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Autore: Keiko    01/01/2014    6 recensioni
"Esistono periodi bui della storia dell’uomo. In un ciclo eterno, il Bene e il Male si scontrano per avere il dominio sul Mondo. Quando la Terra viene minacciata da forze malvagie, uomini dallo spirito puro combattono per la nostra difesa. Vengono chiamati Santi, e sacrificano la propria vita per noi uomini. Per assicurarci un futuro che loro, forse, non vedranno mai.”
“E tu come li hai conosciuti nonno?"
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Pegasus Seiya
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La rabbia delle stelle'
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Le immagini si susseguono rapidamente sul monitor del televisore. A poche miglia di distanza dall'appartamento in cui si è trasferita, i Bronze Saint di Athena combattono tra loro per ottenere il Gold Cloth di Sagitter, come schiavi rinchiusi in arene romane pronti a versare sangue e vita in cambio della libertà.
Dovrebbe essere con loro, invece non si è presentata. All'appello, all'apertura della Guerra Galattica, mancavano due concorrenti: lei e Ikki di Phoenix. Ha visto l'aria stranita e al contempo sollevata di Shun, tra la gioia di sapere che suo fratello è  sopravvissuto e il terrore di doverlo sfidare in arena. Di cento bambini ne sono sopravvissuti solo undici.
Per cosa?
Per cosa sono morti, maledizione?
Stringe la stoffa del vestito tra i pugni chiusi, sino a non sentire più le dita delle mani. Saori, erede della Fondazione Kido, presiede gli scontri da dietro una paratia di vetro, un gazebo sospeso tra false stelle per una falsa dea. La riproduzione del palladio che tiene tra le mani brilla sotto i riflettori, l'aria fredda e austera, impassibile mentre gli scontri procedono sotto i suoi occhi e i ragazzi feriti vengono portati via dai medici della Fondazione. Non riesce a sopportare la vista di quel sangue versato inutilmente, le grida dei Saint e quelle di incoraggiamento del pubblico esaltato che non comprende quanto sia alta la posta in gioco.
Per tutti quanti.
Sospira portandosi le ginocchia al petto e resta a contemplare battaglie di cui non comprende il significato, perché le hanno insegnato che la guerra viene fatta contro i nemici del Tempio, non tra fratelli. Le hanno insegnato che il tradimento è punibile con la morte perché non è solo un atto dovuto ad Athena, ma a tutti i Saint morti nei secoli per proteggere la Terra. Spegne la tv prima di vedere la fine dell'incontro tra Geki e Seiya, assalita da nausea e disgusto. Sa come andrà a finire e, in ogni caso, non le interessa guardare oltre.
Lo sguardo fisso sull’apparecchio spento e attorniata dal silenzio della propria stanza, Mia ha la certezza di ciò che l'attende: l'ordine di uccidere. Solleva lo sguardo sui neon delle insegne dei locali che illuminano la strada all'esterno di mille luci colorate, come se fosse giorno. Non c'è un cielo trapunto di stelle a ricordarle che non è sola, a Tokyo, che inghiotte ogni cosa.
“Cosa devo fare?”
Lo chiede a se stessa, ma spera sia qualcun altro a risponderle, forse si aspetta che arrivi Aiolia da chissà dove e le dica cosa fare, come quando era ad Atene e aspirava soltanto a essere Saint.
Sa che non arriverà nessuno, per questo si lascia andare a un pianto liberatorio.
 
 
“Sarò io a ottenere il Gold Cloth di Sagitter. Voi siete solo dei mocciosi senza spina dorsale.”
Hyōga è spavaldo, ma ha dalla propria parte la certezza di essere l'unico ad avere ricevuto l'addestramento da un Gold Saint. L'unico, per altro, a poter lanciare colpi di alto livello senza possedere il cloth di rango più nobile. Per questo è convinto che il premio della Guerra Galattica debba essere suo.
“Che cosa hai detto? Ripetilo se hai il coraggio...”
Seiya è già sul piede di guerra e avanza di un paio di passi nella sua direzione. È così stupido, non è cambiato molto da quando si sonno visti l'ultima volta. È Shun che lo ferma, mettendosi tra loro, mentre Shiryu osserva la scena restando in disparte.
“Siete dei rammolliti. Perché hai deciso di combattere?” gli domanda il Cigno con tono distaccato e di supponenza.
“Per ritrovare mia sorella.”
Il Saint di Pegasus lo afferma senza esitazione, con orgoglio. Hyōga dovrebbe essere dalla parte di chi comprende la debolezza per un amore, ma sul suo viso affiora un sorriso di scherno. Un istante e Seiya gli è già addosso. Con una spinta lo inchioda contro il muro opposto, dopo aver scansato in malo modo Shun per estrometterlo dalla loro colluttazione.
“Allora sai tirarlo fuori il coraggio.”
“Cos'hai da ridere? Tu perché sei qui Hyōga?”
“Per avere il Cloth.”
“Per...”
“A me non interessa altro che il Cloth” puntualizza nuovamente, nel caso il Saint non abbia colto il significato delle sue parole.
Seiya lo lascia andare, guardandolo quasi avesse davanti un mostro.  
“Stai scherzando spero. Chi diavolo può...”
Il ragazzo è interrotto dall'ingresso di Jabu, e i due – di nuovo – devono fronteggiarsi prima di salire in arena.
“Perché non chiedi a lui per cosa combatte?” gli domanda il Cigno indicando il nuovo arrivato con un cenno del capo.I due si guardano con astio per diversi minuti. Il Saint di Unicorn ha il labbro spaccato e probabilmente un braccio rotto. Il suo percorso attraversa i corridoi interni dell'arena alla ricerca di un medico che lo rimetta in sesto prima del prossimo combattimento, ma deve fermarsi e dare spiegazioni a cinque dei suoi potenziali nemici. Chi sarà il suo prossimo avversario?
“Per milady.”
“Per... siete tutti impazziti per caso?” grida Seiya frustrato da risposte che non gli piacciono, che per lui rasentano la follia. La sua, alle orecchie degli altri, probabilmente ha lo stesso effetto.
“Ognuno di noi è qui per un motivo differente, e non c'è  motivo migliore o peggiore. L'unica cosa importante è il Gold Cloth di Sagitter.”
Shiryu si stacca finalmente dalla propria postazione e si fa avanti, forte della pacata aura che gli insegnamenti in Cina gli hanno conferito. Sfacciato, al pari di Hyōga o forse più, ma con la stoccata leggera di chi non si sporca le mani con chi considera inferiore.
“Si ma... siamo solo undici, gli altri?” obietta Shun cercando di mantenere il tono di voce controllato, anche se gli risulta difficile.
Hyōga gli lancia un'occhiata dura, che non lascia adito a dubbi. La domanda di Shun è legittima per chi, di fatto, non conosce la verità. Quando ha fatto ritorno a Tokyo, la prima cosa che ha chiesto a Saori Kido è stato domandarle quanti erano sopravvissuti.
Undici.
Solo e soltanto i migliori undici, di quei cento.
Al mondo, però, esistono Saint migliori di loro.
E Hyōga vuole farne parte. Hyōga, vuole affiancare Camus, Gold Saint di Aquarius e chiamarlo “compagno”, non solo “maestro”.
La seconda cosa che le ha chiesto è stata se ne valesse la pena, ma non ha ricevuto alcuna risposta.
 
 
Shiryu desidera vincere il Gold Cloth e fare ritorno a Goro Ho per affiancare il proprio Maestro.
Per rivedere Shunrei e dirle che si, ha mantenuto la promessa.
Si sono lasciati in una notte fredda, quando le piogge avevano dato tregua alla terra ma non all’animo, perché quello resta umido di un’assenza già decisa, inevitabile, che entrambi hanno sperato di non vedere arrivare mai.
I ragazzi che ha davanti sono stati amici in un tempo lontano, in una casa che non era altro che un orfanotrofio o una caserma, dove c’erano solo ordini da seguire e se eri bravo a rispettarli, vincevi il premio di essere lasciato in pace.
O tormentato e umiliato due volte, come Jabu.
Definirli amici ora è ridicolo.
Dopo dieci anni, cos’è restato?
Un viso che si sovrappone a quello di un sacco di anni prima, i difetti acuiti dall’allenamento, l’orgoglio di avercela fatta e dimostrare di valere di più.
Ancora di più.
All’esterno degli spogliatoi li raggiungono dagli spalti le grida degli spettatori, la luce abbagliante dei riflettori che li stanno mettendo al centro della vita di sconosciuti, un occhio di bue attento che desidera renderli eroi di una guerra fittizia.
Il Dragone storna lo sguardo per non perdere il profumo di ciò che lo muove in arena, quell’odore di terra bagnata e muschio che pervade le narici, l’infuso del tè verde che Shunrei prepara con attenzione accompagnando il gesto delle mani con un sorriso.
Il Gold Cloth a cosa serve?
A sentirsi il migliore tra quei cento.
A sentirsi il migliore agli occhi di Shunrei.
 
 
*
 
È tempo di tornare.
I Gold Saint che non si trovano ad Atene sono stati nuovamente convocati al Tempio di Grecia.
Il Sommo Sacerdote ha richiesto la loro presenza e non ammetterà defezioni. Da un capo all'altro del mondo, i Gold Saint si muovono in silenzio e ripartono, abbandonando le proprie vite per fare ritorno al dovere, ripercorrendo le linee di un giuramento prestato tanti anni prima, di una battaglia che già hanno combattuto insieme.
Questa sarà solo l'ennesima.
Quanto durerà la loro esistenza?
Saranno così fortunati da vedere l'alba di una nuova Pace?
 

Mu di Aries osserva il Gold Cloth di Shura di Capricorn immerso in un bagno di sangue, mentre il compagno giace privo di coscienza sul giaciglio che gli ha preparato.
“Kiki, dobbiamo fare in fretta. Non abbiamo più così tanto tempo da... be', dobbiamo sbrigarci a riparare il Cloth di Shura.”
“Dovete ripartire?”
“Ripartirà prima di me, lo raggiungerò in un secondo momento. Ho alcune cose da sbrigare ancora. Il mio viaggio è di certo più breve del suo.”
Sorride il Gold Saint, mentre il bambino si teletrasporta da una stanza all'altra alla ricerca degli attrezzi che gli occorrono per riparare il Cloth. È un dono di famiglia, il loro, e sa che un giorno il Cloth di Aries forse sarà suo. Per ora, si limitano a condividere il tetto, un dono speciale e l'amore per il tikkan masala.
 
 
In Brasile è pieno inverno, ma la differenza climatica tra le stagioni è davvero ridicola. Di certo, abituato alla temperatura torrida di Atene, il clima ventilato di Rio è un dono degli déi.
“Cos'è quella faccia scura, Aldebaran?”
Ha sposato Margherita in fretta, tra una guerra e l'altra. Si sono conosciuti durante gli anni dell'addestramento e, da Atene, Aldebaran è tornato soltanto per chiedere la sua mano. Di nuovo in periodo di pace, ha fatto ritorno a casa tra le braccia di chi ama e per accudire suo figlio. È passato troppo poco tempo perché possa già essersi tutto concluso.
“Devo rientrare ad Atene.”
La ragazza fa una smorfia e sbotta. Aldebaran la comprende, ma non può darle giustificazioni. Quando si sono sposati sapevano entrambi che la loro non sarebbe stata una vita normale, nemmeno nell'arco di mille anni.
“Ci lascerai qui? E se dovesse accaderti qualcosa io come...”
“Non accadrà nulla.”
“Non ti credo.”
“Invece si. Lo farai come sempre.”
Le posa un bacio a fior di labbra e la sente cedere a quel contatto, mentre si aggrappa a lui in un abbraccio che gli grida di non partire. Da un uomo definito un gigante non ti aspetti la dolcezza che nemmeno un uomo comune avrebbe.
Margherita non ha mai avuto paura: per questo ha vinto sul mondo intero.
 
 
Milo si culla nella pace di Rodi. Lontano da Atene, abbastanza vicino da tornare in fretta, si gode l'ultimo tramonto immerso nel silenzio di una caletta nascosta. Si chiede si Aiolia si sia mai schiodato dalla capitale negli ultimi anni, poi ricorda che no, non l'avrà di certo fatto. Ha un'allieva da crescere e una colpa – non propria – da espiare. È certo che al Tempio siano rimasti in pochi, solo chi ad Atene ha qualcosa in più da stringere che non sia solo la propria vita. A Rodi Milo ha imparato che si può ricominciare. Quando ne ha parlato a Shaka, questi si è limitato ad annuire ma senza convinzione. Certo, ha cercato l'interlocutore sbagliato, lo sa bene. Shaka è convinto che solo una vita retta e illuminata dai comandamenti del Buddha possa portare a una vita vera, nel Nirvana, da morto. Milo invece vuole prendere la vita di petto, ne ha bisogno per ricordasi che può ancora scegliere, all'occorrenza.
“Milo, posso avere lezioni di latino oggi?”
Thomàs gli si avvicina con i quaderni stretti al petto. Sull'isola, lo conoscono come un uomo di cultura, un mecenate che può permettersi di avere una casa sull'isola e una nella capitale.
“Oggi non posso. Dovrò assentarmi da Rodi per qualche tempo, per cui dovrai impegnarti nei compiti.”
“Ma mia sorella...”
Tua sorella non capirà.
“Puoi salutarla tu per me? Si tratta davvero di un'emergenza.”
Gli arruffa i capelli sul capo, poi volta le spalle a un bambino che l'attende nel tramonto e rientra verso casa.
Già, casa.
Ogni volta restare e poi dover ripartire sembra sempre più difficile.
Quando diventerà anche doloroso, e farà male anche a lui, tradirà il Tempio?
No. Arriverà il giorno in cui il Tempio non avrà più bisogno di nessuno di noi.
Non è così?
 
 
Aphrodite non ha mai lasciato Atene. Tra i bordelli della capitale è facile perdersi, così come tra i suoi vicoli, un po' tutti uguali. Della donna che ha accanto non ricorda il nome, ma non gli interessa. Nell'alcova di un corpo nuovo, inesplorato per lui, ritrova il tepore di una carezza, di un abbandonarsi all'altro. Non gli serve avere una donna al proprio fianco, gli serve che una donna lo veneri quasi fosse un dio. E le puttane lo fanno bene, specie se le paghi profumatamente. Shura non ha mai approvato, ma lui è un sentimentale. Uno di quei ragazzi vecchio stampo che desiderano una casa con una grande biblioteca, una moglie insegnante e cinque figli in scala da ordinare come una piccola squadra.
“Rose?” gli domanda la donna mentre gli sfiora il collo con le labbra, ridisegnandone la curva con il respiro.
“Non ami le rose?”
“È strano sentire questo profumo su un uomo.”
Sarebbe peggio sentirlo su una come te.
La stringe a se con più forza, premendola contro il proprio corpo. Lei sorride e schiude le labbra sulle sue. È un fiore di campo pronto a sbocciare tra le sue dita, pronto a piegarsi al volere delle sue carezze d'amante.
Ma un fiore di campo non potrà mai aspirare a essere una rosa.
Sarà sempre fiore di campo.
 
 
Camus si è spostato in Cecenia dalla Siberia. I paesi che ha attraversato sono lacerati dalla guerra, inchiodati dalla Perestrojka, imbrigliati a un governo centrale che non perdona nulla, tanto meno predisposto ad aiutare i propri cittadini. La Siberia, abbandonata a se stessa, è buona solo per diventare campo di lavoro o essere lasciata nelle mani della malavita locale. Nei paesi più a Nord, semplicemente, si vive già come se si fosse parte della fine del mondo. In Cecenia la religione musulmana obbliga le donne a portare il burqua e questo è qualcosa che Camus non concepisce, perché le donne non hanno bisogno di nascondersi per ricordare di essere devote al proprio marito. Non si è spinto sino in Cecenia per cercare risposte etiche e morali su una religione che non gli appartiene, per cultura e per scelta, ma perché ha seguito le orme di una vecchia storia. Quando Hyōga ha infranto la lastra di ghiaccio che separava Natassia dalla superficie delle acque, ha portato con se un medaglione d'oro contenente la fotografia di una famiglia felice, composta da quattro individui. Quasi obbligato, il suo allievo gli ha raccontato della sua infanzia.
“Non è un'umiliazione questa” l'ha ammonito con aria pacata, come sempre.
“Avere un patrigno appartenente alla criminalità organizzata?”
“E una sorella” puntualizza l'uomo.
“Non so nulla di lei. Non so nemmeno se sia viva ancora. Ci hanno portato in Cecenia e separati pochi giorni dopo. Avevo cinque anni, lei quattro. Forse tre.”
Chiedergli se non ricordasse null’altro sarebbe stato ridicolo. Le condizioni degli orfanotrofi russi sono tali per cui, nella migliore delle ipotesi, se ne esci torturato nello spirito ma abbastanza forte da raggiungere la maggiore età, allora puoi considerarti quasi un eroe.
Camus ha deciso quindi di mettersi sulle tracce della famiglia adottiva di Hyōga, alla ricerca delle sue radici. Trovare sua sorella, se è ancora viva, trovare qualsiasi legame che non sia una madre morta per potergli permettere di diventare un uomo.
Di quelli a cui porti rispetto solo sentendone il nome.
Come Shaka di Virgo.
Come ogni Gold Saint.
 
*
 
Marin e Aiolia attendono dinnanzi alla Quinta Casa. Il Gold Saint di Leo è irrequieto, e il Silver Saint tradisce una certa apprensione che non lo aiuta a placarsi.
“Mia se la caverà se...”
“Non è Mia il problema, Marin.”
Il suo tono è duro e costringe la ragazza a zittirsi. Non vuole ferirla, ma entrambi attendono l'ordine di agire. Sanno che è solo questione di tempo, poi il Sommo Sacerdote disporrà di loro come meglio crede. Ci sarà anche la sua allieva tra i traditori? Se lo domanda alzando lo sguardo sulla volta celeste, chiedendosi se la sua vita sarà per sempre costellata da lutti e tradimenti o se, invece, possa avere anche solo una possibilità di riscatto.
“Non tradirà il Tempio.”
“Non mi interessa sentirmi dire ciò che desidero Marin. Conosco Mia e so cos'ha nel cuore.”
“Ha troppo cuore, forse, ma non è una stupida.”
Come Seiya?
Non è certo colpa di Marin se il suo allievo non ha nemmeno l'intelligenza per comprendere che il Cloth non gli permette di fare ciò che vuole, ma solo ciò che deve.
Ti serve una guerra per capirlo?
“Il Sommo Sacerdote ha richiamato al Tempio i Gold Saint e dato ordine ai presenti di non lasciare Atene.”
“E presto darà ordine ai Silver Saint di partire per Tokyo” aggiunge Marin, già avvertita dagli spostamenti dei compagni e in attesa di ordini diretti.
“Shaina e Argor hanno lasciato il Tempio questa mattina. Mia non può riuscire a fermare ciò che sta accadendo in Giappone da sola. È fuori dalla sua portata, lo sarebbe di chiunque. Sono dieci Bronze Saint, non sarebbe uno scontro alla pari.”
“Potrebbe parlare con Seiya e...”
“Non deve parlare con Seiya, deve agire e basta. Sai cosa significa un confronto tra quei due? Mia deve tornare ad Atene e restarci, è questo il suo posto.”
Marin si volta a guardarlo ed è certo che dietro la maschera lo stia facendo con sguardo di fuoco, ma non gli importa. Un altro traditore in famiglia sarebbe l’ennesima sconfitta e non è certo di saperla gestire, nonostante siano passati sedici anni dall’ultima volta.
“Seiya non è il male, Aiolia. Questo puoi ricordarlo?”
“Ora è un problema. Per noi, per il Tempio, per Athena e per la mia allieva. Può bastare o devo continuare ad aggiungere i motivi per cui più miglia mettiamo tra noi e Seiya e meglio è per tutti?”
“No, ho capito benissimo. Il tuo problema è non avere fiducia nella tua allieva, Aiolia di Leo. Finché la crederai una ragazzina sarai tu il suo primo problema. Io sono certa che ce la farà e tu dovresti fare lo stesso. Parlare, a volte, è sufficiente. Non è necessario colpire per ferire.”
Marin non gli lascia il tempo di replicare, allontanandosi da lui senza dargli ulteriore attenzione. Non la merita, è questa la risposta della compagna.
Aiolia vorrebbe dirle che si sta sbagliando, che lui si fida della ragazzina che ha istruito. Non si fida dell’animo di donna, perché la verità è che i sentimenti non ti permettono di fare il tuo dovere ma di inseguire i tuoi desideri. Non conosce i moti del cuore, non riesce a seguirne i tracciati, le capriole e i dolori. Ha supplicato per non essere coinvolto in guerre in cui il sentimento avrebbe prevalso sulla ragione, ma ora è costretto a fare i conti con un’incognita che lui, uomo d’armi, non ha mai voluto affrontare per paura di essere sconfitto.
Perderai questa battaglia, ragazzina?
 
 
“Non è da te mostrarti lungo la scalinata del Tempio a quest'ora della notte, Death Mask. Quali pensieri ti turbano?”
“È il mio manto naturale, la notte, non il tuo Shaka. La meditazione non riesce a placare il tuo animo?”
“Le voci corrono in fretta, di bocca in bocca. Le energie si stanno muovendo rapidamente, gli eventi incalzano. Dovrei forse fingere di non avvertirne il flusso cambiare? Sei stato in udienza dal Sommo Sacerdote, sai forse qualcosa in più di noi?”
“No, perché dovrei?”
“Non è un caso che ci sia stato chiesto di non lasciare Atene. In Giappone si sta muovendo qualcosa, ma non è il nemico che attendiamo dalla nostra nascita, Death Mask. Questo lo sai anche tu.”
“I Gold Saint sono stati richiamati a proteggere il Tempio. Degli usurpatori si sono appropriati del Gold Cloth di Sagitter e utilizzano i Cloth in scontri che...”
“Cosa ci sarebbe di differente tra gli incontri in arena che si svolgono qui?”
“I Gold Cloth si trasferiscono per ereditarietà, da maestro ad allievo. Nessuno ha mai ottenuto un Gold Cloth in altro modo.”
“Sei ottuso Death Mask e non riesci mai a vedere al di là del tuo raggio d'azione. Quella è la tradizione, ma se non fosse la regola imposta da Athena? O se sul Cloth di Sagitter si stesse muovendo la volontà di Aiolos? Non dimenticare che era stato scelto per essere il nuovo Sacerdote di Atene.”
“Stai mettendo in dubbio la posizione del Sommo Sacerdote?” gli domanda il protettore della Quarta Casa ghignando sinistro.
Basterebbe così poco per tacciare chiunque di tradimento.
“Affatto. Ma ogni Cloth possiede la sua storia, come ben saprai, e la storia si scrive giorno dopo giorno, ricordalo.”
Shaka di Virgo è un conoscitore attento dell’animo umano. Sa cosa si cela dietro l’aria sfacciata del Gold Saint di Cancer, eppure non lo teme. Lo considera un individuo interessante, perché manipola energie molto vicine a un mondo che lui conosce bene, anche se ha un altro nome nella sua cultura. Vuole sapere quanto conosce il saint che gli sta dinnanzi sull’attuale posizione del Tempio, e quanto incrollabile è la sua fede. Death Mask è un fuoco che si scalda in fretta, se ravvivato nei giusti punti.
“Non mettermi tra le labbra parole che non ho proferito. Non sono Aiolos ne Aiolia. L’essere sprovveduto non è segno distintivo del Gold Saint di Virgo.”
Death Mask si arresta e lo fissa attentamente, nello sguardo la luce beffarda di una vittoria che non ha ancora contratto.
“Cosa pensi di quello che sta accadendo?”
“Dovremmo riprendere il Gold Cloth di Sagitter. Quando ritornerà ad Atene potremo attendere di nuovo il segnale di ciò che più temiamo.”
“Temi la guerra Saint di Virgo?” lo sbeffeggia il suo interlocutore, con arroganza.
“Temo la perdita della guerra, Death Mask. Non vi è memoria di una Guerra Sacra vinta dal Grande Tempio e da Athena.”
Temo che tutto si interrompa troppo in fretta e che il mondo precipiti di nuovo in secoli bui di tenebre e dolore.
Nessuno, dall’ultima sconfitta, ha più raggiunto il Nirvana.
 
 
*
 
Seiya cammina a capo chino, le mani affondate nelle tasche dei jeans e lo sguardo cupo. La zona del porto è un nido sicuro, sentirsi a casa nuovamente nonostante Atene sia a un oceano e mezzo di distanza.
“Ehi ma che diavolo…”
Le parole gli muoiono in gola quando l’ombra che si staglia dinnanzi a lui tenta di colpirlo. Non si è accorto che qualcuno lo stesse seguendo – o attendendo – assorto com’era nei propri pensieri, a cercare una scusa per levarsi dal cuore un po’ di senso di colpa. Si sposta di lato appena in tempo per schivare il colpo, portandosi con le spalle al muro dell’edificio che  stava costeggiando.
Sei un idiota, Seiya.
Non riesce a vedere il colpo successivo, quello che si schianta a pochi centimetri dal suo viso contro il muro alle sue spalle che si spacca in due, striato da una venatura che lo percorre dalle fondamenta al tetto.
Avrebbe potuto aprirlo come un panetto di burro, se solo avesse voluto.
“Che… Mia?”
Se non fosse per il riflesso della luna sui lunghi capelli e dal cosmo che ha sprigionato nel tentativo di colpirlo, non avrebbe mai immaginato fosse lei. Indossa un cappello con la visiera che le copre parte del viso e, aiutata dalla notte, forse sperava di non essere riconosciuta.
O forse non te ne fregava proprio nulla?
“Che diavolo ti è saltato in mente?”glielo ringhia contro, senza mezzi termini, avanzando di un paio di passi in modo che non possa svicolare, nonostante sappia che non lo farà.
“Saori…”
“Saori cosa?”
Qualcosa che non è istinto ma semplicemente conoscere la persona che gli sta dinnanzi, gli suggerisce che Mia non mancherà volutamente il bersaglio una seconda volta. 
Poteva colpirlo, ma non l’ha fatto. Perché?
“Mi ha detto che ritroverà Seika!”
“E tu le credi? Dio Seiya sei proprio uno stupido!”
Il tono della voce di Mia è duro, sarcastico, ed enfatizza quell’ultima parola che però – ora – ha un suono differente da tutte le altre volte in cui l’ha apostrofato allo stesso modo.
È disprezzo e a questo Seiya non era preparato.
“Senti, sapevo che te la saresti presa ma cerca di capire. Posso davvero riabbracciare mia sorella.”
“L’ha vista? Ti ha dato le prove di essersi già messa al lavoro? Di avere una pista da seguire?”
No. No. No.
“Io non me la sono presa perché mi hai lasciata come una cretina da sola ad Atene, no, perché dalla persona con cui condividi ogni giorno da dieci anni ti aspetti qualcosa in più dell’essere affidata a un tutore come fossi ancora una mocciosa. Non me la sono presa perché mi hai dimenticata, Seiya, ma perché ti sei rivelato un idiota.”
“Adesso non esagerare…”
Mia gli si avvicina ulteriormente, la distanza di un bacio.
Di uno schiaffo.
Lo fissa negli occhi, senza paura. Non indossa la maschera, ma ammette a se stesso che andarsene in giro per Tokyo a volto coperto le creerebbe forse qualche problema con le forze dell’ordine.
“Mi ha mandata il Tempio.”
È seria come non l’ha mai vista prima e questo lo intimorisce.
“Marin?”
“Il Tempio. Il Sommo Sacerdote, Seiya. Ritirati dalla Guerra Galattica e torna in Grecia, chiedi perdono e spera nella sua clemenza.”
Sembra più dolce ora, quasi gli stesse dando un consiglio.
Mi stai aiutando Mia?
“Sei… sicura?”
Che razza di domanda.
Lei annuisce con il capo allontanandosi da lui, rimettendo la distanza consona tra una sacerdotessa e un saint.
“Tu torni con me?”
Non risponde e riabbassa lo sguardo, stornandolo sulle proprie Converse rovinate.
“Non finché c’è lavoro qui a Tokyo.”
“Che cosa significa? Andiamo, non fare la…”
“Io non faccio, Seiya. Io sono. Tu sei. Siamo Saint e tu ne vai in giro a combattere per una Signora Nessuno per i tuoi scopi personali! Sai come lo chiamano questo, i Gold Saint? Tradimento.”
“Io… io… a me non interessa il Gold Cloth, a me interessa rivedere Seika!”
“Tu stai combattendo ufficialmente per il Gold Cloth di Sagitter. Ma ti sei bevuto il cervello? Lascia il torneo, Seiya.”
“Devi riportare indietro il Gold Cloth? Posso vincerlo e…”
Mia lo guarda sgranando gli occhi, poi scuote il capo sorridendo in modo amaro.
“Sei una causa persa, lo sai? Credevo fossi meno idiota e meno succube di Saori.”
“Non sono succube di nessuno!”
“Credi di non esserlo, ma non è così.”
“E tu per il Tempio cosa sei?”
Una vittima, come chiunque.
“Ho scelto di essere un Saint, proprio come te. Devi accettare che non puoi fare ciò che desideri nel momento in cui ottieni un Cloth. Ma dove hai vissuto gli ultimi dieci anni?”
“Accanto a te, in Grecia, e tu ora sembri un’invasata che non capisce che…”
“Cosa dovrei capire? Dovrei tornare in Grecia e riferire che a te del Gold Cloth non interessa nulla, ma che ti hanno promesso di rivedere tua sorella? Sai cosa accade? Che accuserebbero anche me, di tradimento, oltre a te. Lascia perdere la Guerra Galattica, Seiya, e torna indietro. L’unica cosa che puoi fare è questa.”
“E se non lo faccio?”
“Il Tempio chiederà la tua testa. E sarò io a consegnargliela.”
Seiya boccheggia, ma Mia non ha altro da aggiungere. Vorrebbe sentirsi dire che è uno scherzo, che è tornata per dire a Saori che non parteciperà al torneo e basta, ma sa che Mia non si prenderebbe il disturbo per un’azione del genere.
“Sei tale e quale ad Aiolia. Pronti a puntare il dito senza conoscere i fatti e...”
Mia non gli lascia finire la frase, colpendolo con forza in viso. Uno schiaffo, di quelli che fanno male perché raggiungono prima il cuore, ed è da lì che sale poi il dolore, non dalla guancia arrossata su cui avverte ancora il tocco caldo della sua mano.
“Non un’altra parola, okay?”
Torniamo indietro, ti va?
“Che diavolo… ehi, aspetta!”
Non è riuscito ad afferrarla in tempo, perché l’ha piantato come un idiota e in pochi istanti si è rifugiata in qualche vicolo per non farsi trovare. Si massaggia la guancia, guardandosi attorno circospetto. Mia è sola, di questo ne è certo, ma non comprende perché l’abbia avvertito. Forse è solo una sua preoccupazione, ma non ha parlato di cosa ci faccia davvero a Tokyo.
Forse, ce l’ha solo con me per averla abbandonata.
Nonostante gli piaccia sperarlo, è altrettanto certo che Mia abbia omesso dettagli essenziali e che no, la sua visita non sia legata alla sua improvvisa partenza.
Ma non ne comprende il motivo.
 
 
“Dovresti fare attenzione, quel tuo cosmo quando lo trattieni brucia più di una nova.”
La voce inconfondibile, l’accento secco e duro della lingua greca, la investono come aria gelida, prima ancora che le si pari dinnanzi la figura incappucciata. Si è allontanata da Seiya rapidamente, non appena è riuscita a percepire il cosmo della compagna.
Tu invece fai schifo a celarlo, lo sai?
“Che diavolo ci fai qui, Shaina?”
“Ordini dal Tempio. Credi davvero che il tuo principe azzurro farà ritorno in Grecia?”
“Deve fare ammenda. Se smette di combattere e comprende i propri errori perché non dovrebbe essere perdonato?”
“Sei la solita sentimentale. Il Tempio ha ordini anche per te.”
“Quali sarebbero oltre a quello di tenerli d'occhio?”
“Di tenerci pronti per attaccare. La situazione è critica, e il Sommo Sacerdote non sembra intenzionato ad avere altri traditori intorno.”
Mia stringe i pugni lungo i fianchi. Ancora quella parola, ancora un’onta che in diciassette anni sembra non essere stata lavata via nemmeno dal sangue di mille azioni.
“Quindi non dovrei più monitorare nulla?”
“No, ha una richiesta precisa. Vuole scoprire le reali intenzioni di Saori Kido. Per qualche sconosciuto motivo, il Sommo Sacerdote nutre grandi aspettative su di te. Forse ti sei dimostrata più adatta a indossare il Cloth di quello smidollato muso giallo.”
O forse è perché sa che Saori è la mia sorellastra?
Cerca di tenere a freno i pensieri e il cosmo, e ringrazia che i Saint non sappiano leggersi nel pensiero. Se avesse potuto, avrebbe già cercato di attaccare Shaina ma sa che non è il momento. Una mossa falsa e metterebbe la vita di Seiya nelle mani dell’Ofiuco, e sa che da lì sarebbe messo alla forca in poco meno di una giornata.
Quante possibilità ha di salvarlo?
Considerando ciò che le ha appena detto Shaina, una soltanto, e si è già giocata la carta dell’abbandono dal torneo nella speranza che il messaggio arrivasse a destinazione. Tuttavia, teme che Seiya non consideri la sua richiesta, che non abbia compreso il motivo del suo comportamento ne, tanto meno, che abbia visto un disegno più grande o un pericolo davvero concreto dietro le sue parole.
“Andrò a parlarle.”
“Domani potrebbe già essere tardi.”
“Allora sii più precisa Shaina. Quanto tempo ho a disposizione?”
“Ventiquattro ore. Domani sera, a quest’ora, in questo luogo. Ci sarà il conclave dei Silver Saint. Se Saori Kido non avrà dato risposte che rispecchiano il desiderio del santuario, avremo l’ordine di agire ed eliminare lei e i Bronze Saint, riportando al Tempio il Gold Cloth di Sagitter.”
“E se dovesse rispecchiare il volere del Sommo Sacerdote?”
“Dovrà consegnarti il Gold Cloth di Sagitter e seguirci in Grecia. Il Sommo Sacerdote desidera parlarle e comprendere i motivi della sua eresia e come il Gold Cloth di Sagitter sia finito a Tokyo.”
“In ogni caso, vivi o morti, dovranno seguirci.”
“Esattamente. Cos’è, non ti piace l’idea?”
“No, semplicemente non vedo una grossa differenza tra le due possibilità.”
“Una vita risparmiata credo sia più che sufficiente, non credi?”
Ma a quale prezzo?
 
 
Shun fissa il soffitto di una stanza che non gli appartiene. Ha una stanza privata all'interno della dépendance di Villa Kido, messa a disposizione dei saint in gara per il Gold Cloth di Sagitter. Hanno condiviso quelle stanze, un sacco di anni prima, e ora si ritrova solo ad attendere di poter combattere.
Ikki.
Le mani dietro la nuca, le gambe incrociate come fosse disteso su un prato a lasciarsi baciare dal sole di primavera, si arrovella di pensieri e perde tra i ricordi. Ikki era sempre al suo fianco. Suo fratello l'ha sempre protetto, dagli altri e persino da se stesso. Non gli ha mai chiesto di tirare fuori il coraggio che non possiede, ma di non preoccuparsi perché sarebbe sempre stato al suo fianco. Sono passati dieci anni da quando si sono separati, e di Ikki ha perso le tracce. Accettare di partecipare alle Guerra Galattica era l'unico modo per rivederlo. Si è giocato la sua unica speranza e adesso ha la certezza che suo fratello è vivo. La rassicurazione ha lasciato il posto al desiderio di rivederlo. Perché Ikki non arriva? Non desidera rivederlo? Forse ha nutrito così scarsa fiducia in lui da crederlo morto, decidendo che un viaggio di quel genere non vale la pena. Ma il Gold Cloth?
Ikki lo vorrebbe.
Si strofina gli occhi e cerca di distogliere il pensiero da lui, ma è difficile. Hanno vissuto in due da quando sono nati, due corpi e un'anima soltanto, e quando si sono separati è stato come se gli avessero strappato il cuore. Si gira su un fianco, in modo che la posizione lo distragga, ma è la stessa che utilizzava da bambino, stringendosi a suo fratello per farsi proteggere.
Se te ne vai per me sei morto.
È così che June l'ha lasciato partire, odiandolo. Cosa avrebbe dovuto fare? Sa che non farà ritorno all'isola di Andromeda. Ora che è libero, se Ikki non dovesse presentarsi, vagherà per tutto il mondo pur di ritrovarlo.
Sei un'egoista.
Si, lo è, ma può permetterselo. Conosce June e sa che le sue parole erano dettate dalla rabbia.
Eppure non è andata a salutarlo prima della partenza, ma è certo che con il tempo, June capirà e riuscirà a perdonarlo.
 
 
Jabu ha atteso che milady spegnesse le luci della sua stanza, poi si è disteso a letto. È  certo di poter vincere il prossimo scontro. Shun è il suo avversario, è pavido e un frignone. Anche ora, nonostante suo fratello non sia arrivato se ne sta in disparte, cerca di mettere in accordo tutti quasi si trovassero a una vecchia rimpatriata. Si vede che Shun è un bamboccio che non ha capito nulla. Vorrebbe affrontare Seiya, ridurlo a chiedere pietà in ginocchio per dimostrare chi davvero è il migliore. Mentre affonda pugni all'aria e il sudore gli imperla la fronte, Jabu è certo di vincere. Perché l'unicorno è un animale bellissimo, ma letale.
Proprio come lui.
 
 
*
 
La bruma si è addossata alle pietre, e il mare placido lambisce le coste. Dal promontorio, Saga riesce a scorgere verso l'infinito di una terra che gli apparterrà. Saori Kido non è davvero un problema, ma preferisce che il Gold Cloth faccia ritorno in Grecia e i traditori massacrati. Dietro la maschera d'opale, il ghigno si estende sul suo viso, diretto verso un niente.
Verso te stesso.
Quando tutti sapranno chi è veramente,  chi mai potrà gridare al tradimento? Aiolos?
Quello sciocco. Così coraggioso e devoto da farsi uccidere per una neonata.
Deve ammettere con se stesso che il Saint di  Sagitter non ha avuto paura del fango, del combattimento contro Shura e della morte.
Si, un degno santo di Athena. Ma a cosa è servito?
Dalla rupe, il santuario e le dodici case sono un diadema tra i capelli corvini di una donna addormentata.
E presto, tutto questo sarà mio.
 
 
 
 
 
Note dell'autrice.
Se non siete morti, e vi va di scoprire il volto di Mia, ecco a voi una presentazione della pulzella in versione borghese XD
Se non volete farlo, girate al largo dal link! Mia, Silver Saint di Aglaia
   
 
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