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Autore: KeyFlame_NaLu    01/01/2014    0 recensioni
“Quando leggerai questa lettera, che ho nascosto all’interno del tuo libro di fiabe preferito, significherà che io non faccio più parte di questo mondo”
Levy McGarden muore misteriosamente in un incidente il 18 Maggio 2012. Un anno dopo, il diciannovenne Gajeel Redfox - scappato di casa ed amante dell’alcool e delle risse – inizia a vedere il suo fantasma e a causa di una maledizione inflittogli dalle Parche, dovrà aiutarla a raggiungere il Nirvana entro sei mesi.
Parallelamente, in seguito alla tragica e misteriosa morte della ragazza, la vita di molti dei suoi cari e di persone ad essi collegate sembra esser cambiata drasticamente.
Cosa succede se il destino di un individuo viene alterato? Quali conseguenze potrebbero scatenarsi nella vita di tutti colore il cui fato è strettamente collegato a quello dell’altro? Cosa succede se l’effetto farfalla entra in gioco e se le Parche iniziano a tessere i fili di una vicenda ricca di mistero, intrighi e sentimento?
Leggete se volete scoprirlo!
[…] “Non ho paura di morire, l’ho già fatto dopotutto. Ho solo paura di svegliarmi nuovamente dalla morte e di non ritrovarti al mio fianco.” – Levy
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Un po' tutti, Wendy
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Butterfly Effect [Iris]
Capitolo 6: Fix you
4 Dicembre 2013

Il gelo mattutino di Novembre si diramava tra gli alberi e fra le poche foglie rimaste; la gente camminava freneticamente, secondo l’unico andamento di cui non potevano proprio fare a meno.

Nessuno quella mattina si era accorto dei piccoli fiocchi di neve che avevano iniziato a ricoprire le cime degli edifici e degli alberi, nessuno aveva alzato almeno una volta lo sguardo per donare ai propri occhi il beneficio della vista mozzafiato che si estendeva a solo pochi centimetri dalle loro teste.

Benché stesse nevicando, il cielo era tinto di un insolito color rosa chiaro misto ad azzurro, che tuttavia ben presto sarebbe stato coperto dal manto di nuvole nere in avvicinamento. Era gente indifferente coloro che popolavano Magnolia, perdutamente fredde, essenzialmente inclini al materialismo e diabolicamente rinchiuse nella loro indifferenza.

Erano le undici del mattino, ed eppure il centro era popolato molto più del solito ed il motivo era piuttosto banale.

Shinda no Matsuri, era così che veniva chiamato da sempre il festival che ogni anno il 7 Dicembre veniva consacrato e celebrato per ricordare i cari defunti. Fu sostanzialmente questo che impedì all’inizio a Gajeel di avventurarsi per le strade, verso quel luogo in cui forse avrebbe trovato delle risposte.

Erano ormai passate due settimane dalla comparsa di quella strana ragazza che, rivelatasi un fantasma, aveva deciso di stabilirsi a casa sua non avendo poi altro luogo in cui andare. Nel frattempo Gajeel non aveva scoperto nulla riguardo il Nirvana, o meglio nulla di pratico.

Aveva raccolto una vasta gamma di informazioni su cosa fosse esattamente e a quale religione appartenesse; si era documentato inoltre sulle diverse teorie e su presenti raggiungimento di un tale stadio da monaci shintoisti. Ciò nonostante, sapeva bene che con tutto quello Levy c’entrava ben poco. La domanda rimaneva così la stessa: come l’avrebbe aiutata a raggiungere il Nirvana?

Fu in seguito la consapevolezza di non avere in mano nulla che lo convinse a varcare la soglia del suo appartamento, quando la ragazza era ancora addormentata. Dopo averle lasciato un biglietto, salì in sella alla sua motocicletta e partì alle prime luci dell’alba. Sfrecciò via per le strade di Magnolia, fino a che non arrivò in prossimità dell’antico quartiere reale della città.

Esattamente un isolato dopo, si trovava quel luogo in cui avrebbe potuto trovare almeno un indizio sulla ragazza: il cimitero. Se Levy era un fantasma, doveva senza dubbio significare che fosse morta, come poi gli era stato confermato da Natsu.

Non aveva potuto riprendere l’argomento con l’amico, poiché questo aveva iniziato a passare le notti fuori ed il mattino dopo erano entrambi troppo impegnati e devoti ai loro pensieri per iniziare una conversazione seria. Gajeel aveva una vaga idea di ciò che preoccupasse l’amico ma non si era ancora deciso a domandarglielo.

Posteggiò pochi metri più in là e si diresse verso il cimitero, situato in un ampio spazio verde (adesso divenuto bianco per la neve) e circondato da un alto cancello in ferro nero. Varcò la soglia con estrema riluttanza e subito dopo si sentì come invadere da una strana sensazione. Si sfilò le mani dalle tasche e si guardò intorno, sentendosi incredibilmente piccolo e insignificante di fronte ad una tale scia di lapidi.

Alla base di ognuna di esse vi erano riposti fiori freschi, pupazzi, biglietti, dediche, foto e ceri accesi che emanavano un forte odore di incenso. Non sapeva da dove iniziare e nei dintorni non vi era nessuno. Le lapidi erano troppe perché potessero essere contate ed il numero dei defunti era troppo vasto perché potesse importargliene davvero qualcosa.

Iniziò a camminare senza una meta precisa, seguendo semplicemente il percorso ghiaioso e osservando il paesaggio ormai bianco. Il cimitero di Magnolia, quella balorda e odiosa città destinata alla distruzione, ospitava ogni tipo d’essere umano passato a miglior vita. Dalla parte peggiore della società a quella che aveva compiuto così tanto in così poco tempo.

Chiaramente, e questo lui lo sapeva bene, il mondo non era affatto bianco o nero e dunque bisognava necessariamente inserire un’altra categoria tra la lunga lista di defunti che popolavano il campo santo. Era soprattutto la gente comune a riposare in quel luogo, la gente che aveva vissuto nella gioia e nel dolore, nel bene e nel male, nella salute e nella malattia.

Coloro che avevano affrontato avversità, coloro che avevano commesso peccati, coloro che avevano contribuito al susseguirsi di eventi dal quale era nata una situazione. Ognuno di loro aveva occupato un posto preciso nel disegno del mondo; ognuno di loro aveva avuto un proprio ruolo nel destino di ogni individuo e viceversa. 

Fu all’improvviso un dolce odore che conosceva bene a richiamarlo dai suoi pensieri tormentati; l’odore dell’iris. Si voltò verso destra e i suoi occhi incontrarono qualcosa di totalmente diverso rispetto ai corpi ormai di ossa e cenere che risiedevano a pochi metri sotto terra. Qualcosa di totalmente diverso persino rispetto ai morti che, fingendosi vivi, popolavano le strade di Magnolia.

Inginocchiata nella fredda neve davanti ad una lapide adornata di fiori e candele profumate, la figura dall’esile corporatura pareva risplendere di luce propria. Colpito da una creatura così apparentemente comune, si avvicinò di qualche passo senza farsi notare.

< < Ehi sorellona, come va oggi? > >-domandò, con voce acuta di chi sta da poco lasciando l’infanzia.

Dalla corporatura magra e dalla statura probabilmente non molto alta, fu facile intuire che fosse una ragazzina, ma fu per lui altrettanto difficile trovare una spiegazione logica al perché quella persona stesse parlando ad alta voce ad una lapide di marmo. Il vento freddo lo costrinse a coprirsi la gola con la sciarpa di lana, ma la ragazzina non batté ciglio. I lunghi capelli blu scuro si mossero insieme al vento e tornarono subito dopo al loro posto, permettendo alla fanciulla di proseguire.

< < Spero che le mie visite ti facciano piacere, anche perché a me piace molto parlare con te… - sorrise - Non ci crederai o forse sì, ma ho preso cento nell’ultimo compito di matematica! Credo che per zia
Minerva non sia un risultato molto impressionante… ma non pensare che sia cattiva! Credo solo che sia semplicemente un po’ triste in questi ultimi giorni. > >

La ragazzina attese un attimo, magari alla ricerca di una risposta, ma ciò che ottenne fu solo il silenzio spezzato dall’ululare del vento.

< < Ho fatto amicizia con un ragazzo della mia età, si chiama Romeo ed è molto simpatico! Tuttavia credo che mi nasconda qualcosa… a volte mi guarda in modo strano, come se stesse per mettersi a piangere. Sono un po’ preoccupata. Che abbia problemi familiari? Magari è solo una mia impressione, che sciocca. > >-sorrise, schernendosi.

Gajeel rimase immobile ad ascoltare, chiedendosi con quale coraggio potesse origliare con così tanto interesse la solitaria conversazione di una ragazzina dinnanzi ad una tomba. Aveva davvero così poco rispetto per i sentimenti altrui? No, non era sadico divertimento a rendere immobili le sue gambe, ma una strana sensazione.

Quella ragazzina aveva un qualcosa di familiare, benché non l’avesse mai incontrata prima d’ora. Indossava una divisa scolastica, probabilmente delle medie e accanto a sé vi era una cartella in cuoio. Cosa ci faceva una ragazzina al cimitero e per di più in orario scolastico?

Tentò di avvicinarsi ancora di più ma il suo stivale calpestò un ramo secco, producendo un innocuo ma uditivo rumore; la ragazzina sobbalzò e si voltò in fretta.

Un paio di familiari occhi nocciola, dei bellissimi capelli blu come il cielo notturno, un gradevole odore, la pelle bianco latte ed un’espressione non troppo intuitiva ma parecchio sincera in volto. Così quella stramba ragazzina si presentò per la prima volta agli occhi scuri di Gajeel, che non osò pronunciare alcunché.

< < Posso esserti d’aiuto? > >-domandò lei, con un sorriso.

Lui la guardò con uno sguardo di cipiglio, sperando che non arrivasse troppo in là per capire che la stesse osservando da parecchio tempo. Essendo alla sprovvista di scuse utili, si vide costretto a sparare a raffica tutto ciò che gli venne in mente in quel momento: una domanda precisa e innocente.

< < Che ci fai qui? > >-domandò lui, dandosi dello stupido subito dopo.

Perché le aveva chiesto proprio questo? A lui cosa importava e in ogni caso perché mai una sconosciuta avrebbe dovuto dare conto e ragione ad un altro estraneo? Tuttavia il sorriso sul volto angelico e ancora infantile della ragazzina non mutò, ma si distese leggermente.

< < Ecco, ero venuta a portare dei fiori. E tu? > >-fece, con curiosità.

Più sorpreso dalla successiva domanda che dalla risposta, tirò un sospiro di sollievo e incrociò le braccia.

< < Ehi ragazzina, non dovresti parlare con gli sconosciuti. > >-la rimbeccò con fare paterno.

Si bloccò all’improvviso, poiché la sua mente fu oltrepassata da un ricordo ancora ben vivido nella sua mente. Aveva già detto qualcosa del genere e aveva già incontrato una persona simile.

< < Però tu mi stai parlando… > >-borbottò lei, confusa.

< < Non è la stessa cosa, io sono più grande. > >-ribatté.

< < Quindi puoi fare domanda ad una ragazzina? > >-replicò, non con scherno o sospetto ma con sincera curiosità.

< < Q-Qualcosa del genere… -mormorò- Non dovresti essere a scuola? > >

Sul viso della giovane fece capolino un vivido rossore d’imbarazzo, che tentò immediatamente di mascherare scuotendo la testa.

< < No, no, no! O-Oggi… ecco… a-avevo un’ora libera! > >

< < Non ti crede nessuno. > >-disse subito, demolendo il suo vano tentativo.

Sospirò tristemente e portò le mani avanti, lasciandole a penzoloni.

< < D’accordo, ho mentito… Può anche arrestarmi signor poliziotto. Sono una persona spregevole! > >-esclamò sconsolata, con tale naturalezza che Gajeel dovette escludere la possibilità che stesse fingendo.

< < Ti sembro per caso uno sbirro?! > >-sbottò lui, offeso da un tale paragone.

Lei rialzò gli occhi da terra e lo osservò con sorpresa.

< < Sei un pizzaiolo? > >-tirò ad indovinare, entusiasta.

< < Come potrei mai esserlo?! > >-fece, spazientito.

< < Ma emani un così buon odore di cibo… a proposito, che ne dici di mangiare qualcosa? Hai voglia di… fammi pensare… > >-mormorò, sbizzarrendosi sulla vesta varietà di alimenti.

< < … Pizza? > >-borbottò lui.

< < Sì! Come hai fatto ad indovinare? > >-esclamò meravigliata.

Poiché la conversazione sembrava non potesse portare a nessuna conclusione logica, si convinse a cambiare discorso. Intravide una copertura bianca attorno al braccio e strabuzzò gli occhi per capire cosa ci fosse mai sotto il tessuto della camicia.

< < Cos’hai lì? > >-domandò, indicandole il braccio destro.

Lei lo osservò e istintivamente tirò su la camicia, mostrando un bendaggio. Oltre a questo, Gajeel poté notarlo solo in quel momento, la mano della ragazzina era oltrepassata da strane chiazze viola ed il ginocchio sinistro era gonfio. Lei si affrettò poi a tirare giù l’indumento, nascondendo con una certa riservatezza la probabile ferita al di sotto della fasciatura.

< < N-Non è niente. > >-dichiarò.

< < Come ti sei fatta quella ferita? > >-domandò, sospettoso.

< < Come sai che è una ferita? > >

< < Cos’altro potrebbe esserci sotto una benda? > >-fece lui, con ovvietà.

< < Comunque sia non è niente, ho solo ricevuto una botta. > >

< < Posso sapere da chi? > >-indagò.

< < Da un palo. Sul serio, ho solo sbattuto contro un palo! > >-disse, convincendolo solo a metà.

< < E il ginocchio? > >-chiese, indicando l’arto gonfio.

< < Sono caduta. > >-fu la pronta risposta.

Il ragazzo sospirò, non sapendo proprio cosa gli stesse prendendo. Per quale motivo si stava interessando così tanto ad una ragazzina di cui non sapeva proprio nulla? Cosa gli importava di ciò che succedeva nella vita di una studentessa delle medie qualunque? Era forse il suo carattere a renderla diversa dagli altri? Certo, somigliava in modo incredibile a…

< < Hai qualche parente sepolto qui? > >-gli chiese.

Gajeel esitò prima di rispondere, stringendo i pugni e combattendo contro quella maledetta voglia di rispondere in maniera affermativa. Ma l’orgoglio, ancora una volta, ebbe la meglio.

< < No. Tu? > >

< < Sì, mia sorella. > >-affermò, lasciando che il ragazzo posasse i suoi occhi sulla lapide.

 
Qui giace Levy McGarden.
Figlia, compagna e sorella amata.
1994-2012
Possa ella riposare in pace.

Sulla sommità della lapide e nelle foto poggiate accanto ai mazzi di fuori e ai ceri profumati, vi era lei, in tutta la sua giovinezza e vitalità. Il corpo di Levy, o ciò che ne rimaneva, era sepolto lì. Le gambe del ragazzo tremarono come attraversate da una corrente ghiacciata, e la gola gli si serrò.

Sentimenti che non sarebbe mai potuto riuscire a spiegare, emozioni che fino ad allora non aveva mai pensato di possedere, uno stato d’animo che pensava non sarebbe mai riuscito a provare. Tutto nella testa era confuso, tranne un’unica certezza: lui, Gajeel Redfox, si sentì in quel momento come l’essere più inutile al mondo.

Non sentendosi più le gambe, si inginocchiò e carezzò con innaturale sentimento la fotografia incastonata nella lapide che la ritraeva all’età di circa sedici anni, più bella e in salute che mai. I suoi occhi nocciola sprizzavano gioia e voglia di vivere da ogni lineamento e da ogni chiazza di colore. 

Lacrime che pensava di non poter più tirare fuori scesero sul suo viso troppo velocemente cresciuto, ma furono immediatamente spazzate via dalla furia del suo braccio che provvide ad asciugarle.

< < La conoscevi? > >-fu la logica domanda della ragazzina, che gli poggiò una mano sulla spalla.

< < D-Diciamo di sì. > >-tagliò corto.

< < Non sapevi della sua morte? Sei stato fuori città in quest’ultimo anno? > >

Adesso la voce della sorella della ragazzina apparve come un sussurro, che tuttavia Gajeel non ebbe difficoltà ad udire. Sì, lui era stato davvero fuori città. Anzi, era stato in un altro mondo, solo non per un anno ma da tutta una vita. Non conosceva il motivo di tanta rabbia verso se stesso, ma la provava.

< < Com’è successo? > >-chiese, sentendo l’urgente bisogno di conoscere di più.

< < Un auto, a quanto pare. L’autista non era ubriaco e non era nemmeno un malvivente. Anzi, era un padre di famiglia che probabilmente viveva in modo normale; alla polizia ha raccontato di non averla vista, ha detto che era spuntata dal nulla. –disse voltandosi, nascondendo quelle odiate lacrime- Probabilmente è andata davvero così. > >

La sua voce subì un cambio d’intonazione. Gajeel percepì come un risatina soffocata dalle lacrime, perciò si voltò verso di lei che fece altrettanto.

< < Mia sorella era probabilmente così sbadata da non essersi accorta di nulla. Probabilmente, non si era accorta di essersi trovato in un incrocio sbagliato, tra Brokheaven e Chance Batter. Era talmente sbadata che dubito che si sia accorta d’essere morta. > >-sorrise, celando la sua tristezza.

L’impulso momentaneo di Gajeel fu quello di abbracciarla, ma si trattenne: una rumorosa suoneria ruppe il coro melodioso e malinconico che il vento, a contatto con le foglie e con la distesa di neve bianca, aveva formato unicamente per loro. La ragazzina si asciugò immediatamente i segni della ricaduta e si affrettò a rispondere.

La voce proveniente dal cellulare apparve a Gajeel come un orribile suono, il più cattivo che avesse mai sentito. La freddezza con la quale vennero pronunciate quei pochi frammenti di discorso che riuscì ad udire non poteva di certo appartenere alla voce di un parente, o almeno era ciò che sperava.

< < Era mio zio Rufus, devo andare. > >-disse, riponendo il telefonino dentro la cartella.

Gajeel si rialzò mostrando compostezza e la osservò allarmato.

< < E’ stato un piacere conoscerti, ehm…? > >

< < Gajeel. > >-gracchiò, a causa della gola secca.

Lei gli mostrò un tenero sorriso.

< < Mi chiamo Wendy. > >-disse, allontanandosi con un gesto di saluto.

Gajeel la seguì con lo sguardo, chiedendosi se il destino o meglio Kagura e le sue sorelle (una sociopatica, l’altra indifferente su ogni cosa), non lo stessero seriamente prendendo in giro. Quante probabilità potevano mai esserci perché lui, l’unico in grado di vedere il fantasma di Levy, incontrasse sua sorella minore?

Adesso capiva il motivo di tutto: del suo interesse verso di lei non appena aveva udito la sua voce, dell’incredibile familiarità che aveva trovato in lei. Wendy le assomigliava parecchio, forse anche troppo. Si chinò verso la tomba ed osservò ad uno ad uno i doni lasciati dagli amici e le dediche commoventi. Una ragazza talmente amata e talmente ben voluta, come aveva potuto morire in così giovane età?

Destino. Lui non aveva mai creduto e aveva sempre odiato quella parola. Non poteva accettare che le vite degli esseri umani fossero già scritte. Aveva sempre pensato a ciò che tutti chiamavano “Dio” ad un essere maligno, che si divertiva ad intrecciare le vite degli abitanti della terra unicamente come divertimento personale.

E adesso lo sapeva, c’era davvero qualcuno che anche adesso intrecciava i destini degli esseri umani e si preparava per distruggerli al momento opportuno. Non era una sola persona ma erano ben in tre. Le Parche, dee del destino e del fato, e responsabili della morte di Levy McGarden. Doveva essere così.   

***
Angolo Autrice:
Ehilà :D
Ho dovuto ricaricare il capitolo, perché l’avevo erroneamente cancellato e ne ho approfittato per apportarne alcune modifiche u.u
Rieccomi qui con un altro capitolo di questa penosa storia, il cui livello di drammaticità non potrà fare altro che aumentare! Yee, che bello…
Come capitolo devo dire che avrei voluto che venisse diverso, solo che l’ho modificato talmente tante volte che credo che non ci sia niente da fare -__- è un dannatissimo altro capitolo di passaggio, e come tale risulta parecchio lento e di questo mi scuso >___<
Questa volta tenterò di utilizzare poco spazio che riservo sempre per questi… appunti “indispensabili”, perciò sarò spiccia u.u
Alcuni di voi mi hanno supplicato di non strapazzare troppo la povera Wendy, e ci ho provato sul serio D: solo che non ho potuto fare a meno di inserire le misteriose ferite sul suo corpo, che saranno elementi molto importanti in futuro u.u
Nel prossimo capitolo, verranno introdotti due personaggi che conoscete benissimo :D Gray e Juvia! Non aspettate di trovarli come dei normali tizi-che-passavano-di-lì-per-caso, ma anzi spero che li troviate parecchio folli nelle nuove vesti :) Contemporaneamente, verrà approfondito il passato di Lucy :33 e le Parche ricompariranno nei sogni di Gajeel ^^
Un bacio e alla prossima <3
   
 
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