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Autore: ladymisteria    04/01/2014    0 recensioni
"Per diversi istanti sembrò che il tempo si fosse fermato.
Nonostante i capelli più corti e una leggerissima barba a circondargli le labbra perfette, Irene non poteva non riconoscere quel viso, quegli occhi.
L'avevano tormentata per mesi, nei sogni.
Era lui.
Ed era vivo."

La mia personalissima interpretazione di quanto accaduto durante il periodo in cui Sherlock si è finto morto.
Versione riveduta e corretta.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'After Sherlock's Fall'
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«Quindi, alla fine te ne vai» disse Irene, le braccia incrociate.

Non riusciva a crederci.

Aveva ceduto!

Sherlock Holmes aveva piegato il capo davanti al fratello, come una pecorella spaventata.

«Sapevi che sarebbe successo, presto o tardi. Non vedo di cosa tu possa lamentarti, in fondo. Tre anni non sono pochi, no?»

«No, certo. Ma francamente credevo fossi più coerente con te stesso»

«Coerente?» chiese il detective, confuso.

«Dicesti che non avresti abbandonato la caccia finché tutta l’organizzazione non fosse stata tolta dalla circolazione»

«L’ho fatto, sì».

«Beh, sbaglio o manca qualcuno all’appello? Che mi dici di Sebastian Moran?».

Non sapeva nemmeno perché si infuriasse a tal punto.

Sapeva che Sherlock sarebbe tornato a Londra.

Avrebbe dovuto essere contenta per lui.

«Mycroft mi ha assicurato che non si trova più a Londra, e se anche si sbagliasse, ha uomini pronti a…».

Si bloccò, studiandola con un ghigno.

«Come mai questa reazione?» la punzecchiò.

La Donna si rifiutò di rispondergli.

«Oh, il comportamento dice molto più delle parole, a volte» continuò lui.

Irene lo fissò.

«Che mi dici del tuo ritorno? Da come ti comporti, sembra che tu sappia esattamente come fare».

Sherlock tornò serio.

«Mycroft è pronto a far circolare la voce che mi voleva un testimone sotto protezione. Basta solo che io gli dia “il via libera”».

Irene si ritrovò a ridere.

«Questo può bastare per gli altri, Sherlock» lo guardò, gli occhi penetranti.

«Credi davvero che basterà anche a lui?».

Non c’era bisogno di specificare a chi si riferisse.

«Probabilmente no. Ma ricordi? Tiene a me. Non colpirà naso e denti. Mi vuole bene».

Irene ghignò.

«Te ne voleva tre anni fa. Sei davvero sicuro che continuerà ad essere così anche quando comparirai davanti a lui, dopo avergli fatto credere di essere morto per così tanto tempo?».

Irene Adler sapeva bene che quello era un colpo basso da manuale; ma era sempre stata brava a giocare sporco, a sfruttare i “tasti dolenti”.

Inconsciamente sapeva perché stesse reagendo così alla partenza di Sherlock; ma non l’avrebbe mai ammesso.

Non serviva, con Sherlock.

Lui sapeva, lo vedeva.

L’uomo si corrucciò.

«Vedo che quando sei a corto di munizioni tiri fuori le armi bianche» disse, piegando il capo da un lato.

Irene lo squadrò.

«Non sai che le donne sanno diventare estremamente combattive, quando vogliono imporre il loro dominio su qualcosa – lo fissò dritto negli occhi – o qualcuno?».

Sherlock rise, scuotendo il capo.

«E’ una battaglia persa in partenza, Irene. Lo sai meglio di chiunque altro».

La Donna, infine, cedette ed annuì.

«Sì, ne sono consapevole. Non posso reggere un confronto con John Watson. Sarebbe come chiedere a un bambino se preferisce le verdure o le caramelle».

Sherlock chiuse tutte le finestre.

«Esempio calzante»

«Davvero?».

«Sì. Anche se vorrei ricordarti che non tutti i bambini odiano le verdure».

Irene fissò confusa l’uomo dirigersi alla porta.

«Che vuoi dire?».

Sherlock ghignò, ma non rispose.

*

Molly Hooper si guardò nervosamente intorno.

Aveva ricevuto un SMS da Sherlock solo un’ora prima, dove l’uomo le diceva in poche righe di aver nuovamente bisogno di lei per uscire “di nascosto” dall’aeroporto.

La donna si accorse di star tremando.

Era il primo messaggio dopo tre anni di silenzio.

Non aveva avuto sue notizie da nessuno, neppure da Mycroft, e l’aveva reputato un bene.

Se gli fosse accaduto qualcosa, Mycroft l’avrebbe sicuramente messa al corrente.

O almeno, questo era quello che sperava.

Guardò l’orologio.

Aveva provato a chiedere a Sherlock di più, ma questi era stato laconico come sempre.

Sarebbe arrivato di lì a un’ora, e una volta uscito – con il suo aiuto – dall’aeroporto, sarebbe svanito per un po’.

Giusto il tempo di sistemare le cose con John.

Poi sarebbe tornato ufficialmente al posto che – a suo parere – gli spettava di diritto.

Mycroft sapeva già come rendere tutto possibile.

Molly avrebbe voluto dirgli che le cose non sarebbero state così semplici come lui le dipingeva; ma preferì accantonare quell’intenzione.

Sherlock Holmes stava tornando, e questo era ciò che contava davvero. 

*

«Qui ti saluto, Sherlock» disse Irene Adler, una volta che lei e Sherlock arrivarono all’aeroporto di Parigi.

Era il giusto epilogo a quella storia di provocazioni, piani segreti e pericolose sfide alla fortuna.

Non l’avrebbe più cercato, lasciando che i suoi casi, i suoi affetti, l’aiutassero a dimenticarla.

Gli avrebbe fatto bene.

Lei, la dominatrice, si sarebbe fatta da parte, ammettendo di essere stata sconfitta - nuovamente - dal migliore, e di aver avuto l’enorme privilegio di potergli essere stata vicina in quei tre lunghi anni.

«Non dirmi che credi ti lascerò continuare nel tuo intento».

Irene fissò sorpresa l’uomo al suo fianco.

«Come?».

Sherlock si lasciò sfuggire un ghigno divertito.

«Sai benissimo di cosa sto parlando».

La Donna non riusciva a capacitarsi di come il detective fosse riuscito ad indovinare i suoi pensieri.

«Come sai che volevo sparire dalla tua vita?»

«Non lo sapevo».

Irene avrebbe voluto colpirlo.

«Mi hai preso in giro!» esclamò, piccata.

«Ammetto che a forza di essere vittima dei tuoi raggiri, ho desiderato essere - almeno per una volta - io il carnefice».

Sorrise, guardandola.

«E’ divertente. Comincio a capire perché lo fai di continuo».

Si fece nuovamente serio.

«Così… E’ questa la tua intenzione. Mi è dato conoscerne i motivi?».

Irene si strinse nelle spalle.

«Riconosco che ti manca Londra, la tua vita di prima…»

«E’ in quella vita che abbiamo avuto modo di “scontrarci” o sbaglio?».

La donna si finse sorpresa.

«Vuoi farmi credere che sbagli? Tu

«A detta di alcuni, a volte mi è successo. Ma non ne ho memoria».

Irene scoppiò a ridere.

«No, come potresti? Oscurerebbe il tuo amor proprio e la stima che hai di te stesso».

Sherlock la ignorò.

«Non sei al sicuro, finché Moran è ancora in libertà. Sarebbe incredibilmente scortese, da parte mia, lasciarti nei guai dopo tutto quello che hai fatto per aiutarmi in questi tre anni. Inoltre, ti ho già detto in passato come mi risulti pressoché impossibile rimuovere o dimenticare dalla mia mente tutto ciò che ti riguarda. Se decidessi di sparire, saprei sempre dove ti trovi, o come fare per scoprirlo. Non sarebbe quindi più semplice risparmiare ad entrambi la fatica, e rimanere in contatto? Ogni volta che dovessi trovarti nei guai, non devi fare altro che contattarmi».

La Donna sorrise.

«D’accordo. Se dovessi trovarmi in difficoltà, sarai il primo a saperlo»

«Ottimo. Se non dovessi essere occupato in quel momento…».

Irene scoppiò a ridere, incredula.

«Quindi non solo vengo dopo John Watson, ma anche dopo il tuo lavoro. Beh, questo sì che è un duro colpo alla mia autostima»

«Anche John viene dopo il mio lavoro».

Sherlock posò il borsone a terra, sprofondando le mani nelle tasche.

«Mi spieghi perché devi sempre sentirti in competizione con lui?»

«Perché non so mai a chi appartenga il tuo cuore».

L’uomo si lasciò sfuggire un sorrisetto beffardo.

«Appartiene a me. Sai? Sarebbe alquanto difficile vivere, se altri dovessero averlo».

Notò l’espressione della donna.

«Seriamente, tu a chi credi appartenga?».

Irene non rispose subito.

«Non lo so. Ci sono state volte in cui ho creduto che da qualche parte, nascosto dall’orgoglio e dall’amor proprio, ci fosse un angolo per me. Ma ogni volta mi chiedevo se in realtà quello spazio non fosse riservato al dottor Watson».

Il detective si fece pensieroso.

«In fondo, credo che io e John possiamo essere un ottimo esempio»

«Di cosa?»

«Convivenza. Chissà, magari in quel remoto angolino – sempre che esista – tu e John siete coinquilini».

Irene scosse il capo, divertita.

«Sarebbe una convivenza difficile, dato lo spazio»

«Oh, le convivenze sono sempre difficili».

La Donna lo fissò, rassegnata.

«Ammetterai mai quello che provi davvero

«E’ necessario?».

Irene rinunciò.

Era una causa persa.

«No. Non lo è. Come hai detto anche tu, a volte basta il comportamento».

Ascoltò la voce annunciare l’arrivo del volo per Londra.

«E’ meglio che tu vada. Se dovessi perdere l’aereo tutto il tuo sofisticatissimo piano andrebbe a rotoli. Ho solo un’ultima domanda. Come farò a mettermi in contatto con te, se si suppone che non dovrebbe più arrivarti alcun messaggio con una suoneria tanto particolare?».

Il detective scrollò le spalle, raccogliendo il suo borsone.

«Puoi sempre inviarli sul telefono che mi ha dato Mycroft. Temo di non poterglielo restituire, una volta giunto a Londra»

«Ah, no?».

«No. Quasi sicuramente mi verrà sottratto all’arrivo. Da quanto ho sentito, la criminalità a Londra è aumentata a dismisura…».

Irene Adler rise.

Quell’uomo sarebbe sempre stato una fonte inesauribile di sorprese.

 

 

 

 

E finalmente questa fanfiction è terminata, in ritardo (lo so, mi spiace) solamente di qualche giorno dal ritorno in televisione della serie “Sherlock”.

Un grazie infinite a chi ha letto e a chi ha recensito.

Davvero tante, tantissime grazie :D

   
 
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