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Autore: Norgor    03/01/2014    5 recensioni
Lo vedeva ancora, continuamente.
Lo vedeva nella tazza di latte caldo che prendeva la mattina presto; lo vedeva nel giardino di casa sua, mentre rincorreva i nani spaventati in una risata spensierata; lo vedeva fra i consunti scatoloni firmati Tiri Vispi Weasley che giacevano ancora nella sua camera. No, nella loro camera.
Perché non era morto, giusto? Lui era ancora lì. Doveva essere ancora lì.

Fred e George Weasley. Un amore proibito che ha come sfondo un profondo contrasto interiore, dove il protagonista risulta essere la morte stessa.
Fred e George | One shot | 1404 parole | Rating arancione.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: George, e, Fred, Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Di solitudine e vetri infranti.




 

 

Lo scrosciare indistinto dell’acqua del rubinetto interruppe il silenzio glaciale che oramai invadeva quelle pareti spoglie da diverse settimane. Il lieve gorgoglio, inizialmente cauto e ovattato, cresceva in un boato sempre più assordante, creando una soffice spuma biancastra che si depositava sulla punta delle sue dita incallite e scheletriche.
  Meritava ancora di vivere, dopo tutto quello che era successo? Dove trovava la forza di reggersi ancora in piedi?
 
Il continuo mormorio della spuma si diffondeva per tutta la casa impolverata in una eco colma di malinconia e solitudine. Il suo rumore sordo e preciso riusciva lentamente a riportarlo in vita, a rialzarlo dal baratro profondo in cui era stato gettato in seguito alla battaglia, a convincerlo che per lui c’era ancora posto nel mondo.
  Eppure come era ancora in grado di respirare? Come aveva il coraggio di guardarsi ancora intorno?
 
Le mani strette attorno ai bordi del lavandino, la fronte corrugata in un’espressione sofferente e i muscoli tesi per il dolore. Così affrontava quel momento, tra gemiti strozzati e sussurri impercettibili.
  Le fitte che da quel giorno non avevano smesso di tormentarlo lo sorprendevano ancora più atroci che mai, costringendolo a rannicchiarsi in un angolo della stanza, il capo chino e le lacrime lungo le guance scavate. La notte gli incubi venivano ancora a fargli visita, e lui ancora non riusciva a contrastare la loro sete di vendetta.
  Lo vedeva ancora, continuamente.
 
Lo vedeva nella tazza di latte caldo che prendeva la mattina presto; lo vedeva nel giardino di casa sua, mentre rincorreva i nani spaventati in una risata spensierata; lo vedeva fra i consunti scatoloni firmati Tiri Vispi Weasley che giacevano ancora nella sua camera. No, nella loro camera.
  Perché non era morto, giusto? Lui era ancora lì. Doveva essere ancora lì.
  Ancora ricordava il vento che gli schiaffeggiava incurante il viso sporco, mentre scorgeva il suo corpo esanime trascinato nella polvere. Sorrideva, come sempre. Anche in quel momento non aveva perso il suo sorriso.
  Ancora ricordava la fatica nel muoversi verso di lui, mentre intorno a loro la battaglia ferveva in tutta la sua confusione. C’erano solo loro due. C’erano sempre stati solo loro due.
  Ancora ricordava la lacrima salata che gli aveva oscurato la vista prima di chinarsi sul suo capezzale. Le sue dita erano già rigide e pallide, sotto la coltre di cenere e detriti; i suoi occhi già privi della comune scintilla che soleva ardere al loro interno. Il mondo gli era crollato addosso in un franare amplificato.
  Il tocco famigliare della madre gli era sembrato lontano, estraneo, fastidioso, mentre osservava il suo volto radioso accasciato al suolo. Tutto ciò che lo circondava aveva perso di senso, di concretezza. C’erano solo cuori spezzati e grumi di polvere.
  Il tempo pareva essersi fermato, e la sua vita pareva essere volata via con un soffio di vento. E ora, settimane dopo la battaglia, George era ancora lì, immobile, ad aspettare che il gemello aprisse gli occhi e riprendesse a respirare; che gli sorridesse ancora e lo circondasse in un caloroso abbraccio; che gli accarezzasse il viso e gli scuotesse i capelli, come faceva un tempo. Ma la solitudine era un nemico troppo potente.
  Da quel momento, ogni cosa era andata per il verso sbagliato. Gemeva quando, una volta sveglio, si accorgeva che il letto di fianco a lui era vuoto. Gemeva quando, ogni volta che si smaterializzava, non c’era più  nessuna mano a stringerlo e rassicurarlo. Gemeva quando, ogni volta che si guardava allo specchio, la sua ombra faceva capolino di fronte a lui.
  Inizialmente si era limitato a rinchiudersi in se stesso, rannicchiato in posizione fetale, più che deciso a dimenticarsi come si facesse a vivere. Sdraiato e avvolto nelle coperte, si soffermava su un punto preciso della casa e passava la giornata ad analizzarlo nei dettagli più scrupolosi.
  Aveva un senso la sua vita? Cosa ne rimaneva del vecchio George, quello con un orecchio ancora funzionante e un fratello ancora in vita?
  Tutto il mondo pareva scomparire, sotto la calda trapunta della sua casupola abbandonata. I suoi incubi parevano meno insistenti, la luce non riusciva a filtrare, il freddo diveniva solo un ricordo. Era lì che si sentiva più morto. E sentendosi più morto, si sarebbe sentito anche più vicino a suo fratello.
  Erano passate esattamente tre settimane, da quando aveva ceduto all’autolesionismo.
  In quell’atmosfera lugubre  e carica di dolore represso, la sottile lama di un coltello era divenuta piuttosto invitante in più di un’occasione. La scarica di adrenalina che gli attraversava il corpo serviva per allontanare tutti i pensieri dalla sua mente. Era una sorta di liberazione, il rivolo di sangue che gli colava lungo il braccio tremante.
  Solo così stava bene, solo così si sentiva a suo agio. Gli occhi chiusi, il polso dolorante, il manico affilato nella mano destra. E tutto il resto, per qualche secondo, scompariva nel vuoto più assoluto.
  Era per quel motivo che in questo momento si trovava nel bagno, piegato davanti al lavandino incrostato di sporcizia. Era per quel motivo che il suo avambraccio era pieno di graffi e pungenti gocce di sangue rossastro scivolavano lungo il suo polso rigido senza fermarsi. E lui osservava il loro percorso, e sapeva che conducevano dove si trovava lui. E per questo sorrideva come un bambino.
  In un singhiozzo strozzato, George sollevò lievemente il capo verso l’alto, mentre il sudore gli imperlava la fronte ruvida e percorsa da leggere rughe d’espressione. Il suo sguardo guizzò per tutta la stanza, fino a soffermarsi sul vetro appannato di una finestra malridotta. Estrasse la bacchetta dalla tasca dei pantaloni.
Era ora di finirla.
 
George non si ricordava più da quanto tempo era innamorato di Fred Weasley, forse perché effettivamente non c’era mai stato un vero e proprio inizio. Ricordava solamente un sorriso molto tirato e qualche pacca amichevole sulla spalla.
  E mentre si avvicinava al vetro azzurrognolo, se ne rendeva sempre più conto. Il loro legame era sempre stato più forte dell’amicizia, più duraturo della fratellanza. E lui ne soffriva molto. Ne aveva sempre sofferto.
 
La sua mente era invasa di ricordi che lo gettavano nella più oscura confusione. Le partite di Quidditch sotto la pioggia scrosciante, le scorrazzate notturne con l’auto volante di papà, gli scherzi e i Tiri Vispi nei corridoi della scuola.
  Fred era stato la sua vita. E nel momento in cui era morto, anche lui aveva smesso di vivere.
  « Bombarda » sussurrò con voce rotta. In uno schianto violento il vetro cristallino della finestra si frantumò in mille pezzi e diversi frammenti appuntiti volarono per tutta la stanza. Molto lentamente ne recuperò uno e se lo passò davanti agli occhi.
  Così piccolo. Eppure così letale.
 
In uno scatto fulmineo se lo avvicinò al polso e prese a tracciare diversi tagli paralleli lungo l’avambraccio.
  Subito avvertì il contatto del vetro, duro e freddo, contro la sua pelle pallida e umida. Il suo volto si dipinse di una smorfia sofferente.
  « Ehi, Fred ».
  « Dimmi, George ».
  « Lo sai, vero, che qui sono io il più bello? » lo provocò.
  « Certo, George, continua a crederci » lo schernì lui, scuotendogli i capelli in una stretta amichevole.

  Faceva sempre più male, la punta rigida del vetro contro il suo braccio scheletrico. Ma di certo non si sarebbe fermato.
  « Che ne pensi di quella lì, invece? » chiese Fred, indicando il fondoschiena di una ragazza mora poco distante da loro.
  « Sì, beh, non male » consentì, voltando lo sguardo verso di lui. « Ma c’è sempre di meglio ».
 
Oramai i fiotti di sangue fuoriuscivano copiosi dalle diverse ferite che gli percorrevano il corpo. Ogni secondo che passava respirava sempre di meno e tremava sempre di più. Si stava avvicinando.
  « Pronto, George? » lo spronò Fred, poco prima di scendere nel campo di battaglia.
  « Certo, Fred ».
  « Ce la caveremo, lo sai vero? »
  George scrutò la folla di gente che aveva davanti agli occhi, sorridendo lievemente. « Certo che lo so ».

  Si accasciò al suolo sorreggendosi con le ginocchia, mentre la sua mano correva sulla sua pelle, squartandola e incidendola di profondi tagli. Non riusciva più a respirare. Il sangue sporco inondava il pavimento, che lentamente si tingeva di rosso.
  L’ultima cosa che riuscì a fare fu sollevare lo sguardo verso lo specchio. Il suo pallido riflesso morente si fece nitido dinnanzi a lui.
  Crollò a terra sbattendo la testa. Amore mio, sto arrivando da te.


 











 
Tana di Norgor.
Buongiorno, cari lettori.

Sì, un'altra prova del mistero che è il mio cervello.
Diciamo che io shippo questi due un po' da sempre, ma ho voluto dare una traccia di malinconia a due personaggi che rappresentano, nella saga, proprio l'opposto di questa, ovvero la felicità e l'allegria.
Poi boh, sarò io cretino, ma bao.

Ah, e dato che non credo abbia senso, fatemi sapere cosa ne pensate tramite recensione. <3
Vorrei dire altro, ma non mi ricordo.

Baci.
Norgor.


 
  
   
 
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