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Autore: Bubbles_    04/01/2014    1 recensioni
Lo aveva perso.
Aveva perso quel dannatissimo taccuino. Di nuovo.
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“Non merito forse una ricompensa?”
Aveva perso quel diario un milione di volte e altrettante aveva dovuto pregare perfetti sconosciuti di restituirglielo, ma mai nessuno aveva chiesto un riscatto.
Quella ragazza non gli piaceva per niente. La sua prima impressione risultava essere completamente sbagliata. Ora la vedeva come un’avida impicciona.
“Due euro e venti e sbrigati, sta arrivando il pullman”
“È seria?”
Non sapeva se si sentiva più offeso per il fatto di dover pagare per riavere indietro il suo diario o per quello di dover pagare così poco. I suoi pensieri più profondi in svendita per soli due euro.
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"Non hai mai voluto che uno sconosciuto ti stravolgesse la vita? Non sei mai stato in cerca di novità? Io sono quello sconosciuto. Carpe diem!"
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lysandro, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Nine In The Afternoon~
 
 
 
 

 
 
 
Ci sono posti in cui non si può entrare senza alzare la testa. Senza puntare gli occhi al soffitto ed ammirare quanto vasto ed immenso è ciò che ci è attorno, ciò che ci include dentro di sé.
Questo è quello che aveva pensato Lysandre nell’entrare quella sera di fine estate nella biblioteca comunale. Uno grande e maestoso edificio, uno dei pochi che ancora ricordava il passato glorioso che quella tranquilla cittadine francese doveva aver avuto una volta.
Bennie era a casa. Aveva ignorato i grandi cartelli che indicavano l’ora di chiusura e il fatto che sembravano due pesci nuotare contro corrente. Aveva spalancato l’alta porta di legno massiccio e gli aveva fatto segno di seguirla.
La grande sala d’ingresso era deserta e i loro passi rimbombavano nell’aria.
Lysandre era ancora con il naso all’insù quando andò a sbattere indelicatamente contro la schiena di Bennie.
Dietro ad un grande bancone, vi era una donna di mezza età. I capelli neri, striati di grigio, erano tirati in modo quasi maniacale all’indietro e stretti in un precisissimo chignon. Indossava degli occhiali le cui lenti ricordavano vagamente le ali di una farfalla e aveva un grosso neo appena sotto le labbra sottili. Strano come a volte gli stereotipi coincidevano con la realtà.
La tipica bibliotecaria fece una mossa ancora più prevedibile: si abbassò gli occhiali sul naso e squadrò entrambi i ragazzi con fare inquisitorio.
“Maria! Sei in ritardo!” quelle parole spiazzarono completamente Lysandre, che si aspettava ben altro. Si appuntò mentalmente quell’ultimo nome da aggiungere a quella lista che sembrava essere infinita. La donna afferrò il golfino color prugna da dietro la sedia e li raggiunse aldilà del banco.
“Ecco le chiavi, lasciale a Maurice quando te ne vai e se dorme sveglialo. Abbiamo bisogno di un custode, non di uno scansafatiche!” Maria afferrò le chiavi e se le fece dondolare tra le mani.
“Agli ordini!” sorrise raggiante e saltellò verso le porte di vetro che dividevano l’atrio dal vero cuore dell’edificio: lì dove tutti i libri erano stati meticolosamente ordinati. Lysandre la seguì senza avere però ben chiare le dinamiche di quel discorso. Che ci facevano loro lì? Quello doveva essere un altro dei suoi lavori part time.
“Ehi Lucille! Dorian è ancora qui?”
“Quel ragazzo è sempre qui” e questa fu l’ultima cosa che disse la donna prima di infilarsi il golf e avviarsi con passo spedito verso l’uscita.
Quando Lysandre si voltò nuovamente verso Maria, lei era sparatia. Forse era entrata senza aspettarlo o forse si era solo dissolta nell’aria. In fondo poteva benissimo trattarsi di un sogno, lui, per lo meno, si sentiva come se lo fosse.
Si guardò intorno, sentendosi improvvisamente inquieto. L’ingresso era deserto e la luce del tramonto filtrava dalle ampie vetrate donando al tutto un nonsoché di magico, ma beffardo.
Si affrettò ad aprire le porte. Tutto era silenzioso e un aghiacciante cigolio riuscì a trafiggere l’aria facendolo sobbalzare. Un lungo corridoio contornato da altissimi scaffali gli si materializzò davanti.
“Maria?” si sentì dire con voce eccessivamente grave e con una strana riluttanza, come se non si fosse ancora abituato a quel nome.
Non ottenendo risposta fece un passo avanti e poi ancora altri due.
Si ritrovò a marciare per quell’infinito corridoio, gli occhi che vagavano senza metà alla ricerca di quel volto familiare. L’orecchio teso in attesa di captare la sua voce. L’aria era calda ed arancione e gli scaffali di legno, i vecchi libri, i tavoli ricoperti di incisioni non facevano altro che appesantire ancora di più la stanza.
“Bennie?” provò allora, sentendosi, per la prima volta quel giorno, stanco.
“Roxanne, dove sei?”
E poi la sentì. La sua risata. Quella risata che era fortunatamente così vicina a lui. Aumentò il passò fino a raggiungere l’ultimo scaffale della stanza.
Prima di superarlo sentì delle voci, delle risate soffocate, delle mani tamburellare nervosamente qualcosa, forse la copertina di un libro.
Fece un lungo respirò e si mostrò allo scoperto.
“Castiel! Finalmente!”
Maria era seduta ad un grosso tavolo, davanti a lei vi era un ragazzo. In un primo momento faticò a notarlo. Solo quando quello fece cadere maldestramente un libro a terra, Lysandre si accorse della sua presenza.
“Castiel ti presento Dorian! Dorian lui è Castiel!” la voce squillante della bionda non riuscì a interrompere l’attenta analisi che era partita nella testa del ragazzo. Lysandre era fatto così. Quando una nuova persona entrava nel suo campo visivo, ne voleva avere un’immagine completa.
“M-maria c-cosa ci-ci fa q-qui?”
“Ancora questa storia della balbuzie? Dorian pensavo avessimo superato quella fase!”
Era biondo, ma già stempiato, indossava dei sottili occhiali rotondi dietro i quali vi si celavano quelli che dovevano essere gli occhi più veloci del west. Si muovevano da una parte all’altra senza trovare pace. Si stringeva un mano nell’altra, si contorceva le dita, grattava pelle e unghie.
Maria si alzò in piedi e lo raggiunse veloce. Gli separò le mani e piano cominciò ad accarezzargli i polsi.
“Ti ho riportato il libro, ma resto della mia idea. I romanzi rosa dell’ottocento, restano romanzi rosa, seppure molto meno scandalosi” riuscì a strappargli un sorriso e il ragazzo sembrò calmarsi.
“Dorian perché mi hai chiesto di incontrarti?” Maria azzardò quella domanda con molta insicurezza nella voce. Come se avesse paura di spaventarlo e farlo scappare via.
“I-io…” il suo sguardo si puntò su Lysandre. Maria fece un gesto veloce con la mano e il ragazzo non poté fare a meno che lasciarli soli.
Non andò molto lontano, superato l’angolo si sedette sul primo posto trovato e cominciò a massaggiarsi le tempie. Non ci capiva più nulla. In ogni posto andassero, doveva succedere qualcosa di strano.
I mormorii di sottofondo cominciarono a diventare lentamente parole e senza volerlo Lysandre si ritrovò ad ascoltare la conversazione che stava avendo luogo a pochi passi da lui.
All’inizio erano parole isolate, con poco senso: ballo, padre, madre, poco di buono, ma con l’avanzare del discorso tutto divenne più chiaro.
“So che non piaccio ai tuoi genitori, ma ha sempre funzionato! I miei sono più o meno felici, i tuoi sono più o meno felici e poi non hai un'altra dama!”
Lysandre non aveva mai sentito Maria così risoluta.
“Irènée De Lacroix” la voce di Dorian era appena un sussurro, sembrava spaventata, impaurita.
“Irènée De Lacroix?!” quella della ragazza era invece tutto il contrario: tonante e offesa.
“Suo padre è amico di mio padre e…”
“Non puoi andarci con De Lacroix, non puoi! Puzza di zuppa, tutta la sua casa puzza di zuppa. Io cosa dirò a Marguerite?”
All’improvviso Maria si era fatta calma, la sua voce ora non era niente più che un sussurro. Sapeva di aver perso, sapeva che quella decisione era ormai già stata presa.
“Maria… ti prego di capirmi. Io non posso disubbidirgli. Non posso”
Le parole tremanti di Dorian si dispersero nell’aria immobile della biblioteca. Rimasero in silenzio per quella che parve un’eternità. Proprio quando Lysandre si alzò deciso ad interrompere quella tortura silenziosa, sentì Maria parlare molto dolcemente. Proprio come se stesse parlando ad un bambino.
“Va tutto bene. Mi arrangerò, non lo faccio forse sempre?”
Seguì un altro silenzio, anche se questa volta molto più breve, nuovi mormori e qualche sospiro.
Poi Dorian comparve da dietro lo scaffale, salutò con un veloce cenno della mano Lysandre e corse via.
 
 
 
“Va… tutto bene?”
Lysandre si avventurò di un passo verso la ragazza. Era seduta sul tavolo, le gambe che penzolavano sollevate da terra. Si rigirava tra le dita un libro e quando vide il ragazzo scosse la testa riprendendo vitalità. Saltò giù e subito afferrò con entrambe le mani un carrello di acciaio lì vicino.
“No. Va tutto male” cominciò a afferrare il libri lasciati sui tavoli e buttarli con poca eleganza nel carello.
“Chi glielo dice a Marguerite?” urlò camminando veloce giù per il corridoio e infilando ogni tanto un libro o due a loro posto.
Lysandre seguiva quella folle corsa senza poter far nulla, impotente davanti allo sfogo di quella ragazza.
Maria sembrava impazzita, raccoglieva sempre più libri alla volta, le braccia le tremavano sempre di più e i muscoli le si tiravano per lo sforzo. La fronte era imperlata di sudore sia per l’aria pesante, sia per quel nervosismo che l’aveva completamente cambiata.
Poi all’improvviso non ce la fece più. Tutto cadde a terra. Il carello, i libri che aveva tra le sue mani. Persino lei si lasciò scivolare fino ad inginocchiarsi al suolo.
“Io so che c’è una soluzione. Esiste sempre una soluzione, ma ora non riesco a trovarne” singhiozzò senza piangere. Con la voce rotta e la mani tra i capelli.
Per la prima volta si mostrò debole davanti a suoi occhi e Lysandre sentì il cuore stringersi in una stretta. Si abbassò e le sedette accanto. Cominciò ad accarezzarle dolcemente la testa, proprio come faceva sua madre da bambino con lui.
“Castiel…” la voce della ragazza suonò così pura alle sue orecchie che sentì un brivido percorrergli le braccia.
“Castiel… mi aiuti?”
E per un attimo Lysandre pensò che lei non gli stesse chiedendo di aiutarla a sistemare, ma di aiutarla in tutti gli aspetti della sua vita. Di prenderla in braccio e portarla via, di conquistarla, risollevarla, toglierle dubbi, ansie e insicurezze. Di farla sua. Di accettarla, di cambiarla. Di salvarla, di amarla. Quei suoi grandi occhi scuri velati di preoccupazione gli stavano chiedendo aiuto come se da lui dipendesse la sua vita.
Forse era davvero quello che gli stavano dicendo.
E che cosa fece lui?
Prese un libro e lo sistemò su uno scaffale e poi un altro e un altro ancora.
Non aspettava indicazioni, in qual modo sapeva dove appartenessero. Maria lo guardava spaesata, seduta a terra stretta tra le proprie braccia. Aumentò il ritmo, riempì il carello una, due, tre volte e altrettante lo svuotò. Sistemò ogni singolo libro e quando finalmente terminò, sentì delle braccia sottili stringerli la vita.
“Tutto bene?” gli chiese per la seconda volta.
“Sei un angelo” la stretta si fece più salda e Lysandre sentì il petto della ragazza aderire contro la sua schiena.
“Perché sei rimasto, prima al negozio, perché non hai preso il taccuino e te ne sei andato?”
“Perché il taccuino non era più il motivo per cui restare”
“Perché mi hai aiutato, qui ora, perché non mi hai lasciato?”
“Perché ho più bisogno io di te”
Lysandre sentì la presa allentarsi e per un attimo ebbe paura di aver detto qualcosa di sbagliato, ma quando Maria cercò la sua mano tutte quelle paure sparirono.
“Voglio mostrarti una cosa”
Raggiunsero la scala che portava al piano superiore, scala che fino ad allora Lysandre non aveva nemmeno notato. Vi era appeso un cartello che permetteva l’accesso ai soli dipendenti.
Maria gli sorrise tranquilla prima di esortarlo a seguirla.
“Questo è il posto che preferisco in assoluto qui dentro” vi erano altri scaffali, anche se molto più polverosi e meno organizzati. Tra loro vi erano delle finestre, anche se più piccole di quelle del piano di sotto, donavano una vista fantastica della città. Soprattutto a quell’ora del giorno. Una mare di lava che contornava ogni palazzo, ogni vicolo buio, ogni strada. La frenesia della città che mutava in un qualcosa di calmo e silenzioso dietro a quel vetro vecchio e impolverato. Fu sotto una di quelle che Maria si sedette, prima che Lysandre facesse lo stesso.
“Amo sedermi qui e osservare la vita. Mi aiuta a riflettere”.
Lysandre poteva vederla riflessa nel vetro e sapeva lei lo stesse guardando. Sembrava aver perso quella preoccupazione che solo pochi attimi prima l’aveva presa così alla sprovvista.
“Chi sei davvero Castiel?” gli chiese quando i loro sguardi si incontrarono.
“Dimmi tre cose di te, Castiel”
Dentro il petto di Lysandre scoppiò una vera tempesta.
Uno: non mi chiamo Castiel.
Due: il taccuino è mio.
Tre: ho bisogno davvero di te.
Rimase in silenzio.
Maria allungò il braccio davanti a sé e finse di stringere una mano “Non è difficile: amo le ombre al tramonto, i modi di dire e il vento!”
Il ragazzo alzò il braccio, ma invece di stringere una mano immaginaria raggiunse quella della ragazza e la strinse per la seconda volta quel giorno. Cercò di reprimere quelle parole che gli vorticavano in testa e piano si sforzò affinché nessuna di quelle scapasse al suo controllo.
“Amo il passato, le luci e l’inchiostro sulle dita”
Maria spalancò gli occhi sorpresa e quelli sorrisero per lei. Si morsicò l’interno della guancia e continuò a guardarlo senza dire nulla. Le loro mani erano ancora strette l’una nell’altra ed entrambi sentivano l’energia dell’altro fluirgli dentro.
“Ti ci è voluto un po’, ma finalmente sei qui, con me, per davvero”.
Lysandre rispose ad ogni altra piccola domanda, evitò pochi argomenti, cercò di essere sincero, per quanto le bugie ormai create glielo permettessero, cercò di aprirsi, smise di nascondersi. Parlò come non faceva da anni, come non faceva con nessuno.
Rise, sospirò e raccontò. Raccontò di sé da piccolo, di suo fratello, dei suoi genitori. Raccontò del Dolce Amoris, della sua ex-ragazza, di come era finita male. Si liberò di tutto ciò che si era sempre tenuto dentro e Maria ascoltò. L’ascoltò con interesse, ponendo le domande giuste al momento giusto e Lysandre si accorse di una cosa.
Lui non era di poche parole, semplicemente non aveva mai trovato prima di allora un pubblico adatto.
 
 
 
 
 
 
Back to the street, back to the place
Back to the room where it all began
'Cause it's nine in the afternoon
Your eyes are the size of the moon
You could, 'cause you can, so you do
We're feeling so good, just the way that we do
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Euphoria__'s corner:

Come previsto sono qui ad aggiornare da 19enne. Sigh.
Che dire? Ci stiamo avvicinando alla fine della prima parte, la scorsa volta ho detto uno o due capitoli? Be' intendevo due :P Questo e il prossimo. Quindi con il prossimo chiudiamo il POV di Lysandre e ne iniziamo uno misto. E poi l'ultima parte avrà come POV quello di lei. O così spero di riuscire a scrivere la storia!
Che dire? AMO la canzone. L'adoro e le parole sono così perfette per la mia Lucy/Bennie/etc.
L'immagine iniziale è di Christian Schloe. Lo adoro.

Spero questo capitolo non sia troppo noioso, ci ho messo una vita e mezza a convincermi a scriverlo (a scriverlo ci ho messo una cosa come un'ora, quindi ora capite perchè è un po' miserino di lessico/trama/dettagli...)
Per quanto riguarda l'indizio della scorsa immagine... chi sono i Blondie? Non soffermatevi sul significato letterale del nome :)
Ringrazio chi ha messo la storia nelle preferite e nelle seguite!!
Ringrazio la mia più accanita lettrice :P (grazie mille)
Lady_Light_Angel
e

Tsuki 96
Siete state troppo gentili :)


 
 
 
  
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