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Autore: Sally Seton    25/05/2008    2 recensioni
Questa storia ha partecipato al contest "Il colpo" indetto da Valeriuccia92 su Efp. Non ha vinto e non c'è una classifica quindi non so come è andata. Spero solo non sia troppo schifosa! Giudicatemiiii!!! Questa è la storia di Raphaelle che vive e rivive se stessa agli argini della Neva e non solo fino ad arrivare ad un finale forse inaspettato..
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La meta della mia metà

Titolo: La meta della mia metà.
Genere: Ohe shot – Malinconico/Triste.
Rating: Verde – Giallo.
Avvisi: * L'arcobaleno – Adriano Celentano.
Note: La signorina
Chez in realtà una casa non l'aveva.
Introduzione/riassunto: /


La meta della mia metà


Era tutto così vago ed irreale quel pomeriggio.

Sentiva una strana sensazione di freddezza che le bloccava il respiro, ma non riusciva a capire se quella provenisse dal vento che spirava forte sulla nave o piuttosto da una sua vera e propria mancanza di vita, di gioia.

Guardava alla sua destra cercando una spiegazione plausibile e concreta a tutto ciò, ma vedeva solo l'allontanarsi di quegli alberi, di quei volti, di quegl'occhi; e li vedeva sempre più piccoli e inermi, proprio come lei.

Prestava la sua attenzione verso dei particolari, a suo dire, troppo insignificanti per quel momento, come le ciminiere della nave, le catene che la tenevano ancorata al porto, i marinai che si davano da fare per preparare la nave alla partenza e sentiva dentro una sensazione di inettitudine, di apatia nei confronti di quei piccoli gesti che poi, tutti insieme, l'avrebbero portata a scoprire una nuova Raphaelle.

Aspettava in silenzio che la nave abbozzasse un movimento, anche minimo ed impercettibile per poter dare una spiegazione a quella strana atmosfera e quando sentì che il pavimento sotto i suoi piedi stava muovendosi verso l'orizzonte sentì dentro un desiderio di libertà infinito che non aveva mai provato prima e che ora sembrava volersi fare spazio a tutti i costi tra i meandri di quell'anima tormentata ogni giorno di più.


***


Raphaelle passeggiava lentamente sul ponte di quella nave; sempre più dolcemente quei passi accompagnavano quel flebile respiro di donna.

Raggiunse la poppa della nave, che abbandonava il porto di Dover lasciandosi alle spalle solo tanta schiuma bianca e alcuni fazzoletti svolazzanti per aria accompagnati da lacrime chissà poi quanto vere.

Abbandonava tutto quel giorno.

Lasciava il suo mondo per cercare quel tassello mancante nella sua vita altrove.

Quella doveva solo essere una crociera che da Dover la portava a San Pietroburgo, passando per Copenaghen, Stoccolma ed Helsinki; invece, si era rivelata molto di più.

Toccare alcune delle più belle città del mondo per poter ritrovare se stessa, quella Raphaelle che aveva perduto tanti anni prima quando da Clermont Ferrand si era trasferita a Londra per lavoro.

Negli ultimi quindici anni aveva girato il mondo, ma mai aveva trovato un rifugio.

Su quella nave adesso non stava lavorando per la Francia, stava dedicandosi solo ed unicamente a se stessa, per ritrovarsi, per capire cosa fosse fondamentale nella vita.

Quelle mani, quei volti erano sempre più piccoli, più distanti, più sfuocati.

Alzò la mano e la agitò al vento.

Chi saluti? Non hai nessuno lì che ti dice addio, non hai nessun porto al quale poter tornare ed attraccare.”

Abbassò la mano lentamente sfiorandosi dapprima i capelli castani che si agitavano per il vento e poi il suo stesso viso, tondeggiante, amaramente afflitto per aver visto per tanti anni solo ed unicamente il nulla: il suo compagno di vita più fedele.

Sentì una fitta allo stomaco nel ricordare tutto ciò.

Abbassò lo sguardo e si sedette per terra poggiando le spalle alle grate della nave.

Sul ponte non c'era più nessuno.


***


Raphaelle non aveva intrapreso quel viaggio per ritrovare un’altra caotica città, altre persone false dai sorrisi indisponenti, quelle che camminano per le strade impolverate con le loro ordinarie cartelline, ma solo per poter passeggiare alle otto di sera sul ponte di una nave qualsiasi guardando giù, sorprendendosi nel vedere quanta distanza la separava dalla sua città e non doversi preoccupare di ciò che ne sarebbe scaturito.

In città quelle emozioni non si potevano provare.

Lì si poteva uscire anche quando gli altri erano dentro, si poteva parlare anche quando gli altri se ne stavano zitti, si poteva piangere anche quando gli altri sorridevano senza che nessuno se ne accorgesse.

Alla fin fine lei la solitudine probabilmente l’aveva sempre cercata, però se qualcuno bussava teneramente alla sua porta, senza pretendere che lo facesse entrare ad ogni costo, lei lo prendeva con sé e lo accudiva.

Tutto inutile anche quella volta, era sempre la solita storia.

Il gattino malato, una volta guarito, torna a miagolare altrove perché l’ospedale non è casa sua, perché quel mondo non gli appartiene.

Raphaelle se lo chiedeva da quindici anni quale fosse il suo mondo, a chi lei appartenesse e ora come non mai doveva trovare una spiegazione a tutto ciò.

Continuare ad abbracciare il nulla dove l’avrebbe realmente portata?

A sventolare un fazzoletto che nessuno avrebbe mai visto e cercato; nessuno avrebbe mai potuto rispondere con un tenero accenno al suo gesto.

Nessuno, mai.

Quella sera stette sul ponte fino a tardi guardando la cartina che indicava il tragitto della crociera.

Fissava i puntini rossi dove doveva attraccare la nave in quei venti giorni; si soffermava sui puntini blu, ovvero le città che avrebbe dovuto visitare.

Tutto questo poi a cosa serviva?

Lei conosceva già quei posti, aveva lasciato un po’ di sé in ogni porto e adesso doveva solo pensare di sceglierne uno e costruirsi un qualcosa che potesse combattere il nulla che l’aveva sempre accompagnata.

Doveva combattere quel vuoto.

Guardava la cartina, ma continuava a distrarsi guardando le onde infrangersi a poppa; sentiva tra gli schiamazzi della gente il suo respiro ed il battito del suo cuore essere, ora come non mai, in sintonia con qualcosa, con qualcuno.

Quell’immensità era in sintonia con lei finalmente.

Riflessione su riflessione pensò che adesso era solo il momento di raggiungere la cabina per andare a riposare. Attraversò il ponte, entrò nel corridoio centrale che costeggiava la discoteca, lo percorse fino in fondo, aprì la porta e lasciò il rumore di quella notte alle sue spalle.


***


Passarono le ore, passarono i giorni, passarono le città e gli impegni lavorativi.

Quella che adesso si affacciava era l'ultima tappa di quella crociera, era l'ultima città da visitare prima di tornare a Dover, prima di riabbracciare le solite scartoffie londinesi.

Quel giorno la nave attraccò nella sua amata San Pietroburgo, finalmente.

Raphaelle uscì sul pontile e vide quelle sagome a lei così familiari che tante volte, per varie vicissitudini, aveva potuto scorgere.

Scese sulla terra ferma e si guardò intorno.

Era tutto come l'aveva lasciato l'ultima volta, nulla era cambiato, anche le persone le sembravano le stesse: il vecchietto che leggeva il giornale, il bambino che mangiava il gelato, la donna che teneva in braccio la bambina.

Tutto era esattamente uguale, come se quei cinque anni non fossero mai passati, come se avesse dormito per tanto, forse troppo tempo ed ora il suo risveglio era caldo ed accogliente come un grembo materno.

La guida turistica la invitò a seguire il gruppo, ma Raphaelle volle staccarsi per poter tornare ad intraprendere un viaggio suo e solamente suo.

“Allora la aspettiamo qua per le sette di stasera signora Chez?”.

Abbozzando un'affermazione voltò le spalle alla guida e s'incamminò.


***


Aveva bisogno di una svolta, di uno scossone, doveva cambiare qualcosa.

Quel desiderio di cambiamento, di instabilità, di libertà non l'aveva mai provato in vita sua.

Amava l'abitudine, l'ordine, ma adesso voleva solo vagare altrove in cerca di una metà a lei stessa sconosciuta.

Quel giorno le si offrì inaspettatamente la sua ultima occasione di cambiamento che lei seppe cogliere.

Camminava lentamente assaporando il profumo di libertà che quella città le aveva sempre dato.

Si incamminò per poter raggiungere la Neva sentendo dentro di sé che qualcosa stava cambiando, che un pezzo di sé si stava inesorabilmente allontanando e lei non poteva più fermare quel flusso così misterioso.

La testa era così leggera che non riusciva a pensare più di tanto per mettere ordine in quella situazione.

Ogni passo accompagnava quel magone, quella strana sensazione che aveva dentro.

Le tremavano le mani e aveva gli occhi lucidi.

Era come se anche quelle poche certezze che finora si era costruita venissero inesorabilmente meno e lei non potesse far niente perché avvenisse il contrario.

Raggiunse la Neva e stette in silenzio ad osservare il lento scorrere del fiume ascoltando musica celtica.

Ricordava in quel momento un vecchio detto cinese che era stato per lei da sempre un esempio da seguire: “Siedi sulla riva di un fiume e aspetta che passi il tuo nemico”.

Si sedette, fece buio, ma il suo nemico non arrivava finché la luce di un lampione non illuminò il riflesso del suo stesso volto sull'acqua.

Sentì che la soluzione era chiara; in quel preciso istante i tasselli del suo ultimo puzzle trovarono il loro ordine e riuscì a far scendere giù quella lacrima tanto attesa.

Il freddo di quella lacrima sul suo volto le ricordò gli inverni passati in quella città quando poteva dirsi felice, quando poteva contare su qualcosa, su qualcuno.

Riuscì a vedere il riflesso della lacrima che bagnava le sue labbra sul fiume.

Quell'ombra, quel volto era distorto dalla corrente e quella sera le sembrò di non riuscire a trovare pace e stabilità neanche nel riflesso terso illuminato da un lampione lontano.

Continuava a muoversi, sempre più e non si fermava.

Un moto continuo e vorticoso che all'età di venticinque anni l'aveva trascinata via da una vita che doveva essere diversa.

Due piccoli buchi neri spezzavano la monotonia di quel riflesso quella sera. Erano più scuri e malinconici del solito.

Erano lucidi.

Erano maledettamente suoi.

E quel nasino, così delicato fino a quel momento, ora il riflesso lo distorceva inequivocabilmente; quelle labbra così fini non avevano più una forma.

I contorni erano inesistenti.

Non si riconosceva più.

Non era più Raphaelle; era lo squallido prodotto della lotta tra lei e una società che in realtà non l'aveva mai accettata.

Aveva imparato a combattere contro tutto e tutti, era diventata forte, ma ora come non mai ricordava quelle sue esili spalle che sbattevano sempre contro quello stesso muro, contro quel lento ed inesorabile scorrere degli eventi che ieri l'aveva trascinata dentro tappandole la bocca e ricoprendo il suo cuore con un terso velo nero dal quale non poteva più respirare vita, se non una fragile, inutile ed ambigua inesistenza.

Una folata di vento ricoprì quel volto ormai disfatto con una foglia ingiallita, ormai caduta sotto l'ennesimo duro colpo come avrebbe da qui a poco fatto anche lei.

Quella folata di vento ebbe il merito di ricordarle anche in questo momento quegli attimi passati che lei stava cercando, oggi più di ieri, di cancellare definitivamente dalla sua mente, dalla sua anima.

Il ricordo quanto mai sbiadito di quell'amore passato tornò oggi più prepotente che mai senza lasciare a Raphaelle la benché minima possibilità di opporsi.

Ricordò quella tragica sera, quella moto che, schiantata contro il guard-rail, non aveva più consistenza; ricordava anche di non riuscire più a distinguere la lamiera dal corpo di quello che era il suo uomo.

Quando le arrivò la chiamata dalla polizia che la pregava di recarsi sul posto dell'incidente non riusciva a pensare.

Girò la chiave, il quadrante si accese, la macchina partì; il resto non lo ricorda più.

Deve aver corso molto quella sera in macchina perché il suo unico desiderio era quello di accertarsi che le parole del poliziotto non corrispondessero alla realtà, perché non poteva essere così, non doveva esserlo.

I ricordi si fecero più nitidi nel ricordare i segni della frenata sull'asfalto illuminati dai fari della sua auto.

Spinse lo sguardo oltre e quello che si profilava davanti ai suoi occhi era una macabra scena di un attimo, di un ultimo attimo di vita.

Una folata di vento accarezzò i suoi capelli e distolse la sua mente da quei ricordi lasciandola nuda in riva alla Neva di notte; nuda e sola.

Era un tragico ritorno alle origini, un riscoprirsi bambina, piccola ed indifesa davanti ad un mondo di grandi orchi brutti e cattivi.

In questi termini pensò da quel momento in avanti e capì l'essenza di quel male di vivere che l'accompagnava ormai da troppo tempo.

Quello che lei con tanta fatica e dedizione si era costruita in anni di lavoro in giro per il mondo era diventato il suo peggior nemico che adesso voleva prevalere per l'ennesima volta perché sapeva benissimo che lei non aveva più forza per combatterlo.

Nascose se stessa per l'ultima volta, si nascose dietro un sassolino, si nascose tra le acque di un fiume che accolse anche la sua ultima battaglia, quella più dura, quella contro una Raphaelle che lei stessa si era costruita pensando di poter rimpiazzare completamente l'originale.

Non riprese più aria e non capì più quale delle due era realmente Raphaelle.


***


Anche quella sera suonarono le campane, anche quella sera si spensero le luci, anche quella sera nessuno si accorse della sua mancanza.


Son diventato sai il tramonto di sera
e parlo come le foglie d'aprile
e vivrò dentro ad ogni voce sincera
e con gli uccelli vivo il canto sottile
e il mio discorso più bello e più denso
esprime con il silenzio il suo senso” *


***


Credits:

* L'arcobaleno – Adriano Celentano.


  
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