Anàmesa Étoi – Across the Years
5-Spettri
Per
settimane al villaggio di Rodrio non si parlò d’altro
che questo: il tradimento di Aioros del Sagittario e
la scomparsa di Saga dei Gemelli.
Kendeas
aveva quindici anni e, con la testardaggine tipica della sua età, non si
rassegnava ad aspettare senza fare niente, così appena incontrava un soldato o
uno dei Gold Saint che raramente si facevano vedere
al villaggio subito chiedeva di Saga.
Non gli
passò neanche per la mente di essere cauto mentre faceva domande, almeno fino a
quando non sentì due guardie che lo prendevano in giro.
-Visto
quel ragazzino come chiede sempre di wanax
Saga? Sembra una fidanzatina gelosa!-
Kendeas
li lasciò andare via, rosso fino alle orecchie, e da quel momento fece molta
più attenzione a come parlava.
Non
tollerava che il sentimento forte e bellissimo che lo univa a Saga diventasse
oggetto di battute idiote tra soldati.
Un
giorno si sparse la notizia che dopo tanto tempo il Gran Sacerdote aveva
finalmente deciso di fare una visita al villaggio; erano mesi che non
succedeva, e praticamente tutti gli abitanti avevano lasciato le loro
occupazioni per scendere in piazza a vederlo.
Anche
Kendeas decise di andare, ma con fini del tutto diversi dalla devozione
religiosa: il fatto era che l’unico che poteva sapere qualcosa di Saga era
proprio il Sacerdote.
Non era
lui che governava i Saint di ogni casta?
E
allora tanto valeva provare!
Si
mescolò alla folla, aspettando il suo turno per parlare con il Sacerdote, ma
quando gli arrivò davanti accadde una cosa strana.
Kendeas
guardò le pietre rosse della maschera e gli sembrò di sentire un respiro
trattenuto dietro di essa.
“Tu?”.
La voce
era nella sua testa.
Voleva
parlare ma non ci riusciva, come quando Saga lo aveva immobilizzato prima di
sparire per sempre.
Il
Sacerdote gli posò la mano sulla testa in un gesto di benedizione, poi passò in
fretta ad un'altra persona.
Kendeas
era ancora bloccato, e quel che era peggio nessuno sembrava accorgersi della
sua situazione.
Intanto
il Sacerdote si era allontanato.
“Lo ha fatto apposta! È stato lui ad
immobilizzarmi, ma perché?”.
Deciso
più che mai a non rinunciare, Kendeas decise di giocare d’astuzia.
Lasciò
il gruppo dei fedeli e fece il giro largo attraverso i campi per appostarsi
sulla strada che da Rodrio saliva verso il Santuario.
Gli
venne anche un pensiero abbastanza stupido: si sentiva un po’ uno dei bravi che
aspettavano Don Abbondio per minacciarlo, ma, a parte
il fatto che lui non voleva minacciare nessuno, il Sacerdote di Athena non era
certo un povero curato di campagna!
Dopo
quasi un’ora la sua pazienza fu premiata: una figura alta, avvolta in una tunica
blu stava percorrendo quella strada.
Kendeas
si chiese vagamente se quella sua mossa avrebbe potuto essere interpretata come
un agguato, e se sì quali avrebbero potuto essere le conseguenze.
Il
Sacerdote si fermò solo quando fu di fronte a lui.
-Perché
sei stato qui ad aspettarmi, ragazzo? Hai già avuto la mia benedizione-
Kendeas
lo osservò e per la prima volta si sentì nervoso.
Aspettare
il Sacerdote di Athena sulla strada, ma che gli era saltato in testa?
Eppure
quella era la sua sola speranza.
-Ierèas,
perdonate la mia insolenza, ma ho bisogno di parlare con voi. Ditemi se sapete
dove si trova wanax Saga-
-Wanax Saga…- ripeté lentamente il Sacerdote –non
è affare tuo, tanto non lo rivedrai mai più-
-Ma signore…-
-Ti
avverto, ragazzo, la mia pazienza ha un limite-
“No, è tutto sbagliato. Il Gran
Sacerdote è un uomo buono e generoso. Perché usa questo tono freddo?”.
-Ieréas… per favore, se sapete
qualcosa ditemelo-
Il
Sacerdote rimase immobile.
Kendeas
aveva la netta sensazione di essere osservato dalle pietre rosse e quel colore
gli sembrava improvvisamente inquietante.
Rosso
era il sangue.
Si
costrinse a non abbassare lo sguardo e poco dopo si accorse che le spalle del
Sacerdote erano come scosse mentre dietro la maschera vibrava uno strano suono.
Il
Sacerdote stava ridendo.
-Ah,
ragazzo, da come insisti e dal tono così preoccupato della tua voce si direbbe
quasi che tu avessi un legame speciale con wanax Saga. È così?-
A
quel punto Kendeas abbassò gli occhi -Io lo amavo-
-Ma
evidentemente lui non amava te. Ti ha abbandonato senza una parola, non è
vero?-
Kendeas
boccheggiò come se fosse stato colpito fisicamente -Lui…
lui non ha potuto…-
-O
non ha voluto. Che hai tu, un operaio, da spartire con un Cavaliere d’oro?
Niente. Rassegnati, per lui sei stato solo un capriccio-
-No!-
Solo
in quel momento Kendeas si rese conto che aveva alzato la voce contro il
Sacerdote di Athena, cosa che probabilmente era un sacrilegio.
-Razza
di sciocco sentimentale che sei! Sei convinto anche tu, come tutti, che il tuo
Saga fosse un concentrato di bellezza e virtù, non è vero? Non hai saputo
vedere cosa c’era davvero nel suo cuore- il Sacerdote portò una mano alla
maschera come se stesse per togliersela -ebbene adesso guarda, giovane
innamorato, guarda e disperati perché scoprirai il segreto che…-
NO!
Una
voce risuonò nell’aria, ma oltre a loro due Kendeas non vide nessuno.
Eppure,
per un attimo, gli era sembrata la voce di Saga.
-Sa-… Sacerdote?-
La
figura che fino ad un momento prima era stata così autoritaria era in ginocchio
a terra, con la testa tra le mani, e mormorava a voce bassissima, come se
stesse parlando a qualcuno invisibile.
-No… no, non ti lascerò fargli del
male-
-Idiota,
smettila di ostacolarmi! Questo ragazzo mette in pericolo il mio piano, deve…-
-No!
Tu non lo toccherai!-
Kendeas
fece il gesto di avvicinarsi per aiutarlo, ma appena ebbe allungato la mano il
Sacerdote gli afferrò il braccio con una stretta spaventosamente forte -Devi
andartene. Vattene finché posso ancora controllarlo-
Stranamente
Kendeas, che fino a quel momento era stato arrabbiato con lui, adesso sentiva
il bisogno di confortarlo.
Come
aveva tenuto tra le braccia Saga l’ultima notte che erano stati insieme.
-Cosa?
Controllare cosa, Sacerdote?-
Lui
si rialzò in piedi con uno scatto.
-Vattene!-
gli disse –E non avvicinarti a me mai più. Vattene… Kendeas-
Poi
sparì, anche lui veloce come la luce, lasciandolo solo sulla strada.
“Mi ha chiamato per nome.
Conosce il mio nome… come?”.
La
cosa più strana era che per un attimo, dietro la maschera senza espressione del
Sacerdote, a Kendeas era sembrato di vedere il viso preoccupato di Saga.
-Saga!-
Urlò
da solo.
Non
gli interessava come, ma era certo che in quel momento lui lo potesse sentire.
-Saga!
Io giuro che ti aspetterò, hai capito? Non mi importa quanto ci vorrà ma sappi
che io ti aspetterò!-
Da
qualche parte là vicino gli rispose il suono di un sospiro, ma Kendeas non
sapeva dire se fosse di sollievo o di angoscia.
***
Kendeas
aveva ormai ventisette anni.
I suoi
parenti avrebbero voluto vederlo accasato con una brava ragazza, una persona in
grado di essere sua moglie e madre dei suoi figli, ma Kendeas non ci pensava
nemmeno.
Quando
nonna Ifighéneia insisteva perché andasse a salutare
qualche vicina di casa venuta in visita casualmente
con la figlia lui si limitava a fare qualche cenno educato, qualche frase
di circostanza e poi se la svignava con la scusa del laboratorio, delle
consegne o anche solo che aveva sentito Atlante che ragliava.
A volte
lui stesso si chiedeva se, se solo non avesse conosciuto Saga, si sarebbe
infine rassegnato a sposarsi, ma non si sapeva rispondere.
Guardava
le ragazze del villaggio sforzandosi di trovarle attraenti, ma proprio non ci
riusciva.
Non che
le trovasse brutte, semplicemente nessuna di loro gli faceva provare anche solo
lontanamente le emozioni che Saga gli aveva fatto provare solo con lo sguardo.
Ogni
volta che si sforzava di immaginare sé stesso con una di loro inevitabilmente
la sua mente scappava e tornava alle immagini familiari di un corpo robusto, di
capelli lunghi color turchese e di mani grandi, da uomo, intrecciate alle sue.
E poi
c’era la sua promessa.
Kendeas
a volte sorrideva tra sé pensando a se stesso come a Penelope, che attendeva il
ritorno dell’amato quando tutti gli altri avevano smesso di crederlo possibile.
Per
conservare la conchiglia e la prima figura di argilla che Saga aveva modellato,
Kendeas aveva tolto un mattone dal muro e scavato una piccola nicchia, così
poteva nasconderci i due oggetti avvolti da un panno.
Erano
passati tredici anni dalla scomparsa di Saga, eppure Kendeas continuava a
sperare; per questo, spesso, quando passava davanti alla taverna e vedeva che
dentro c’erano i soldati del Santuario, entrava sempre ad ascoltare le ultime
notizie.
In
genere quegli uomini si lamentavano di come la vita al Santuario fosse
diventata difficile.
Le
prove per diventare Saint o anche solo soldati semplici erano giustamente
difficili perché dovevano forgiare uomini dalla tempra fuori dal comune, ma da
un paio di anni quelle prove erano diventate più che difficili, erano crudeli.
Più
della metà dei nuovi arrivati moriva entro un anno ma al Grande Sacerdote non
sembrava importare.
Lui
stesso si faceva vedere sempre più raramente, ed ancora più rare erano le
udienze che concedeva con la Dea Athena.
A
Kendeas per la verità di tutto questo importava poco, l’unica cosa che voleva
sapere era se qualcuno avesse avuto notizie di Saga, ma a quanto pare il Saint
dei Gemelli era stato solo il primo a scomparire; infatti tutti gli altri
Cavalieri d’oro, chi prima, chi dopo, si erano ritirati a vivere in luoghi
inaccessibili.
Un
pomeriggio però, mentre tornava a casa dopo aver fatto il giro del villaggio
per alcune consegne, passando davanti alla taverna sentì qualcosa di
inconcepibile: il Santuario era sotto attacco.
Dei
giovani Bronze Saint, guidati da una ragazzina che diceva di essere la Dea
Athena, stava tentando l’impossibile, cioè attraversare le Dodici Case che
erano messe a guardia del Santuario per arrivare ad affrontare il Gran
Sacerdote in persona e conquistare il Grande Tempio.
Tutti i
Gold Saint erano stati richiamati ad Athene, l’unico che mancava era Saga.
Quando Kendeas
tornò a casa e si rimise al lavoro era pensieroso.
Come
era possibile che Saga, il Saint più devoto alla Dea Athena non fosse stato il
primo a tornare per difendere il Santuario da quegli impostori?
C’era
un'unica spiegazione, ed era quella che Kendeas aveva rifiutato per tredici
anni: Saga era morto e non sarebbe tornato mai più.
Né per
la sua Dea, né per il Santuario.
Né per lui.
Rovinò
parecchi lavori perché ogni volta che quel pensiero gli attraversava la mente
provava una dolorosa stretta al cuore e le sue mani non rispondevano più come
voleva lui, e allora finiva per far cadere il lavoro o premere troppo
sull’argilla morbida e deformarla in modo irrimediabile.
E poi,
lavorando l’argilla, gli tornavano sempre davanti le immagini della prima volta
che aveva fatto provare Saga a fare quel lavoro.
Le loro mani umide ed impiastricciate di
creta.
I loro occhi che si incontravano le prime
volte.
Lo sguardo di Saga concentrato su di lui.
Alla
fine, a metà pomeriggio, stanco di non concludere niente e di tormentarsi tra
ricordi di cose che non sarebbero più tornate, mise da parte l’ennesimo lavoro
rovinato ed uscì di casa.
Tutto
il villaggio era radunato alla taverna, dove i soldati si davano il cambio
regolarmente, man mano che c’erano nuove notizie sulla battaglia alle Dodici
Case.
Anche
Kendeas restò nel cortile ad ascoltare per ore.
A
quanto pareva i giovani Bronze avevano superato più della metà delle Case, ed
il ragazzo cominciò a chiedersi se, per essere arrivati così lontano, quei cinque
poco più che adolescenti non fossero davvero protetti da una Divinità.
“Ma è impossibile! La Dea Athena è al
Santuario. Perché dovrebbe proteggere questi invasori stranieri?”.
Era
passato il tramonto, e ad un certo punto Kendeas stava considerando seriamente
l’idea di tornarsene a casa, quando arrivarono di corsa tre soldati.
-Alle
Stanze del Sacerdote! Il Saint di Bronzo di Pegasus è
arrivato alle stanze del Grande Sacerdote!-
“Alle stanze del Sacerdote? Ma no, è impossibile!”.
Kendeas
si risedette sulla panca che faceva da perimetro al cortile perché ormai anche
lui era troppo curioso di sapere come sarebbe andata a finire.
Passarono
altre ore senza nessuna novità, poi finalmente, quasi a mezzanotte, arrivarono
altri soldati.
Kendeas,
il più vicino, fu il primo a sentire i loro discorsi.
-Lo
dicevo io, che quel tipo non mi convinceva!-
-È
assurdo! Aveva ucciso il Gran Sacerdote ed aveva preso il suo posto! E nessuno,
dico, nessuno, se n’è accorto per tredici anni-
“Tredici anni… da
quando Aioros ha tradito. Da quando Saga è scomparso”
pensò
Kendeas.
-Ehi,
voi! Chi è stato? Chi ha ucciso il Sacerdote?-
Gli
gridò subito.
Alle
sue parole tutti si voltarono sconvolti.
-Calma,
ragazzo, calma, facci sedere e racconteremo tutta la storia dall’inizio. E che
storia! Portateci da bere e bevete anche voi perché sarà quasi impossibile
crederci!-
Non
appena i soldati si furono seduti alla tràpeza (NdA la tavola centrale nelle taverne tradizionali greche)
e fu portato loro del vino iniziò la storia più incredibile che Kendeas avesse
mai sentito.
La
ragazzina che veniva dal Giappone, Saori Kido, era veramente la Dea Athena.
Ed Aioros, arciere delle stelle, accusato di averla rapita,
era in realtà colui che l’aveva salvata.
-Salvata
da chi?-
-Voleva
ucciderla ancora neonata-
-Ma
chi?-
-Chi
aveva ucciso anche Il Gran Sacerdote Sion-
-Come?!
Impossibile! Lo avremmo saputo se fosse morto il Gran Sacerdote!-
-È la
verità invece. Ierèas
Sion era stato ucciso poco dopo che Athena si era reincarnata-
-CHI?!-
-Ah,
questa è la parte più difficile da credere! Ve lo ricordate quel Saint che
tutti chiamavamo la reincarnazione di un Dio per quanto era buono e generoso?
Ebbene, è stato lui. L’unico vero traditore è stato Saga dei Gemelli-
Kendeas
si sentì male a quelle parole.
Ora
tutto combaciava!
Il
Sacerdote che lo aveva chiamato per nome, il fatto che gli avesse detto di non
avvicinarsi più a lui.
Saga che
aveva giurato fedeltà alla Dea Athena.
Saga
che lo aveva amato.
Saga
che aveva condannato a morte suo fratello per proteggere il Santuario.
Saga
che parlava con lui di come i Saint avessero un cuore umano.
Saga ìsos theòis (NdA Saffo frammento 31 “simile agli Dèi”) .
Saga un
traditore.
-E
adesso dov’è? Verrà giudicato dalla Dea in persona per il sacrilegio che ha
commesso?-
-È
stato lui a giudicare se stesso. Sulla scalinata che porta al Grande Tempio ha
atteso l’arrivo della Dea e si è tolto la vita davanti a lei-
A quel
punto Kendeas non volle più sentire niente.
Si
divincolò dalla calca asfissiante della folla e corse via, senza una direzione
precisa, solo per allontanarsi da tutto e da tutti.
Quando
un dolore lancinante al fianco lo costrinse a fermarsi si lasciò cadere in
ginocchio, e allora capì dove si trovava perché le sue mani affondavano nella
sabbia bagnata: era sulla spiaggia dove andavano spesso con Saga.
Quello
era uno dei posti dove era tornato molte volte per tenere viva la speranza,
perché era certo che Saga avesse sentito la sua promessa e non lo avrebbe
lasciato solo, e adesso invece era andato tutto in pezzi.
Saga
sapeva che c’era lui ad aspettarlo e lo stesso aveva rinunciato alla sua vita.
Allora
a quel punto non voleva più vivere neanche lui!
Guardò
il mare nella luce pallida della luna.
Forse
affogare non era il modo migliore per morire, ma che gli importava?
L’acqua
gli arrivava già ai fianchi e le onde lo trascinavano lontano dalla riva.
La
risacca lo trascinò sotto e lui pensò “Bene,
tra poco sarà tutto finito”.
Aveva
acqua salata nella bocca e nel naso, ed anche i suoi pensieri cominciavano a
farsi confusi.
“No,
Kendeas! Non morirai anche tu per colpa mia”.
Una
forza immensa, invisibile, lo strappò all’abbraccio mortale del mare.
Kendeas
rotolò sulla sabbia asciutta, sputando acqua.
Prima
di svenire gli sembrò di vedere, inginocchiato accanto a lui, la figura di Saga
che brillava di luce dorata.
***
Per
parecchio tempo Kendeas non uscì di casa.
Saga lo
aveva salvato perché voleva che vivesse, ma era difficile, molto difficile.
A volte
aveva la tentazione di raccontare tutto ai suoi parenti, ma alla fine non lo
faceva mai perché era una cosa troppo personale.
Piuttosto
preferiva darsi malato, cosa che, dopo essersi gettato in mare in piena notte,
non era neanche tanto lontana dalla realtà.
Però
c’era una cosa che lo tormentava: che ne era stato di Saga?
Al
Santuario valeva la regola che i suicidi non potessero essere seppelliti in
terra consacrata?
O
peggio, come aveva detto lo stesso Saga a proposito di suo fratello Kanon, la
punizione dei traditori era rimanere insepolti?
Era un
pensiero che Kendeas non poteva tollerare, e dopo due giorni si decise a
chiedere a suo zio Kostas.
Lui
però non ne sapeva niente.
-Però,
se proprio lo vuoi sapere, chiederò oggi al villaggio, visto che devo andare a
fare delle consegne-
Kendeas
annuì, forse con troppa convinzione, e si ripromise di tornare al lavoro al più
presto perché zio Kostas era ormai anziano e non
poteva più stare dietro al laboratorio e alle consegne come una volta.
Al
tramonto lo zio tornò con la notizia che lui aspettava.
Saga
aveva tradito, ma nonostante questo la Dea Athena, che conosceva il segreto
delle sue due anime e sapeva quanto aveva sofferto, non aveva voluto
condannarlo a vagare tra il mondo dei vivi e quello dei morti e lo aveva fatto
seppellire con gli altri Saint come uno di loro.
Kendeas
tirò un sospiro di sollievo, e dopo il sollievo un’idea cominciò a prendere
forma nella sua mente.
Voleva andare da lui.
Certo,
il cimitero del Santuario non era un posto dove le persone comuni potevano
entrare, il che voleva dire entrare di nascosto e come un ladro, ma non aveva
altra scelta.
Aspettò
una notte di luna piena, in cui la luce gli permetteva sia di trovare la strada
sia di non essere visto.
Aveva
raccolto tre gigli delle sabbie, i fiori che a Saga erano sempre piaciuti.
Il
confine del cimitero era segnato da un recinto di legno d’olivo sacro ad
Athena, e da un sentiero parallelo che correva all’esterno, quello usato dalle
guardie per fare i loro giri di ronda.
Kendeas
aspettò dietro delle rovine che due soldati si fossero allontanati, poi,
cercando di non fare rumore, raggiunse il recinto.
“Perdonami,
parthène Theà (NdA Dea vergine)”.
Sperava
che la Dea, dall’alto del Santuario, lo vedesse e capisse il perché del suo
gesto.
Scavalcò
il recinto e cominciò a camminare tra le lapidi, guardandosi intorno ogni tanto
perché la prudenza non è mai troppa.
Ad un
certo punto vide una tomba con un incisione che poteva essere quella che
cercava lui, questo gli fece dimenticare la prudenza e lo fece uscire in un
tratto scoperto prima di controllare che non ci fosse nessuno.
-Ehi,
tu! Che ci fai qui!-
Era
stato visto dai soldati!
Si
buttò a terra, sperando di riuscire a svignarsela strisciando al riparo delle
pietre, ma quei tre erano furbi.
Uno di
loro salì su un rialzo del terreno, e da lì era facile vedere tutto, così
indicò esattamente ai suoi compagni la sua posizione.
Frustrato,
Kendeas si alzò in piedi.
Tanto
lo avrebbero preso comunque, almeno non avrebbe fatto la figura del vigliacco.
Due
soldati lo afferrarono per le braccia mentre aspettavano l’arrivo del terzo.
-Non
conosci le leggi, tu? Il perimetro del Santuario è sacro, nessuno può entrare,
e tu sei entrato di notte e senza permesso, come una spia. Questo gesto lo
pagherai con la vita-
I
soldati che lo tenevano cercarono di costringerlo in ginocchio, ma lui
resistette.
Non
voleva essere giustiziato come un criminale perché lui non aveva fatto niente!
Venne
colpito allo stomaco con una lancia, e allora dovette piegarsi per forza,
mentre dietro di lui qualcuno gli tirava i capelli per costringerlo ad esporre
la gola.
Il soldato
gli posò un attimo la punta della lancia sul collo, probabilmente per trovare
il punto migliore dove colpirlo.
Il
metallo freddo sulla pelle gli diede i brividi in tutto il corpo.
“E così che finirà tutto? Dea Athena,
vergine guerriera e Dea della giustizia, aiutami!”.
Pregò
ad occhi chiusi.
-Fermi!-
Intimò
una voce.
La
lancia si allontanò immediatamente dalla gola di Kendeas.
-Wanax Milo-
Kendeas
aprì gli occhi e vide chi era stato a fermare i soldati.
Era un
giovane uomo, forse addirittura più giovane di lui, con lunghi capelli di una
sfumatura blu cobalto simili a come li
aveva portati Saga ed era ricoperto da un’armatura d’oro.
-Cosa
sta succedendo?- chiese.
-Wanax,
quest’uomo è entrato nel perimetro sacro del Santuario di Athena, è un crimine
che va punito con la morte-
Kendeas
sentì su di se lo sguardo del Saint d’oro che lo studiava attentamente.
-C’è
stata abbastanza morte qui al Santuario, adesso basta. Voi potete ritirarvi- riportò
lo sguardo su Kendeas –lasciate che spieghi a me le
sue ragioni-
Appena
le guardie se ne furono andate Kendeas raccolse l’unico dei fiori che si era
salvato, poi si alzò e si pulì alla meglio dalla terra che aveva sulle braccia
e sui vestiti.
Si
vergognava di essere in quelle condizioni davanti ad un Saint d’oro.
-Come
ti chiami?-
-Kendeas, wanax-
-E
perché, Kendeas, hai violato le leggi del Santuario? Cosa cerchi nel cimitero
dei Saint?-
-Cerco
una tomba-
-Mi
pare evidente-
-La
tomba di wanax Saga-
Se
prima c’era stata l’ombra di un sorriso sul volto del Saint dello Scorpione a
sentire il nome di Saga sparì immediatamente.
-Perché?-
Kendeas
pensò che la cosa migliore fosse essere sincero.
Gli
raccontò del loro amore.
-Dunque
tu… lo amavi?-
Gli
chiese il Saint dello Scorpione con un tono di vaga sorpresa o di curiosità
nella voce.
-Sì, wanax-
-E
anche adesso che sai che ha tradito tutti, anche te, hai rischiato la vita per
venire a vedere la sua tomba. Non so se sei molto coraggioso o molto stupido-
-Io lo
amavo- seppe spiegare solo Kendeas.
-Sì, me
lo hai già detto. Lo amavi molto e continui ad amarlo. Sì, so come ci si sente-
wanax Milo lasciò vagare lo sguardo
sulle altre tombe -anche io sono qui per l’uomo che amavo. Camus,
il Saint dell’Acquario. È morto durante la battaglia alle Dodici Case. È morto
per colpa di Saga che ci ha ingannati tutti-
-Mi
dispiace-
Disse
piano Kendeas.
Milo
annuì.
-Ragazzo,
non posso condividere il tuo dolore per la morte di Saga, però posso
comprenderlo. Per stanotte hai il mio permesso di restare qui. Vai da lui
adesso-
Prima
che Kendeas avesse potuto ringraziarlo il Saint sparì, veloce come la luce,
come Saga quando scappava via all’alba per non rischiare di incorrere nelle ire
di nonna Ifighéneia.
Per
trovare la tomba gli ci volle un po’ di tempo.
Le
lapidi del cimitero dei Saint erano tutte uguali sotto la luce argentata della
luna, blocchi di marmo uno identico all’altro con i nomi incisi sopra con tagli
netti.
Ogni
volta che Kendeas vedeva un nome che cominciava con un sigma veniva
attraversato da una scossa e subito si buttava in ginocchio a controllare, ma
non era mai quella che cercava lui.
Seleukos.
Soter.
Sostratos.
Alla
fine arrivò davanti ad una lapide con il nome inciso da poco, si capiva dai
graffi ancora scabri e non levigati dalla pioggia o dal vento che formavano le
lettere.
SAGA.
Kendeas
si inginocchiò e posò il giglio delle sabbie sulla lapide.
Al
chiaro di luna il fiore bianco sembrava avere una luce propria, era bello,
nella sua semplicità e purezza.
Come
era sempre stato Saga.
“Kendeas”.
Trasalì
quando sentì il suo nome mormorato da un soffio.
“Kendeas… ghlikà… chiudi gli occhi”.
Aveva
la pelle d’oca ed essere in un cimitero in mezzo alla notte poteva fare
impressione, ma quella voce Kendeas la conosceva troppo bene e fece come gli
era stato detto.
Immediatamente
sentì sulla pelle un tocco familiare.
“Saga, sei tu?”.
Gli
rispose un sospiro.
Non
sapeva che dire, ma d’altra parte non ce n’era bisogno.
Si
sentiva come se stesse davvero stringendo Saga tra le braccia, lo sentiva
fragile e sentiva la sua paura.
Provò
un moto di tenerezza.
Saga ìsos theòis.
Saga
tanto bisognoso di conforto.
“Kendeas, tu non mi odi, non è vero?”.
“No, no, Saga, non ti odio”.
Lo
sentì piangere e sentì un ondata di sollievo.
A
quanto pareva i fantasmi avevano le stesse emozioni degli umani.
Lo
strinse forte, o almeno ebbe l’impressione di stringerlo e gli sembrava di
sentire sul collo la carezza del lunghi capelli turchese di Saga.
C’era
una profonda sensazione di pace, ma Kendeas non sapeva se era lui a provarla o
se era Saga.
“Kendeas… ghlikà… grazie per essere venuto da me. Grazie per amarmi
ancora”.
Si
sentiva stranamente pesante, come se stesse per addormentarsi.
Ricordò
vagamente che era in un cimitero e che forse avrebbe dovuto avere paura ma non
ne aveva.
Si
stava addormentando ancora una volta insieme a Saga, perché avrebbe dovuto
avere paura?
***
Si
svegliò perché aveva freddo.
L’alba
cominciava appena a rischiarare il cielo ad occidente e Venere si vedeva ancora
bene.
Kendeas
dovette fare uno sforzo per ricordare dove era, e perché era disteso su
qualcosa di freddo invece che sul suo letto.
Il cimitero.
Wanax Milo che gli dava il permesso di
restare.
La tomba di Saga.
Il fantasma di Saga.
O forse
la sua anima che era tornata per dirgli addio.
***
Pochi
mesi dopo che Kendeas era andato al cimitero arrivarono altre notizie dal
Santuario, e come al solito erano i soldati a portare le ultime novità alla
taverna del villaggio in cambio di qualcosa da bere.
Il Dio Poseidon che scuote la terra avrebbe voluto sommergere il
mondo con un nuovo diluvio universale per purificare la terra dagli uomini
malvagi.
Athena,
pur di salvare i giusti, si era offerta di ricevere su di se le acque che
dovevano essere riversate sulla terra per dare il tempo ai Bronze Saint di
sconfiggere Poseidon, e c’erano state altre battaglie
al palazzo del dio azzurro sul fondo del Mediterraneo, stavolta contro i
Generali dei mari, wanakes thalàsson,
che erano forti almeno quanto i Saint d’oro.
-E
sapete qual è la cosa più assurda?-aveva detto il soldato che raccontava la
storia - Pare che uno dei Generali dei mari di Poseidon
fosse il fratello gemello di Saga dei Gemelli! Non c’è che dire, erano uguali
in tutto quei due! Due traditori empi e spergiuri-
-Non parlare
così di wanax Saga!-
Kendeas
era l’unico ad attribuire ancora a Saga
il suo titolo, tutti gli altri si riferivano a lui come al traditore o al
massimo come “Saga di Gemini” quasi per paura che il suo fantasma potesse
arrabbiarsi e cominciare a perseguitarli se gli avessero mancato di rispetto.
-Che
hai da prendertela tanto, ragazzo? Non era altro che questo-
-Smettila!-
Per la
prima volta Kendeas si era trovato coinvolto in una rissa, e cosa ancora più
inaudita era stato lui a dare il primo pugno.
Fortunatamente
furono separati dopo solo pochi colpi, ma Kendeas dovette essere comunque
riportato a casa a braccia.
Nonna Ifighéneia, a vederselo riportare di notte tutto pesto,
aveva scosso la testa e sospirato.
Gli
aveva medicato i graffi in silenzio e messo del ghiaccio sui lividi, però prima
di uscire dalla sua stanza gli aveva detto-
–Ragazzo mio, tu sei
sempre stato una persona per bene, cerca di non diventare proprio ora uno di
quei tipacci che vanno in giro a piantare grane. Io e tuo zio Kostas siamo anziani ormai, cerca di non darci questa
preoccupazione-
“Grazie tante per la ramanzina, nonna” pensò
Kendeas.
Fantastico,
così oltre che il dolore di sentire sempre parlare male di Saga doveva
sopportare anche i suoi anziani parenti che gli raccomandavano di “fare il
bravo”.
Ma non
era colpa sua, semplicemente non poteva sopportare che di Saga tutti
ricordassero il tradimento e mai una parola su quanto era anche stato buono.
A
quanto pare solo lui ricordava come brillavano gli occhi di Saga blu o forse verdi quando sorrideva, o il
suo modo di aiutare le persone anche solo con una parola di conforto.
Per un
paio di giorni Kendeas non uscì di casa, limitandosi a svolgere il lavoro del
laboratorio e aspettando che le contusioni guarissero, poi, quando si fu
abbastanza ripreso, decise che voleva tornare da Saga al cimitero dei Saint.
Stava
rischiando di nuovo e lo sapeva, non poteva sperare di incontrare ancora un Gold Saint comprensivo come wanax Milo a dargli il permesso di restare, ma sentiva che doveva
tornare.
Come la
prima volta aspettò una notte di luna piena e senza nuvole, raccolse tre gigli
delle spiagge, e, quando fu sicuro che zio Kostas e
nonna Ifighéneia dormissero, sgusciò fuori di casa
per cominciare la salita verso il cimitero dei Saint.
Stavolta
gli andò meglio e non incontrò nessuno quando scavalcò il recinto inviolabile
del cimitero.
Kendeas
stava per raggiungere la zona dove erano sepolti i Saint morti durante la
battaglia delle dodici Case quando si sentì all’improvviso oppresso da qualcosa
di invisibile.
Si
appiattì in un angolo e rimase schiacciato tra le rovine di una colonna ed un
gruppo di lapidi.
Vide
una figura alta e avvolta da un mantello nero, e tuttavia non sapeva dire se
era fatta di materia reale o di un’oscurità più densa delle tenebre stesse.
Più che
camminare sembrava scivolare sul terreno.
La vide
fermarsi davanti ad una tomba e stendere un braccio.
La
terra prese a vibrare sotto le ginocchia di Kendeas, e poco dopo la lapide si
spezzò al centro con uno schianto secco.
Le due
metà caddero di lato.
“Chi è questa creatura? Perché è venuta a
profanare le tombe dei Saint di Athena?”.
Per un
po’ non successe nulla, o almeno nulla di visibile, ma dall’interno del
sepolcro proveniva un rumore tutt’altro che rassicurante.
Era
come un rantolo.
La cosa
che c’era nella tomba respirava.
Kendeas
dovette mordersi la mano per non urlare quando vide emergere dalla terra la
figura di un uomo.
“Impossibile! Solo gli dei possono fare
queste cose. O i demoni”.
Uno dei
Saint di Athena morto e sepolto era appena tornato in vita sotto i suoi occhi.
Kendeas
non aveva mai creduto veramente a storie di zombie e fantasmi, ma che altra
spiegazione poteva esserci?
La
figura fatta di ombre fece un cenno di assenso, come se fosse molto soddisfatto
della sua opera, poi passò ad un’altra tomba.
Anche
lì spezzò la lapide e rimase ad aspettare finché un altro Saint non emerse
dalla terra.
La
scena si ripeté altre quattro volte, ed altri quattro esseri uscirono
strisciando dai loro sepolcri, strappando i sudari come macabre crisalidi.
Dai
loro tremiti e dai respiri raschianti che riempivano l’aria sembrava che
tornare in vita fosse una cosa maledettamente dolorosa.
-Alzatevi-
Ordinò
la figura nera.
Uno ad
uno, ancora malfermi sulle gambe, riuscirono a mettersi in piedi, e la figura
annuì di nuovo.
Kendeas
li vedeva in controluce e non riconosceva i volti, vedeva solo la pelle nuda ed
innaturalmente pallida dove era rischiarata dalla luna, eppure una di quelle
sagome lo fece sobbalzare.
“Quelle tombe sono nella zona dove sono
sepolti anche i Gold Saint morti durante la battaglia
alle dodici Case… ma se fosse così allora uno di
quegli spettri potrebbe essere Saga”.
Saga
tornato in vita.
Il
pensiero, invece che renderlo felice, lo riempiva di orrore perché a pochi
mortali era stato concesso di varcare a ritroso le soglie dell’Ade, e quei
pochi avevano sempre finito per pentirsene.
Intanto
la figura nera in mezzo agli spettri aveva steso le braccia davanti a se, ad
evocare tentacoli di oscurità viva.
Li
indirizzò verso i corpi che aveva appena riportato in vita.
Qualcuno
gridò trovandosi coperto di quella materia, ma l’oscurità non li lasciò, continuò
a contorcersi a lungo in strani frattali prima di prendere una forma
definitiva: da massa amorfa e all’apparenza viscida, la materia aveva preso
l’aspetto solido e lucente di un metallo o forse di un cristallo.
Era di
un colore scuro difficile da definire, non trasparente e non opaca, e sotto la luna
mandava riflessi porpora.
Kendeas
notò che sembrava aver formato delle corazze, e la forma di una di quelle gli
era familiare: di spalle, somigliava in tutto e per tutto all’armatura dei
Gemelli che indossava Saga.
-Ricordate
il nostro patto, voi che siete stati Saint della Dea Athena-
Disse
di nuovo la figura, poi, senza aspettare una risposta, scomparve, ed insieme ad
essa scomparve anche la sensazione di oppressione che aveva attanagliato
Kendeas fino a quel momento.
Anche i
sei uomini no, spettri, sembrarono
tirare un sospiro di sollievo.
-Adesso,
ricordate qual è la nostra missione-
Disse
il più alto di loro, quello che gli altri sembravano considerare come il loro
comandante.
Prese
un respiro profondo ed esclamò.
-Al
Santuario di Athena!-
-Al
Santuario di Athena-
Ripeterono
gli altri.
Kendeas
trasalì: in mezzo a quelle voci credeva di aver riconosciuto il timbro della
voce di Saga.
Quello
che aveva parlato per primo si voltò con decisione verso la montagna del
Santuario, in cima a cui la Sagoma del Grande Tempio si stagliava allo stesso
tempo cupa e maestosa, e partì di corsa.
Gli
altri lo seguirono uno alla volta, ma quello con l’armatura simile a quella dei
Gemelli sembrava esitare.
Si
guardava intorno, come se avesse percepito qualcosa e non volesse andarsene.
-Saga!-
Lo
richiamò uno dei compagni.
A
quell’ordine lui si voltò e Kendeas lo poté vedere bene in faccia.
Non
c’erano dubbi, quello spettro tornato dal mondo dei morti era proprio Saga.
-Saga!-
Gridò
anche Kendeas balzando fuori dal suo nascondiglio.
Non gli
importava cosa fosse, era Saga, e lui lo aveva aspettato per tredici anni, non
avrebbe perso quell’occasione!
Lo
spettro si voltò verso di lui, con un’espressione prima di sorpresa, poi di
dolore.
Kendeas
si sforzò di correre, inciampando nelle altre tombe, per raggiungerlo almeno un
attimo.
Saga
tese la mano verso di lui.
“Aspettami! Ti prego, aspettami solo un
altro momento, Saga!”.
Un
attimo ancora e sarebbero stati di nuovo insieme, e gli occhi di Saga blu o forse verdi erano pieni allo
stesso tempo di dolore e di speranza.
Le loro
mani stavano per sfiorarsi.
-Saga!-
L’ordine
echeggiò di nuovo, imperioso.
Saga
trasalì, poi scosse la testa, ritirò la mano e corse via, sicuramente molto più
veloce di come avrebbe mai potuto fare un essere umano normale.
-No!
Saga!-
Gridò
Kendeas.
Maledizione,
di nuovo!
Saga lo
stava abbandonando di nuovo, e stavolta senza nessuna spiegazione.
Le sei
figure scomparvero rapide nella notte.
-Dannazione!-
Imprecò
Kendeas.
Nel
cimitero restava solo lui, in mezzo a sei lapidi spezzate.
Nonostante
il dolore e la frustrazione che provava in quel momento però riuscì a formulare
confusamente che forse quello a cui aveva assistito era un attacco al Santuario
e che avrebbe dovuto avvertire qualcuno.
Certo,
avrebbe dovuto dire che si trovava senza permesso in terra sacra, e questo,
considerato che era la seconda volta che succedeva, probabilmente gli sarebbe
costato la vita.
Decise
che non gli importava.
***
Poco
dopo, nel cimitero dei Saint, wanaxa Shaina correva veloce con
una torcia in mano, seguita da soldati che portavano anfore piene di fuoco
greco.
Se
quello che aveva detto quel ragazzo era vero allora non c’era altro modo per
salvare il Santuario.
Si
fermò davanti ai resti di alcune lapidi spezzate.
Non
solo Gold, ma anche Silver Saint erano stati
resuscitati, e loro non potevano permettere che altri spettri si unissero ai
loro nemici.
-Bruciate
tutto- ordinò brusca.
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Nd Mako: Scusate,
scusate, scusate >//< sono orribilmente lenta a scrivere!
Se non avessi finito questo capitolo entro oggi Rory mi avrebbe decapitata e poi avrebbe usato il mio
cranio come decorazione di Halloween fuori stagione… o
come suppellettile vichinga… aiuto °w°
Spero che sia valsa la pena di aspettare.
*Rory nasconde dietro la schiena
la sega del tizio di Non aprite quella porta* Ma state tranquilli, prima finiremo la storia e
poi prenderò provvedimenti! ^^
Calhin: Heilà!
Eh, sì, è successo, Saga si era stufato di parteggiare per la Dea-bomboniera ed ha deciso di metter su una serie di
calendari nudisti…
Povero povero Kendeas, sfigatello, non solo ha perso il fidanzato, ha pure
rischiato di venire strozzato da Kanon xD
Come ha detto Mako, speriamo sia valsa
la pena aspettare!
Un bacio J
E un grazie a chi ha inserito la storia in Preferite, seguite o storie
da ricordare *-*
Baci e abbracci,
Rory e Mako