Piccola introduzione: siamo arrivati alla fine di questa fiction.
Questo è il 26° nonché ultimo capitolo. Grazie per averci seguito fin qui!
Capitolo 26
Riuscendo appena a reggersi in piedi, Tenpou si allontanò dal giardino, senza aggiungere una parola, le spalle curve come se sostenessero il peso dell’intero mondo. Loro malgrado, i tre uomini lo seguirono.
“Ma… e Maya?” chiese a quel punto Gojuin.
Nel sentire quel nome, Tenpou si voltò in direzione
dell’altro. Il suo volto sembrava non avere mai visto la luce del sole, tanto
era pallido.
“Tenpou… non vorrai dirmi che…” balbettò Gojuin, guardandolo
dritto negli occhi.
“Non ci arrivi da solo?” s’intromise a quel punto Kenren,
ancora in preda alla rabbia più devastante. Teneva le braccia lungo i fianchi,
le mani serrate in pugni al punto tale da far sbiancare le nocche.
Gojuin trattenne il fiato: Kenren era sempre stato uno
sbruffone e un indisciplinato, ma in quel momento aveva tutti i diritti di
risentirsi per quella domanda.
“Scusatemi… io non so più che cosa dire…” si scusò Gojuin.
“Allora non dire nulla. È meglio… tanto, qualsiasi cosa tu
dica, non cambierà la situazione!” sibilò il moro. Rispondere male a Gojuin non
gli dava alcuna soddisfazione, ma almeno gli permetteva di mantenere un blando
controllo sui suoi nervi.
Gojuin lo guardò senza aggiungere nulla. Sapeva che Kenren
stava soffrendo molto, forse quanto Tenpou. Dal canto suo, sentiva che la
collera che aveva cominciato a pervaderlo poco prima stava diventando una
rabbia gelida. Lui non era solito abbandonarsi alle emozioni e quello era
l’unico modo che aveva di reagire davanti ad una tale disgrazia.
“Che cosa possiamo fare, ora?” chiese a quel punto.
“Credo che per ora, la cosa migliore sia restare calmi. Torni
a casa, Gojuin, o alle sue mansioni, se crede.” Lo incoraggiò Konzen. Per
quanto fosse sconvolto, aveva mantenuto un invidiabile controllo di sé.
Gojuin annuì e, lanciando un ultimo sguardo verso gli altri
due generali, si decise ad andarsene.
Quando la figura del generale sparì del tutto in lontananza,
Konzen si voltò verso i due amici. Tenpou si era seduto a terra, chiuso nel suo
disperato silenzio: i suoi timori più grandi, le sue paure si erano realizzate.
Anche Maya era finita nella trappola di Li Touten. Anche Maya aveva finito col
rimetterci la vita.
“Tenpou… restare ad osservare il vuoto non la riporterà da
noi. Fatti forza, non è il caso di restare qui.” Disse il biondo,
avvicinandoglisi.
Il dio dagli occhi verdi sollevò lo sguardo sul suo
interlocutore, uno sguardo vuoto, perso.
“Non sono riuscito a proteggerla… Konzen… dove ho sbagliato?
Perché?” domandò con un filo di voce.
“Tu hai fatto del tuo meglio, Tenpou. Ciascuno di noi ha
fatto del proprio meglio…”
“Basta con queste fesserie!” esclamò Kenren, agitando i
pugni.
Konzen rimase stupito da quell’uscita.
“Sono tutte balle! Ciascuno ha fatto del proprio meglio?!
Lascia che ti dica una cosa, Konzen, se avessimo davvero fatto del nostro
meglio, Maya sarebbe ancora viva!”
“E che cosa avresti voluto fare, eh, Kenren? Sentiamo… sono
proprio curioso!” lo schernì il biondo. Sapeva che l’altro sragionava e che non
avrebbe dovuto dargli retta, ma anche lui si sentiva a pezzi e quello era un
modo come un altro per sfogarsi.
Il moro avrebbe voluto prenderlo a pugni, avventarsi contro
di lui per placare almeno un po’ tutta la rabbia e il dolore che provava.
Avrebbe voluto stenderlo con un unico colpo e poi continuare, ma sapeva che
tutto quel ribollire di sentimenti non erano per Konzen, bensì per Li Touten.
Era lui che Kenren avrebbe voluto avere per le mani. Era lui che aveva ordinato
a Kuronuma di uccidere Maya.
Senza nemmeno rendersi conto di quanto stava per fare, il
moro sferrò un pugno contro il tronco del ciliegio al quale Tenpou si era
appoggiato. Era talmente fuori di sé che non avvertì neppure il dolore.
Nel vederlo in quegli stati, Konzen rammentò che anche lui
avrebbe desiderato dare sfogo alla sua rabbia proprio come aveva appena fatto
Kenren. Solo che ormai lui l’aveva interiorizzata e adesso sentiva soltanto un
gran senso di freddo dentro di sé, un senso di gelo che non aveva mai provato
prima. Sarebbe stato in grado di sopportare tutto quello? Dopo la morte di Kazue,
l’unica cosa che l’aveva tenuto ancorato alla vita reale era stata la
consapevolezza di potersi vendicare, ma ora? Maya aveva seguito Kazue, portando
via con sé tutte le speranze di veder fatta giustizia.
Tenpou si alzò lentamente da terra, incurante del camice
macchiato di erba. Con lentezza esasperante si tolse gli occhiali e si posò una
mano sugli occhi. Sentiva bruciarli, sentiva che le lacrime sarebbero presto
scese, irrefrenabili. Avrebbe dovuto lasciarle scorrere, non avrebbe dovuto
trattenerle, ma qualcosa in lui sembrava frenarlo e nemmeno lui sapeva
esattamente cosa fosse.
“Andiamo via di qui.” Mormorò appena agli altri due.
Gojuin richiuse dietro di sé la porta dell’ufficio e, con un
gesto secco, gettò all’aria tutte le cose che stavano sul suo tavolo. Poi,
incurante di stare calpestando documenti importantissimi, si sedette alla
scrivania e rimase seduto, fissando il vuoto della penombra della stanza. Lui
non era capace di esternare i propri sentimenti come faceva Kenren. Non
riusciva a sopportare che gli altri vedessero una cosa così intima di lui, per
questo non li lasciava trapelare. Né quelli positivi, né tantomeno quelli
negativi. Ma questo non significava che non provasse mai niente. E in quel
momento, per quanto apparisse freddo, era furioso. Era così fuori di sé da non
ricordarsi di esserlo mai stato tanto.
Aveva perso Maya. L’aveva persa e, differentemente dagli
altri, non sapeva nemmeno perché. E questo era insopportabile.
L’unica cosa che aveva capito, era che Kuronuma aveva tradito
e che dietro a quel tradimento c’era Li Touten. Cercò di riflettere per
riuscire a mettere a posto gli indizi che aveva, ma la sua mente era troppo
sconvolta per pensare. Improvvisamente si sentirono nella stanza risuonare quei
colpi.
Gojuin nemmeno spostò lo sguardo: e così qualcuno l’aveva
visto entrare lì. La gente sceglie sempre il momento meno opportuno per
arrivare… pensò.
Di nuovo il misterioso visitatore bussò alla porta.
“Avanti.” Disse freddamente il generale, mantenendo
un’espressione rigida.
Sulla soglia comparve il padre di Kuronuma, anch’egli con
sguardo duro. Gojuin distolse subito lo sguardo: la vista di quell’intrigante
spocchioso gli faceva venire in mente il figlio. E dopo quello che era
successo…
L’altro non aspettò che il generale lo accogliesse e con
prepotenza si fece avanti nella stanza. Esitò solo un istante notando il
disastro di documenti che giaceva a terra, ma non si fece troppi scrupoli a
passarci sopra.
“Generale Gojuin!” tuonò con alterigia, “Siete al corrente di
quello che è successo?”
“Certo.” Rispose lui, fissandolo con gli occhi rossi e
penetranti.
“Mio figlio! È stato ucciso! È stato assassinato
nell’armeria!” continuò il primo, sbattendo i pugni sul tavolo.
Gojuin abbassò lo sguardo sulle mani dell’altro, la sua
espressione diventò ancora più gelida.
“Sì. È così.” Confermò.
Kuronuma lo squadrò furente: “Fate tanto il conciliante…”
sibilò, “Ma intanto non avete il coraggio di dirmi chi l’ha ucciso… Credete che
non lo sappia? È stata quella maledetta donnaccia che vi tenevate a fianco!”
Il generale serrò la mascella: “È stato Li Touten a dirvelo?”
“Li Touten in persona!” confermò urlando Kuronuma.
Gojuin rimase in silenzio e poi piantò lo sguardo di ghiaccio
in faccia all’altro: “E perché siete venuto da me? Che cosa volete?”
“Voi dovete punire quella…”.
“È morta. L’ha uccisa vostro figlio.” Lo interruppe
sgarbatamente il generale, “Li Touten questo non ve l’ha detto?”
Kuronuma sorrise con odio: “No… chi credete di ingannare? Non
c’è nessuna prova che Maya sia morta…”
Gojuin si alzò in piedi di scatto: “Abbiamo seguito tracce di
sangue fino al giardino!”
“Avete trovato il suo cadavere?” replicò con arroganza
l’altro.
Gojuin si zittì. Rimase pensieroso per un po’, poi si
risedette. In effetti, che Maya fosse morta, non c’erano prove. Lei era…
sparita, più che altro. Ma stava andando da Li Touten. Stava andando da Li
Touten per ucciderlo. E se non ce l’aveva fatta, solo una cosa poteva averla
fermata…
“Nessuno l’ha vista morta.” Aggiunse Kuronuma, sorridendo
malevolo.
“Se risultasse che Maya sia viva, verrebbe senz’altro punita,
signor Kuronuma…” sibilò di malavoglia Gojuin.
“Questo non è sufficiente… vi ricordo che io ho perso un
figlio per colpa sua…” riprese con foga l’altro.
Il generale lo squadrò; cominciava a non sopportare più la
sua presenza…
“E io… io potrei rimediare a questo?” domandò ironicamente.
Kuronuma si leccò le labbra: “Voglio che la memoria di mio
figlio venga onorata con solenni funerali. E voglio che il mio secondogenito
diventi il vostro nuovo generale di divisione. Mi sembra il minimo, dopo quello
che è successo… in fondo è anche colpa vostra, Gojuin…se aveste scelto meglio i
vostri collaboratori…”
Gojuin rimase in silenzio per qualche secondo. Poi, con
grande sorpresa di Kuronuma, cominciò a ridacchiare. E poi a ridere
apertamente.
“Che cosa avete?” domandò offeso quello.
Gojuin lo guardò: “Uscite immediatamente dal mio ufficio.
Uscite da solo o vi ci butto fuori io.”.
Intimorito dal tono che aveva usato il generale, Kuronuma
indietreggiò, e quando vide che l’altro si era alzato in piedi, corse verso la
porta.
“Ma… mio figlio…” balbettò, trovando per un attimo il
coraggio di opporsi.
“Vostro figlio era un maledetto traditore. Non accetterò mai
che venga onorato nel modo che volete. E il vostro secondogenito tenetevelo
pure… non voglio altra feccia nel mio esercito. E adesso fuori. Fuori o non
rispondo più di me!” sibilò, mettendo mano alla spada.
Kuronuma, tremando, cercò di sfidarlo un’ultima volta: “Non
oserete… io… io ho l’appoggio di Li Touten… voi siete solo… non oserete…”
Gojuin, con un gesto rapido, sfoderò la spada e la lama
brillò lucente nella penombra. Ma Kuronuma non riuscì a godersi lo spettacolo
di luce: era già scappato a gambe levate, lasciando la porta aperta.
Kenren afferrò prontamente l’ultima bottiglia di sakè e se la
portò alle labbra: era talmente sbronzo che ormai cercare di comportarsi
compostamente era diventata una finzione intollerabile.
“Lasciane un po’ anche a me…” borbottò Konzen, appoggiando la
schiena al muro. Dopo quello che era accaduto la mattina, i tre amici non
avevano trovato altro di meglio da fare che rintanarsi nello studio di Tenpou e
sbronzarsi.
“Hehe… non ti preoccupare, Konzen… ne ho altre da parte!”
ridacchiò Kenren, “Sempre ammesso che riesca a trascinarmi fino al mobiletto…”.
Il biondo non rispose, ma si limitò a fissare Tenpou, anche
lui seduto a terra come tutti. Per quanto anche quest’ultimo non si fosse
affatto risparmiato nel bere, aveva ancora l’aria di essere sobrio e, a
differenza dei compagni, utilizzava ancora il bicchierino anziché bere
direttamente dalla fiaschetta.
Utilizzando quel poco di lucidità che gli era rimasta, Konzen
notò che l’amico doveva essere pressoché distrutto: i suoi occhi erano persi
nel vuoto e il suo viso era del tutto privo di espressione. Più o meno la
stessa reazione che aveva avuto lui qualche giorno prima. Più o meno la stessa
reazione che aveva avuto lui quando Kenren gli aveva detto di Kazue. Ora la
stessa cosa era capitata anche a lui e Konzen non sapeva proprio cosa dire.
“Non ci sono parole per esprimere quello che provo…” constatò
amaramente, “Non sono ancora riuscito a farmi una ragione di quello che è
successo a Kazue… come faccio ad essere di qualche conforto per lui?” si disse.
Il biondo pensava di avere soltanto pensato quelle parole, ma era evidente che
il suo stato di ebbrezza doveva averlo ingannato, perché Kenren lo stava
fissando come se avesse sentito tutto.
“Non c’è nulla che tu possa dire o fare per aiutarmi…
adesso…” mormorò ad un tratto Tenpou. Anche lui aveva sentito.
Nessuno proferì parola per diversi minuti: che cosa c’era da
dire? Li Touten aveva strappato loro le vite di Kazue e Maya… che cosa c’era di
peggio?
Ancora una volta Konzen maledisse mentalmente l’imperatore
celeste e il suo insulso divieto che non era stato in grado di proteggere la
vita di quelle due donne.
Kenren trangugiò un ultimo sorso di sakè, poi passò la
bottiglia al compagno. Il biondo lo guardò per l’ennesima volta. Anche lui era
ormai al limite… forse non era quello che aveva bevuto di più, ma di certo non
era quello che soffriva di meno!
“No… passo…” sibilò appena Konzen, con un gesto della mano.
L’altro fece spallucce e tornò a bere: voleva arrivare al
punto tale di non essere più nemmeno in grado di pensare, voleva addormentarsi e
non provare più nulla. Konzen aveva ragione: non c’erano parole per descrivere
quello che provava. Già la morte di Kazue era stata un brutto colpo… aveva
cercato di farvi fronte attingendo a tutte le sue forze perché voleva essere
più d’aiuto che di peso, ma era stato veramente difficile! Pensare che non
avrebbe più bisticciato con lei… che non l’avrebbe più sentita ammonirlo con
quel suo solito piglio deciso che tanto gli faceva tenerezza. Inoltre, Maya si
era vista portare via in quel modo la sua migliore amica e lui si era sentito
in dovere di sostenerla come meglio poteva. Se solo avesse immaginato come
sarebbero andate a finire le cose! Poteva benissimo reggere a quel colpo, ma
non avrebbe mai potuto rassegnarsi alla scomparsa di Maya. In tutti quegli anni
non se lo era mai chiesto, ma in fondo sapeva che era sempre stato innamorato
di lei… non come un uomo avrebbe potuto amare una donna, ma come un fratello
ama una sorella, come un amico… Maya gli aveva sempre detto che con lui parlava
bene, ma lui non le aveva mai fatto sapere quanto la cosa fosse reciproca.
Adesso che quelle due donne non c’erano più… che ne sarebbe stato di loro? Un
trio di divinità imbronciate e perennemente sbronze?
Nemmeno Gojuin, da quello che aveva sentito, se la cavava
troppo bene, del resto… aveva sempre pensato che quel generale altero e superbo
non avesse un cuore, e invece…o forse la scomparsa di Maya l’aveva fatto
impazzire… fatto stava che aveva minacciato il padre di Kuronuma con la spada.
Quello, ovviamente, pavido e codardo anche più del figlio, era subito corso da
Li Touten, che non aspettava altro. Era dal giorno del banchetto che attendeva
l’occasione buona per vendicarsi dell’affronto… Figuriamoci, era volato
dall’imperatore a denunciare l’accaduto, reclamando la testa di Gojuin su un
piatto d’argento. Solo l’intervento di Kanzeon Bosatzu era stato capace di
salvare il generale. La zia di Konzen era riuscita a convincere l’imperatore a
non agire avventatamente, e a considerare la faccenda con più calma. Gojuin era
salvo, per il momento. Ma Li Touten avrebbe sicuramente continuato a rodere la
coscienza dell’imperatore, giorno e notte… e sarebbe arrivato il momento in cui
nemmeno Kanzeon avrebbe potuto fare niente per salvarlo.
Un movimento scoordinato strappò Kenren ai suoi deprimenti
pensieri: anche Tenpou aveva ceduto al bere direttamente dalla fonte…
Il generale di divisione contemplò con quel poco di lucidità
rimastagli il volto sconvolto dell’amico: sarebbe mai stato in grado di
sostenere tutto quello? Fino a quel momento Tenpou non aveva dato segni di
cedimento… non una lacrima, non un grido… eppure, Kenren sapeva che dentro di
lui, il giovane stava urlando. Bastava guardarlo per capirlo. La luce che di
solito albergava nei suoi occhi si era spenta del tutto, sembrava una
marionetta alla quale erano stati recisi i fili.
“Fare i duri non servirà a nessuno… almeno in questo
momento…” commentò, “Inoltre… non credo che riuscirò a rimanere impassibile
ancora per molto.”.
Tenpou lo scrutò come se la vista gli si fosse annebbiata:
“Già… sai una cosa? Non ricordo l’ultima volta che ho pianto…”.
“Dev’essere stato molto tempo fa…” constatò Konzen, il cui
sguardo era perso nella contemplazione del firmamento che splendeva fuori dalla
finestra.
“Hehe… pensare che adesso vorrei urlare e disperarmi… e non
ne ho la forza! Che idiota che sono!” si biasimò il generale dal camice bianco,
togliendosi finalmente gli occhiali.
“Siamo tutti degli idioti…” puntualizzò Kenren, “Loro non ci
avrebbero permesso di ridurci così!”.
“La sai un’altra cosa? Credo che tu abbia ragione!” convenne
per la prima volta il biondo. Mai avrebbe pensato di poter essere d’accordo con
quel tipo, ma almeno in quella occasione non poteva dargli torto: né Maya, né
tanto meno Kazue avrebbe voluto vederli in quello stato.
Erano entrambi così persi in quei discorsi senza senso che
non si accorsero che Tenpou aveva lasciato andare a terra la bottiglia di sakè,
che ora stava bagnando il pavimento.
“Tenpou… ma che mi combini?” protestò il generale di
divisione, mostrando un ultimo sprazzo di abilità motoria rimettendo la
bottiglia in piedi. Non si diede nemmeno la pena di asciugare il liquido sparso
sul tatami, ma spostò uno dei tanti volumi che si trovavano pericolosamente
vicini alla pozza d’alcool.
“Ten… sei sempre il solito! Non dovresti lasciare questi
libri a terra… lo sai che…” cominciò a borbottare, ma si fermò non appena ebbe
modo di notare la copertina del volume: quel libro era un regalo che lui e Maya
avevano fatto a Tenpou alcuni anni prima. Avevano fatto carte false per
trovarlo… ed ora, come uno scherzo del destino, gli capitava tra le mani. Il
generale sorrise appena, un sorriso triste e pieno di malinconia.
Quando sollevò lo sguardo dalla copertina del libro, incontrò
il volto di Tenpou, coperto quasi completamente dai capelli. Con rapidità il
giovane dagli occhi verdi afferrò il volume e se lo strinse al petto,
cominciando a tremare. La diga si era rotta e gli argini non reggevano più. Le
lacrime cominciarono a scendere copiose lungo il volto terreo e Kenren distolse
lo sguardo: se avesse continuato ad osservare la scena non sarebbe stato più
capace di trattenersi e lui non voleva piangere così, davanti a tutti.
Passarono minuti, o forse ore, quando finalmente Tenpou
riuscì a riprendere l’autocontrollo.
Era l’alba e i tre erano ridotti a degli stracci.
“Adesso che faremo?” domandò Konzen.
“Quello che abbiamo deciso di fare… ci vendichiamo!” affermò
con veemenza Kenren. Almeno, quello era quanto avrebbe fatto lui.
“Non possiamo andare da Li Touten e spaccargli la faccia… mi
sembrava che ne avessimo già parlato!” protestò il biondo.
“Mi pare ovvio di no! Troveremo un modo… un altro modo… Noi
lo dobbiamo trovare!”
“Hai qualche idea?” chiese Tenpou.
“Non proprio, ma so che un modo c’è! Inoltre, non credo che
riuscirei a darmi pace se quel mostro rimanesse impunito…”
“C’è un altro problema…” fece notare Konzen, rabbuiandosi
ancora di più, “Forse anche più grande di quanto possa dirsi la vendetta…”
“A che ti riferisci?” domandò Kenren, massaggiandosi le
tempie.
“A Goku…”
“Non lo sa ancora?”
“No… non ho trovato il coraggio di dirglielo…” confessò il
tutore, “L’altra sera… quando sei venuto da me, Kenren, stavo quasi per
dirglielo… ma poi mi sono mancate le parole.”
“Non fartene una colpa!” lo rassicurò Tenpou, “In questi
casi, non si riescono mai a trovare le parole giuste.”
“Già… ma prima o poi dovremo farglielo sapere.” Obiettò
Kenren. Il solo pensiero di dover affrontare quei grandi occhi dorati in quella
circostanza gli faceva male e gli stringeva un nodo alla gola. Di certo il
piccolo non avrebbe capito le motivazioni, ma avrebbe visto solo il fatto che
Kazue e Maya non sarebbero più tornate, che non avrebbe più beneficiato del
loro affetto…
“Avrò bisogno del vostro sostegno…” sussurrò il biondo.
“Non devi neanche chiederlo! Lo faremo insieme.” Promise
Tenpou.
Konzen guardò i due compagni con gratitudine. C’erano ancora
molte cose da fare, prima di poter scrivere la parola fine a quel doloroso
capitolo.
I tre si alzarono da terra: per ora, l’unica cosa che
potevano fare era rimettersi in sesto, il resto sarebbe venuto da sé.
FINE
Due righe dalle Autrici:
Come già accennato all’inizio, questo è stato il nostro
ultimo capitolo sul Gaiden. Non avete idea di quanto ci abbiamo lavorato per
proporvelo in questa veste, speriamo di aver svolto un lavoro apprezzabile…
Vorremmo cogliere l’occasione per ringraziare chi ci ha
seguite durante questo lungo percorso, chi ci ha sostenute lasciandoci i propri
commenti e chi ha letto solamente.
Grazie a Jack, Lallotta, Lyam, Sakura87, ShaolinQueen che
hanno sempre commentato!
Ciao e alla prossima fiction! (arriverà… non temete)
Kappa&Nobu