgendo la loro abituale ronda, la ritrovarono incapace di reagire, l'odore del sangue ad otturarle le narici. In seguito, furono fatte delle analisi a mente lucida: secondo un esperto la spada non era stata forgiata nelle Città Libere, ma nemmeno nelle Isole di Ferro. Ma fu un altro, il dettaglio che venne indicato a Yara e che le fece accapponare la pelle. Il dito mignolo era stato del tutto scorticato -quando Tristifer era già morto, presumibilmente, dato che nessuno l'aveva sentito urlare. Dunque il motivo per cui quel lembo di pelle gli era stata rimosso, se non per torturarlo, non poteva essere che un avvertimento, no? Scorticato.
-Domani mattina partiremo.- fu tutto quel che Yara riferì alle guardie, prima di uscire da quella stanza. Giusto il tempo per seppellire quel disgraziato.
Voleva soltanto avere dei figli. Voleva soltanto avere una famiglia, pensò Yara, ingoiando dolorosamente il nodo di lacrime che le opprimeva la gola. Non l'aveva amato, è vero, però erano amici fin da quando erano bambini. Gli aveva voluto del bene; c'era sempre stato rispetto fra di loro. In fondo, grazie a lui, Yara aveva potuto amministrare le Isole di Ferro come aveva voluto, pur essendo donna, senza interferenze da parte sua. Quella piccola ingiustizia, soltanto una microscopica goccia del mare d'ingiustizie che al mondo erano avvenute, avvenivano e sarebbero avvenute, la ferì più profondamente di quanto avrebbe immaginato. Non aveva mai realmente ipotizzato che Tristifer potesse morire; Tristifer, che viveva con la spensieratezza e l'allegria che a lei erano sempre mancate. Pareva troppo felice d'essere al mondo per poter essere ucciso. E, pur rimanendo ferma e fedele alle proprie motivazioni, iniziò a percepire un infimo senso di colpa per avergli negato quelli che per convenzione erano i diritti d'un marito; per averglieli negati, oltretutto, prima della fine. Chi avrebbe mai immaginato che sarebbe potuta arrivare così in fretta?!
Quella sera Yara prese sonno molto tardi, dopo aver trascorso il pomeriggio ad organizzare un funerale in fretta e furia, senza invitare nessuno se non i parenti di Tristifer; fu una cerimonia patetica, in cui il terrore scuoteva l'aria ed il panico friniva attorno a loro, sotto la cappa d'un cielo gravido di pioggia, ferito dagli squarci dei tuoni. Persino gli sguardi dei suoceri erano taglienti, inclementi, come se stessero silenziosamente accusando Yara di tutto quel ch'era successo, dalla morte del figlio alla mancanza di eredi. E hanno ragione, rifletteva lei, in parte hanno ragione.
Quando si svegliò di soprassalto, nel cuore della notte, Yara si accorse che il buio attorno a lei era diverso dal solito, e la carenza d'aria glie lo confermò: aveva la testa infilata in un cappuccio lanoso e ruvido. Immediatamente fece per gridare, ma una mano spinse la stoffa nella sua bocca. Emettendo un verso rantolante e smorzato, Yara scalciò, si divincolò e tentò di sottrarsi in ogni maniera, rendendosi conto di stare lottando per la propria vita. Il cuore le martellava nel petto. E poi un dolore acutissimo esplose sul suo braccio, acido e lacerante come il morso di denti d'acciaio rovente, una sofferenza ustionante che colmò la sua mente e dilaniò i suoi pensieri, distraendola persino dal pericolo imminente. Dopo un'era interminabile finì, così come s'affievolì la presa inamovibile che impediva il corpo di Yara fino a svanire. Quando la ragazza si strappò il cappuccio dal volto, la sua stanza era già vuota. Fece per balzare in piedi ed inseguirlo, ma il dolore la frenò accecandola e togliendole le forze: ella lanciò un'occhiata al suo braccio, ricoperto di sangue che continuava a scorrere da grossi tagli aperti. Soltanto una mezz'ora più tardi, dopo che Yara chiamò le guardie e venne soccorsa, pulito il suo braccio ed esaminate le sue ferite, si potè rilevare che gli sfregi incisi sulla carne erano stati tracciati in modo da formare grossolanamente delle lettere. Le nostre lame sono affilate.
Il suo intento non era stato ucciderla, perchè altrimenti l'avrebbe fatto, ma dimostrarle che poteva colpire chi, quando, come e dove voleva, che nessuno lo poteva fermare. Dopotutto, lei se andava anche con il sollievo di non lasciare Pyke nei guai, di non venire meno ai suoi doveri di regina: ciò che Ramsay Bolton voleva non era nè l'isola, nè il castello, nè lei. Era Theon.
Yara si presentò in camera di suo fratello, senza attendere l'alba; la stanza veniva controllata costantemente da dei piantoni.
-Andiamo.- esclamò appena entrata. Theon non dormiva, com'era prevedibile. Aveva saputo della morte di Tristifer, dopotutto. Il suo sguardo era esplicativo, penetrante, e Yara non riuscì a sostenerlo.
-Avevi ragione,- continuò nervosamente, -ma non abbiamo tempo per questo. Dobbiamo fare in fretta. Lui potrebbe arrivare da un momento all'altro...-
-Dove andremo?- La voce di Theon era calma, per una volta.
Yara sospirò. -Immagino che lo scopriremo soltanto vivendo. E per vivere, l'unica cosa che dobbiamo fare è andarcene. Ovunque sarà meglio che qui.
Le nostre lame sono affilate. Ho afferrato il concetto, ma non aspettarti che ripeta lo stesso errore.
***
Un messaggero, dietro il codazzo di persone radunate nella tenda del re, attendeva di essere ricevuto. Appena Bran lo adocchiò, fece un cenno con il capo dandogli il permesso di avvicinarsi.
-I Frey hanno intuito il nostro attacco e sono in stato d'allerta. Si sono barricati dietro le mura, Maestà.- annunciò con voce ansante.
Gli occhi del re del Nord baluginarono di trionfo. -Perfetto. Assolutamente perfetto. Rickon, sei pronto?-
Il fratello minore annuì con il capo e subito due ragazzetti, che non avevano più di undici anni, gli tesero una grossa spada e una mazza da guerra. Egli infilò nel fodero appeso alla cintura l'una e strinse saldamente in mano l'altra.
-Dove hanno inviato le loro truppe?- domandò bruscamente al messaggero.
-Nord-est rispetto alla Forca Verde.- bisbigliò lui, intimidito. Rickon lo squadrò con sufficienza, quasi chiedendosi se ci fosse di che fidarsi, ed avanzò oltre, seguito dai comandanti delle truppe.
-Mi raccomando. Sai che cosa devi fare. Tempismo e precisione.- esclamò Bran, osservando il fratello che si dirigeva verso l'uscita. -Alle posizioni delle catapulte provvederà Edmure... e stai attento.-
Rickon fece una smorfia e non gli diede troppo retta. -Sono sopravvissuto senza le tue manfrine fino adesso, fratello. Scommetto di poterlo fare ancora per un bel po'.-
L'unica persona che gli interessava davvero salutare era Myrcella, che si era gettata fra le sue braccia con gli occhi lucidi. Torna, era stato tutto quello che gli aveva bisbigliato all'orecchio, torna. E era a quelle due sole sillabe che Rickon si sarebbe aggrappato, se fosse sopraggiunto un momento di disperazione e sconforto. Solo per lei gli importava tornare. Gli altri erano superflui, accessori. Gente che prima non c'era, senza che lui ne sentisse la mancanza. Invece, in fondo, l'assenza di una persona come Myrcella aveva sempre lasciato un vuoto dentro di lui, che egli aveva sempre cercato di colmare nel modo sbagliato.
-Ah, Rickon?- Le parole di Bran lo frenarono quando ormai era già all'uscio della tenda. Si voltò, senza curiosità. Negli occhi di Bran Stark, egli vide appiccato l'incendio d'una frenesia nuova, come una gioia finora negata che scoppi senza rigore, un contegno eluso e violato. -Non tollererò di vedere nessun supestite.-
E, per la prima e l'ultima volta in vita sua, Rickon s'inchinò solennemente sulle ginocchia, con il suo folle sorriso sulle labbra. -Ai tuoi ordini, Maestà.-
Per pochi istanti non fu il sangue nè il dolore ad unirli, ma solamente l'ebbrezza di quella vendetta che nulla poteva rimediare, nulla poteva restituire, nulla poteva concedere, se non una felicità peritura d'indicibile bellezza.
Dopo una lunga marcia fino alle Torri Gemelle, che iniziò all'alba, una parte dell'esercito guidata da Stannis andò a combattere contro le truppe inviate dai Frey per respingere gli invasori, mentre il grosso delle forze del Nord accerchiò le Torri stesse; immediatamente, i soldati cominciarono a caricare le catapulte con barili incendiati, contenenti olio, resina, pece ed altre misture infiammabili e gli arcieri, armati di archi e balestre, scagliarono frecce dai pennacchi fiammeggianti; quando finirono le munizioni, si cominciò a scagliare torce, pezzi di legno cosparsi di sostanze infiammabili. Le pietre del castello si fondevano, rompendosi e causando il crollo di tetti e fortificazioni; i materiali infiammabili all'interno delle torri propagavano l'incendio. Un'altra parte dell'esercito si occupò di scavare buche ai piedi della muraglia, di modo da scoprire le fondamenta di legno ed appiccare il fuoco anche lì, grazie all'ausilio di combustibili, per provocare il collasso delle strutture sovrastanti, e quella precauzione era stata presa anche per distruggere eventuali tunnel sotterranei delle fortezze. Il resto degli uomini si curava che nessuna ala del castello venisse lasciata incustodita e che quindi coloro che erano all'interno non potessero fuggire in alcun modo, costretti a bruciare vivi nelle torri oppure ad essere uccisi nel tentativo di evadere da quella trappola mortale. Dopo tre ore di lanci, l'incendio divampava alto fino al cielo e le Torri Gemelle, come avvolte nelle spire di un serpente mastodontico, erano accolte dalle braccia della morte. Le urla non si udivano già più. L'aria era rappresa di fumo, un fumo che anneriva la volta celeste ed impediva ai soldati di distinguersi l'un l'altro, ma soltanto una cosa importava: il piano era riuscito. Le truppe di Stannis, dopo aver sconfitto quelle dei Frey, si diressero verso l'incendio; Davos Seaworth si sentì stringere il cuore a quella vista terrificante.
Soltanto sul far della sera Myrcella riuscì finalmente a convincere gli attendenti, ai quali era stata data in custodia, ad accompagnarla sul luogo della strage. Scesa dal carro, andò a cercare Rickon con occhi ansiosi nella folla dei soldati esultanti; lo trovò di fronte alle Torri incendiate, a guardare con occhi sgranati. Come se si trattasse d'un'immensa pira sacrificale, teneva un ginocchio a terra, quasi in segno di rispetto -non tanto verso i morti, ma verso la morte stessa. Poi s'alzò e chiuse gli occhi, chinando il mento contro il petto, in torva e religiosa adorazione, perchè quella del fuoco era l'unico culto che gli fosse rimasto; ascoltava il berciare stridulo e distorto delle mura che crollavano progressivamente ed il canto limpido e cristallino delle fiamme, perchè quella era l'unica verità che avesse mai accettato.
-Rickon!- Mai vedere qualcuno aveva provocato tanto sollievo alla sua anima. Le preoccupazioni dell'intera giornata erano evaporate alla luce di quel sole crudele, quando Myrcella avvolse il corpo di Rickon con le braccia, da dietro. Gli appoggiò la testa sulla curva del collo, prima di baciargli la nuca. Rickon si voltò e la guardò negli occhi, mentre un sorriso incurvava le sue labbra.
-Abbiamo vinto.- disse, quasi sconcertato dall'euforia. -Abbiamo vinto!-
Prese Myrcella fra le braccia senza la benchè minima fatica, come se fosse uno spiritello d'aria, nonostante il sudore che gli colava dalla fronte alle guance; cominciò a girare su se stesso, finchè la fanciulla non scoppiò a ridere. C'era follia nell'aria, insieme alla fuliggine ed alle scintille incandescenti; e Myrcella si sentiva inguaribilmente, innegabilmente felice. Abbiamo vinto. Erano parole dolci, parole sapide, parole di cui si colmarono la bocca fra un bacio e l'altro, ubriachi ed insaziabili. E Myrcella partecipò appieno a quell'abbiamo vinto, senza timore, senza esitazione, non più. Forse quello contro il petto di Rickon non era il suo posto, in fin dei conti, però lei voleva che lo fosse, e per una volta il destino non avrebbe dovuto intromettersi.
-Sei stato molto valoroso.- sussurrò lei, con un sorriso commosso.
Rickon inarcò un sopracciglio, beffardo. -Più valoroso dei tuoi cavalierucci dall'armatura scintillante?-
-Molto, molto di più.- assicurò Myrcella divertita, baciandolo di nuovo.
L'esercito del Nord rimase tutta la notte presso le macerie delle Torri Gemelle, mentre i soldati penetravano nelle fortezze e cercavano di fare un vago calcolo delle vittime, in quei corridoi dove la cenere dei suppellettili s'univa a quella delle fanciulle. L'unica vera superstite ch'era stata miracolosamente rinvenuta era una ragazzina minuta, di circa quattordici anni, che invano aveva finto di essere morta; a lei Rickon aveva rivolto un sorriso giulivo, sussurrando adesso vediamo cosa posso farmene di te. Oh, forse mi è venuta un'idea.
Fu al mattino che giunse l'esercito di Re Tommen. Lo scontro fu evitato per il fatto che l'unico ponte che avrebbe permesso di accedere all'una o l'altra sponda era sotto il controllo degli uomini del Nord, e perchè il pericolo dell'incendio che ancora imperversava non era scampato. L'unico che ebbe l'ardire di attraversare il ponte e spingersi quasi fino all'altra sponda fu Rickon, con Myrcella al suo fianco; il motivo fu presto spiegato.
Quando i suoi uomini fecero notare a Tommen l'arrivo del giovane Stark con la prigioniera, il re non riuscì a trattenere l'entusiasmo. Me la vuole restituire, fu il primo, ingenuo pensiero. La sua mente lavorava febbrile, inebriata da inaspettate e vivaci speranze, ed il pensiero di ciò ch'era accaduto alle Torri Gemelle era già stato accantonato. Quindi quello Stark aveva portato Myrcella in guerra con sè... poteva averlo fatto solo per una ragione, no? Altrimenti l'avrebbe tenuta al sicuro, nelle segrete di Grande Inverno. Magari chiedeva uno scambio, un compromesso... Tommen gli avrebbe dato qualsiasi cosa, pur di riavere sua sorella al fianco. Qualsiasi? Anche la pace? sussurrò una vocina sibilante al suo orecchio. Tommen lo scartò a disagio: ci avrebbe pensato a tempo debito, casomai quella situazione si fosse presentata. Myrcella, Myrcella! Chissà quanto aveva sofferto! La sua povera e fragile Myrcella non si meritava tutto questo. Ma stava per finire, sì, Tommen aveva il fraterno dovere di proteggerla. Non se la sarebbe fatta sfuggire dalle mani di nuovo.
-Come sta? L'avete vista? È ferita? Rispondete!- aveva subito chiesto ai soldati, impaziente.
-Sembra incolume, Maestà.- era stata l'incerta risposta. -Stark chiede un colloquio privato con te, concedendoti di portare una scorta, per dimostrare d'avere buone intenzioni. Ad ogni modo, rimarrà sul ponte e non ti raggiungerà.-
Ma Tommen avrebbe preferito uno scontro a singolar tenzone, piuttosto che un colloquio. Come si permetteva, quello, di trattarlo come un bambino?! Forse che lui non aveva il suo rancore, la sua brama di vendetta? Forse che lui non desiderava cancellare Rickon Stark dalla faccia della Terra, più di quanto il nemico non desiderasse cancellare lui?
-Io non ho niente da dirgli, ho soltanto una sorella da recuperare e una spada per trafiggergli il cuore.- aveva risposto, spavaldo. Era l'affetto di fratello, la nostalgia verso Myrcella a farlo parlare in questo modo -ed anche il fatto di non aver mai visto Rickon in azione, già. Non aveva idea di chi fosse l'avversario che affermava di voler sfidare.
Dopo aver udito la proposta ed aver valutato la questione, Tyrion persuase il nipote ad accettare, sebbene non fosse affatto certo delle buone intenzioni del giovane Stark. Se chiede un colloquio, non è per trattare la pace, sicuramente; quindi le alternative sono che lo vuole ferire o umiliare, aveva concluso fra sè. Sarebbe stato comunque interessante scoprire cosa Rickon Stark avesse da dire -o da mostrare. Ma forse che Tommen aveva scelta? Si sarebbe svergognato agli occhi del proprio schieramento e di quello avversario, se si fosse rifiutato.
Fu così che Tommen scelse chi portare con sè, senza avere troppi dubbi:
-Ser Loras.- decretò immediatamente, -zio Jaime, lady Brienne.- Si fece consigliare per nominare altri quattro guerrieri, poi non esitò a partire il prima possibile, smanioso e scalpitante al pensiero di riabbracciare Myrcella.
Il drappello abbandonò l'accampamento, posto nei pressi di Seagard, e si diresse fino al ponte che connetteva il Nord al Sud.
Rickon era là, proprio sul ponte, a portata di voce ma abbastanza distante da essere avvolto dalla nebbia arrossata di fuoco; stava osservando gli uomini a cavallo avvicinarsi, sogghignando. Quando il rumore degli zoccoli si placò improvvisamente e le figure rimasero immobili davanti a lui, il ragazzo parlò, con una voce aspra e aguzza come Tommen non aveva mai sentite.
-Guarda guarda, e questo sarebbe il piccolo leone. Ma lo sai che assomigli incredibilmente a tua sorella? Anzi, potrei fottervi entrambi senza rendermi conto di chi è chi.-
Il giovane Baratheon avanzava e cercava di mostrarsi impavido allo sguardo dei suoi uomini e di quelli del Nord. L'aspetto di Rickon Stark gli fece correre un brivido lungo la schiena, coperta dal mantello reale: era addirittura sinistro, con quei lunghi ciuffi rossi, asimmetrici e diseguali, che ricadevano sulla spalla sinistra come un rivolo di sangue, e la grossa pelliccia striata di grigio adagiata sulle spalle, estremamente pesante a vedersi; e poi il volto era impressionante, segnato da una lunga cicatrice che dallo zigomo scendeva oltre il collo, dove le vesti impedivano di sbirciare, e gli occhi erano accesi come braci di fuoco azzurro. Il suo sorriso, a snudare lunghi canini acuminati, aveva qualcosa di predatorio, di tagliente. Tommen ignorò l'insulto gratuito con dignità, evitando sdegnosamente di rivolgersi a quello strano barbaro dalla voce roca. Non c'era nulla di Stark in lui.
-Vedo che ti sei portato dietro quella checca di Tyrell. Le sue braccine non sarebbero buone nemmeno arrostite, da mettere sotto i denti, figuriamoci per tirare di spada...- continuò sferzante, lanciando un'occhiata di scherno a ser Loras, che -se il soldato di fianco a lui non gli avesse tirato una gomitata per zittirlo- chissà che spergiuro avrebbe sbottato.
E Myrcella?
-Myrcella!- urlò Tommen, la voce contrastata dal vento, i riccioli biondi arcuati e solleticati fino a creare diafani arabeschi nella cenere. -Myrcella!-
Quando la vide, il suo cuore fece una capriola nel petto. Era lei, era lì, pallida e bellissima nell'aria glaciale, come una flessuosa statua di neve calda, esile ed estremamente graziosa. Il fratello non la ricordava così bella. Era piccola ed indifesa fra le grinfie di quello Stark, fasciata di stoffa celeste e lucente, le spalle nude e lasciate in balia dell'aggressività del vento. Soltanto le gote erano punzecchiate d'un dolce color cremisi.
Ma c'era qualcosa che non andava. Tommen non se ne accorse subito, però dopo averla chiamata a gran voce fu impossibile negarlo: lei non sembrava altrettanto impaziente di ritrovarlo. Sua sorella era aggrappata al braccio del rapitore e non diceva nulla, tenendo lo sguardo a terra; quando udì il proprio nome, lanciò una breve occhiata timorosa al fratello, come se non lo riconoscesse nemmeno. Forse che Rickon le avesse ordinato di non dargli retta ed ignorarlo? Eppure sarebbe stato molto più divertente per lui, a rigor di logica, sentirla supplicare e singhiozzare e chiamare il fratello vanamente, e conficcare quella voce implorante nel cuore di Tommen, e mettergli davanti agli occhi quel grande dolore....
-Myrcella...- sbraitò Tommen. -Myrcella, mi senti?-
Infine puntò lo sguardo accusatore contro Rickon. Perchè Myrcella non parlava, quindi? Perchè non rispondeva? Perchè non strillava e piangeva pregando d'essere liberata? Egli si aspettava di certo un altro genere di accoglienza, come un sorriso contento, una lacrima sulla guancia, una traccia di quel sollievo ch'ella avrebbe dovuto provare, nel vedere i tanto amati volti dei suoi parenti dopo tanto tempo...
-Che cosa le hai fatto?- lo apostrofò, indicando Myrcella con il capo.
Il giovane Stark sorrise dolcemente. -La questione non è che non ti sente. Non ti vuole ascoltare. Sei contento, Lannister? La vostra depravazione è riuscita ad inorridirla.-
-Che cosa stai dicendo?!- Tommen guardò dalla parte di sua sorella. Sembrava davvero stare bene, almeno fisicamente. Indossava un vestito di raso bianco senza spalline, con una sottoveste azzurro fiordaliso ricamata a fiori ed inserti turchesi anche nel bustino; dei cristalli luccicanti ne decoravano lo scollo e i fianchi. Un abito da principessa del Nord, anzichè del Sud, pensò egli. Il viso di Myrcella era intatto, chiuso nel suo niveo candore, e le sue labbra rimanevano serrate in un'espressione di sostenuta negazione. Egli cercò il suo sguardo, senza successo; più la richiamava, più si esponeva, più ella s'imbarazzava ed indietreggiava.
-Le ho raccontato tutta la verità.- rispose Rickon, gustosamente. -Su di voi e le empietà che avete commesso indisturbati. E adesso vi disprezza, com'è giusto che sia. Ma diglielo tu, Myrcella, altrimenti non mi crede.-
Myrcella schiuse le labbra, come per rispondere, ma poi parve cambiare idea e scosse la testa stordita. -Io parlo solo con te. Non voglio parlare con... nessun altro.-
D'un tratto, proprio quando era riuscita ad abituarsi e ad apprezzare la sua nuova condizione, la realtà d'un tempo si parava davanti a lei e la chiamava. Myrcella era estremamente confusa e, all'idea di ciò che presto avrebbe dovuto fare, tremava e cercava il calore del corpo di Rickon sotto il mantello.
-Sentito? Nessun altro.- Il ghigno del ragazzo si allargò, mentre tendeva un braccio per circondarle la vita. Tommen emise un singulto. Il gesto non era certo passato inosservato.
-La stai costringendo a dire così. La stai obbligando. Non sta parlando di sua volontà! È così evidente... Myrcella, ti prego, ascoltami.-
Poi fece l'errore di scendere dal cavallo e d'avanzare di qualche passo. Myrcella spalancò gli occhi vitrei, scossa da uno spasmo, e si nascose dietro la figura di Rickon. Non era certa di nulla, ma l'unica cosa che sapeva era che non voleva tornare indietro. Non voleva tornare a prima. Non voleva vivere ad Approdo del Re a chiacchierare con Margaery e guardare i fiori che sbocciano, con il sole sulla pelle. Quella non era vita vera, vita pura, vita apprezzabile; soltanto una pseudo-esistenza senza timori nè speranze, senza gioia nè dolore, un limbo indefinito e neutro, dove la passione e l'adrenalina non l'avrebbero mai colta. Lei, per la prima volta, voleva correre, gridare, farsi sentire; lei voleva Rickon.
Il grande metalupo che seguiva Stark ovunque si parò davanti ai due e mostrò i denti, terribilmente simili a quelli del padrone, ringhiando. Il ragazzo strinse la fanciulla più forte.
-Non ti preoccupare, è troppo lontano per poterci raggiungere. Non ti prenderà.- assicurò a voce bassa.
Rassicurando? Rickon la stava rassicurando? Perchè lei aveva... paura di Tommen? Non ti prenderà. Le uniche parole che Myrcella voleva sentire...

-No.- biascicò Tommen. -No, è tutto un inganno. Lei non può davvero... insomma! Myrcella, sono io! Sono Tommen...-
Sono Tommen. È proprio questo il punto. Tu rappresenti tutto ciò che sto fuggendo, tutto ciò che minaccia la mia felicità in questo momento. Tu sei l'altro, l'oppositore, il nemico. Tu sei colui che abbiamo vinto. Perchè Rickon ti odia, tu odi Rickon, quindi adesso voi due mi state costringendo ad odiarti. Come fai a non capirlo?! Myrcella tentò di nascondere il viso nel suo mantello, ma Rickon si scostò in tempo per impedirglielo. Si chinò su di lei, e c'era quasi indulgenza nella sua voce, insieme ad una pericolosa, carezzevole beffardaggine.
-C'è un'altra cosa che vuoi dire in presenza di questi signori. Non è vero, Myrcella?-
La fanciulla strizzò gli occhi, quasi per scacciare quel pensiero. Quando in precedenza il ragazzo glie l'aveva proposto, la sua prima reazione era stata l'orrore. Devi darmi un'ultima prova del tuo amore, era stata la premessa, ma Myrcella dapprima s'era rifiutata. Non posso farlo, aveva mormorato. Non posso. Allora Rickon le aveva sfiorato le labbra con un bacio lieve come brina. Davvero non puoi? Io credo di sì.
Myrcella sollevò la testa. Non guardava nessuno, soprattutto non Tommen. Non avrebbe sopportato di vedere un miraggio disgregarsi nei suoi occhi, la disillusione distorcergli i lineamenti, una debole eco di dolore in gola. Dopotutto, anche se adesso stava rifiutando lui e tutto ciò che comportava, l'aveva amato molto, e c'era la possibilità che gli volesse ancora del bene, da qualche parte nel suo cuore abbagliato. Il suo sguardo era vacuo, perduto, mentre parlava.
-Volevo dire che... io e mio fratello... siamo frutto di un incesto. Ciò significa che nostro padre non è Robert Baratheon, e che... la pretesa del trono di Tommen... non ha alcun valore.-
La voce suonò atona e monocorde, ma nelle orecchie di Tommen fu assordante come l'ultimo battito cardiaco di un moribondo, affilata ed impietosa come una lingua di quel ghiaccio che sembrava aver contaminato Myrcella. No. No. No. Non poteva averlo detto sul serio.
-... la sta costringendo. La sta costringendo.- Ormai suonava più come una supplica che come un'affermazione; lui conosceva -aveva conosciuto- Myrcella, e sapeva quant'era coraggiosa, sapeva che non avrebbe mai ceduto a dei subdoli ricatti, che non avrebbe mai calunniato la sua famiglia, nemmeno se c'era di mezzo la sua stessa vita...
Jaime Lannister mosse le labbra in una parola senza suono. Brienne di Tarth strinse in pugno una mano; il suo sguardo non aveva mai abbandonato il giovane Stark, dritto ed implacabile come una lama, concentrato in un odio aspro e disgustato, come se stesse esaminando criticamente il divario che c'era fra loro.
Rickon aveva l'aria di starsi divertendo un mondo. -E come fai a saperlo? Forse tua madre te l'ha confessato, prima di morire?-
Myrcella chiuse gli occhi, le ciglia umide di lacrime. Ormai era troppo tardi per fare marcia indietro. -... sì.-
-Bugiarda!- E fu in quel preciso momento che la voce di Tommen, dall'accomodante incertezza iniziale, si ruppe. -Bugiarda!-
La sorella non lo ascoltò nemmeno; crollò fra le braccia di Rickon, come se fosse esausta. Il ragazzo si voltò trionfante verso Jaime Lannister.
-Lo vedi, Lannister? Non puoi più nascondere la verità, adesso. Per quanto credevi di passarla liscia, ancora? La mia ragazza ha parlato.-
-Io non ho niente da dimostrare, Stark, e sicuramente non a te.- rispose, con una fiera compostezza, una fredda calma che Rickon non aveva immaginato potesse mantenere. -Sei arrivato tardi. Questa diceria hanno già cercato di sfruttarla in troppi, quando tu ti pisciavi ancora a letto.-
-Ho smesso giusto in tempo per farci entrare tua figlia e sbudellarti al primo colpo, in effetti.- sibilò Rickon. -Adesso che persino Myrcella ammette quanto eravate disgustosi, oltre che la mera evidenza, che prove speri di trovare per convincere i Sette Regni del contrario?!-
Jaime fece una smorfia. -Se fossi in te, mi preoccuperei più di dire addio alla testa che di dare aria alla bocca.-
Rickon scoppiò a ridere. -Oh, chiedilo alla mia ragazza, quanto sa essere persuasiva la mia bocca...-
La gola di Tommen era arida; la voce si scagliò oltre le labbra quasi con violenza. -Lei non è la tua ragazza, e gli Dèi sanno quanto le farò rimpiangere queste calunnie, che sicuramente tu le hai ordinato di dire. Se tu non ti fossi comportato come un codardo rimandendo laggiù, se avessi avuto il fegato di affrontarmi, a quest'ora te l'avrei tagliata io, la testa. Ma ben presto succederà, e-
-No.- Myrcella afferrò la mano di Rickon e la portò alle labbra, per poi baciarla. La sua voce era pregna di lacrime. -No. Tommen, basta.-
Il cielo si stava frammentando in mille pezzi e precipitava addosso a Tommen, perchè adesso si chiariva nella sua mente quel basta. Basta credere che io sia ancora la Myrcella che hai lasciato, basta ingannare ed umiliare te stesso in questo modo davanti a tutti, basta sperare che io stia ancora dalla tua parte. Basta. Lasciami andare alle mie colpe, alle mie scelte. Lasciami andare.
Era imbrattata del sangue della loro madre, quella mano che Myrcella baciava con tanta devozione.
-Traditrice.- Tommen sputò quella parola come un bolo di sangue. Il suo petto era scosso dal respiro incalzante. Un pianto rabbioso gli inondava le iridi smeraldine.
Jaime Lannister, dall'alto del cavallo gli poggiò la mano sulla spalla. -Andiamo, Tommen. È inutile rimanere qui a farci deridere ancora.-
Myrcella intercettò il suo sguardo per la prima volta, da quando erano arrivati. Negli occhi di Jaime non c'era risentimento, solo una fioca delusione. Perchè, Myrcella, perchè? Lei distolse gli occhi, imbarazzata dall'enormità della sua colpa, riflessa negli occhi degli altri. Lo sai perchè. Non è molto più nefanda della tua, in fondo.
Se credeva davvero alle parole che Rickon le aveva chiesto di pronunciare? No, no, non voleva. Preferiva rimanere salda nella sua convinzione che, almeno in quello, la famiglia Lannister non fosse proprio così depravata.
Rickon godeva assistendo alla disperazione del ragazzo biondo. -La mia voleva essere soltanto una dimostrazione del fatto che tu, che voi non potrete prendere più nulla di ciò che è mio. Non a me.-
-E chi saresti, tu?- replicò Tommen, infastidito dalla sua arroganza.
-Sono il tuo incubo, piccolo Lannister,- ribattè Rickon rivolgendogli un sorriso sferzante, -e vedrai che quando vorrò prendermi la tua piccola testolina riccioluta da cherubino e il tuo dolce cuoricino infranto non sarà un ponte a fermarmi. Su, non guardarmi così: il mio è un gesto compassionevole. Voi Lannister farete una bella riunione di famiglia all'inferno.-
Dopo queste parole, si voltò con uno scatto che raccolse il vento pungente sotto il suo mantello, gonfiandolo, e svanì nella rossa nebbia come uno spettro, e Myrcella -la piccola traditrice- stretta a lui, con così tanta sfacciata impudenza.
L'esercito del Nord ritornò all'accampamento e lì si celebrò un banchetto come si deve per rifocillare i soldati e festeggiare il primo successo. Bran, nonostante sapesse che avrebbe dovuto essere tormentato dai sensi di colpa, per la prima volta da quando era partito si sentiva allegro, in qualche modo. Il trionfo sulle Torri Gemelle gli aveva dimostrato che la vittoria non era impossibile: era soltanto questione di fare del proprio meglio per raggiungerla. Bran aveva inoltre udito con molto stupore di ciò che Myrcella aveva detto in faccia a suo fratello e a suo padre; non la credeva sul serio innamorata di Rickon, o comunque capace di fare una cosa del genere. Durante i festeggiamenti Rickon si alzò in piedi, sovrastando il brusio generale, il boccale alla mano.
-Propongo un brindisi in onore della nostra amica,- urlò, indicando Myrcella con un cenno, -che ci ha dimostrato che ormai nemmeno i Lannister sopportano più i Lannister!-
L'affermazione venne accolta da un boato di feroce giubilo ed entusiasmo. Myrcella sorrise debolmente: si sentiva ancora un po' scossa dalle forti emozioni di quella giornata, però avvertiva che il legame fra lei e Rickon era cambiato. Prima, il giovane Stark continuava ad essere ai suoi occhi una figura algida, scostante ed imprevedibile: adesso percepiva una nuova vicinanza alla sua anima, quasi le bastasse allungare le dita per toccarla; una comprensione limpida e reciproca, priva di ostacoli e fraintendimenti. Aveva raggiunto la lunghezza d'onda dei suoi sentimenti, aveva ottenuto il libero accesso alla sua vita, era entrata a far parte della sfera dei suoi rari affetti. Non era più una serva costretta al silenzio ed all'obbedienza, ma era riuscita faticosamente a guadagnarsi un valore nel cuore gravemente malato del suo aguzzino. Il loro era diventato un equilibrio, un'armonia -un'alleanza, un'unione più sacra e tangibile persino di quella che un matrimonio avrebbe potuto offrire. Rickon si sedette di nuovo, si voltò verso di lei e sorrise; fissandola negli occhi, le sollevò il mento timidamente chino con l'indice.
-Ho apprezzato molto quello che hai fatto oggi per me,- bisbigliò, -sai?-
Myrcella arrossì. -Non riuscirò mai a sdebitarmi, rispetto a ciò che tu hai fatto per me.-
Il ragazzo parve avere avuto una delle sue strane idee, perchè sgranò gli occhi.
-Sai che cosa facciamo adesso? Ci ubriachiamo di brutto e stanotte ci impegnamo a distruggere la tenda. Che ne dici?-
La fanciulla ridacchiò alla vista della sua espressione maliziosa. -Non credo che tuo fratello sarebbe d'accordo...-
-Da quando in qua si fa quello che vuole Bran?- ironizzò Rickon, scrollando le spalle. Poi rimase qualche istante in silenzio, le prese il viso fra le mani e la baciò -fu un bacio caldo ma non ardente, intenso ma non violento, e Myrcella capì che tutto era diverso, più incredibile eppure più vero -che d'ora in poi non sarebbe stata coraggiosa soltanto per se stessa, ma anche per lui. Non voglio essere la sua debolezza, pensò, ma la sua forza.
Gli uomini del Nord non erano certo intenzionati a limitare l'esuberanza del loro tripudio: il vino scorreva a fiumi, a tal punto che Bran mise il palmo aperto sul bicchiere di Rickon, dicendo con un sorriso al coppiere:
-Direi che lui per stasera è a posto così.-
-E perchè mai? Non fare il guastafeste, Bran!- sbottò Rickon, rosso quanto i suoi capelli in volto.
-Tu sei pericoloso, da ubriaco.- osservò il fratello giudiziosamente.
Da parte sua, Jojen stava in disparte. Le feste e la confusione non gli piacevano molto, e stava piluccando uno stufato con non troppo interesse. Bran lo osservò e sorrise: era così tipico da parte sua starsene zitto e lontano mentre tutti facevano baldoria. Accostò il volto al suo, per poter farsi sentire in mezzo al trambusto dei calici, delle posate e delle risa. 
-Non ti stai divertendo granchè, vedo.-
-Non particolarmente.- confermò Jojen, piegando un angolo della bocca in una sorta di mezzo sorriso. -Però ciò che conta è che la missione abbia avuto un esito soddisfacente.-
-Non ho mai avuto dubbi, e non ne avrei avuti nemmeno se il messaggero fosse giunto a riferirmi il contrario. Mi fido di te.- dichiarò Bran, senza interrompere il contatto visivo fra loro.
Jojen esaminò con attenzione le profondità più recondite dei suoi occhi, quasi potesse strapparvi qualunque segreto. -Ne sei sicuro? Ti fiderai sempre di me, Maestà? Qualsiasi cosa accada?-
Bran aggrottò la fronte; quelle parole suscitarono una strana sensazione alla bocca del suo stomaco, come un lieve fastidio. -Qualsiasi cosa accada, ovviamente.-
Jojen gli rivolse un'ultima occhiata meditabonda, prima di riabbassare lo sguardo sul suo piatto. -Buono a sapersi. Ah, penso che ti convenga stare attento a Rickon... è riuscito a farsi riempire il bicchiere un'altra volta.-
Gli uomini del Nord festeggiavano acclamando il loro re, inconsapevoli del fatto che presto gli spettri delle Torri Gemelle avrebbero preteso il loro tributo.
***
-Mio signore, sono tornati.- lo avvisò un attendente, al quale egli stesso aveva dato proprio quel compito. Tyrion Lannister sollevò subito il capo dalla mappa sulla quale era chino da ore, ormai; aveva passato la notte precedente in bianco, armato di piuma, inchiostro e dell'immancabile bottiglia di vino dorniano.
-Grazie, Thorn.- Congedò il ragazzo con un cenno distratto; effettivamente dopo pochi istanti Tommen Baratheon varcò la soglia della tenda, rapido e furibondo come una folata di vento invernale.
-Nipote,- lo chiamò Tyrion circospetto, seguendolo con uno sguardo interrogativo, visto che gli sembrava piuttosto scosso. -Com'è andata?-
Non ottenne risposta; Tommen strinse le labbra in un'espressione addolorata e cacciò le unghie nel palmo, digrignando i denti. Alle sue spalle comparve Jaime, anch'egli piuttosto abbacchiato, che lanciò al fratello un'occhiata eloquente, quasi a dire: dopo ti spiego.
Sorprendentemente, invece di sparire sotto un cumulo di cuscini e di rosicchiare uva come faceva sempre quand'era di cattivo umore, Tommen sedette di fronte allo zio, al tavolo dove egli stava progettando la marcia, scostando uno sgabello con un rumore sordo.
-Ti è venuta qualche idea?- disse solamente. Tyrion inarcò le sopracciglia, sorpreso, perchè tutto questo interesse per gli affari bellici da parte del nipote gli risultava nuovo; però non commentò.
-Certo che mi è venuta qualche idea. Non starai mica sottovalutando il mio acume? Guarda un po'. E' l'unica cosa di cui mi posso vantare, e pure lo mettono in discussione...-
-Non sono in vena di scherzare.- tagliò corto Tommen, con una freddezza inedita per lui, che quasi stonava con il suo viso di solito aperto in un sorriso.
Tyrion pose la piuma nel calamaio e gli rivolse uno sguardo che sperò apparisse autoritario, ma anche partecipe e premuroso. -Io non lo sono mai, perciò voglio sapere che cosa è successo con Stark. Avanti, non costringermi a strapparti le parole di bocca... ha fatto qualcosa di male a Myrcella?- osò ipotizzare, dato il furore del ragazzo.
Tommen chiuse gli occhi, come se la realtà fosse davvero troppo orribile per essere guardata nella sua interezza, da quegli occhi troppo chiari e giovani.
-Oh, sì. Non gli è bastato prendersi mia madre e mio nonno. Si è portato via anche Myrcella.- rivelò, con voce intinta d'amarezza, che s'incrinò appena nel pronunciare il nome della sorella.
-Cosa intendi?- domandò lo zio, preoccupato, avvertendo un pizzicorino di preoccupazione ai palmi delle mani.
Tommen attese diversi istanti prima di rispondere, con voce tagliente. -Che mia sorella non c'è più. Al suo posto, c'è un'estranea che ha appena annunciato pubblicamente la mia origine bastarda e l'infondatezza della mia pretesa al Trono di Spade.-
A quelle parole, Tyrion ammutolì. Com'era possibile? Le sembrava assurdo che Myrcella, che teneva a suo fratello più di ogni altra cosa, avesse affermato un'ingiuria del genere, anche se sotto ricatto. Era una fanciulla troppo tenera e gentile. E poi, che scopo aveva avuto quella pantomima?! Era stata architettata soltanto per far soffrire Tommen, oppure davvero qualcuno avrebbe dato retta alla confessione estorta alla giovane Myrcella? Sarebbe stata davvero considerata una fonte così autorevole? Sarebbe bastato spiegare ch'era stata costretta a farlo dal suo aguzzino per chiudere la storia una volta per tutte ed evitare danni all'immagine della famiglia.
-Che risvolto... inaspettato.- considerò infine. Lanciò un'occhiata a Tommen: ora la sua crisi gli pareva giustificata. Myrcella era uno dei pochi membri della famiglia che gli restavano, e quella a cui era più affezionato. Dopo aver tanto penato per la sua assenza, quel colpo di scena doveva essere stato una vera batosta per lui. -Che hai intenzione di fare?-
-La prima volta che Rickon Stark e mia sorella capitano nelle mani delle mie guardie,- cominciò il ragazzo con voce spezzata, -voglio che li uccidano entrambi.-
Il Folletto sussultò; suo nipote aveva perso davvero il senno.
-Tommen, ragiona! So che sei arrabbiato, adesso, ma è proprio il rancore ad offuscarti la mente. Quando passerà, ti renderai conto della scemenza che hai detto...-
Tommen lo interruppe furioso. -Sono il tuo re. Non sei autorizzato ad accusarmi di dire scemenze nemmeno quando le dico.-
Per quelle parole, Tyrion gli avrebbe volentieri girato la faccia con una sberla, come faceva senza problemi con Joffrey, d'altronde; però vide una piccola lacrima scintillare sulla sua guancia e preferì lasciarlo stare. Il ragazzo non sapeva quel che diceva; schiumava d'astio e dolore, conteso fra i due sentimenti, sfinito da entrambi. Le cose da affrontare e da accettare erano state davvero troppe per lui, e tutte in un lasso di tempo così breve...
A quel punto, Thorn irruppe nuovamente nella stanza; dopo aver lanciato una breve occhiata perplessa alla figura di Tommen, accartocciato su se stesso, si rivolse a Tyrion.
-Mi dispiace disturbare ancora, mio signore, ma sono giunte ben tre lettere.-
-Tre? Addirittura?- Eppure il Folletto non sembrava troppo sorpreso, quando tese una mano per prenderle. Esaminò le buste: due provenivano dalla Valle di Arryn, proprio coem sperava, e una da Approdo del Re. Non vedeva l'ora di leggerne il contenuto.
-Puoi andare, ragazzo.- Fece un cenno a Thorn, che si dileguò. Mentre Tommen rimaneva lì seduto, rinchiuso nel suo silenzio, la testa fra le mani e lo sguardo sulla superficie del tavolo, Tyrion aprì la prima lettera inviata dalla Valle. Il mittente era un pitttore piuttosto famoso, a cui aveva chiesto un piccolo favore -in cambio di una generosa ricompensa, s'intende. La seconda era la risposta del septon addetto agli archivi anagrafici della Valle, ad una domanda che Tyrion gli aveva fatto. La terza... la terza era la prova lampante che la sua intuizione era esatta.
-Invece io ho due buone notizie per te, Tommen.- annunciò al nipote. -Primo, so dove attaccheremo adesso, cioè a Delta delle Acque. In secondo luogo... so dove si è nascosta Sansa Stark per ben otto anni.-
Tommen, benchè il suo umore non fosse granchè migliorato, sollevò il capo. -Sansa? Davvero? E come hai fatto a scoprirlo?-
Tyrion fissò la lettera apparentemente proveniente da Approdo del Re, con un ghigno allegro. -Beh, a quanto pare lei non è mai riuscita a dimenticarsi di me. Abbiamo persino mantenuta attiva la corrispondenza, anche se me ne rendo conto soltanto adesso...-
***
Neve illibata ed incorrotta tutt'intorno, il Giardino degli Dèi di Grande Inverno. Una fanciulla molto giovane, con una lunga e morbida treccia castana lungo la schiena a raggiungere i fianchi, prega inginocchiata davanti agli occhi rossi e lacrimanti di resina, al tronco rugoso e biancastro di un albero del cuore. Poi si rende conto di essere osservata e solleva il capo, sorpresa. Si volta e lo guarda con occhi supplicanti -color del muschio, gemelli dei suoi.
-Ti prego, Jojen,- mormora, afferrandogli le spalle con l'impeto della disperazione, -ti prego, ho bisogno di te. Non puoi lasciarmi sola ad affrontare tutto questo. Io... non ce la faccio.-
È difficile rifiutarle l'aiuto che chiede: il suo viso è tremendamente simile a quello di Bran, nei tratti, nella fronte, nella linea del naso. Ed è strano vedere la riproduzione perfetta dei suoi occhi sul volto di un'altra persona. Con un po' di fantasia, la si potrebbe scambiare per una figlia loro; però chi la conosce sa che c'è troppo di Meera in lei.
Jojen sospira, irremovibile. -Mi dispiace, ma questa è una strada che devi intraprendere da sola. Non posso essere io ad aiutarti. Non sta nella natura delle cose. Lo capisci, non è vero?-
Lei tace, lo sguardo colmo d'angoscia, ma infine annuisce sconfortata. -Quello che vedo... quando dormo. È tutto reale. Non si tratta di semplici sogni. Però io cosa dovrei farmene, adesso? Cercare di cambiare il futuro sembra una follia, ma non c'è altro scopo... vedo tutte queste cose per un motivo, me lo sento. Sai cosa significa sentirsi impotenti in questa circostanza.-
Jojen le carezza una guancia con l'indice, cogliendo la piccola lacrima che le sta scivolando sul viso. -Tu ce la puoi fare, Levenna... Non perdere mai la fiducia in te stessa.-
L'immagine cambia. Un esercito che irrompe in una fortezza, la distruzione, sangue, urla, morte. Una porta si apre ed una figura si volta di scatto. Cambia ancora. Una ragazza dai lunghi riccioli dorati stringe una spada con entrambe le mani, goffamente, ma c'è desiderio di uccidere nei suoi occhi verdi. Il baluginio della lama che fende l'aria. I contorni dell'immagine sbiadiscono e si distorcono fino a disgregare il soggetto. Fiamme. Un mare di fiamme sommerge la sua vista, una pira, e c'è qualcuno al di sopra di essa... qualcuno...
Jojen spalancò gli occhi, nel buio della notte. Nessuno era ancora sveglio per udire il suo respiro concitato. Chinò la testa a guardare le proprie mani tremanti afferrate al lenzuolo. Allora è così che andrà. Ne aveva sempre avuto il presentimento, dopotutto.
Si alzò dal letto e si vestì in silenzio, lanciando talvolta qualche occhiata al volto assopito ed immobile di Bran sul cuscino, nascosto dalle coperte fino al mento. Non si sveglierà, lo sai già. Non deve svegliarsi. È assolutamente cruciale che non lo faccia. Jojen si allacciò il lungo mantello verde sotto il mento e si chiese se gli servisse dell'altro: lo sguardo cadde su un corto pugnale, facile da nascondere, che Bran teneva sempre su un tavolinetto accanto al letto, in caso di emergenza. Lo lasciò scivolare con noncuranza in una delle numerosa tasche interne del mantello.
Si chiese se il suo re sarebbe mai stato capace di perdonarlo. Affinchè egli potesse farlo, Jojen avrebbe dovuto raccontargli, dimostrare, spiegare cos'era stata la vita per lui dopo quel risveglio dalla febbre grigia, a partire dal quale il mondo aveva spesso di stupirlo; non c'è tempo, sussurrava il dovere con voce fievole, occhi inclementi e mano di marmo sulla sua spalla. Non c'è tempo, concordò Jojen stancamente. Sorrise, pensando a quanto difficile era stato fingere con Bran che Jojen Reed non fosse capace di dolore, incertezze e turbamento. Se anche il suo scoglio avesse avuto una precarietà potenziale, infatti, il giovane Stark non avrebbe più voluto crederci. Buona notte, che questa sia una buona notte, come tutte quelle a venire. Buonanotte, Brandon.
Dopo avergli concesso un ultimo, lungo sguardo, Jojen scostò i lembi della tenda e si espose all'intemperanza dell'aria notturna. Presto tutto gli sarà chiaro, fu l'ultimo pensiero che gli dedicò. Salutandolo non lo aveva chiamato Maestà: un vero peccato, che Bran non fosse sveglio per farglielo notare.
Jojen percorse l'accampamento fino a trovare la tenda di Edmure Tully. Alle guardie che la sorvegliavano:
-Devo parlare con lord Tully, adesso.- disse. -Si tratta di un'emergenza.-
Dapprima gli uomini erano titubanti, ma poi lo riconobbero e lo lasciarono passare: se il veggente diceva ch'era un'emergenza, doveva per forza esserlo.
Edmure fu svegliato da dei cortesi ma insistenti colpetti sulla spalla. -Chi diamine...?!- bofonchiò fra sè. Quando aprì gli occhi, Jojen Reed era in piedi accanto al suo letto.
-Chiedo venia per il risveglio improvviso, ma ho avuto una visione. Dobbiamo partire subito.- decretò senza preamboli. Edmure si passò una mano fra i capelli scarmigliati, smarrito.
-E perchè non vai a riferirlo a Bran?-
-Perchè è tua la casa che i Lannister hanno intenzione di incendiare. Proprio così, la loro prossima meta è Delta delle Acque. Se partiamo adesso avremo un vantaggio di almeno una giornata su di loro.- spiegò, ma non fece nemmeno in tempo a finire. Edmure era già balzato in piedi.
-Partiamo? Significa che verrai con me?-
-Io e almeno duecentocinquanta dei tuoi uomini.- precisò Jojen. -Non posso fare altrimenti, mio signore. Se non venissi, non potrei aggiornarti in tempo sugli spostamenti dei Lannister, nè sulle direzioni da cui hanno intenzione di attaccare.-
-Non dire altro, ho capito.- si affrettò a fermarlo Edmure, concitato, infilandosi frettolosamente un farsetto. -Aspetta un momento, Bran lo sa?-
-Non c'è tempo.- ripetè il ragazzo, cupo. -No, non lo sa.- Ed è proprio per questo, pensò, che il piano riuscirà.
















 



















Note dell'Autrice: Buon primo dell'anno a tutti! Eccomi qua con il nuovo capitolo, stracolmo di novità. Come vedete, i Frey hanno fatto proprio una brutta fine...
Edmure e Jojen partono per una spedizione in salvataggio di Delta delle Acque, all'insaputa di Bran. Ci riusciranno, oppure i Lannister avranno la meglio? Tyrion ha scoperto forse dove si trova Sansa? E che cosa farà? E dove andrà Yara con Theon per fuggire dalla follia di Ramsay? Spero di poter postare presto il prossimo capitolo per soddisfare le vostre curiosità!
Lucy
  
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