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Autore: Bluemask    03/01/2014    2 recensioni
Zayn suona perché non sa fare altro e mentre suona urla: urla con la mente, con gli occhi, con le dita che pizzicano le corde fino a far male, con il cuore.
Urla con le parole quando sussurra “spero che vi sia piaciuto” in un inglese trascinato; trascinato come si trascina lui stesso da una strada all’altra.
Liam recita una parte allegra perché è questo il suo copione, sarebbe il classico ‘bravo ragazzo’ se non fosse per le troppe sigarette che fuma e il suo cuore perde uno, due o forse trenta battiti quando vede Zayn la prima volta.
Inoltre, secondo Zayn, Liam ha gli occhi grandi e pieni di illusioni che naufragheranno presto sulle coste dalle realtà.
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“Andava tutto bene, no?”
“Va tutto bene, infatti” lo corregge Zayn. “Dicono sempre così, deve essere vero che va tutto bene.”
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[Ziam; past!Niam]
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Liam Payne, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Lievi battiti di cuore

 

 

La vertigine non è paura di cadere,

ma voglia di volare.

 

 

 

 

 

 

 

Lascia dondolare le gambe stanche avanti e indietro, seguendo una melodia dettata dal rumore del fiume. Le mani posate a terra, che quasi si aggrappano per non cadere giù, i piedi scalzi che rabbrividiscono al freddo della notte.

Si aggiusta il cappello rosso, gioca con la visiera, lo rimette com’era prima e che cosa stupida da fare sul bordo del precipizio.

Le mani si staccano un po’, guarda in basso e le vertigini diminuiscono davanti a quelle acque in tempesta.

Il mare quella notte gli ricorda lui.

Ha sempre letto una tempesta strana nei suoi occhi, agitata e calma nello stesso istante, che gli stringeva il cuore ad ogni sguardo.

Chiude i propri, di occhi, quando le mani danno una spinta decisiva.

E, mentre spicca il volo verso il vuoto, un ciclone di pensieri gli invade la mente.

 

 

 

 

Che Liam Payne fumi è un dato di fatto.

“Non me lo ricordo a che età ho iniziato” è il copione che consegna sempre a tutti, “un giorno ho visto una sigaretta sul tavolo della cucina e sbam, colpo di fulmine!”

La realtà è ben diversa, ma solo Liam Payne e Louis Tomlinson ne sono a conoscenza.

La sua relazione con il fumo è iniziata esattamente a quattordici anni: quando Max Payne – suo padre solo di fatto, per Liam è unicamente un odiabile sconosciuto che si ubriacava e picchiava sua madre con sempre più rabbia – è andato via di casa con due valigie strette in mano, senza rivolgergli uno striminzito saluto.

Da quel giorno in poi, Emma – una donna con i capelli biondi e gli occhi spenti che Liam quasi non sente come madre – è entrata in depressione rimanendo barricata sotto le coperte pesanti, come se esse avessero potuta proteggerla dal mondo esterno e guarirle i lividi.

L’unica volta che Emma ha parlato da quel fatidico compleanno è stato un “puzzi di fumo” sussurrato ad un Liam sedicenne e fragile. Lui ha sorriso, rimboccandole il lenzuolo e posandole un bacio sulla fronte prima di uscire da quella camera buia. Si è chiuso la porta alle spalle e “tu invece puzzi di morte” ha mormorato, nel silenzio dell’appartamento.

 

Che Liam Payne non sappia suonare nulla è un dato di fatto.

Sa a malapena la terza guerra mondiale e cosa procura una fissione nucleare, figuriamoci suonare uno strumento. A scuola si è sempre fatto gli affari propri, osservava la finestra come se avesse voluto scappare a perdifiato via da lì, i professori rifilavano il consumato “è intelligente, ma non si applica” a suo zio, l’unica persona che si degnava di andare ai colloqui. Aveva passato a malapena le medie, gli anni del Liceo rimangono un mistero per lui: ha incominciato a lavorare nell’estate dei suoi quattordici anni per guadagnare qualche soldo – quelli dello zio sempre in viaggio non bastavano mai – in un bar malandato e poco raccomandabile.

La sua passione della musica è iniziata ascoltando i vecchi dischi di Louis Tomlinson, vicino di casa e unico vero amico che ha mai avuto, e lì ha deciso che gli è stato riservato dal fato un grande futuro.

È così che, sigaretta in bocca, cappello con la visiera al contrario, occhiali da sole e qualche soldo in tasca, si è ritrovato a girare per le vie inseguendo negozi musicali, senza una meta per precisa, a quasi diciassette anni.

“Voglio suonare qualcosa” ha detto a Louis Tomlinson con un cipiglio determinato, una mezz’ora scarsa prima.

Louis ha annuito distrattamente per “cazzo dici” bofonchiare poi, il labbro inferiore catturato tra i denti mentre cerca di capirci qualcosa in quel maledetto problema di geometria.

Liam quel pomeriggio ha rinunciato a seguire le ‘lezioni private’ che gli impartisce l’amico – perché “l’istruzione è importante, Lee, non starai a servire i tavoli per sempre!” – visto che, a quanto pare, Louis non sembra messo molto meglio di lui tra numeri e rette; sorride, gli dà un colpo sulla nuca e “vedrai!” esclama.

 

Che Liam Payne sia costantemente allegro è un dato di fatto.

Risata profonda che coinvolge, abbracci rassicuranti stretti intorno alle spalle magre di Louis, carezze leggere, parole dolci dedicate alla triste Emma.

Liam Payne, lo dicono tutti, è il classico bravo ragazzo, escluse le sigarette – maledetto viziaccio – di cui non può farne a meno, che prova un amore grande verso la musica e la lettura di libri che trova in biblioteca o che gli regala Louis.

Liam Payne è un classico bravo ragazzo, questo lo sanno tutti.

Quello che non sa nessuno, nemmeno Louis Tomlinson, è che ogni notte soffoca i singhiozzi contro un cuscino.

 

 

-

 

 

Zayn Malik suona.

Suona tanto, spesso, velocemente, lentamente, suona perché non sa fare altro. Suona e mentre suona urla: urla con la mente, con gli occhi, con le dita che pizzicano le corde fino a far male, con il cuore.

Urla con le parole quando sussurra “spero che vi sia piaciuto” in un inglese trascinato; trascinato come si trascina lui stesso da una strada all’altra, in modo stanco, stanco come se dovesse portare il pianeta addosso invece dei suoi due stracci.

“Grazie” mormora poi, urlando che il mondo è un posto orribile, mentre rivolge un sorriso ingiallito a una ragazza che, esitante, gli posa qualche soldo nel bicchiere di plastica.

Zayn Malik urla, urla sempre, ma nessuno lo sente mai.

 

Appoggia il violino a terra, le dita che bruciano, le palpebre stanche e l’anima vuota.

“Non me lo ricordo” dice spesso ad Harry, parlando a mezza voce, “quando sono venuto in Inghilterra. Non me lo ricordo perché, non mi ricordo l’omicidio dei miei genitori, non mi ricordo più niente.”

Mente, mente, mente e continua a mentire mentre suona musiche allegre e spensierate, perché di allegro e spensierato nella sua vita ormai non c’è rimasto più niente.

Harry annuisce ad ogni sua bugia e gli lecca la punta del naso; Zayn ride senza forze, gli accarezza il pelo nero e prova a distendere le labbra in un sorriso.

Non ci riesce mai, ma ci prova ogni volta.

 

È sempre rimasto da solo, non ha mai amato la compagnia nemmeno in Pakistan. Adesso, però, quel mostro strisciante e gelido della solitudine gli sta mangiando le vene e lui sta morendo dissanguato. È per questo che, una sera di tanti mesi fa che Zayn non ricorda, ha deciso di tenere con sé un piccolo gatto randagio nominato Harry. Non si prende cura di lui, come potrebbe? Si prende a malapena cura di se stesso. Harry va in giro di giorno e torna da lui la notte, per farlo sentire meno solo, e Zayn gli racconta tante storie che non ha mai vissuto.

Zayn è felice che qualcuno lo ascolti.

 

 

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Zayn sta suonando quando lo vede per la prima volta.

Ha un cappello verde schiacciato in testa, gli occhi grandi e pieni di illusioni che naufragheranno presto sulle coste dalle realtà, un paio di jeans consumati e strappati vicino a una caviglia.

Impugna meglio la chitarra, pizzica le corde con più forza, le pupille nere incatenate a un paio marroni.

 

Liam è immobile quando lo vede per la prima volta.

Le mani che sudano all’improvviso, il cuore che perde uno, due o trenta battiti, le orecchie in estasi per quel suono meraviglioso che proviene dalle dita dello sconosciuto: un ragazzo con i capelli mori che gli cadono sulla fronte, la barba incolta sulle guance e sul mento, una chitarra tra le braccia.

Liam sente le grida che vengono da quegli occhi disperati e si avvicina, arrivando davanti a lui. L’altro lo guarda senza un emozione in particolare, smette di suonare e riposa le mani, il bicchiere tintinna quando quattro soldi ci cadono dentro.

 

“Insegnami a suonare.”

Zayn appoggia la schiena al muro grigio dietro di lui, lo fissa come se volesse leggergli dentro e “no” replica.

Liam se ne va con una sensazione strana alla bocca dello stomaco; Zayn si gratta una tempia e riprende a suonare.

 

 

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“Dovresti vederlo, Lou.”

Louis ride e gli infila una patata al forno in bocca perché è dall’inizio della cena che non tocca cibo, troppo preso a descrivere questo artista di strada che ha visto qualche ora prima.

Fufferio” bofonchia Liam, annuendo con convinzione e ingoiando la patata a fatica. “E poi suona divinament – stai cercando di uccidermi o cosa, ‘sta roba fa schifo!” fa una smorfia disgustata e Louis si stringe nelle spalle, ché se non sa cucinare mica è colpa sua.

 

 

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“Posso pagarti.”

Zayn trasale, si gira di scatto e si trova davanti il ragazzo castano del giorno prima che, con una banconota stretta in mano, gli sorride incoraggiante.

Lo guarda come se fosse impazzito, scuote la testa e prosegue dritto davanti a sé con la chitarra in mano.

“Dico davvero, posso pagarti!” ripete Liam, allargando le braccia e inseguendolo.

“No” sbuffa Zayn, irritato dalla sua testardaggine.

“Perché no?” Liam sporge il labbro inferiore.

“Ma che c’hai, otto anni?” ribatte, battendosi una mano sulla fronte in un gesto di disperazione.

Liam scrolla le spalle, gli piazza davanti al naso i suoi dieci dollari e “ne avrai altri, giuro”.

Zayn lo squadra da capo a piedi; detto francamente, non gli sembra molto più ricco di lui e si chiede dove abbia preso quei soldi così in fretta – ma, detto altrettanto francamente, non sono fatti suoi.

“Và a casa, ragazzino” borbotta poi, roteando gli occhi e trascinandosi verso una panchina in mezzo al parco in cui si trova.

Liam sospira, incrocia le braccia al petto e si siede vicino a lui.

Zayn sbuffa.

“Non me ne vado finché non accetti.”

Al moro viene da sorridere, ma non si ricorda come si fa.

“Mettiti comodo, allora.”

Il castano appoggia il gomito allo schienale di legno della panchina e incastra una guancia sul palmo di una mano, osservandolo con aria di sfida.

 

Zayn suona per un’ora, Liam lo fissa per un’ora.

‘Come fai ad essere così bello?’ vorrebbe chiedergli Liam, la fronte corrucciata per la confusione. Vive sulla strada, tra cassonetti di rifiuti e sporcizia, eppure è così bello che Liam sente il cuore scoppiargli. Può già sentirlo, il principio di un infarto.

‘Perché mi guardi in questo modo?’ vorrebbe chiedergli Zayn, sentendosi stranamente a disagio, cercando di non incontrare i suoi occhi mentre pizzica le corde della chitarra. Inutile dire che i loro sguardi riescono a collidere comunque.

 

“Non hai ancora accettato, vero?”

“No.”

“Lo sospettavo.”

 

“Adesso?”

No.”

 

Liam sbuffa, Zayn suona.

E mentre suona non urla più, ma ride.

Ride con le dita che scattano veloci in una canzone d’amore, rivolta forse a una coppia che passeggia davanti a loro tenendosi per mano o rivolta forse al ragazzo seduto vicino a lui.

 

Zayn si ferma solo quando Liam si addormenta.

È incredibilmente adorabile, con il volto schiacciato contro la panchina e la bocca socchiusa, la sera che incomincia a calare sopra di loro. Zayn non si ricorda l’ultima volta che ha trovato una cosa adorabile, ma, comunque, si alza con la chitarra tra le braccia e se ne va.

(Poi torna indietro e lo osserva ancora un po’ mentre dorme, dettagli.)

 

 

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“Dieci dollari e una sigaretta” ritenta Liam, più determinato che mai.

Zayn fa finta di non sentirlo e continua a suonare, nascondendo un sorriso tra le note.

“Va bene, va bene” si arrende il castano, sedendosi vicino a lui. “Due sigarette.”

Zayn si morde l’interno della guancia, lo guarda con la coda dell’occhio e “non fumo”.

Liam sorride e gliene porge una. “C’è sempre una prima volta, amico.”

L’altro sembra indeciso; conclude una melodia allegra in netto contrasto con la sua faccia seria e accoglie tra le dita la sigaretta. “Zayn” biascica. “E non siamo amici.”

“C’è sempre una prima volta, Zayn” si corregge allora, scrollando le spalle e tirando fuori l’accendino da una tasca. “Io mi chiamo Liam.”
Zayn annuisce quasi distrattamente, accendendo la punta della sigaretta e infilandola poi tra le labbra screpolate. Quando il tabacco gli invade i polmoni incomincia a tossire, sorpreso, gli occhi lucidi per lo sforzo.

“Ehi, piano” lo riprende Liam, dandogli dei colpi leggeri sulla schiena. Gli sfila con dolcezza la sigaretta dalla bocca e la posiziona nella propria, incavando un po’ le guance per ispirare.

Zayn lo fissa come ammaliato e Liam arrossisce forte.

Si dividono altre tre sigarette, nel completo silenzio.

Questa volta è Liam che se ne va quasi scappando.

 

“Continuo a non capire perché sei andato via in quel modo” si lamenta Louis, perplesso, mentre lava i piatti nella cucina della locanda in cui lavora Liam; in estate lavorano insieme, cercando di guadagnare un po’ più soldi.

Louis vive da solo da quando si sono conosciuti, Liam sedici anni e lui diciotto. È andato via dal paese in cui è nato, Doncaster, per poi finire in una casa vicino a quella di Liam; ha traslocato una seconda volta, però, quando i due hanno preso un appartamento insieme vicino all’Università che frequenta Louis: si paga gli studi con i lavoretti che fa in giro e con i soldi che gli invia sua madre, ma riescono a sopravvivere solo grazie a ciò che guadagna Liam e a quello che gli spedisce lo zio del più piccolo quando si ricorda della sua esistenza.

“Perché era strano” borbotta Liam, appena stizzito, mentre spazza il pavimento impolverato. “Insomma, lui era lì, attraente come una cazzo di divinità celeste tra i mortali, e io ero lì. E ci dividevamo le sigarette.”

Louis inarca le sopracciglia in un implicito ‘e allora?’ che fa sbuffare Liam. “Non lo trovi strano?”

“Che tu ti sia preso una cotta per qualcuno, finalmente? In effetti sì.”

Liam arrossisce e lascia che la conversazione si perdi nel rumore scrosciante dell’acqua nel lavandino.

 

“C’è questo ragazzo che è dannatamente diverso dalle persone che vedo ogni giorno passarmi accanto, capisci? Non è come loro, non ha quella luce sconfitta negli occhi, non ha quel pianto amaro in gola. Capisci, Harry? Certo che no, come puoi capire? Non lo capisco nemmeno io.”

 

 

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“Allora?”

La schiena di Zayn viene attraversata da un brivido quando sente quella voce.

“Allora cosa?” mugugna; Liam si lascia cadere accanto a lui sul marciapiede, togliendosi il cappello rosso e stringendolo tra le mani.

“Non lo so” sospira infine, le guance che diventano un po’ rosse.

Zayn smette di suonare dopo qualche minuto, si passa una mano tra i capelli sporchi e “senti, vuoi provare?”

Liam sussulta e si apre in un sorriso. “Dici sul serio?” squittisce, eccitato.

Il moro si stringe nelle spalle.

 

“Devi tenere le dita qui e qui, hai capito?”

Liam lo guarda con la fronte aggrottata, trasudando concentrazione da tutti i pori, e davvero cerca di capirci qualcosa, ma “no”.

La bocca di Zayn si piega in un sorriso nuovo che lascia entrambi increduli; Liam avverte la pelle d’oca quando lui gli sfiora le dita mentre continua a parlare a bassa voce, come se non volesse far scoppiare la bolla di sapone in cui si sono ritrovati.

Zayn si passa la lingua sulle labbra e sorride ancora un paio di volte, Liam sente lo stomaco bucato dalle troppe farfalle e annuisce.

 

 

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Liam Payne e Zayn Malik si incontrano una volta al giorno alla stessa panchina dello stesso parco; non l'ha deciso nessuno dei due, si incontrano e basta.
La loro – singolare – amicizia incomincia in questo modo, tra le note stonate di Liam e i sorrisi timidi di Zayn.

 

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“È già passato un mese, quando ti deciderai a dirgli che ti piace?” sbuffa Louis, incrociando le braccia al petto.
“Quarantadue giorni” lo corregge pacatamente Liam. “E, non mi piace affatto.”
Louis si batte una mano sulla fronte, incredulo, e lo guarda di traverso. Liam si ferma un secondo, inarca un sopracciglio, riprende a mettersi una conversa nera.
“Avete un appuntamento ogni pomeriggio-”
“Non è un appuntamento!”

È un appuntamento” replica Louis, scuotendo la testa. “Che tu aspetti con ansia e sono sicuro che lo aspetta pure lui. Invitalo da noi a Natale, Lee, dopotutto è fra soli quattro giorni...”

 

 

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Dopo una serie infinita di “non ci penso neanche, ma hai visto gli stracci che ho?, non mi convincerai mai, assolutamente no” il pomeriggio del 24 Dicembre Zayn si trova in un appartamento sconosciuto, un broncio infantile sulle labbra – “è colpa tua, Liam, lo fai sempre e adesso lo faccio pure io!” – e un’aria di disappunto dipinta addosso.

Il soggiorno è addobbato con una vistosa scritta di tanti auguri per Louis, ché la vigilia è pure il suo compleanno, e con un’altra di buon Natale fatte a mano la sera prima da Liam; la stanza è stata già messa in ordine dal minore e della cena si occuperà un amico dei due coinquilini, un certo Ed Sheeran con origini irlandesi. È tutto pronto per la fantomatica festa – saranno solo loro quattro perché non hanno abbastanza soldi per comprare del cibo per un numero maggiore di persone, ma comunque – o, beh, quasi.

“Lo shampoo è nella doccia, sapone anche, puoi usare il mio accappatoio” e qui Liam arrossisce sperando che Zayn non se ne accorga “quando esci; ti ho preparato dei miei vestiti sul mio letto.”

Il moro annuisce appena, imbarazzato, e tenta ancora di ribattere con un debole “non ce n’è bisogno, mi lavo quando riesco nei bagni pubblici” strascicato, ma Liam scuote con decisione la testa.

 

Liam girovaga per la casa senza una meta – vedendosi bene dal non passare vicino al bagno – sentendo l’acqua scorrere nella doccia; non sta assolutamente pensando a come sarebbe se ci fossero entrambi sotto la doccia, ci tiene a precisarlo.

Si gratta il mento con il pollice e sorride e non sa neanche perché sorride; forse in fondo lo sa, forse Louis ha ragione nel dire che gli piace, ma è tremendamente confuso.

Va bene, il rapporto con Zayn è strano, soprattutto per il fatto che a volte escono insieme la sera per prendersi un trancio di pizza a testa – la prima volta che Zayn ha provato la pizza è praticamente finito in paradiso – o passeggiare vicini e basta con le mani che si sfiorano ad ogni passo – e ovviamente fanno entrambi finta di nulla.

 

Zayn gira silenziosamente la manipola delle doccia, prima di prendere tra le mani l’accappatoio di Liam e annusarlo alla ricerca del suo odore.

Non dovrebbe, ma sorride e la bocca gli fa quasi male per tutte le volte che ha sorriso nell’ultimo periodo grazie a Liam. Non dovrebbe, ma incomincia a pensare a come diventerebbe la sua vita se Liam restasse accanto a lui. Non dovrebbe illudersi, ma lo fa e si sente incredibilmente bene.

Si infila l’accappatoio in silenzio, trascinando sul pavimento le pantofole che gli ha dato il castano per arrivare fino alla sua camera; si chiude la porta alle spalle e fissa i vestiti che Liam ha preparato per lui.

Poi sorride.

 

La serata non sta andando male come pensava, Zayn deve ammetterlo.

È la prima volta che vede Liam con addosso una camicia – se ne pente, visto che gli sta d’incanto – e i suoi amici sono simpatici – okay, l’irlandese si ubriaca troppo facilmente per i suoi gusti, ma questo è un dettaglio.

“Ti diverti?” gli chiede Liam, appoggiandogli una mano sulla spalla e sorridendo; spera che la risposta sia affermativa.

Zayn si stringe nelle spalle, ma ricambia il sorriso. Vorrebbe dirgli qualcosa, vorrebbe iniziare una conversazione con lui e riderci insieme tutta la notte fino a sentire il cuore scoppiare, però non sa da dove cominciare e così resta in silenzio.

“Sono contento, sai? Che tu sia qui, intendo” sospira Liam, accecando Zayn per colpa di quella luce salata nei suoi occhi in tempesta. È come se stia piangendo dentro, ma l’altro non riesce a coglierne il motivo. “Non credevo che tu alla fine accettassi davvero, eppure ci sei. Ci sei ed è grandioso.”

La bocca di Zayn esplode in un sorriso ampio e all’improvviso gli sembra così strana l’idea che prima non riuscisse a sorridere bene. Fa per parlare, ma il suono del campanello lo interrompe.

Liam si gratta la testa, esclama un “scusa” imbarazzato e va ad aprire, visto che Ed è sicuramente troppo ubriaco per farlo e Louis si sta cambiando in bagno dopo che l’irlandese gli ha vomitato sui pantaloni.

“Niall?”
Un mormorio che si perde nel silenzio della stanza; Ed non sembra più così impegnato a ridere e la testa di Louis sbuca dalla porta del bagno.

Woah, è qui la festa?”

Zayn osserva il nuovo arrivato con la gola secca: ha un ciuffo biondo che svetta verso l’altro, due occhi celesti sorridenti, molto più dei suoi, uno smoking nero – così lucido che ci si potrebbe specchiare dentro – e una cravatta blu scuro. Tiene stretto a sé, sotto un braccio, un pacchetto regalo a pois (Zayn non gli ha nemmeno fatto un regalo, a Liam) e stringe nelle mano sinistra una bottiglia di champagne.

“Niall Horan è tornato, gente!” esclama, euforico. “Vi sono mancato, eh?”

Liam gli salta semplicemente addosso – il pacco cade per terra – e Louis gli corre incontro mentre si abbottona un paio di jeans. (Ma prima aiuta Ed ad alzarsi dal pavimento.)

“Credevamo non tornassi più” urla Louis, pizzicandogli le guance come per provare a se stesso che l’amico sia davvero lì.

“Se ci sei mancato? Scherzi?” Liam gli si stringe forte contro, Zayn sente il cuore sgonfiarsi come un palloncino bucato che non piace più a nessuno.

Ed gli spettina i capelli e “cazzo c’hai addosso?” strascica con una smorfia affettuosa.

 

“Lui è Zayn.”

“Felice di conoscerti, Zayn! Io sono Niall, Nialler per gli amici.”

“Niall andrà bene, grazie.”

Liam gli scocca un’occhiata sorpresa e Zayn non sorride più.

 

“Cosa succede?”

Zayn rotea gli occhi, sbuffa e incrocia le braccia. ‘Succede che gli stai sempre addosso, che il tuo braccio intorno alla sua vita mi fa impazzire e che ho una voglia incredibile di sbattergli la testa al muro più vicino’ pensa, ma “non succede nulla” mente.

Liam alza un sopracciglio, scettico, e si appoggia con una mano al ripiano della cucina. “Andava tutto bene, no?”

“Va tutto bene, infatti” lo corregge Zayn. “Dicono sempre così, no? Deve essere vero che va tutto bene. *

Liam si morde il labbro inferiore, grattando l’unghia del pollice sulla superficie bianca. “Niall non ti piace.”

Zayn sogghigna, tagliente. “L’importante è che piaccia a te, giusto?”

Il castano spalanca gli occhi e Zayn torna in soggiorno.

 

“Altri driiiink per tutti!” trilla Ed, scattando in piedi. “Vado a prenderli io!”

Zayn lo segue veloce in cucina, sotto lo sguardo malinconico di Liam e quelli confusi di Louis e Niall.

“Shewan, giusto?” borbotta il moro, chiudendosi la porta alle spalle e guardando l’irlandese barcollare davanti al frigo.

“Sheeran” ribatte Ed, allegro. “Credo.”

Zayn aggrotta la fronte e annuisce. “Volevo chiederti un paio di cose, Sheeran.”

L’altro allarga le braccia. “Spara!”

“Questo Niall Horan, da dove spunta fuori?”

“Oh, lui!” ride, stringendosi nelle spalle. “Lavorava come insegnante di musica nella scuola di Liam e Louis, suonava la chitarra o roba simile, poi si è visto da solo con Lee-Lee per ‘discutere del suo rendimento scolastico’” mima un paio di virgolette e ride di nuovo, “sai, una di quelle cazzate lì, no?, perché si preoccupava di lui eccetera. Ma lo sai come vanno le cose, vero, amico? Un professore alle prime armi, giovane e attraente, uno studente impaurito con gli ormoni a palla chiusi in un’aula vuota; non devo spiegartele mica io, le cose, lo sai come vanno.”

“Perché, com’è che vanno?” mormora Zayn, conoscendo già la risposta.

“Vanno che si baciano, ovviamente – in che mondo vivi, amico? – e già dopo un paio di giorni stanno insieme di nascosto. È durata un po’, penso, ma poi Niall s’è trasferito non so bene dove per lavoro e hanno rotto, Liam ne era distrutto: Niall è stato il primo e unico ragazzo che gli ha fatto tremare il cuore e, successivamente, il primo e unico ragazzo che gli ha fatto vomitare lacrime. Non gli piace parlare di lui, è ovvio che non l’abbia mai nominato con te, ma sono sicuro al cento per cento che quando si sono rivisti, prima, la scintilla è tornata a splendere dentro di loro.”

Zayn boccheggi a vuoto, frastornato, e si regge al muro, quasi fosse lui quello ubriaco e non Ed. “No, non l’ha mai nominato” sussurra, mentre tante caselline nella sua testa formano il puzzle di un cuore infranto: Niall è più grande di Liam, come Zayn; suona la chitarra, come Zayn; doveva essere dimenticato in qualche modo, grazie a Zayn. “Il primo e unico ragazzo che gli ha fatto tremare il cuore” ripete tra sé a bassa voce. “Quando si sono rivisti la scintilla è tornata a splendere.”

Corre veloce via da quella stanza stretta, da quella casa, da Liam.

 

Non sa neanche dove stia andando, non sa neanche se stia andando da qualche parte, non sa perché ha delle fastidiose lacrime sulle guance e non sa perché si sente il sangue bollire nelle vene. Si ferma e respira a fondo, con il fiato che manca per colpa delle troppe emozioni.

Si fruga nelle tasche, prende un pacchetto di sigarette, ne accende una e se la ficca in fretta tra le labbra; ingoia il fumo, cercando di soffocare per non sentire più la voce di Liam nelle orecchie, e inizia a tossire interrotto dai singhiozzi.

“Vaffanculo” impreca, prendendo a calci una lattina, con il fumo e il pianto in gola. “Vaffanculo e vaffanculo e vaffanculo.”

Preferirebbe non sentire niente per nessuno come prima, preferirebbe indossare la sua maschera di apatia consumata, preferirebbe non avere mai incontrato Liam. Preferirebbe non essersi innamorato di lui, che non gli avesse portato via tanti lievi battiti di cuore, non essere caduto nell’oceano che regna all’interno dei suoi occhi.

 

Giuro che poi ti pago era la solita scusa che usava con Luke, il diciannovenne – con un dilatatore azzurro nel lobo sinistro – che ormai conosce da anni, praticamente ogni notte, molto tempo prima.

Il pusher sorrideva divertito ogni volta e annuiva, senza sperarci davvero.

“Giuro che poi ti pago” bofonchia, quindi, Zayn.

Luke lo osserva sorpreso e un po’ deluso. “Credevo avessi smesso con ‘ste cose, non ti vedo da un botto.”

Zayn si stringe nelle spalle. “Giuro che poi ti pago.”

 

 

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“Che vi siete detti?”

“Ma boh, nulla di che, mi ha chiesto di Niall.”

“E tu?”

“Gli ho detto la verità, no? Gli ho detto anche che ti piace ancora.”

“Merda, Ed.”

 

 

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Lascia dondolare le gambe stanche avanti e indietro, seguendo una melodia dettata dal rumore del fiume. La droga ha un sapore strano sulla sua lingua, non è più abituata.

Zayn tiene le mani posate a terra, che quasi si aggrappano per non cadere giù, i piedi scalzi che rabbrividiscono al freddo della notte.

Prima di fumare l’erba – non sa neanche bene cosa sia, non gli interessa – era andato nell’appartamento di Luke; quella mattina (o forse era la scorsa mattina? Non è troppo sicuro che la mezzanotte sia passata) ci era entrato per la prima volta, lasciando lì la sua chitarra e un cappello rosso. Non voleva che si rovinasse, il cappello rosso.

Glielo aveva regalato Liam – chissà perché, poi – e Zayn lo stringeva ogni notte tra la mani mentre cercava di dormire, come un bambino spaventato dal buio abbraccia il suo peluche desiderando di essere salvato da quei mostri cattivi nascosti sotto al letto.

Se lo è messo, il cappello, e ora lo aggiusta un po’, gioca con la visiera, lo rimette com’era prima e che cosa stupida da fare sul bordo del precipizio.

Sospira, la droga che fa effetto nel cervello, l’anima quasi leggera.

Le mani si staccano un po’, guarda in basso e le vertigini diminuiscono davanti a quelle acque in tempesta.

Il fiume quella notte gli ricorda lui.

Ha sempre letto una tempesta strana nei suoi occhi, agitata e calma nello stesso istante, che gli stringeva il cuore ad ogni sguardo.

Perché non dovrebbe tuffarsi negli occhi di Liam, in fondo?

Almeno, in questo modo potrà stare per sempre con lui.

Almeno, in questo modo Liam non sarà innamorato di un altro.

Quindi chiude i propri, di occhi, quando le mani danno una spinta decisiva.

E, mentre spicca il volo verso il vuoto, un ciclone di pensieri gli invade la mente; però, in particolare, pensa che Liam è stato il primo e unico ragazzo che gli ha fatto tremare il cuore e, successivamente, il primo e unico ragazzo che gli ha fatto vomitare lacrime.

 

 

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Liam Payne cerca Zayn Malik per tutta la notte, inutilmente.

Viene informato la mattina dopo da Louis Tomlinson – che l’ha visto al telegiornale locale – del fatto che il cadavere di un ragazzo straniero, forse pakistano, sia stato trovato sulle rive di un fiume.

Nella foto trasmessa in tv, accanto a lui c’è un cappello rosso sangue.

Rosso morte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Allora.

Premetto che sono un po’ di fretta e che mi sento un po’ – molto – in colpa per la fine di Zayn. (Stavo per mettermi a piangere quando l’ho scritta, devo dirlo.)

La frase che dice Zay a Liam con accanto l’asterisco (“Dicono sempre così, no? Deve essere vero che va tutto bene.”) è presa da un film, Fahrenheit 451, che mi è piaciuta molto e che quindi ho infilato qui dentro; mentre, la frase iniziale sulla destra (“La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare.”) è di Jovanotti ed io la trovo stupenda.

Un’altra precisazione che mi sono segnata di fare è: ve la ricordate la cara Emma, mamma depressa di Lee, sì? Bene, non ne ho più parlato perché è un personaggio emarginale – serviva solo per far capire l’infanzia di Payne – e potete credere di lei quello che volete (morta in un incendio, impiccata, fuggita, si è ripresa, trasferita).

 

La parte finale è stata un po’ un parto, lo ammetto: mi ero bloccata e non sapevo come fare morire il nostro povero Zayn; così, mi sono ritrovata a scrivere fino alle tre di questa mattina e se le ultime righe sono deliranti, beh, ora sapete il motivo.

E oh, quasi dimenticavo!

Presto – okay, magari non così presto – pubblicherò una long principalmente Larry e, ta-daan!, i personaggi saranno gli stessi di questa storia Ziam.

E con gli stessi intendo pure Zayn dopo la sua morte. E anche il gattino Harry – più o meno.

Che altro devo dire, spero proprio di avervi incuriosite.

Un’ultima cosa: voglio ringraziare velocemente Iris per aver letto la storia in anteprima e per averci sclerato sopra. (Ti voglio bene, Bowie.)

Ringrazio anche le persone che la leggeranno e che (spero!) recensiranno.

Fatemi sapere se non ho spiegato qualcosa e mi scuso in anticipo per gli eventuali errori.

Un abbraccio forte a tutti,

 

Lastdream

  
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