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Autore: alwayswithgreenday    03/01/2014    3 recensioni
Quando dici di essere pronto al peggio, non sei mai pronto veramente.
E questo Frank lo capì quando la sua monotona vita fu bellamente mandata a puttane dall’imminente trasferimento a Belleville, citta del suo tanto odiato cugino, e all’incontro di tre ragazzi del posto. In particolare di uno di essi; Gerard. Che oltre a fargli scoprire nuove verità su se stesso, lo porta a vivere per la prima volta la sua vita sul filo del rasoio.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Salutai tutti i componenti della band tranne Gerard che se ne era tornato in silenzio alla sua posizione iniziale, ignorando chiunque gli rivolgesse parola e scolando l’ultimo goccio di gin dalla bottiglia che teneva saldamente in mano. Era come se la lucidità che aveva dimostrato di avere poco tempo prima nel parlarmi, si fosse improvvisamente volatilizzata.  Ebbi molto tempo per osservarlo, prima che Ray si decidesse a salutare, questa volta per davvero, il resto della band, e iniziai a interpretare meglio il vero messaggio che Gerard mi stava inviando attraverso il suo atteggiamento e il suo corpo. Quegli occhi vacui e velati di tristezza, le sue guancie arrossate, il sudore che imperlava la sua fronte, la spossatezza sul suo volto, non erano tutti segni riconducibili alla stanchezza del dopo concerto.
Era chiaramente ubriaco. E ne ebbi la certezza nel notare lo sguardo sinceramente preoccupato del fratello, Mikey, che non aveva smesso neanche per un secondo di tenerlo d’occhio. Qualcosa di profondo legava quei due, qualcosa di così profondo che mi fece quasi sentire di troppo in quella stanza. Nessuno si era mai preoccupato tanto per me. Ne i miei genitori, ne tantomeno quei pochi amici che in passato avevo avuto. Nessuno era in grado di interpretare i miei sguardi come avevo visto fare poco prima al ragazzo dai capelli biondi con suo fratello.
Così mi rabbuiai, rattristato da quella infelice costatazione e non proferii parola per tutto il resto della serata e quando Ray chiamò sua cugina per ritornare a prenderci, mi sentii immensamente sollevato. Forse una bella dormita mi avrebbe tolto di dosso quella sensazione di invidia, mista a un ingiustificata gelosia, che mi sentivo addosso.
-Ah, cazzo! tu aspettami qui- mi disse l’afro non appena usciti dalla porta sul retro. -ho dimenticato dentro la giacca.- Accennai un flebile ‘okay’ e mi sedetti sulla ringhiera delle scalette di ferro arrugginito.
Passarono circa cinque minuti e udii la porta cigolare e aprirsi alle mie spalle. Feci per scendere da dove ero seduto con un balzo, ma qualcuno mi afferrò ben stretto per il torace, passando le sue braccia sotto alle mie.
-Dove te ne vai?-
Il mio cuore cessò di battere all’improvviso. E non solo per lo spavento, per quel’inaspettato gesto o per quella frase che a seconda del tono sarebbe potuta sembrare minacciosa.
Ma per la voce che pose quella domanda.
Era strascicata. Sofferente. La voce di un qualcuno davvero triste. O davvero ubriaco.
Il mio respiro si fece affannoso, la testa leggera, lo stomaco era in subbuglio.
Cosa stai facendo? Perché mi abbracci? Dove dovrei andare? Dovrei restare? Se si, perché? Perché sei triste? Perché non riesco a respirare, anche se la tua stretta sembra di già affievolirsi?
Troppe domande, ma di coraggio per porle non ne avevo. mi sforzai di parlare comunque, sembrava in attesa di una qualche risposta. Le sue braccia si sciolsero dall’abbraccio che avvolgeva il mio petto. Sentii il freddo tornare a pizzicare la mia pelle da sotto la felpa spessa.
-c..cosa?- risposi incerto, schiarendomi la voce. Sentii Gerard allontanarsi dalle mie spalle. Le assi di legno scadente scricchiolarono sotto i suoi passi pesanti.
Voltarmi a guardarlo non fu esattamente la cosa migliore. Inquadrai la scena. Lui se ne stava seduto sul pavimento gelato, con la testa abbandonata all’indietro contro la fredda pietra delle mura del retro del locale. Aveva una pessima cera, ma nulla sarebbe riuscito a renderlo meno attraente ai miei occhi. Sbuffò una piccola nuvoletta di fumo dalla bocca semiaperta, osservandola come se non avesse mai visto nulla di simile e continuò ad ignorare la mia ricerca di spiegazioni.
-Gerard!- La porta si aprì nuovamente, cacciando un rumore tremendo e quasi non perdetti l’equilibrio cadendo giù dalla ringhiera. Ne uscì un Mikey trafelato, che non appena mi vide, sembro ricomporsi. Non so se lo fece per non far apparire ai miei occhi Gerard come un ragazzo che aveva bisogno di qualcuno che lo seguisse costantemente o per paura di venir scambiato per uno psicopatico iperprotettivo e nevrotico, ma lo fece. –Mi dispiace, per qualsiasi cosa ti abbia detto. – Mi disse non guardandomi nemmeno, era troppo intento a far rialzare Gerard da terra. –Su, forza andiamocene a casa.-asserì ancora una volta, con voce rassicurante, per poi tornarsene nel pub, senza neanche degnarsi di salutarmi. Non che mi importasse ovviamente, ma mi avrebbe aiutato a risvegliarmi da quello stato di shock in cui mi ero inabissato.
-Eccomi, scusa, mi ero fermato a parlare con una tipa lì dentro, mi ha anche lasciato il suo numero Frank! Non è fantast… Frank?-
Per quale motivo Gerard era venuto da me?
-Frank..?-
Era addirittura riuscito ad ingannare la sorveglianza del fratello.
-Ohoh..?-
O forse era arrivato qui per caso.
Magari si era perso tra le quinte ed era sbucato li, aveva trovato me, e forse mi aveva scambiato per qualcun altro.
-Ma insomma Frankie, che cazzo hai!?- Sentii Ray prendermi con forza il braccio e scuotermi, facendomi riprendere. – Freddo! Andiamo a casa. - Risposi sbrigativo fiondandomi nella macchina della cugina dell’afro, arrivata giusto in tempo per salvarmi il culo dal’eventuale interrogatorio di Ray.
Arrivammo di fronte a casa mia, salutai e ringraziai il mio amico e sua cugina e mi affrettai a varcare la soglia. Mi accasciai con le spalle contro il portone d’ingresso. Mi presi la testa tra le mani e sospirai profondamente cercando di alleggerire quel peso che gravava sul mio petto.
Ero sotto shock. Decisamente. Se solo avessi chiuso gli occhi avrei saputo riprodurre alla perfezione la scena, le sensazioni, il suo respiro sul mio collo, la sua testa poggiata contro la mia schiena. TUTTO.
Se salgo in camera va a finire che mi sdraio a letto, vengo sommerso dalle domande E mi esplode la testa.
Risultato: zero risposte e insonnia assicurata. Perciò vada per una passeggiata, tornerò a casa solo quando sarò così stanco da non riuscire più a coordinare cervello e azioni.
Sfilai le cuffiette dalla tasca dei jeans strappati e cominciai a camminare senza meta lungo il marciapiede premendo play e impostando la riproduzione casuale.
Il silenzio regnava sovrano attorno a me, eccetto per le note di Karma police che fuoriuscivano dagli auricolari e il suono di qualche sirena in sottofondo. I miei piedi si muovevano in automatico sul ritmo lento della canzone, la testa stava bassa fissa sui lacci delle mie scarpe ormai vecchi e sporchi. Isolarmi nella musica era la risposta. Almeno per me era da sempre stato così. Era il ponte che mi collegava al mio mondo. Mi bastava suonare o sentire della buona musica per azzerare le distanze con il mio universo personale.
Ma qualcuno interruppe la mia transizione da un mondo all’altro. –Ehi amico.- alzai la testa puntando gli occhi sulla figura incappucciata del ragazzo che mi stava chiamando. Poco, ma sicuro. Non l’avevo mai visto prima. –Ci conosciamo?- chiesi alzando il sopracciglio. Non so spiegare bene che impressione mi diede a primo impatto. Era un tipo magrissimo e slanciato, avvolto in un’enorme felpa nera  col cappuccio dal quale spuntava un ciuffo di capelli ondulati color verde acido, dei jeans strappati, anch’essi di minimo dieci taglie in più della propria, un grosso sorriso amichevole stampato in faccia e un’aria tranquilla e rilassata.
Era di certo una persona nettamente incompatibile con lo stereotipo del vecchietto che porta a spasso il cane la sera prima di andarsene a dormire, e credo sia per questo che inizialmente presi in considerazione l’idea di girare i tacchi e tornarmene a casa. –No, ma io conosco i tipi come te! Soli, con tante domande, una miriade di complessi inutili e una cotta che ti sta facendo intrippare di brutto, fratello.- disse gesticolando sempre facendo trasparire un indole pacata e pacifica e sfoggiando un innumerevole quantità di slang. Però tutto sommato aveva ragione,  e decisi di scartare l’idea di andarmene. – Io sono James, ma chiamami pure  Jimmy.- disse porgendomi una mano. – e questa..- notai nello stringergli la mano che tenuta tra le dita di essa c’era una specie di bustina in plastica, voleva che la prendessi e così feci. – è la tua meritata vacanza da un cervello troppo attivo.- Il suo sorriso si allargò, se possibile, ancora di più. – Mi stai simpatico, bello. Per sei euro, è tutta tua.- Abbassai la testa verso il mio pugno ancora chiuso, per poi aprirlo e scorgere ciò che c’era dentro. Ad occhio e croce sembrava … erba. Sogghignai. La misi nella tasca del giubbotto e presi i soldi dal portafoglio che avevo nei jeans, con un piccolo extra mi fornì anche il necessario per fumare. Salutai Jimmy e me ne tornai verso casa. Avevo fumato solo una volta in vita mia quella roba, mi era piaciuta, ma ero un tipo che viveva dei suoi pensieri e delle sue riflessioni, piuttosto depresso e con ben poca voglia di ridere, perciò pensai da subito che non era cosa per me quella. Ma per una serata, per QUESTA SERATA, avevo bisogno di staccare. Di prendere tutto con leggerezza, di smetterla di pensare alle conseguenze, alle mie troppe domande, avevo bisogno di ridere, di sfogarmi  da solo, così da non dovermi preoccupare neanche dell’apparire ridicolo agli occhi di quell’unico amico che avevo. Perciò affrettai il passo e mi fiondai dentro casa. Salii le scale stando attento a non far rumore per non svegliare nessuno e non appena entrato in camera chiusi la porta a doppia mandata. Mi sedetti sul letto e sistemai l’occorrente sulle coperte. Mi ci volle un po’ per assemblare il tutto, ma data la mia esperienza col drum, non fu poi tanto difficile mettere assieme qualcosa di lontanamente fumabile. Mi sedetti sui cuscini sul davanzale della finestra e aprii quel tanto che bastava per non impregnare la stanza di quell’odore tanto proibito. Accesi lo spinello e aspirai la prima boccata. Quel sapore di quel ricordo passato in compagnia di Bob, il mio vecchio amico di Newark, mi riaffiorò alla mente, scomparendo un attimo dopo nei meandri di una mente confusa. Perché era anche di stordirmi che avevo bisogno, il giorno dopo non avrei ricordato più nulla dei pensieri in questa fazione di tempo, non avrei provato vergogna nel ricordarmi del mio pensare senza freni, potevo immaginare ciò che volevo. Mi sdraiai sul pavimento e spalancai la finestra così da poter fumare liberamente anche lontano dal davanzale. Il freddo entrava, ma non mi importava minimamente. Anzi il mio tremare mi divertiva alquanto, sembravo uno stupido chiwawa senza il suo adorato capottino. Risi. Tappandomi subito dopo la bocca per non svegliare nessuno. Rotolai a pancia in giù sul gelido mattonato della stanza. Gettai la cenere su un foglio di carta che avevo strappato dal mio quaderno degli appunti su cui vi era impressa a penna una scritta. Gerard.  – Geràrd, alla francese!-  dissi, soffocando una risatina.
Andai avanti per qualche ora, rollai altri due di quegli aggeggi. La mia fantasia galoppava senza freni. Indomabile.
Quando ormai l’ipotermia era prossima, mi decisi a gettare tutto ciò che avevo usato, chiudere la finestra e mettermi a letto.
Restai sveglio, incapace di prendere sonno e dopo qualche ora l’effetto dell’erba sparì quasi del tutto.
Continuai a rigirarmi tra le coperte. Nessuna posizione era così comoda da farmi desistere dal pensare.
Allora mi arresi. Niente riuscì a farmi smettere di ritornare con la mente a quell’abbraccio. Al dolore che vidi nei suoi occhi. Alla preoccupazione del fratello.  Alla moltitudine di domande che avrei voluto porgere a Gerard.
E difatti quella notte non dormii affatto. Colpa del mio cuore che sembrava esplodere nel mio petto. Tenendomi sveglio fino alle luci dell’alba. 
*spazio autrice*
Le mie più sentite scuse. Non ci riuscivo. non riuscivo a convincermi di ciò che scrivevo.
Ho avuto un blocco assurdo. Giuro che non ho mai smesso neanche un secondo di smettere di pensare a come continuare la storia. Finalmente però ho idee. Ce la posso fare ad andare avanti, purtroppo come 'capitolo di sblocco' non è dei migliori, ma avevo bisogno di aggiornare con un testo del genere. 
ancora scusa, un grazie a chi mi segue e mi sostiene ancora.
;-;
-Gee. x
 
  
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