Anime & Manga > Slayers
Ricorda la storia  |      
Autore: fren    26/05/2008    3 recensioni
A cosa si è disposti per salvare qualcuno che si ama?...E quali conseguenze subisce chi vi assiste impotente?...
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gourry Gabriev, Lina Inverse
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
qualunque cosa

Una brevissima ff  AU scritta qualche tempo fa dopo aver buttato giù un rapido schizzo a matita^^

Spero che vi piaccia...^_^

'Qualunque cosa'

'Il tuo strale, fortuna, mi renda il più felice o disgraziato mortale...'

                                                              (William Shakespeare, 'Il mercante di Venezia')


La prima cosa che colpì i miei sensi intorpiditi, fu un nauseabondo e stomachevole odore di naftalina. Arricciai il naso, e provai a spostarmi su un fianco, ma dovetti constatare che non era stata una grande idea: una fitta dolorosa risalì la mia gamba, per propagarsi come scossa nell’anca.

Rassegnato sospirai, e ricaddi tra le bianche lenzuola, mentre nuvole nere si addensavano con dolore tra i miei pensieri, tra il caldo di quella asettica stanza d’ospedale. L’orologio alla parete ticchettava sommessamente, mentre sforzandomi più che potevo cercavo di richiamare alla mente come e perché mi trovassi in quel luogo.

C’era stata una battaglia, questo mi suggeriva l’istinto, altrimenti non avrei potuto spiegarmi i dolori che come piccoli vulcani pronti ad eruttare mi rimbombavano sotto alla pelle, ne tanto meno la lunga cicatrice ricucita che mi solcava quasi per intero il braccio destro, bruciando come fuoco. Allungai piano la mano sinistra per arrivare a sfiorarla, e nell’esatto istante in cui lo feci, come un fulmine a ciel sereno la sua immagine mi balenò davanti agli occhi.

Lina.

Un turbinio di emozioni si affacciarono nella mia mente annebbiata, mentre forme confuse si susseguivano deliranti tra i miei pensieri…

Sangue. Troppo sangue.

Troppo anche solo per poter credere, per poter sperare…

Al diavolo.

Senza nemmeno rendermene conto mi ero sollevato dal letto in cui giacevo, incurante dei dolori che mi si attorcigliavano ovunque nelle articolazioni. Presumetti di essere sotto l’effetto di qualche tranquillante, perché quando posai piede a terra, improvvisamente tutto cominciò a vorticare, e dovetti appoggiare la mano al freddo ferro del letto in cui ero stato trasportato mentre mi trovavo in stato di incoscienza.

Non sarebbe dovuto succedere.

Ero la sua guardia del corpo, dannazione, perché mi ero lasciato andare mentre aveva bisogno di me?

Strinsi i pugni talmente forte sull’inferriata da far sbiancare le nocche, mentre di nuovo le immagini confuse di quanto era successo mi facevano girare la testa.

Di Lina ricordavo solo una cosa.

Il suo sangue.

Era troppo…Troppo.

Così rosso, così vivido…Non avrebbe dovuto macchiare quella sua pelle di porcellana, io ero lì per quello, per impedire… che succedesse.

E invece eccomi, talmente incapace da non essere nemmeno in grado di reggermi in piedi, nella stupida stanza di uno stupido ospedale.

Ma ero la sua guardia del corpo, maledizione.

Mossi un passo in direzione della porta. Le tempie mi pulsavano tanto da offuscarmi la vista, ma non mi importava, non mi importava di niente. Improvvisamente un piccolo strattone mi costrinse a fermarmi. Strabuzzai gli occhi: non mi ero reso conto del piccolo tubicino che collegava il mio braccio destro alla flebo che penzolava di fianco al mio letto. Non esitai: con un colpo deciso mi strappai l’ago dal dorso della mano, non me ne facevo niente di certe frivolezze se non potevo sapere subito dov’era Lina.

La mia Lina.

Dei. Per ogni goccia del suo sangue avrei dato diecimila volte la mia vita. Ma evidentemente ero troppo idiota anche solo per sperare di difenderla. Arrivare a quella stupida porta mi stava facendo impazzire.

Ma di colpo mi fermai in mezzo alla stanza, e portai una mano tremante alla fronte. Tutta la foga che avevo provato solo due minuti prima di precipitarmi fuori a vedere che ne era stato di Lina improvvisamente pareva congelata in me.

Perché…

Perché se fuori da quella stanza Lina non ci fosse più stata…Cosa avrei fatto una volta varcata la soglia?

‘Non dire idiozie…’

Eppure, tutto quel sangue…

Mi resi conto che stavo tremando.

Potevo affrontare tutto, tutto. E nella mia vita l’avevo fatto, davvero.

Ma non potevo oltrepassare quella porta se fuori di lì non ci fosse stata Lina ad aspettarmi. E non lo sapevo adesso. Lo sapevo da sempre.

Come sapevo perché la seguivo, perché la difendevo, perché vegliavo su di lei.

Un lieve pizzicore mi fece tremare le palpebre, e lì, piantato in quella stanza d’ospedale, per la prima volta dopo molto tempo, ebbi paura.

Paura da morire.

Non quella paura carica d’adrenalina che mi era capitato di provare alla vigilia di molte battaglie, ne tanto meno quella paura di sbagliare o cadere nel vuoto.

Questa era una paura diversa, era una paura cupa e delirante, che mi attanagliava le viscere e mi impediva di abbassare quella dannata maniglia, per il terrore di scoprire se avrei rivisto la donna che amavo.

Perché questo era. Io l’amavo, immensamente.

Amavo quei suoi occhi da bambina, i  suoi capricci innocenti e la forza del suo spirito.

Lina, come una tempesta. Come un fiore che sboccia tra la neve.

Eppure, non ero stato in grado di proteggerla, come tante volte le avevo promesso.

Mi ero svegliato solo, in un letto d’ospedale, e di lei, avevo ricordato per primo il suo sangue.

Ed ero tanto vigliacco da non riuscire a varcare quella porta. Tanto spaventato da non voler scoprire come poteva essere vivere senza di lei.

 

Ancora indugiavo, quando, senza che me ne fossi reso conto, la porta si aprì per me, e una donna minuta, vestita di bianco, scivolò silenziosamente dentro alla stanza.

Avevo gli occhi velati, e dovetti sbattere più volte le palpebre per metterla a fuoco, ma quando lo feci fu con uno sguardo accigliato che dovetti confrontarmi:

“Signor Gabriev, cosa ci fa già in piedi?” Mi rimproverò l’energica infermiera, i cui occhi si strinsero ulteriormente quando si rese conto della flebo che spenzolava senza scopo preciso alle mie spalle.

“Ecco…Io…” Mi ritrovai a balbettare, mentre la donna stringeva le braccia al petto, squadrandomi minacciosa.

“Lei dovrebbe essere a letto a riposare! Non a vagare come un anima in pena per la stanza…Dove credeva di andare??!”

L’infermiera allungò un braccio verso di me, nel tentativo di ricondurmi a letto, ma mi divincolai:

“Io…Io devo andare da…Lina.”

Il suo nome uscì dalle mie labbra quasi come una supplica.

E lo era.

E i miei occhi già cercavano tracce di cordoglio nello sguardo della donna che mi stava dinnanzi.

Ma quello che vidi, riaccese una scintilla.

L’infermiera continuava a guardarmi spazientita, e cercando di risistemare la flebo, che ancora pendeva sconsolata come il cappio di un condannato a morte, commentò con noncuranza:

“La ragazza che hanno portato qua con lei…Certo. Ma anche lei in questo momento ha bisogno di riposare, non è il caso di farla agitare…E questo vale anche per lei!”

Improvvisamente quella scintilla divenne un fuoco, e un calore immediato prese a riscaldarmi il petto. La frenesia che avevo avuto di andare da lei, che si era come congelata nel momento in cui avevo considerato l’ipotesi di non rivederla mai più, si stava ora sciogliendo velocemente, lasciandomi impaziente e ansioso.

“Quindi…Quindi sta bene?” Azzardai, e mentre lo dicevo sentii che il masso che mi aveva oppresso fino a pochi secondi prima cadeva nel vuoto, lasciandomi leggero come non mai “ Oh per gli dei, mi lasci andare da lei…”

“Questo non è possibile. Quella ragazza ha assoluto bisogno di tranquillità…E inoltre…”

Ma l’infermiera dovette bloccare la sua arringa quando la presi delicatamente per un braccio, guardandola dritto negli occhi:

“Le assicuro che non la farò stancare, non la sveglierò nemmeno, se sta dormendo…Ma io DEVO vederla. Anche un solo minuto, anche un secondo…Credevo di averla persa, per sempre…Lei non ha idea di quanto io abbia bisogno di quella persona…” Pronunciai quelle parole senza nemmeno rendermene conto. Ormai era tanto palese a me stesso quanto probabilmente lo era stato per altri che ci erano arrivati per primi.

Senza Lina non vivevo.

Evidentemente, doveva essersene resa conto anche l’infermiera, perché rimase un attimo a fissarmi a bocca aperta, per poi scuotersi di colpo:

“E va bene…Ma non la faccia stancare! E’ nella stanza qui a fianco.”

Sorrisi, e stavo già per abbassare la maniglia, quando la voce dell’infermiera, di un tono più basso, mi bloccò:

“Ah, signor Gabriev…Non si impressioni.”

Ero già sulla soglia, e la varcai senza darmene troppo peso.

Lina era viva. Solo questo contava, per me.

 

Massacrata.

Questa fu la prima parola che mi sfuggì dalle labbra quando mi avvicinai al letto da cui spuntava una spettinata testolina rossa.

Massacrata.

Un sottile tubo collegava la flebo al dorso della sua mano destra, parzialmente fasciata. Così come il braccio sinistro, e alcune dita. Numerose escoriazioni e bruciature rivestivano come macabre decorazioni la sua pelle lattea, resa adesso ancora più eterea dall’orribile contrasto con i lividi purpurei. Ma la cosa veramente devastante era la benda che le girava intorno al capo, e le copriva interamente l’occhio.

Adesso ricordavo, davanti a quello scempio… Quella lama vicina, troppo vicina al suo volto.

E il sangue, che le imbrattava quelle guance da bambola di porcellana.

E la sua mano, che non smetteva nemmeno per un attimo di pararsi davanti a me.

Perché quella lama…

“Quella lama, quel colpo… Erano per me, vero Lina?” Sussurrai sull’orlo del pianto, allungando una mano per sfiorarle piano una sottile ciocca scomposta sulla fronte.

Quando le carezzai piano una guancia, attento a non toccare inavvertitamente gli ematomi, un lieve bisbiglio fuoriuscì sommesso dalle sue labbra pallide:

“Se sei venuto qua a lagnarti, quella è la porta…”

“Lina…”

Lei si mosse piano, e le sue dita si strinsero debolmente sulle mie. La sua voce era roca, ma allo stesso tempo diretta come sempre:

“Prima che tu possa dire alcun che, non voglio sentire pentimenti strappalacrime e inutili sensi di colpa. Sono viva, starò bene, quindi non fiatare se è qualcosa del genere che avevi in mente di dire.”

Io rimasi muto.

Lina centrava sempre il punto in maniera disarmante.

E sapeva senza che glie lo dicessi quanto ci stavo male.

 

‘Non dire niente…’

 

Mi abbassai verso di lei, e lasciai che mi prendesse tra le braccia, carezzandomi piano i capelli.

Sentivo il suo cuore battere veloce attraverso la leggera stoffa della camicia dell’ospedale, e il suo odore, quel profumo indimenticabile che era solo suo, prese ad inebriarmi.

E lì,  anche tra il sangue e le contusioni, tra le lenzuola asettiche di un ospedale, tra la ruvidità delle bende sulle sue dita e il suo respiro dolce, mi resi conto che ce l’avremmo sempre fatta.

Qualunque cosa fosse successa, qualunque dolore, qualunque battaglia, qualunque ferita…

Se stavamo insieme, insieme ce l’avremmo fatta.



Questa è l'immagine   (Lo so, sono stata sadica con Lina è_é)
 

 

 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Slayers / Vai alla pagina dell'autore: fren