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Autore: occhilatteementa    04/01/2014    2 recensioni
PRIMO CAPITOLO di una storia d'amore tra due ragazzi disagiati. Lui, cattivo ragazzo. Lei, emarginata e autolesionista.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                   IL NOSTRO AMORE NON CONVENZIONALE

                                                                                     
                                                                                   CAPITOLO PRIMO

Era la routine  che mi stava distruggendo. Mi svegliavo sempre allora stesso orario e per sei giorni su sette eseguivo in perfetto ordine, in modo impeccabile, tutto ciò che avevo da fare: scuola, pranzo, compiti e lavoro. Io, sedicenne disagiato, pensavo al lavoro e non come tutti i miei compagni a feste e trombate. Non che la mia famiglia stesse male economicamente, però io volevo sentirmi indipendente, grande. Lavoravo nella pizzeria del paese. La scuola non mi piaceva, i miei compagni non mi piacevano. Non avevo molti amici. Preferivo un pomeriggio passato sdraiato sul letto ad ascoltare musica random piuttosto che giocare  a calcio o studiare. No, non avevo la ragazza, ma per scelta.  Non penso di essere un bel ragazzo ma il fascino del cattivo ragazzo attira. Non che io lo sia, non fraintendiamo! I capelli biondi lasciati alla cazzo, non tenuti, tagliati solo perché mia madre mi costringeva, e gli occhi: sedici anni e ancora non so come descriverne il colore.  La scuola era iniziata da poco. Settembre, seconda settimana di calvario. Come mio solito mi stavo svegliando sempre alla stessa ora, mi lavavo, e beh, ero pronto. Di corsa prendo lo zaino dell’easpak nero che praticamente non riempio nemmeno più. Trenta minuti e arrivo in città. Mi incamminavo verso la scuola, testa bassa, KISS ME di Ed Sheeran, adoro quella canzone. Non è da femminucce. Il semaforo segna rosso, qualche intrepido trasgredisce e passa ugualmente. Rido. Mi accorgo ben presto di star ridendo da solo, così rivolgo lo sguardo alle persone che mi stanno attorno per vedere se qualcuno ha notato il mio comportamento. Tutto normale.  No, non era tutto normale. Vidi qualcosa.  Una ragazza. Non la capivo, non la percepivo pienamente e la guardavo in modo superficiale. Il semaforo era diventato verde, lei andò avanti. Chi sei? Io volevo saperlo, volevo sapere perché portava quel giubbino da militare, che musica stava ascoltando in quell’ipod e volevo sentire la sua voce. Chi sei? Chi è? Non la conoscevo nemmeno, ma era il mio desiderio più grande. Misteriosa. L’unica cosa che conoscevo di lei era il tipo di categoria a cui appartengono le tipe come lei: le finte alternative. Ne avevo già viste mille come lei, e le odiavo. Con lei non ce la facevo. In ogni caso, mi incamminai di nuovo verso il mio inferno. Sei ore di scuola, di cui due passate a dormire. Esco da scuola, torno a casa, mangio. Ho tempo di farmi un sonnellino, ma non lo faccio. Leggo. Un libro a caso. Già le sette. Vado al lavoro. Lavoro. Torno a casa. Cuffie. ‘’Losing your memory’’. La rivedo chiudendo gli occhi. Rivedo lei. Come a rallentatore rivedo il nostro quasi incontro. Il giorno dopo la rividi, sempre nelle stesse circostanze. La fissavo. Teneva gli occhi bassi e vedevo che muoveva le labbra come a cantar una canzone. La pelle candida, le labbra chiare. La vedevo sempre di profilo. Non sapevo nemmeno il colore dei suoi occhi. Anche quando c’era quel caldino che caratterizza un po’ settembre la vedevo sempre con i felponi. Volevo capirla. Era così... così me! Scatta il verde, mi guarda. Vedo quegli occhi. Le occhiaie le segnavano la faccia. Gli occhi verdi, verdi, verdi. Che bella. Gli zigomi alti. Gli occhi verdi. I capelli neri, tenuti alla cazzo come i miei. Gli occhi verdi.  La persi. Era andata via. Per le successive due settimane continuai a guardarla. Aveva un senso vegliarsi la mattina. Era sempre da sola.  Dopo quelle due settimane ero riuscito ad arrivare vicino a lei, tanto da leggere il titolo della canzone che stava ascoltando ‘’BREATHE ME’’ di Sia. L’avevo già sentita quella canzone. Parla del suicidio, dell’autolesionismo,, de desiderio di trovare qualcuno disposto ad aiutarci, qualcuno di sincero. Quella sera pensai solo a lei. Ero preoccupato per una persone della quale non conoscevo nemmeno il nome. Il giorno dopo, sempre vicino a lei, notai che non aveva l’Ipod. Era in tasca. Mise le mani nelle tasche per poi tirarle fuori subito di scatto. L’Ipod era finito per terra. Subito lo presi tra le mani, ma lei era già andata. Il giorno dopo, al semaforo l’aspettai.
 Ciao, penso che questo sia tuo
Era smarrita, gli occhi verdi si soffermarono sull’Ipod per poi passare ai miei occhi.
 Grazie, ero disperata 
Mi aspettavo qualcosa di più? No, capivo che non era una di tante parole.
 Prego 
Un cenno e basta. Si era già messa a camminare verso la sua scuola. No. Non l’avrei lasciata  andare. La rincorsi.
 So che è stupido: io.. io.. io non sono un maniaco, ma sono un po’ di mattine che ti fisso, cioè, vedo e volevo sapere il tuo nome 
 Cassandra 
Quel nome era da lei.
 Giulio 
Di nuovo quel cenno.
Qualche secondo di imbarazzo.
 Vuoi fermarti a mangiare una pizza con me dopo scuola  Dissi. Dovevo.
 Si, mi piacerebbe 
 Fantastico, la pizzeria dietro alla curva 
 Certo. Ciao Giulio. 
Quella mattina non pensai ad altro che al nostro appuntamento. Cassandra.
All’una ero già alla pizzeria ad aspettarla. Era un posticino tranquillo, conoscevo i proprietari. Spesso andavo li a pranzare quando non mi andava di tornare a casa a mangiare. Dopo dieci minuti d’attesa arrivò.
All’inizio mi ringraziò per l’Ipod, poi quando il ghiaccio si era ormai rotto, scoprì tante cose di lei. Si era trasferita qui da noi quest’anno. Abitava a Genova. Le piaceva la pizza con le patatine. Aveva sedici anni e gli occhi più belli che avessi mai visto. Non abitava distante da me. Nelle settimane successive diventammo molto amici. La invitavo spesso a casa mia. Ogni giorno guardavamo una nuova puntata di AMERICAN HORROR STORY. Parlavamo di musica. Capivo che eravamo uguali: quelli incompresi, i disagiati.
Ci sdraiavamo sul mio letto matrimoniale e ascoltavamo le canzoni in riproduzione casuale e piangeva. Non le dicevo niente. Non facevo niente. La guardavo. Lei cercava di non farsi vedere. Non sapevo come trattare queste cose. Pian piano diventò la mia migliore amica.
Arrivò anche Natale. I suoi genitori partirono per una super vacanza in Spagna, lei non voleva andarci. Così la invitai a casa mia. I miei erano d’accordo .
Condividevamo la casa. Era stupendo.
Avevo trovato in lei tutto ciò che stavo cercando.  Io l’amavo. 
Cassandra. Quella ragazza. Aveva dato un colore ai miei occhi: color asfalto.
 Che vuoi fare per capodanno?  mi chiese.
Eravamo sdraiati sul letto come nostro solito.
pizza e film?
Si girò su un fianco.
no
Optammo per un bar.
Io ero vestito in modo normalissimo. Jeans e camicia. Un figo insomma!
Non vidi come Casssandra era vestita fino a quando non si tolse il lungo cappotto nero.
Mi guardavo in torno e vedevo ragazze con i capelli lunghi e tinti con vestiti corti e tacchi vertiginosi.  E poi c’era lei, la donna che amavo.
Indossava una magliettina di pizzo con le maniche a tre quarti. Una gonna a fiori a vita alta, e un paio di zeppe. I capelli lasciati mossi. Era bella? No. Di più.
Per la prima volta la vidi senza la felpa. Per la prima volta la vidi per quello che era. Una guerriera. Aveva i polsi pieni di cicatrici. Non potevo fare a meno di fissarla, incredulo. Me l’ aveva tenuto nascosto. Si tagliava. Stava male, e io non lo sapevo. Come dovevo sentirmi? L’amavo e lei soffriva. Cassandra. Si rimise il cappotto e mi portò fuori con lei. Andammo in un posto più tranquillo, senza musica.
Dieci minuti di silenzio.
 Perché? 
Si mise a piangere. Che domanda del cazzo avevo appena fatto. Stava male, soffriva.  Non c’era un perché.
L’abbracciai, se lo meritava. Si meritava la mia comprensione. Le felpe, i pianti. Era tutto più chiaro.
Era tutto così naturale in quel momento. Piangevo anche io, da uomo lo nascondevo.
 Tu mi ami?  L’unica domanda che non mi aspettavo da lei.
 Ti amo più di qualsiasi altra cosa Cassandra. 
 E’ da quando ti ho conosciuto che ho ritrovato la serenità. Non mi taglio più Giulio.  Tu mi hai salvato. I nostri pomeriggi mi hanno salvato.  E ti amo 
La strinsi più forte. Trovai un passaggio per tornare a casa.
Era capodanno. Noi eravamo a casa. Avevamo le cuffie. 
Eravamo innamorati.
Quella sera facemmo l’amore.
La migliore fine e il miglior inizio di quell’anno.
Le accarezzavo i polsi.
 Ci sono io Cassandra, ora sono qui. le dissi, mentre lei singhiozzava con la testa sul mio petto. 
  
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