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Autore: Genevieve De Cendres    05/01/2014    4 recensioni
[STORIA REVISIONATA E CORRETTA]
Seconda metà del 1800.
Evan, un giovane e promettente avvocato, decide di entrare nella bottega dell'orologiaio più antico e famoso della città spinto da una particolare curiosità, lì incontrerà Ael Torsten, ragazzo con il quale intreccerà un legame che va al di là della semplice amicizia, ma sarà conveniente per un uomo del suo rango, sempre sotto l'occhio scrutatore e critico della nobiltà dell'epoca? E Ael, spirito libero e irrequieto, riuscirà a non fuggire dall'uomo scegliendo il cuore al posto della ragione?
Dal testo:
"mentre le labbra dell’avvocato poggiavano sulle sue, gentili ma decise, in un bacio che volle assaporare fino all’ultimo istante, per poi scostarsi forse pentito per il suo gesto, mentre lo sguardo tornava duro, onde che si infrangono violente, che logorano e allontanano."
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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2.
CAPITOLO SECONDO
 
 
 
Quando aprì gli occhi il cielo si era tinto delle tenui sfumature della lavanda, fece attenzione a non far rumore per evitare di svegliare Ael che giaceva addormentato accanto a lui. Il  volto sereno da bimbo appagato era incorniciato da sottili fili perlacei e diafano, spiccava dal cuscino solo grazie ad un gioco di ombre, la bocca era schiusa in un respiro costante e profondo, lo sguardo dell’avvocato vagò fino al petto che si alzava e abbassava lento, le lunghe gambe attorcigliate nelle coperte, una mano sul ventre e l’altra con le dita incastrate nei capelli. Evan lo studiò con attenzione, se avesse potuto, se avesse avuto anche un briciolo di capacità, l’avrebbe sicuramente dipinto. Nel sonno piuttosto che nella veglia, aveva un’aria incredibilmente pacifica e serena, tanto da sembrare un’altra persona. Si perse a studiare i lineamenti del ragazzo indugiando sulle labbra, gli venne voglia di toccarle e si avvicinò senza pensarci, si rese conto di quello che stava facendo solo quando ad un centimetro dal viso di Ael, si scosse da quella sorta di trance e alzò gli occhi verso quelli del ragazzo, che erano aperti. L’avvocato si allontanò velocemente preparandosi ad una scenata, ma il ragazzo sembrò mantenere la calma, si mise a sedere e si passò una mano tra i capelli arruffati.
 
-Perché sono qui?-
 
Bofonchiò il Ael con la voce arrochita dal sonno, mentre si guardava intorno con aria vagamente imbronciata, Evan sorrise trovandolo adorabile.
 
-Ho pensato potessi aver freddo lì, nel laboratorio…-
 
Rispose l’uomo guardandolo con attenzione, studiando l’espressione dell’orologiaio che mutava impercettibilmente, leggermente turbato.
 
-Vuole un tè? O preferisce del caffè , forse.-
 
Mormorò infine il ragazzo alzandosi dal letto e rassettandosi i vestiti come meglio poteva, Evan prese l’esempio del ragazzo e dopo qualche momento di imbarazzante silenzio Ael gli fece segno di seguirlo in cucina.
Era una piccola stanza dalla forma vagamente esagonale, i mobili in legno chiaro si sposavano armoniosamente con la carta da parati chiara, così come il piccolo tavolo anch’esso in legno bianco, disposto proprio nel centro della stanza. Evan si sedette sulla sedia che il ragazzo gli aveva indicato e guardò assonnato Ael mettere ad ebollizione l’acqua per il tè, faceva qualsiasi cosa con quei suoi gesti lenti, misurati, come se avesse paura di prendersi altro spazio, come se si fosse ritagliato  il suo e non dovesse o potesse uscirne. L’orologiaio parve irrigidirsi mentre metteva ad infusione le foglie profumate e senza voltarsi si schiarì appena la voce, per essere certo di non averla persa.
 
-Posso farle una domanda, Sir Norwood?-
 
La voce del ragazzo arrivò tesa e leggermente spezzata.
 
-Certamente, ma puoi chiamarmi…-
 
-Ottimo.-
 
Lo interruppe bruscamente il ragazzo, sempre di spalle e continuando a giocherellare con le foglie di tè, visibilmente nervoso.
 
-Per quale motivo sono oggetto di tanta considerazione da parte vostra? Si comporta come se fossimo amici di lunga data , ma io l’ho vista solo di rado quando ero poco più di un bambino  e sto accettando questa bizzarra situazione, solo in onore dell’amicizia duratura che lega…che legava, la mia famiglia alla vostra. Devo a qualcosa in particolare queste vostre insistenti attenzioni?-
 
Evan rimase in silenzio, per la prima volta gli mancarono le parole, poi improvvisamente gli sorrise, sorrise ad Ael come si sorride ad un bambino troppo curioso che pone domande ovvie, pretendendo di avere la risposta immediatamente, intanto il ragazzo stava versando il tè in un paio di tazze di porcellana priva di decorazioni.
 
-Le nostre famiglie sono amiche da generazioni. Mio nonno era amico del vostro, così come mio padre è amico di vostro padre. Non vedo cosa ci sia di male nell’essere amichevole con voi. Capisco che effettivamente non ci siano contatti da parecchio tempo, a causa di alcune incomprensioni e di screzi avvenuti, ma adesso che le cose si sono risolte non vedo dove stia il problema nel costruire una amicizia.-
 
Il ragazzo alle parole di Evan, si voltò a guardarlo. La schiena appoggiata al ripiano della cucina e le braccia incrociate al petto. La luce del mattino inondava la stanza illuminando i due che adesso si guardavano, quasi con aria di sfida. Ael sospirò porgendo la tazza fumante all’uomo e dopo aver messo in tavola lo zucchero e del latte, si sedette davanti a lui cominciando a sorseggiare la bevanda ambrata.
 
-La cosa che mi stupisce è il non avervi mai visto a nessun evento, ho sempre visto vostro fratello ma non voi, per quale motivo?-
 
Ael a quella domanda si incupì. Posò la tazza mantenendo lo sguardo su di essa e sospirò, senza però rispondere alla domanda dell’uomo che lo guardava con insistenza, in attesa. Evan provò ad avvicinare la sua mano a quella del ragazzo che reagì ritraendola di scatto e rivolgendogli uno sguardo offeso.
 
-Le nostre famiglie si sono riappacificate ormai da un anno, ogni rancore è stato dissipato, non vedo per quale motivo…-
 
L’avvocato venne interrotto dalla risata sarcastica del più giovane che lo guardava con aria divertita ma con occhi colmi di rabbia.
 
-Facile riappacificarsi adesso, non trova?-
 
Evan lo guardò perplesso, allontanandosi ed andando ad appoggiarsi allo schienale della sedia.
 
-Cosa vorreste dire?-
 
Chiese freddamente l’uomo infastidito dall’espressione arrogante del ragazzo che si era alzato in piedi e lo guardava dall’alto al basso.
 
-Voglio dire che la mia famiglia, con la sua amicizia, vi ha sempre fatto comodo. Ed è bastata una sciocca questione “sentimentale” per farci allontanare come cani rognosi! E adesso che mio padre sta morendo, ci fate la gentilezza di riprenderci sotto le vostre ali? Molto cortese da parte vostra, ma io ne faccio volentieri a meno.-
 
L’uomo sgranò gli occhi ed ebbe la tentazione di controbattere, ma gli mancò la voce una volta incrociati i suoi occhi, un mare in tempesta.
 
-Adesso con il vostro permesso, avrei un lavoro da finire. Sapete dove si trova l’uscita, la prego di andarsene immediatamente, è rimasto in casa mia anche troppo.-
 
Evan lo guardò mortificato, effettivamente non era a conoscenza dei dettagli riguardanti la lite tra le due famiglie, sapeva solo che il padre aveva smesso di avere qualsivoglia rapporto o scambio con il padre del ragazzo e che una volta, era persino arrivato a proibirgli di parlare al figlio maggiore dei Torsten. Si alzò ed andò a raccogliere le sue cose, prima di andarsene guardò oltre la porta della cucina, Ael era ancora lì, in piedi, l’aria fiera ed aggressiva ma gli occhi di chi non riuscirà a trattenere le lacrime ancora per molto.
 
 
 
Si guardò un’ultima volta allo specchio, prima di uscire.  L’abito elegante fasciava il corpo asciutto e alto di Evan, conferendogli un’aria regale nella sua semplicità. I capelli scuri, ben pettinati e portati all’indietro evidenziavano i lineamenti forti ma regolari. Sospirò, era passata una settimana dalla notte della tempesta e non era riuscito a togliersi dalla testa l’espressione del ragazzo. L’aria ferita e la voce spezzata. Aveva provato nei giorni successivi a parlare al padre, ma non aveva ricevuto altro che sospiri e scuse; pensò che se il padre non si fosse deciso a parlare, avrebbe dovuto chiedere ad altri, ma a chi? Di certo se avesse provato a chiederlo ad Ael, non sarebbe tornato a casa. Non intero almeno.
Prese l’orologio da taschino, premette il bottoncino in alto e questi si aprì, liberando la melodia al suo interno, l’avvocato sospirò estasiato e lanciò un’occhiata al quadrante: le sette. Era in ritardo per il compleanno di Valentine.
 
quando arrivò il salone era un vortice di colori, luci e suoni. Molti degli invitati danzavano e gli uomini più anziani si perdevano in noiosissime chiacchiere, così come le non più giovani signore, che se ne stavano sedute in semicerchio, ventaglio alla mano e occhio inquisitore. Valentine gli venne incontro a braccia aperte, un enorme sorriso gli illuminava il volto coperto da qualche ciocca, sfuggita dalla folta coda bassa
 
-Evan!-
 
Chiamò a gran voce avvicinandosi a grandi passi sicuri
 
-Amico mio! Finalmente hai deciso di onorarci con la tua presenza, temevo non saresti più arrivato!-
 
Concluse il collega cingendogli le spalle con un braccio e dopo averlo stretto, liberò l’amico dalla presa forse un po’ troppo forte.
 
-Buon compleanno, Valentine.-
 
Rispose Evan massaggiandosi il braccio e sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori, quel sorriso furbo che riservava solo a lui, solo a Valentine, amico di una vita.
Questi ricambiò il sorriso ma non ebbe il tempo di dire altro, quando vide una nobildonna avvicinarsi, figlia al seguito. Sospirò senza guardare l’amico e girandosi in direzione della donna.
 
-Siamo a quota tre, un’altra che vuole rifilarmi la figlia che non riesce a dare in moglie. È passato forse di moda il rinchiuderle in convento?-
 
Chiese a denti stretti e forzando un sorriso, facendo Evan in una risata bassa e controllata. Valentine si inchinò per salutare l’amico e poi fece segno con il capo, di guardare dietro di sé
 
-C’è il nostro orsetto brusco e cattivo!-
 
Disse infine voltandogli le spalle ed avvicinandosi alle due dame, l’avvocato faticò a cogliere il senso della frase ma lo capì non appena girandosi, vide Ael chiacchierare con il fratello minore di Valentine, faticò quasi a riconoscerlo, era abituato a vederlo con l’aspetto di un ragazzino vestito con larghe camice bianche e vecchi pantaloni rattoppati, ma davanti a lui c’era un giovane uomo, il corpo fasciato da un elegante abito blu scuro e i capelli meticolosamente pettinati, parlava tranquillamente, un sorriso mite gli increspava appena le labbra, per niente forzato. Aspettò che i due terminassero la loro conversazione e, quando Ael uscì sulla terrazza per prendere un po’ d’aria, Evan lo raggiunse. Si avvicinò con passo deciso al ragazzo che, appoggiato alla balaustra in marmo, guardava  davanti a sé con lo sguardo perso in un cielo stranamente limpido. L’orologiaio colse i passi alle sue spalle e si voltò pronto a salutare nuovamente l’amico, ma ritrovatosi davanti all’avvocato si rabbuiò mettendosi sulla difensiva.
 
-Anche voi qui?-
 
Chiese seccato Ael mentre Evan si avvicinava sorridente, appoggiandosi anche lui alla balaustra e sostenendo lo sguardo del più piccolo.
 
-Come state?-
 
Chiese infine, mentre Ael si allontanava di un passo
 
-Ottimamente.-
 
Lapidaria la risposta dell’orologiaio, che nel pronunciarla aveva distolto lo sguardo. Evan si avvicinò di un altro passo arrivando vicinissimo ad Ael, visibilmente imbarazzato.
 
-Mi dispiace per quello che è accaduto alle nostre famiglie.-
 
Disse a voce sommessa l’uomo, attirando l’attenzione del ragazzo che lo guardava quasi spaventato, pienamente cosciente del fatto che quello non fosse né il momento né il luogo giusto per affrontare quella discussione.
 
-Io non sono mio padre e voi non siete il vostro. Non è giusto pagare per i loro errori, non trovate? Capisco che questa mia insistenza possa apparire strana ed irritante, ma non vedo nemmeno il motivo per cui non insistere. Vi trovo una persona interessante ed avrei davvero piacere a fare la vostra conoscenza come meglio si conviene.-
 
Ael continuava a fissarlo in silenzio ed Evan ebbe l’irrefrenabile tentazione di avvicinarsi e scuoterlo afferrandolo per le spalle, chiedergli se fosse sveglio o stesse dormendo ad occhi aperti. Il ragazzo aveva colto una delle cose che all’avvocato davano più fastidio: l’assenza di risposte. Anche se fossero state mute gli sarebbero andata bene, benissimo. Ma aveva bisogno di risposte. Ael si scostò dalla ringhiera e lentamente si avvicinò all’uomo notevolmente più alto di lui, gli si piantò sotto e lo fulminò con lo sguardo senza proferir parola. Fece per andarsene ed era appena entrato nella sala quando Evan, senza pensarci troppo e persa la pazienza, lo afferrò per il polso e in pochi istanti lo trascinò fuori dal salone, nel corridoio.






 
 
  
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