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Autore: tikei_chan    25/05/2008    7 recensioni
"Se vuoi una cosa nella vita, fai di tutto per ottenerla. Non farti sfuggire dalle mani quello che hai già conquistato”.
Giunta di fronte a casa, notai la sua macchina parcheggiata al posto di quella di Charlie.
Cattivo segno. Non aveva intenzione di trattenersi.
Io scesi dal pick-up, lui dall’auto, e mi venne incontro. Mi tolse lo zaino di mano. Gesto normale. Ma, anziché aiutarmi a portarlo, lo ripose sul sedile.
Gesto tutt’altro che normale.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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“Se vuoi una cosa nella vita, fai di tutto per ottenerla

Piccola premessa prima di lasciarvi alla storia. Questa è la mia prima fic, e l'ho scritta sotto ispirazione di una mia grandissima amica (uchihagirl) che mi ha gentilmente introdotta nel fandom. oltre al fatto che mi ha prestato twilight e mi ha spinto a leggerlo (Dio la benedica!). Quindi la ringrazio di quore (errore voluto, lei sa perchè) e vi dico solo un'ultima cosa: questa fic è per chiunque abbia odiato Edward in New Moon. O almeno per chi non ha apprezzato la sua decisione. pensavo di scrivere un seguito, ditemi voi. Un bacio,

Tikei

 

Se vuoi una cosa nella vita, fai di tutto per ottenerla. Non farti sfuggire dalle mani quello che hai già conquistato”.

 

Giunta di fronte a casa, notai la sua macchina parcheggiata al posto di quella di Charlie. Cattivo segno. Non aveva intenzione di trattenersi.

Io scesi dal pick-up, lui dall’auto, e mi venne incontro. Mi tolse lo zaino di mano. Gesto normale. Ma, anziché aiutarmi a portarlo, lo ripose sul sedile. Gesto tutt’altro che normale.

“Facciamo una passeggiata”, propose, impassibile, prendendomi per mano.

Restai in silenzio, senza riuscire a trovare un modo di protestare immediatamente, come avrei desiderato. Così non andava. Brutto segno, brutto segno, ripeteva la voce nella mia testa.

Edward non rimase ad aspettare. Mi portò sul lato destro del giardino, quello che confinava con il bosco. Mi lasciai trascinare, cercando di restare lucida nonostante il panico. In fondo era ciò che volevo, mi dicevo, era la possibilità di chiarire. E allora perchè mi sentivo soffocare dall’angoscia?

Ci fermammo dopo pochi passi sotto gli alberi. Non avevamo nemmeno imboccato il sentiero, vedevo ancora casa mia.

Edward si appoggiò a un tronco e mi fissò con un’espressine indecifrabile.

“Bene, parliamo”, dissi. Apparivo molto più coraggiosa di quanto non fossi.

Prese fiato.

“Bella, stiamo per andarcene”.

Respirai a fondo. Era una scelta accettabile. Mi credevo pronta. Invece, dovevo sapere.

“Perché proprio adesso? Ancora un anno…”

“Bella è il momento giusto. Per quanto tempo credi che potremmo restare ancora a Forks? Carlisle dimostra a malapena trent’anni e già ne deve dichiarare trentatrè. Comunque vada, non passerà molto tempo prima che ci tocchi ricominciare da capo”.

La sua risposta mi lasciò perplessa. Pensavo che andarcene servisse a lasciare in pace la sua famiglia. Che senso aveva partire se loro ci avrebbero seguiti? Lo fissai, sforzandomi di capire.

Lui sostenne il mio sguardo, impassibile.

Un attacco di nausea mi confermò che avevo capito male.

“Hai detto stiamo…”, sussurrai.

“Intendo la mia famiglia e me”. Scandito parola per parola.

Scuotevo la testa avanti e indietro, meccanicamente, cercando di sgombrarla dai pensieri. Lui restò in attesa, senza dare segni di impazienza. Mi ci volle qualche minuto, prima di riuscire a parlare.

“Lo sai che non potrei vivere senza di te. Quando sei entrato a far parte della mia vita, l’hai completamente stravolta, non potrei tornare a come era prima. Prima che tu mi facessi il dono di starmi accanto”. Presi fiato. La sua espressione non era cambiata. Aprì la bocca; voleva controbattere, ma io lo precedetti. Non intendevo arrendermi.

“ Quello che è successo il giorno del mio compleanno non è nulla. Tu mi hai sempre detto che stando con te rischiavo, ogni secondo, la vita. Malgrado io non volessi crederti, una parte di me ne era comunque consapevole. Io ho deciso di rimanerti accanto perché TI AMO. Mi sono illusa che fosse così anche per te…sbagliavo?”.

Alzai un sopracciglio facendogli quella domanda. Lo guardai fisso negli occhi. Non sapevo dove avessi preso tutta quella forza. Probabilmente avevo realizzato che stavo per perderlo. La migliore cosa che mi fosse mai successa, il mio angelo, il mio miracolo personale.

Se ne stava lì davanti a me, ricambiando il mio sguardo. Ovviamente il suo faceva un effetto completamente diverso.

In seguito alla mia ultima domanda, sul suo volto perfetto era balenata una maschera di sofferenza. Sembrava combattuto. Il suo viso bellissimo era distorto da quella espressione di tormento.

Capii che l’atteggiamento freddo dei giorni precedenti era solo un modo per nascondere il dolore che provava dentro. Forse mi amava veramente. Se era così, se davvero era dilaniato dalla sofferenza all’idea di abbandonarmi, allora dovevo assolutamente sfruttare quel suo momento di indecisione per infliggergli il colpo di grazia. Quello con cui avrei provato definitivamente a fargli cambiare idea.

Stavolta però fu lui a precedermi. “Bella, quando eri in ospedale ti ho promesso che ti sarei rimasto accanto finché sarebbe stato un bene per te. La mia stessa natura ti mette costantemente in pericolo. Io ti amo, ma non potrei sopportare che per colpa mia, o di qualcun altro membro della mia famiglia, ti succedesse qualcosa. Cerca di capirmi. Non potrei perdonarmi. La consapevolezza di essere stato io a provocare…la tua morte, nella peggiore delle ipotesi, mi ucciderebbe”.

Entrambi sussultammo quando pronunciò quella frase. Riprese: ”Andrei dai Volturi per porre fine ad un’esistenza fatta solo di dolore e rimorso”.

Quell’affermazione mi diede il la per riprendere il mio discorso con rinnovato vigore.

Una nuova rabbia mi pervase da dentro, salì e la sputai fuori, attraverso le mie parole.

“Ah, e così se a me succedesse qualcosa andresti a farti ammazzare senza pensarci due volte, però se fossi tu abbandonarmi, lasciandomi dentro un vuoto incolmabile, io non avrei lo stesso diritto? No Edward, sta pur certo che senza di te la mia vita non sarebbe più degna di essere definita tale, quindi finirei per uccidermi”. Pronunciai con tale leggerezza quelle ultime parole che anch’io mi sorpresi di me stessa. La sua reazione fu di sorpresa, come la mia, ma mille volte amplificata.

Le sue labbra si strinsero.

Gli occhi di oro liquido mi colpirono con il peggiore degli sguardi che mi avesse mai riservato.

Era rabbia, ira bruciante e incontrollata; le iridi sembrarono ardere ... poi cambiarono, si sciolsero. Divenne triste; evidentemente aveva afferrato il senso delle mie parole. Come il pomeriggio del mio compleanno, quando avevamo guardato Romeo e Giulietta. Era stato allora che mi aveva rivelato di aver pensato al suicidio durante il periodo che avevo trascorso in ospedale. Allora gli chiesi di mettersi nei miei panni. Ora il mio intento era stato esattamente quello di rievocargli quella conversazione. Evidentemente c’ero riuscita.

Infine lo sguardo che avevo aspettato. Quella della resa. Si incurvarono anche le sue perfette spalle di marmo e mi parve incredibilmente umano. Avrei voluto dirgli qualcos’altro, ma non ricordai cosa. Non m’importava, ormai il grosso del lavoro era fatto.

Mi prese dolcemente la mano; il suo sguardo, ora tornato quello di sempre, mi avvolgeva.

Ma c’era ancora una nota di malinconia. “Bella, come faremo a portarti con noi? Andremo a Denali, staremo con altri vampiri. Anche Tanya e la sua famiglia seguono una dieta “vegetariana” ma non possiamo sapere come reagirebbero se gli portassimo un'umana a vivere tra loro. Senza offesa. Potrebbero anche non accoglierti e saremmo costretti a tornare indietro. Senza contare che dovresti lasciare Charlie e Renee. Perdere i contatti con i tuoi amici…”. Lasciò cadere il discorso.

Il mio viso probabilmente stava riflettendo la malinconia che aveva provocato toccando quel tasto dolente. L’unico motivo che non mi permetteva di essere completamente sicura di voler essere trasformata. Mi chiedevo spesso quanto dolore avrei provocato andandomene di casa.

Tanto.

Molto più di quanto potessi immaginare probabilmente. L’amore di un genitore per il figlio crea un legame inossidabile.

Come avrei potuto abbandonare Charlie? Non sapeva neanche cucinarsi un pasto decente!

E Renee? Come avrebbe reagito apprendendo la notizia? Preoccuparsi per me era una delle cose che le riusciva meglio…

Improvvisamente la mia testa si riempì di pensieri, dubbi, domande…alzai lo sguardo per incontrare quello di Edward, per cercare conforto nei suoi occhi. Ma lui mi stava guardando con aria preoccupata. Sospirò. “Sei esausta è meglio che tu vada a casa, continueremo questo discorso domani”. Dicendo questo sciolse la presa che legava le nostre mani e mi cinse il fianco indirizzandomi verso casa di Charlie.

Non cercai neanche di oppormi, sapevo che aveva perfettamente ragione. Lo stress di quel pomeriggio mi aveva molto debilitata, inoltre Charlie stava per tornare a casa.

Non mi ero resa conto di come fosse passato in fretta il tempo mentre parlavamo.

Mi aprì la porta e mi fece entrare, ma non mi seguì. Mi fermai sulla soglia e mi girai per guardarlo. “È meglio che io vada a casa ora, devo parlare con la mia famiglia. La partenza era fissata per stasera, mi era stato concesso il tempo di venire a dirti addio e poi avremmo lasciato casa nostra”.

“Capisco. Charlie arriverà a momenti, quindi va bene…”. No, non andava affatto bene.

Ero felice di avere a disposizione l’intera notte per riflettere a fondo sul da farsi, ma cosa mi garantiva che all’indomani i Cullen sarebbero stati ancora nella villa sul fiume? Magari la famiglia di Edward avrebbe deciso di ignorare le sue richieste e di partire lo stesso. O peggio, magari Edward stava solo fingendo, in realtà lui non aveva la minima intenzione di portarmi con loro e mi aveva assecondata solo per rendere più facile il distacco.

Lo scorrere delle paure nei miei pensieri venne bloccato dal contatto tra le sue gelide labbra e la mia fronte, che come sempre accelerò il battito del mio cuore e mi annebbiò i sensi.

Fece il meraviglioso sorriso sghembo che adoravo, purtroppo si accorgeva sempre delle bizze del mio cuore, prima di girarsi e dirigersi verso la Volvo.

Lo guardai scomparire lungo la strada prima di andare in cucina a preparare la cena per Charlie.

Non pensavo neanche a quello che stavo facendo. In realtà non pensavo proprio a niente.

Mentre scaldavo del pesce nel microonde il mio unico desiderio era quello di andare in camera mia, sdraiarmi, e riflettere con tutta calma sui miei problemi.

Charlie arrivò proprio quando la cena si era cotta e stavo preparando la tavola.

Mi fece le solite domande: com’è andata oggi, ci sono novità…tutto come al solito.

Mangiai cercando di fare più in fretta possibile, senza averne la minima voglia. Lui al contrario sembrava affamato e particolarmente allegro; mi raccontò la sua giornata ma non gli badai.

Era molto più loquace del solito, ne fui felice perché almeno le sue insolite chiacchiere non facevano notare il mio mutismo.

Finita la cena, ancora prima che Charlie si accomodasse sul divano e accendesse la tv, salii in camera dicendogli che ero stanca e che dovevo ancora finire i compiti, lui mi lasciò fare augurandomi semplicemente una buona notte.

In bagno mi preparai lentamente, eseguendo ogni gesto con attenzione.

Arrivata in camera mi sedetti sul letto. Lo stereo sulla scrivania catturò la mia attenzione. Mi alzai e lo aprii, dentro c’era ancora il cd che mi aveva regalato Edward per il mio compleanno.

Decisi di ascoltarlo, lo feci partire e tornai sul letto. Le note della ninna nanna che mi aveva dedicato si propagarono nella stanza; era bellissima, ancora meglio di come la ricordassi.

La ascoltai una volta, poi due, poi almeno una ventina e mi addormentai beata.

Alle undici passate mi svegliai, mi resi conto che il cd stava ancora andando, quindi lo spensi.

Immediatamente lo sconforto si impadronì di me quando realizzai che per tutta la serata non avevo fatto altro che evitare di pensare ai miei problemi. Mi toccava cominciare e trovare una soluzione plausibile.

Arrivai alla conclusione che dovevo scegliere se rimanere con la mia famiglia e con i miei amici o se seguire Edward, Alice e tutti gli altri.

Potevo vivere senza Edward? No, domanda sbagliata. Era assolutamente da escludere questa ipotesi

Riprovai.

Potevo vivere senza Charlie?...forse la domanda più giusta da porsi era se lui sarebbe riuscito a vivere senza di me. Beh, in fondo prima che mi trasferissi a Forks se l’era sempre cavata benissimo da solo.

Ripensai a Edward…il suo viso, i suoi capelli, il suo sorriso; mi incantai a fissare il soffitto.

Quando fui nuovamente in me presi la decisione di seguire Edward, non mi importava dove mi avrebbe portata, mi bastava sapere che saremmo stati insieme.

Se non era quello il momento per andare, quando allora? Rischiavo di non vedere mai più i Cullen…e poi una volta lontana da casa non ci sarebbe stato più nulla a frenare il mio desiderio di essere trasformata. Purtroppo Edward non sarebbe stato dello stesso parere.

Basta, ormai la decisione era stata presa, non dovevo fare altro che seguire la strada che ero determinata a percorrere. Mi chiesi se Alice avesse “visto” cosa avevo deciso di fare.

Se mi stava tenendo d’occhio era probabile che fosse così e che avesse comunicato alla famiglia la notizia. Non m’importava.

L’unica cosa che mi interessava in quel momento era trovare un modo per dire a Charlie che me ne sarei andata.

Avevo già utilizzato la scusa della mia avversione per Forks.

D’altronde dirgli la verità era impensabile:”Papà sono follemente innamorata di un vampiro e ho deciso di seguire lui e la sua famiglia in capo al mondo”. Non suonava un granché bene.

Se solo avessimo potuto aspettare fino al diploma…

Decisi di non chiederlo neanche a Edward, avevo già sconvolto abbastanza i piani suoi e della sua famiglia non potevo approfittare oltre della loro bontà; anche se non era ancora detto che mi avrebbero portata con loro.

Forse avrei potuto semplicemente dirgli che i Cullen avevano deciso di trasferirsi e che io mi ero troppo legata a Edward, così tanto da sentire il bisogno di andarmene con loro.

Era quanto di più simile alla verità potessi inventare.

In fondo lui aveva già dimostrato di apprezzare i Cullen più di una volta, ma non ero comunque sicura che mi avrebbe permesso di varcare la soglia d’ingresso.

Non l’avrebbe presa bene lui, figuriamoci Renee; trasferirsi a diciotto anni appena compiuti solo per un amore di scuola superiore. Era da escludere completamente.

Pensai a miliardi di scuse, ma nessuna di queste era credibile o abbastanza convincente da permettermi di andare via da Charlie.

Pensai anche di lasciargli una lettera. Era quanto di più vigliacco potessi escogitare ma probabilmente fra tutte le cose a cui avevo pensato era quella che mi avrebbe dato più chances di riuscire nella fuga. Mi sentivo una cospiratrice.

Far soffrire Charlie in questo modo era terribile.

Mi resi conto di quanto dolore avrei provocato, e questa nuova consapevolezza mi rovesciò addosso un’ondata di tristezza.

Fino a quel momento avevo pensato solamente a ME stessa, a quello che andava bene a ME, che MI avrebbe fatta soffrire di meno. Capii improvvisamente quanto ero stata egoista.

Ma non potevo salvare capra e cavoli purtroppo. Da una parte c’era mio padre, dall’altra Edward, il mio bellissimo ragazzo-vampiro.

Non c’era bisogno che aggiungessi altro per giustificare il mio bisogno di rimanere con lui.

Ci pensai un po’ sopra.

Non c’era una soluzione.

Scelsi di seguire il mio cuore, il mio egoismo.

A quel punto ero assolutamente esausta e mi abbandonai al torpore che mi stava invadendo.

Sognai.

Era una normalissima giornata nella cittadella di Forks. Il sole si nascondeva dietro alle nuvole e io mi dirigevo a scuola con il mio pick up.

Arrivata nel parcheggio però non vidi solo Edward ad aspettarmi accanto alla Volvo, era insieme a tutti i suoi fratelli. Mi aspettavano sorridenti (anche Rosalie!).

Mi diressi verso di loro, sorpresa, ma molto felice di vederli.

Stavo per raggiungere Edward, quando sentii una voce strascicata che chiamava il mio nome alle mie spalle.

Mi voltai.

Era Charlie, stava piangendo. Era inginocchiato qualche metro più indietro di me.

“Bella. Bella, ti prego. Non te ne andare. Non mi fare questo”.

Avrei voluto consolarlo, avvicinarmi a lui e abbracciarlo. Ma d’un tratto scomparve.

Scenario cambiato.

Ero in un aeroporto. I Cullen c’erano ancora, ma Charlie era sparito.

Stavolta la famiglia era al completo. C’erano anche Carlisle ed Esme.

Lentamente ripresi a dirigermi verso di loro. Quando li raggiunsi si strinsero intorno a me.

Mi circondavano. I loro volti angelici non avevano più nulla di umano.

Tutti loro sembravano più selvaggi, come quelli del clan di James.

Mi ritrovai sette paia di occhi rossi e assetati puntati addosso.

Poi si chinarono su di me.

 

Non mi risvegliai urlando, o qualcosa di simile.

Fu una dolcissima, fredda carezza sul mio braccio a farmi riemergere dal buio.

Fui così lieta di vederlo che per un secondo non ricordai nulla di quella terribile notte.

Poi i vividissimi ricordi del sogno riaffiorarono nella mia mente.

Il suo viso perfetto non aveva nulla a che fare con quello del mostro che aveva popolato i miei incubi, quella notte.

Nonostante non vi somigliasse, mi scese un brivido lungo la schiena.

Edward pensò che fosse stato causato dalla sua vicinanza e mi sistemò meglio il piumone addosso.

Non aveva ancora detto niente. Mi fissava semplicemente.

Ricordai anche gli avvenimenti del giorno prima. Fui invasa dal panico.

Quel silenzio voleva dire che non sarei potuta partire con loro?

Scattai seduta sul letto, con gli occhi sbarrati sempre fissi su di lui.

Si spaventò, poi sorrise. Era un angelo. E il suo viso era assolutamente sereno.

“Questa mattina non si va a scuola. Allora, sei pronta?”.

Era ancora un sogno?

“Che cosa hai deciso? Ti va di fuggire via da casa con una famiglia di sette vampiri?”

No, non era un sogno.

Un sorriso si allargò pian piano sul mio volto. Mi avevano accettato!

Abbandonando ogni precauzione, ignorando i limiti che lui aveva sempre imposto riguardo ai nostri contatti fisici, mi lanciai su di lui, legai la sua testa in una morsa con le mie braccia.

Sentivo i suoi capelli premuti sul collo. Ero avvolta dal suo inebriante profumo.

Ovviamente lui, delicato ma deciso, sciolse la presa.

Mi rivolse uno sguardo acceso, illuminato dal sorrisetto che incurvava la sua bocca.

“Sei sempre la solita!”.

Si alzò e mi costrinse a fare lo stesso.

Dai, vai a fare colazione. Charlie è già uscito”.

In silenzio scesi le scale, seguita dal suono del suo passo felpato.

Feci colazione, normalmente.

Lui invece aveva un atteggiamento curioso. Continuava a girare per la casa guardandosi intorno.

Che diamine stava facendo? Il mio salotto era sempre uguale, e lui lo conosceva molto bene.

Tornai a concentrarmi sui cereali.

Per un attimo fui inondata da un intenso fascio di luce.

Aveva in mano la mia macchina fotografica e mi stava sorridendo.

Non era un sorriso caldo come quelli di poco prima, non aveva contagiato i suoi occhi.

“Perché mi hai scattato una foto?”.

“Non mi hai ancora risposto. Cos’hai deciso stanotte?”.

Continuavo a non capire. Mi stava chiedendo se sarei partita con loro? Il mio abbraccio strangolatore non era stato abbastanza convincente?

“È ovvio che ho deciso di seguirvi, se tu sei ancora convinto di volermi con te naturalmente”.

Si spense anche il sorriso, ora era assurdamente serio.

Si sedette di fianco a me su una delle sedie libere intorno al tavolo.

“Charlie?”. Ecco, lo sapevo.

Non aveva bisogno di aggiungere nient'altro. Era bastata quella parola per far riaffiorare il tormento della sera prima.

“Suggerimenti?”.

“Ah, non hai pensato a nulla? Vieni a chiedere a me cosa dire a tuo padre?”.

Non sembrava arrabbiato. Era sorpreso. Anche un po’ divertito.

“Certo che ci ho pensato! L’idea migliore che mi è venuta è stata quella di lasciargli una lettera…”

Abbassai lo sguardo. Non volevo neanche sapere che faccia stava facendo.

Quell’idea non piaceva neppure a me.

“Bella stai facendo la cosa giusta? Io vorrei portarti con me, lo sai. Ma solo perché sono così egoista da non voler privarmi della tua presenza, malgrado sarebbe la cosa migliore per te. Rimango convinto che per te l’ideale sarebbe rimanere con Charlie. Qui saresti al sicuro”.

“Ah, certo. Non avevamo per caso concordato che attiro disgrazie?”.

Sorrise, poi tornò serio.”Sai cosa intendo”.

Lo guardai.

Stavo sprofondando di nuovo nella malinconia dell’abbandono.

Il dolore del distacco.

L’angoscia della partenza.

NO, non potevo. Io avevo preso una decisione. Dovevo essere forte.

Mi alzai per mettere a posto la tazza.

“Quando si parte? È già stato fissato l’orario?”.

Mi guardava stupefatto. Paziente, in attesa di spiegazioni.

“Abbiamo un viaggio da organizzare”.

“Ah, davvero?”, la sua voce era colorita dal divertimento, vi colsi anche una vena lievemente scettica.

“Sì, hai capito benissimo. Allora, ti decidi a rispondermi?”

“Ho il compito di portarti a casa nostra almeno entro mezzogiorno”.

“Perfetto. Mentre io vado a prepararmi tu cerca di radunare le mie cose nella camera. Fai un po’ d’ordine, io ti raggiungerò in breve tempo”.

Dicendo questo mi diressi decisa su per le scale; lo sentivo sghignazzare a bassa voce mentre saliva dietro di me.

Ancora una volta sembravo più determinata e coraggiosa di quanto in realtà non fossi.

Volevo solo occupare ogni momento con qualcosa di pratico. Non lasciarmi spazio per pensare.

In bagno feci tutto in fretta, ma in realtà non stavo badando veramente a niente di quello che facevo. In vista dell’imminente partenza l’adrenalina stava prendendo il posto dell’angoscia.

Quasi non mi ricordavo più perché prima ero così tesa. Stavo per partire con Edward!

Quando tornai in camera tutti i miei vestiti era ordinatamente impilati sul letto, le mie cose che prima erano sparse per la casa si trovavano in un angolo della stanza. Aveva anche tirato fuori la sacca da viaggio da sotto il letto. In pratica a me non restava più nulla da fare, e non ero sicura che fosse un bene.

“Sorpresa?”.

“Già, non mi sono ancora abituata a queste cose…per fortuna avrò tutto il tempo per farlo”.

Mi accorsi di un particolare che prima non avevo notato: in mano stringeva un paio di fogli e una biro.

“Quelli a cosa servono?”.

Sembrò esitare. “Avevi detto di aver pensato a lasciargli una lettera”.

Lottai per non riaffogare nello sconforto.

Avrei voluto che quel momento non arrivasse mai. Purtroppo era inevitabile.

Non potevo andarmene senza dirgli niente, almeno un biglietto glielo dovevo.

Presi dalle sue mani gli strumenti con i quali avrei torturato Charlie.

Edward mi abbracciò, in realtà mi sfiorò appena con la sua pelle fredda, poi scomparve giù per le scale.

Guardai l’ora, erano appena passate le otto, di tempo ne avevo.

Andai alla scrivania, feci un respiro profondo e cercai di raccogliere tutte le idee.

 

Caro Charlie,

mi dispiace. So che in questo momento ti starai chiedendo che fine abbia fatto tua figlia.

Se tutto è andato come avrebbe dovuto sono con i Cullen, in viaggio verso l’Alaska.

So che sembra assurdo, ma Carlisle ha ricevuto l’offerta di un lavoro da quelle parti, e io ho deciso di seguirli.

Non incolparli, soprattutto non mobilitare nessuna forza di polizia, non sono stata rapita.

Ho chiesto io al dottore di poter andare con loro, e lui è stato così infinitamente gentile da accettare. Per i prossimi mesi i Cullen si prenderanno cura di me, come avete fatto tu e Renee da quando sono nata. Come una famiglia.

So che vi sto ferendo, soprattutto mi dispiace di non aver potuto parlartene di persona.

Sappi che è stata una decisione improvvisa. Non avrei mai voluto andarmene da voi, ma ho deciso di seguire Edward. Se là dovessi trovarmi male chiederò a Carlisle di riportarmi qui da te.

Tranquillizza Renee, quando l’avvertirai. So quello che faccio, non è qualcosa di simile a una giovanile fuga romantica.

Vi assicuro che avrete mie notizie, magari mi potrete venire a trovare, o magari verrò io da voi.

Te lo ripeto: non mobilitare l’Intelligence, sto bene, non mi hanno rapito.

Ti voglio bene, non puoi nemmeno immaginare quanto.

Mi mancherete tantissimo, tu e Renee. A proposito c’è una lettera come questa nel primo cassetto della mia scrivania; consegnagliela. Vi lascio anche l’album delle foto, la macchina fotografica invece la porto con me, magari riuscirò a mandarvi qualche scatto.

Saluta i miei amici di scuola da parte mia.

Ciao, a presto. Ti voglio bene.

Bella

 

10,38

Non potevo credere di averci messo tanto a scrivere quelle quattro righe striminzite.

Questa era la lettera definitiva. Era stata preceduta da innumerevoli tentativi andati a vuoto.

Molte le avevo scartate perché erano state rese illeggibili dalle lacrime.

Edward non si era più fatto rivedere. Decisi di andare di sotto a cercarlo.

Provai ad alzarmi, ma le mie gambe erano talmente intorpidite dalla posizione statica che avevo mantenuto per ore, che dovetti tornare seduta.

Comparve di fianco a me in un attimo e mi fece quasi venire un attacco di cuore.

Come sempre.

Mi aiutò ad alzarmi. Diede una rapida occhiata al foglio sciupato piegato sulla mia scrivania.

“Dove vuoi lasciarlo?”.

Sospirai. Mi sentivo svuotata.

“Portiamolo sul tavolo della cucina”.

Prese il foglio.”Nel frattempo metti via le tue cose”, indicò i vestiti ancora sul letto.

Annuii. Lui scomparve di nuovo al di là della porta della mia camera.

Mi costrinsi a cacciare velocemente tutto nella sacca.

Lo raggiunsi; mi aspettava tranquillo e immobile come una statua appoggiato al tavolo in cucina.

Il biglietto di fianco al suo gomito.

Ci guardammo negli occhi.

“Come va? Hai cambiato idea?”.

Sembrava preoccupato. Come potevo dargli torto? Probabilmente la mia faccia era stravolta, rifletteva quello che provavo.

“Sono stanca. Ma ti assicuro che sono ancora decisa a venire con voi”.

“Bene”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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