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Autore: GattaMatta    23/05/2008    0 recensioni
Un'esplosione e la sottile barriera tra due mondi si spezza... ma basterà davvero per mettere fine ad una vera amicizia?? Amore, conflitti, malintesi, battaglie e... un bel pizzico di superficiale quotidianità!
Genere: Demenziale, Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un raggio di sole, attraverso la finestra, cadeva perpendicolarmente sul cuscino e le tende ondeggiavano lievemente nella brezza proveniente dal mare. L’estate era ormai finita, ma l'autunno era particolarmente clemente quell'anno, e continuava a regalare magnifiche giornate, con un cielo limpido e terso e la temperatura ottimale per starsene in giro a bighellonare o semplicemente starsene all'ombra ad ammirare le chiome degli alberi tinte di tutte le sfumature di rosso e arancio e il mare che scintillava all'orizzonte. Faceva ancora abbastanza caldo da consentire di tenere le imposte aperte anche di notte. E tutti lo facevano con la massima tranquillità: nessuno temeva una visita indesiderata di qualche ladro, almeno non nel piccolo villaggio di Freiad Teru, dove si potevano lasciare le sedie a sdraio sul marciapiede per tutta l’estate senza che nessuno le toccasse. Magari a volte era proprio quello, l'inconveniente dei minuscoli paesini dispersi nella campagna, che tutti si conoscevano o erano imparentati tra loro e le voci si spargevano in un batter d'occhio. La sveglia stava per suonare, ma lei già sapeva che non le sarebbe servita a molto, perché era già sveglia da qualche minuto, intenta ad assaporare ancora per poco il calore tiepido sotto le coperte. Tutte le mattine, per qualche i perscrutabile ragione, si svegliava sempre qualche minuto prima che la sveglia suonasse e sua madre attribuiva questa sua abitudine allo stress scolastico. “Tu ti preoccupi troppo, Nian.” Le aveva detto pochi giorni prima. La sua gemella Idril invece aspettava sempre l’ultimo minuto per alzarsi. Dormiva fino all’ultimo, per poi sussultare al suono della sveglia e cominciare ad inveire contro di essa. Nian si preparò: a momenti l’avrebbe sentita. La sveglia trillò sul comodino, e lei allungò prontamente un braccio per spegnerla. Nella stanza accanto si sentì un tonfo e un grido soffocato, seguito da una serie di furiose imprecazioni. Nian non aveva bisogno di andare a controllare per sapere cosa era successo: come al solito Idril, ancora imbastita dal sonno, doveva essere caduta dal letto nel tentativo di spegnere la sveglia e nell’alzarsi aveva picchiato l’alluce contro lo spigolo del comodino. Emerse dal grovigli di coperte e andò a bussare lievemente alla porta che metteva in comunicazione le loro stanze. “Idril, tutto bene?” “No!” Esclamò la voce soffocata di sua sorella. "Il ghiaccio è sempre nello stesso posto." Nian indossò la divisa scolastica nera e bianca e scese in cucina. Era una ragazza di sedici anni e frequentava la scuola superiore di Freiad Teru, aveva i capelli biondi che le arrivavano alle spalle e luminosi occhi verdi. Osservò soddisfatta il proprio riflesso nello specchio dell'ingresso: era alta quasi come sua madre, l’avrebbe raggiunta presto in altezza. Era orgogliosa di essere simile a lei, che, per avere già partorito tre figli, era ancora una bella donna e alcuni la passavano addirittura per sua sorella maggiore. Assieme al marito e al cognato lavorava come biologa in un laboratorio-osservatorio inerpicato sulla collina che sovrastava il villaggio, non molto lontana da casa. Lei e il padre di Nian si erano conosciuti all’università e si erano innamorati subito, nonostante lui fosse all’ultimo anno e lei appena al secondo e quel laboratorio di ricerca, che avevano messo su insieme con tanti sacrifici da parte di entrambi e delle rispettive famiglie, rappresentava un po’ la storia del loro amore. Suo padre aveva una vera e propria passione per raccontare quella storia, Nian lo trovava molto romantico e si chiedeva ogni volta se anche a lei sarebbe capitata una cosa simile, Idril sbadigliava. In cucina trovò solamente Bernard, il grosso orso bianco che suo padre aveva adottato quando era ancora un cucciolo che aveva appena perso la madre; da allora erano passati quasi diciassette anni e Bernard era cresciuto, ma continuava comunque a seguire ovunque, anche al lavoro, il suo padre adottivo. Nian lo considerava come una specie di fratello maggiore e doveva ammettere che in confronto al suo vero fratello era molto più maturo. “Mamma e papà sono al lavoro, vero?” Chiese Nian versandosi un po’ di succo e sedendosi di fronte a lui. Il grosso orso mosse il testone bianco in un cenno d'assenso e le porse un pezzetto di carta. Nian lo scorse velocemente e sospirò. “Sembra che abbiano scoperto qualche cosa su Ulfktaag e sono andati via di corsa. Oh, no... la mamma ha lasciato scritto che per pranzo c’è qualcosa dalla cena di ieri da riscaldare. Uffa, non ne posso più di mangiare tutti i giorni tacchino. Pensi che ne siano rimasti ancora molti in tutta Thyrysh?” Bernard scrollò le spalle. “Bè, se facciamo cucinare Idril ci sono buone probabilità che lo faccia bruciare. Se non altro sventeremo la minaccia del tacchino e alla mamma diremo che è stato un incidente.” Finalmente arrivò anche sua sorella. La mattina era sempre scontrosa e le sporadiche conversazioni tra loro non erano particolarmente edificanti. Idril arrivò zoppicando leggermente e la sua espressione dissuase Nian dal fare domande. Si sedette davanti a lei e ancora una volta Nian ebbe l’impressione di guardarsi allo specchio. Nonostante fisicamente fossero esattamente identiche, i loro caratteri erano diametralmente opposti: Idril era molto spigliata ed estroversa (una volta, a tavola, aveva stritolato un bicchiere tanto forte da romperlo) e amava stare sempre al centro dell’attenzione. Solitamente, sia a scuola che per le strade del villaggio, era solita scorrazzare sempre in compagnia del solito gruppetto di amiche ma non si faceva troppi problemi a socializzare anche con le persone che non conosceva. Invece Nian detestava i discorsi frivoli e superficiali della maggior parte delle sue coetanee ed era più introversa e riservata, anche se questa non significava che sapesse difendersi a parole, quando voleva sapeva essere veloce e tagliente almeno quanto la sua spada. A scuola sfuggiva ai gruppetti di ragazze che rumoreggiavano come uno stormo di gazze, preferendo la compagnia di pochi amici scelti. Dopo qualche minuto si rese conto che all’appello mancava suo fratello maggiore, e corse al piano superiore pregustando la sua vendetta per il giorno prima… aprì la porta e si avvicinò di soppiatto chinandosi su di lui. Felm dormiva con un largo sorriso stampato sulla faccia e con il cuscino stretto tra le braccia. “Uuuaaaahh!!!” Gli saltò addosso svegliandolo in una maniera così brutale che si mise ad urlare anche lui, però urlandole dietro tanti di quei termini che è meglio non ripetere… “Ma che cosa ti salta in mente deficiente, ti sembra il caso di fare certe cose al mattino, stavo facendo anche un bellissimo sogno…” Sbottò imbronciato lanciandole il cuscino. “Per caso centrava Rika?” Ghignò Nian afferrandolo al volo. Suo fratello si riscosse dalla sorpresa alla velocità della luce e rispose, cercando di darsi un contegno: “E anche se fosse? Per tua informazione ho il diritto di sognare quello che voglio, a meno la legge non sia cambiata a mia insaputa…” “Si, si va bene, scusa.” Disse Nian sedendosi sul letto. “Mi puoi dire almeno se era interessante?” “Oh bè, certi sogni sono vietati ai minori...” “Ma anche tu sei minorenne.” Rispose prontamente Nian. “Ma sentila! Sono pur sempre più grande, quindi ho più diritto a certi sogni rispetto a te.” Qui discorso venne interrotto dall’intervento di Bernard che comunicò loro che se continuavano così avrebbero fatto tardi. senza tanti complimenti. Anche Felm e Idril frequentavano la scuola superiore del villaggio. Felm era il fratello maggiore di Nian, capelli corti castano scuro e occhi chiari, alto e dinoccolato e aveva due anni in più di Nian e Idril. Nello stesso momento, anche l’antica foresta si stava ridestando, mentre tutte le creature che la popolavano si preparavano ad affrontare il nuovo giorno: gli scoiattoli saltavano agilmente di ramo in ramo, gli uccelli cantavano per salutare il sole, timidi cervi scendevano al ruscello per bere. All’improvviso, tutti i piccoli rumori vennero sovrastati da un terribile ululato che fece ammutolire tutti gli animali che si dileguarono in fretta, lasciando la foresta nel silenzio più cupo, un silenzio di attesa. Un secondo ululato in risposta al primo squarciò l’irreale silenzio. Un attimo dopo richiami e risposte echeggiavano per tutta la foresta, in un cupo coro di ululati che si sovrapponevano e si scontravano, rimbalzando di albero in albero, ogni singola foglia o la più fragile ragnatela vibrava di quel suono lugubre e affascinante al tempo stesso. Il branco di lupi si faceva largo attraverso l’oscurità impenetrabile della foresta, di ritorno dalla caccia notturna. Avevano accerchiato e ucciso due giovani cervi che ora due membri del branco stavano trascinando per le zampe posteriori. Gli alberi cominciavano a diradarsi mostrando a tratti sprazzi di cielo mattutino, finché i demoni non arrivarono ad una piccola radura dove gli alberi formavano un semi-cerchio attorno al fianco della montagna e, nella ruvida roccia si apriva una profonda caverna che si perdeva nel buio. A conferire alla radura un aspetto tetro erano scheletri spolpati di ogni sorta che giacevano scompostamente in mezzo all'erba, tra i tronchi abbattuti. Assieme a tutti i ragazzi del clan, dagli alberi scuri emerse la figura slanciata di una ragazzina di sedici anni che, al contrario di tutti gli altri, non sembrava affatto stanca. Era ancora elettrizzata dalla caccia notturna, adorava quella sensazione di tensione che precedeva l’attacco, i battiti del cuore che acceleravano, i muscoli che si contraevano e tutti i sensi all’erta. Era semplicemente meraviglioso. Saltò agilmente sul ramo di una quercia, facendo piovere una miriade di goccioline di rugiada sulla testa dei suoi fratelli Goshy e Key. “Ahah! Ci cascate sempre, voi due! E’ troppo divertente!” “Davvero divertente, mocciosa.” Latrò uno. “Si, Hitoe, vieni giù, ti dobbiamo ringraziare!” Gli fece eco l'altro. La afferrarono per una gamba e la tirarono giù dal ramo, dopodiché si scrollarono l’acqua di dosso, inzuppandola da capo a piedi. “Ehi! No, dai, era solo uno scherzo!” Protestò Hitoe, cercando di ripararsi. Tutto il branco si voltò tra il divertito e l’esasperato per assistere alla scena. Kiosho, il capo branco, non staccava gli occhi da Hitoe: finalmente aveva un pretesto per guardarla, e non ci avrebbe rinunciato così facilmente. Non c’era nulla da fare: quella lupacchiotta infiammava irrimediabilmente le sue fantasie erotiche, qualsiasi cosa stesse facendo; anche in quel momento, mentre lei si divincolava dalla presa degli altri due, non riusciva a fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato godurioso leccare tutte quelle goccioline d’acqua che le imperlavano la pelle, le sue mani fremevano dal desiderio di toccarla... di toccare la sua pelle vellutata, di scivolare sul suo corpo morbido e flessuoso, di accarezzare i suoi lunghi capelli neri, la sua bocca... i suoi occhi viola gli trapassavano il cuore da parte a parte ogni volta che il suo sguardo timido indugiava verso di lui. Hitoe si accorse del suo sguardo e arrossì, affrettandosi a liberarsi dalla stretta dei fratelli e prendendo in braccio la sua cucciola Rioko. Tutto come al solito: Kiosho la corteggiava e lei si ostinava a rifiutarlo; erano anni ormai che quella storia andava avanti. Tutti entrarono nella grotta sbadigliando e stiracchiandosi, per riposare un po’ dopo l’inseguimento di quella notte. La tana aveva il soffitto piuttosto basso e si sviluppava perlopiù in lunghezza, all'interno della montagna; a terra erano ammucchiati vari oggetti: lance e spade dall'aria letale, morbide pelli, ossa spolpate e i resti anneriti di qualche focolare. Hitoe non aveva nessuna voglia di dormire; dormire era noioso, senza contare che nel suo attuale stato era uno spreco: era così piena di energia che avrebbe potuto attraversare due volte l'intera foresta di corsa. Decise di scendere al villaggio anche se, lo sapeva bene imparandolo a sue spese, non era bene accetta tra quella gente civile. I lupi erano temuti e odiati da tutti a causa del loro temperamento aggressivo e crudele. Ogni branco viveva all’interno del proprio territorio, ma ciò non gli impediva di attaccare con inaudita violenza i villaggi circostanti, uccidendo senza pietà e compiendo terribili e ingiustificati massacri. Ma in fondo, almeno secondo la loro mentalità, non c’era nulla di strano: era più che normale che i più forti sottomettessero i più deboli e chi non era in grado di difendersi era destinato a morire tra le fauci dei lupi. Hitoe conosceva benissimo le voci che giravano sul loro conto, giù al villaggio di Freiad Teru e anche se doveva ammettere che alcune avevano un fondo di verità, per la maggior parte si trattava di credenze popolari alimentate dalla paura e dai pregiudizi. In realtà, a causa del profondo odio che provavano nei loro confronti gli abitanti del villaggio non conoscevano i lupi per quello che erano in realtà: una razza antica per cui il branco era la cosa essenziale, attorno a cui ruotava la loro stessa esistenza. All’interno del branco si viveva come in una grande famiglia dove ciascun membro era definito “fratello” o “sorella” indipendentemente dai vincoli di sangue, il branco era guidato da un unico capo che ciascun membro aveva il dovere di servire. Ma la cosa più importante era la profonda solidarietà che intercorreva tra di loro: una solidarietà che gli avrebbe consentito anche di affrontare l’esercitò più potente senza troppi problemi, si fidavano ciecamente l’uno dell’altro e sapevano che nessun ferito sarebbe stato lasciato indietro. Hitoe si diresse silenziosamente all’ingresso della caverna, anche se l’impresa si stava dimostrando davvero ardua dal momento che tutti si erano sdraiati per tutta la grotta non curanti del passaggio. La sua lupacchiotta, Rioko, fece per seguirla tutta felice, saltando da uno stomaco all’altro, ma Hitoe si girò e le disse distrattamente: “Sai bene che non puoi venire Rioko. Se farai la brava, dopo ti porto qualche cosa da mangiare, va bene?” Le accarezzo la testa e la lupacchiotta soddisfatta tornò trotterellando dentro la grotta. Mentre vagabondava senza meta per le strade del villaggio, Hitoe avvertiva su di sè gli sguardi malevoli delle persone, della consueta agitazione che immancabilmente accompagnava il suo arrivo. Gli uomini correvano a prendere qualsiasi cosa potesse servire come arma, rastrelli, falci, vecchie spade, le madri radunavano in fretta e furia i bambini sparsi per la strada e li chiamavano in casa e tutti confabulavano a bassa voce, ma non abbastanza per il suo udito sviluppatissimo: “E’ meglio tenerla d’occhio, quella...” “E’ solo una ragazzina...” “...Gli altri hanno davvero fatto un ottimo lavoro con lei... dobbiamo stare attenti, sarebbe in grado di tagliarci la gola...” Hitoe ascoltava soddisfatta i loro cupi mormorii, respirando il loro odio come ossigeno. La loro aperta ostilità le avrebbe dato un ulteriore motivo per impegnarsi maggiormente nel prossimo massacro. Loro la odiavano, per quello che era e per quello che faceva, lei rispondeva, se possibile, con un odio ancora maggiore. La grande distesa azzurra dell'oceano scintillava in fondo alla via, portando l'odore dell'acqua salmastra fino a lei. All’interno del branco Hitoe era l’unica ragazza e per giunta la più giovane, per cui a volte i suoi fratelli erano fin troppo protettivi con lei, nonostante altre la lasciassero completamente allo sbaraglio. Per di più avevano il sangue piuttosto caldo, specialmente quando bevevano fino ad ubriacarsi. Crescendo in un ambiente simile non c'era poi da stupirsi se Hitoe era cresciuta in quel modo: aggressiva, sboccata, sprezzante verso qualsiasi persona al di fuori del branco, una abilissima guerriera senza scrupoli, dai nervi d'acciaio e dai movimenti aggraziati e letali. Per la sua età aveva visto più battaglie che un soldato professionista. Ad un tratto, girando un angolo sentì un odore invitante provenire da non lontano, seguendo la scia del profumo girò l’angolo e, alzando la testa vide un grosso pezzo di carne appeso a seccare. Si guardò intorno: le strade si erano svuotate non appena l’avevano vista arrivare e nessuno stava a pensare alla cena quando c’era in giro un lupo. Rapidamente allungò le mani per prenderla ma, proprio mentre staccava la carne dal gancio di metallo, le giunse un odore familiare, un odore che le fece digrignare le zanne e rizzare i peli della coda: Maqun. Maqun era un cacciatore di taglie, mestiere per il quale era richiesta una buona dose di coraggio, o forse di incoscienza. Diversi cacciatori di taglie si erano specializzati nella caccia ai lupi, cercando di catturarli per riscuotere sonanti ricompense. Inutile dire che il più delle volte il cacciatore spariva misteriosamente e i suoi resti venivano rinvenuti in qualche pozzo dopo settimane. Maqun era molto apprezzato al villaggio e nonostante fosse tra i più giovani, aveva già una importante carriera alle spalle, che andava dalla cattura del pericoloso quanto famoso vampiro Creed Kylion, all’arresto dei piccoli delinquenti di paese. Le si pose davanti, con aria trionfante. “Colta in flagrante eh, ragazza lupo?” Hitoe ringhiò di rimando, l’istinto le suggeriva di piantargli le zanne nella gola, di lasciarlo li a morire come un miserabile con il sangue che sgorgava a fiotti... ma le lame avvelenate che pendevano dalla cintura del cacciatore la dissuasero dal suo proposito. Abbandonò la bistecca e scappò via; mentre correva leggera e velocissima si girò indietro e vide che il ragazzo la inseguiva. “E’ inutile che scappi…la tua bella coda andrà ad adornare il mio mantello da guerra!” Hitoe accelerò. Ma quanto era ostinato quel Maqun? Lei era molto più veloce, il cacciatore non poteva sperare di raggiungerla in velocità a meno che... la sua vera intenzione fosse quella di spingerla in una trappola, presumibilmente un vicolo cieco. Forse contava sul fatto che in un corpo a corpo lui sarebbe stato avvantaggiato, essendo decisamente più massiccio di lei. Per quanto mordace, catturare una ragazzina sprovvista anche dell'armatura sarebbe stato un gioco da ragazzi. -Che trappola stupida! Qui mi si sottovaluta!- La ragazza si infilò astutamente dentro un grosso barile per nascondersi, sperando che l’odore del vino che aveva contenuto celasse il suo odore. Per fortuna Maqun non poteva affidarsi all'olfatto come lei. In quel momento Nian correva per la strada diretta a scuola mentre Idril e Felm erano rimasti indietro, la prima a fissare con aria estatica la vetrina di una boutique, l’altro aveva incontrato la propria ragazza e ovviamente preferiva fare la strada con lei. Nonostante la fretta, la ragazza si fermò improvvisamente, vedendo il guizzo di una folta coda candida e andando quasi a sbattere contro un Maqun decisamente trafelato. Come tutti sapevano, il ragazzo era piuttosto interessato a lei ma non da venire meno ai suoi doveri. “Nian, scusa, ti stavo finendo addosso... tutto bene?" “Maqun, ciao... si tutto ok... ehm, sei in servizio?” Chiese Nian. “Si, infatti... senti, non è che hai visto un lupo venire in questa direzione? Una ragazzina con i capelli neri... non so, dovrebbe avere pressappoco la tua età...” “Un… lupo?” Ripeté Antinea “...Si, l’ho vista…” Hitoe ringhiò silenziosamente, tenendosi pronta a saltare fuori non appena Maqun si sarebbe avvicinato al suo nascondiglio. “Davvero? E sai dirmi in che direzione è andata?” Proseguì ansioso Maqun. “E’ andata… da quella parte…” Rispose Nian indicando lo stretto vicolo che svoltava a destra. “Grazie tante! Ci vediamo!” Maqun la salutò con un inchino frettoloso e corse nella direzione indicata da Nian. Lei lo guardò allontanarsi, chiedendosi cosa le era preso, così all’improvviso. Si girò verso il barile e disse incerta: “Puoi uscire adesso, se n’é andato…” Non ottenne risposta, così si avvicinò, esitante. “Avanti, lo so che sei lì dentro.” L’unico rumore fu lo sbattere di una porta in lontananza. “Bè, se vuoi rimanere lì dentro non c’è problema per me, ma se io fossi in te starei attenta ai vapori dell’alcool. Non c’è bisogno che mi ringrazi, non so nemmeno perché l’ho fatto... stress scolastico, suppongo... si, bè... allora... addio...” Nian iniziò ad allontanarsi, quando, alle sue spalle una voce la raggiunse: “Aspetta!" Si voltò sorpresa. “Perché l’hai fatto?” Una ragazza magra, con i capelli neri, la fissava con arroganza, in piedi sulla cima della botte, le braccia incrociate sul petto e l’espressione risentita. Indossava un corsetto di pelle nero e sempre della stessa foggia, delle culotte. La sua coda bianca e folta era tesa in segno di minaccia. “Scusa se ti ho appena salvato la vita.” Ribattè Nian gelida. “Razza di ingrata! La prossima volta ci penserò due volte, prima di aiutare uno di voi!” E disse "voi" in tono tanto sprezzante che anche Hitoe avrebbe imparato qualcosa. La ragazza sembrò rimanere spiazzata per un attimo di fronte al suo atteggiamento. Perché diavolo non aveva paura di lei come tutti gli altri? Perché sosteneva il suo sguardo senza abbassarlo? Perché...? “Ehi, non fare tanto la superiore, me la sarei cavata comunque! E poi ti ho solo chiesto perché mi hai aiutata.” “Ah davvero?” Sbottò Nian. “Bè, non lo so nemmeno io perché ti ho aiutata! Probabilmente si tratta solo di una delle molteplici forme sotto cui si manifesta il mio stress scolastico. O forse mi aspettavo che anche un essere come te sapesse mostrare un minimo di gratitudine verso uno che gli ha appena salvato la vita!” "Io non ti ho mai chiesto nulla." Ribattè la ragazza testarda. Cos'è che rendeva quella biondina tanto sicura di sè? Perché non era come gli altri? Hitoe giocava con il terrore che incuteva poiché le dava un certo vantaggio, ma con lei non funzionava! La disprezzava certo, ma... e ora le voltava addirittura le spalle! "Ehi! Dove stai andando?" Le gridò dietro furiosa. "Scusa ma non ho tempo da perdere con una presuntuosa come te. Addio!" E detto questo, le voltò nuovamente le spalle con un gesto deciso e corse via lasciandola lì, sola e arrabbiata. Ancora non sapeva che conseguenze avrebbe avuto quell'incontro in futuro, anzi a dire il vero davanti ai cancelli, con la prospettiva di un altra impegnativa giornata scolastica, se n'era già dimenticata. Arrivò di corsa al cancello in ferro battuto della scuola e lo varcò appena in tempo, perchè già si stava chiudendo. -Accidenti agli incantesimi anti-ritardo!- Pensò stizzita, cercando di liberare l'orlo della divisa scolastica impigliato nel cancello. "Vuoi una mano?" Alzò lo sguardo e riconobbe la sua compagna di banco. "Iko! Si grazie." Unendo gli sforzi riuscirono a liberare anche l'ultimo pezzetto di stoffa nera dalla morsa metallica, e proprio in quel momento suonò la campanella e dovettero correre in classe. Quasi subito le apparve evidente che quella giornata avrebbe messo a dura prova i suoi nervi. Sguardo malevolo, sorrisetto mellifluo. Davanti a lei, a braccia conserte, stava il ragazzo più odioso che Nian avesse mai conosciuto ed evidentemente la cosa era reciproca perchè da sempre, per quanto andasse indietro con la mente, nella sua carriera scolastica non riusciva a ricordare alcun periodo senza gli sgarbi del suo acerrimo nemico. "Sakatroky." Lo salutò gelida Nian, mentre lo sguardo esasperato di Iko andava dall'uno all'altra. "Ciao, secchiona." Replicò lui calmo. “Stai ostruendo il passaggio. Non nego che questo mi disturbi alquanto.” “Cosa c’è, secchiona? Oggi non c’è il tuo caro fratellino a difenderti?” “Fammi passare, Sakatroky!” “Altrimenti cosa mi fai? Mi picchi?" E scoppiò in una risata sprezzante. Nian mosse fulminea il polso, ma Iko la fermò, categorica. "No! Nian, non farlo. E tu Sakatroky, lasciaci passare. Passeremo dei guai se ci scoprono." Sakatroky si fece da parte, non senza lanciarle uno sguardo sprezzante. Nian inspirò per calmarsi, e fece per seguire l'amica, a testa alta, quando l'odiata voce la raggiunse. "Scappa pure, donna vigliacca!" Si voltò all'istante, di scatto. Aveva appena toccato un nervo scoperto. Nian era estremamente sensibile all'argomento. “Sakatroky, sai cosa? Crepa!” Ribatté furiosa. “Ah, a parole sei brava, e se invece ti dicessi che per quanto riguarda i fatti, tu non sei nemmeno coraggiosa come sembra?” “Cosa vorresti insinuare stupido essere ripugnante?” “Scommetto quello che vuoi che non riusciresti ad andare nella Foresta Oscura.” “Non è la dimora dei lupi?” Chiese Nian, con un sorriso divertito, godendosi l'espressione contrariata dipinta sull'odiato volto. Dentro di lei il suo stomaco si contorse spiacevolmente, come se avesse spiccato un balzo. La foresta no... qualsiasi cosa ma la foresta no... “Tu pensi seriamente che un paio di lupi spelacchiati mi facciano paura?” “Bè, sicuramente non ti farebbero ridere. Ad ogni modo facciamo così, io scommetto…” Nian stava tornando a casa sfinita, di ritorno dalla scuola, furiosa con se stessa. Perché non riusciva mai a stare zitta? perchè doveva sempre essere così orgogliosa? Aveva decisamente il morale a terra, non sapeva che cosa le era preso ad accettare una simile scommessa, era assurdo, non ricordava nemmeno come c’era finita in quella situazione. Andare nella foresta? E rimanerci per tutta la notte? Era un suicidio. Sulla foresta si raccontavano cose terribili, e tutti cercavano di tenersene il più lontano possibile. Secondo l'idea progressista in voga all'epoca, i boschi erano luoghi di perdizione e di morte, adatti solo ad ospitare fiere, briganti e malvagi e non avevano niente a che fare con le città linde e ordinate, abitate da gente civile e ricche di comodità. A prescindere dai lupi, era l'intera foresta a emanare una inquietante aura di malvagità, come fosse un unico gigantesco essere malvagio; alcuni presupponevano si trattasse di uno degli ultimi demoni delle ere antiche, ma questa ipotesi non aveva mai trovato un fondamento. Ma se davvero le cose stavano così, se davvero la foresta dei lupi era un demone delle ere antiche assopito non aveva alcuna voglia di farsi due passi sulla sua schiena. E ancora meno voleva incontrare i lupi, forse persino più pericolosi. L'appuntamento era a mezzanotte, sul ponte alla fine del villaggio, Sakatroky l'avrebbe accompagnata fino al limitare della foresta per assicurarsi che Nian rispettasse i patti ma lei sapeva che non si sarebbe tirata indietro in ogni caso. Aveva dato la sua parola e a quel punto non poteva tornare indietro. Era una situazione senza via d'uscita, da una parte la vita, dall'altra l'orgoglio. Poteva scegliere di non presentarsi, ma poi come avrebbe trovato il coraggio di incrociare lo sguardo impertinente di Sakatroky? Appena arrivata in casa salì di corsa in camera sua e dal fondo dell'armadio, estrasse il suo pugnale. Lo sguainò dal suo piccolo fodero in cuoio e ammirò i riflessi creati dalla luce sulla lama d'acciaio. L'aveva vinto a un duello, quando era ancora una bambina, ma era un arma notevole. Non l’aveva mai usata per uccidere qualcosa, né aveva mai pensato ad usarla se non per difendersi. Ammirò i fregi finemente intagliati sulla lama per quella che sembrò un’eternità: cercò di immaginare cosa provavano i lupi ogni volta che uccidevano qualcuno. Il pensiero le faceva accapponare la pelle. Nian si era ritirata nella sua camera dicendo che doveva studiare per un compito in classe, aveva chiuso la porta a chiave e, dopo aver riempito la borsa con lo stretto necessario, si era calata dalla finestra, cercando di evitare il minimo rumore. Era andato tutto sorprendentemente liscio, ma la cosa non la rendeva particolarmente felice; aveva quasi sperato di essere scoperta, l’avrebbero rimproverata, certo, ma poi i suoi genitori avrebbero attribuito il suo gesto al famoso stress da scuola e l’avrebbero perdonata con una tazza di cioccolata calda e tutto sarebbe finito lì. Le strade erano deserte e silenziose, unico rumore in sottofondo il lontano ruggito della risacca sulla spiaggia. Doveva andare nella direzione opposta. Senza i soliti rumori dei carri, le grida dei bambini che correvano sulla via principale e il brusio delle persone che svolgevano le loro attività quotidiane Freiad Teru sembrava quasi una città fantasma, bagnata dalla luce argentea di una luna piena sospesa sul velluto nero del cielo. Prima di poter cambiare idea si incamminò sulla via principale, il pugnale al fianco, un lume a petrolio in mano. Le assi scricchiolarono quando iniziò a percorrere il ponte. Nel buio sentiva il rumore del fiumiciattolo salmastro che vi scorreva sotto, continuando il suo corso lungo il perimetro del villaggio prima di sfociare nel mare. Sakatroky era appoggiato al parapetto, una lampada in mano e -Nian notò con una certa soddisfazione- l'aria piuttosto impaurita. "Eccoti qua, finalmente... pensavo avessi deciso di scappare..." Sakatroky si staccò dal parapetto e si voltò verso di lei, cercando di nascondere senza troppo successo una nota allarmata nella voce. "Aspettare al buio, tutto solo... povero piccolo, deve essere stato terribile!" Lo schernì Nian sprezzante, notando con gioia un lieve rossore arrampicarsi su per il collo del nemico. "Poche ciance secchiona." Il ragazzo si voltò seccato, indicando la sagoma nera della foresta davanti a loro. Poco prima del ponte, le case si interrompevano quasi di botto, lasciando spazio ad una breve pianura di erba alta, punteggiata da rari alberelli, che si infittivano gradualmente fino a mescolarsi a quella cupa uniformità di intricata vita vegetale che si snodava per parecchi ettari come uno sterminato esercito di giganti dormienti. Incredibile quanto quello spettacolo ti facesse sentire piccola e insignificante, pensava Nian nervosa, una volta che ne furono giunti in prossimità. Sakatroky doveva pensarla allo stesso modo, perchè sembrava avere una certa fretta di andarsene. "Ora tocca a te. Su, io non mi muovo di qui finchè non ti vedo entrare!" Nian respirò a pieni polmoni, come se stesse per tuffarsi. Niente da fare. Il nodo che aveva allo stomaco era più stretto che mai. Lanciò un'occhiata sprezzante al volto pallido di Sakatroky e si addentrò nella selva. Sotto il baldacchino di alberi era molto più buio che all’esterno. Alberi altissimi salivano in verticale come se fossero intenzionati a trapassare il cielo da parte a parte, piante secolari si intrecciavano sopra la sua testa formando trame che si perdevano nel buio. Il tappeto di foglie scricchiolava sotto i suoi piedi, mentre si guardava intorno. Di notte la foresta era inquietante, piena di suoni, sussurri, fruscii tra il fogliame. La ragazza fece qualche passo incerto, incespicando nelle tane di coniglio che costellavano il terreno e nei massi che sporgevano. Davanti a lei il terreno risaliva in una specie di china non troppo ripida. Mosse incerta la torcia, e la luce rimbalzò sulle foglie, sui tronchi nodosi. Da un ramo un grosso gufo le lanciò uno sguardo di rimprovero, ruotando la testa quasi di trecentosessanta gradi. Un improvviso frusciò alle sue spalle la pietrificò: c'era qualcuno che la osservava. Il cuore le batteva a mille. Quel silenzio la angosciava, era come se tutta la foresta stava trattenendo il respiro in attesa di qualcosa di terribile. Nian accarezzò il pugnale, pronto a usarlo. Ad un tratto, senza alcun preavviso, una mano munita di artigli la afferrò per la collottola tirandola su di peso e una voce fredda come il ghiaccio gli sibilava all’orecchio: “Ragazza, non sai che è proibito entrare nella nostra foresta?” Davanti a lei c’era un lupo dall’aria malvagia ed evidentemente ce n’era un altro che la teneva sollevata per la collottola.
  
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