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Autore: DouglasSpunk    05/01/2014    3 recensioni
Le persone hanno paura di tutto: dell'amore, della morte, delle malattie, di soffrire, dei cani, degli squali, della velocità; perfino delle farfalle. Si ha paura di sbagliare, di provare qualcosa, di perdere qualcuno a noi caro. Paura. La paura ci spinge a fare scelte. Chi ha paura, di solito, sceglie di non vivere. Non completamente, comunque. Io, Kristen Stewart, non esulavo da quella definizione.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap4 In case Lo so, lo so. Siamo -sono- in ritardo. Chiedo scusa. Ma come voi tutti sapete le Festività sono sempre frenetiche, il fandom impazzisce sempre di più e io ho mangiato un botto!
-E che ci frega?- starete dicendo. Non vi frega ma io volevo dirvelo lo stesso u.u
Allora siamo al terzo capitolo, vi abbiamo lasciate/i con l'acquolina in bocca l'ultima volta. NE SIAMO CONSAPEVOLI. Ma noi vi vogliamo bene. Sempre e comunque.
E ricordatevelo anche a fine capitolo, please.





3.
In case you change your mind


POV ROB

Sapete cosa conta davvero nella vita di un essere umano? La risposta è più semplice di quello che si possa credere o immaginare. Probabilmente si tratta della cosa più ovvia e necessaria della nostra vita.
Ma nessuno si sforza mai  a pensare che questo cavillo di innaturale importanza possa arrivare a determinare l'intera esistenza.
Vivere. Ecco cosa serve. Senza vivere la vita non esiste. E nascere, crescere, respirare, mangiare, bere non conta.
Se non si vive, ma vivere davvero, la tua presenza sulla terra è solo poco più significante di quella di un granello di polvere.
In 29 anni di vita quelli vissuti erano stati meno di un terzo. Gli ultimi due non contemplavano nemmeno un paragone con le cellule presenti all'interno del famoso granello di polvere.
Ma avevo recuperato tutto. In pochi istanti. Con il suo respiro mancato sulle sue labbra e posato sulle mie.

Avevo sentito il mondo girare nel verso giusto. Mi sentivo come rinsavito da un coma lungo una vita. Lucido come non mai, riuscii a vedere chiaramente la mia vita futura.
 La mia vita futura che era certezza fino a qualche hanno prima. La mia vita futura che mi era sfuggita, ancora una volta,  quando lei aveva deciso di porre fine a quel flusso d'aria regalatomi con un sentimento che, c'avrei giurato, poteva sembrare amore.
Vuoi per l'alcool in corpo, vuoi per la frenesia del momento, non l'avevo odiata. L'avevo desiderata, voluta, trattenuta. Ma non odiata. Non in quel momento. Non con quel sapore a torturarmi i sensi.
Un lento morire che avrebbe potuto portarmi solo nei cieli. Biglietto express per il Paradiso.

Se lei non avesse posto fine a quell'attimo di pura vita non so cosa sarebbe successo.
Oh, ma chi voglio prendere in giro. Certo che lo so. Certo che le avrei messo le mani sotto la felpa. Certo che l'avrei spogliata. Certo che l'avrei fatta mia. Ancora e ancora e ancora.
Lì, fuori, sul portico. Poi dentro, sul divano, sul letto, nella doccia. Se avrebbe voluto anche la mattina dopo. Sul tavolo, in cucina, mentre mi preparava la colazione. Pancakes con la fonduta di cioccolato.
Ecco. Sì. Sarebbe diventata una perfetta giornata, tipica della nostra routine di qualche anno prima.
I Coldplay cantano 'Oh, take me back to the start'. Vi prego. Catapultatemi all'inizio. A quando entrando da quella porta l'avevo vista seduta su quel letto. Piccola e spavalda, esattamente come ora.
Fatemi rivivere il momento in cui i suoi occhi si incatenarono ai miei per la prima volta e decisero inconsapevolmente di non mollarli mai più. Fatemi ritornare ad essere geloso per il suo fidanzato.
Ridatemi la nostra prima volta... e tutte quelle a seguire. Immergetemi ancora una volta nella nostra bolla. Fatemela respirare e vivere. E rendetemi forte.
Almeno quel che basta per fare in modo che nessuno dei due possa ripetere gli stessi errori. Mai più. Mai più ucciderci a vicenda.

Sarebbe stato facile rinchiudersi in un qualche bar a quel punto. Bottiglia in mano. Senza pensieri.
Ma per la prima volta, dopo tanto tempo, decisi di percorrere la strada più lunga e tortuosa. Quella via non battuta che avevo abbandonato da anni. Tornai a casa.
Composi lentamente il numero di Tom e aspettai in silenzio, sul divano, una sua risposta.
"Rob? Stai bene?"
"Vieni a casa mia. Devi aiutarmi a fare pulizia."



Andare a lavoro, la mattina dopo, mi era sembrata la cosa più diffcile da fare negli ultimi giorni. Con la consapevolezza di un imbarazzo celato, affrontai i suoi occhi non appena la vidi afferrare una tazza di caffè dalle mani di Cassie. Un paio di occhiaie le attornavano le pupille. Era stanca, spossata. Non aveva dormito e aveva pianto.
Sì, quei suoi occhi più scuri del solito erano un chiaro segno del tempo passato a piangere la notte passata. Lo avevo fatto anche io. Avevo pianto anche io, con Tom accanto, mentre gettavamo ogni bottiglia in un sacco nero dell'immondizia. Ogni goccia d'alcool era sparita da casa mia. Dovevo farlo.
E la consapevolezza del suo dolore e del mio mischiati tra le lacrime e gli affanni di quel bacio, mi avevano dato la forza per farlo. Non per lei - non solo almeno - ma per me.
Per la mia vita. Prima o poi avrei dovuto riprenderla in mano. Sicuramente senza Kristen. Sicuramente senza i suoi occhi e i suoi baci. Senza il nostro amore ormai non più amato da entrambi.

Me ne sarei fatto una ragione. E, piano piano, sarei uscito fuori dalla trappola infernale che mi ero creato da solo negli ultimi due anni.

'Non restare mai solo' così aveva detto Tom prima di tornarsene a casa sua. E c'aveva ragione. Rimanere soli era la cosa più deleteria che potesse succedere ad una persona.
E l'unico compagno rimastomi sempre accanto, sempre fedele, era Bear. Me lo sarei portato dietro per ogni cosa. 'Sai per sostegno morale'.
Eh. Facciamoci sostenere dal cane che avevo preso insieme alla mia donna. Alla ex donna.
O fidanzata. O vita. O come preferite voi.
Non appena Kristen lo vide mollò la presa dal mio sguardo, strappando via con sè anche i miei occhi, e si focalizzò sul nostro cane. Nostro. Non pensavo ad una cosa in questi termini
da parecchio tempo.

Io e lei, insieme almeno nel riflesso di alcune cose.
"Come mai lo hai portato?"
"Ciao" mi guardò i piedi, le mani, le gambe. Tutto ma non più i miei occhi. Bear la annusò, sfregandosi sui suoi jeans. Si lascò accarezzare tranquillamente da quelle sue mani tanto
lisce quanto infuocate.

Vederli insieme era qualcosa di meraviglioso. Era come... riavere la normalità. Ma le illusioni durano sempre giusto il tempo di un respiro.
"Ho chiesto a Catherine di accelerare i tempi" un respiro che si mozza di colpo se non ponderi le emozioni "voglio tornare a casa".
"Casa. Certo." un sussurro. Un sorriso amaro. 'Casa' era la nostra. Quella dove avevamo riso e urlato. Quella dove eravamo cresciuti.
 Voglio tornare a casa . Quante volte lo aveva sussurrato alle mie orecchie? Tante, troppe. Abbastanza almeno da ripercorrerle tutte in un decimo di secondo, con il fiato sospeso e l'immaginazione ferma sulle sue labbra che sfioravano il mio orecchio con l'impercettibile movimento che quelle paroline comportavano. Lo aveva detto stanca, scocciata, impaziente, languida, eccitata, felice.
E ogni volta la sensazione era la stessa: normalità. La normalità del nostro vivere rinchiusa solo tra quelle mura.
"Dice Catherine che se stringiamo i denti e siamo puntuali ogni giorno, forse riusciamo ad anticipare addirittura di una settimana. E' già una gran cosa, no?"
"No. Non lo so. Ma se Catherine ha detto così... Suppongo mi tocca darle ascolto"
"Mi sta solo facendo un favore"
" Perchè? "
"Lei capisce le mie necessità"
"Le tue necessità?" ancora non mi guardava. Fissava gli occhi in quelli di Bear. Non aveva il coraggio di affronte il mio di sguardo. Non lo avrebbe mai fatto in quel momento. E la guardavo e vedevo la Kristen codarda nei miei confronti. Una Kristen mai esistita prima. "Tu odiavi il Francese"
"Cazzo c'entra questo?"
"Torni lì, no? A casa"
"La cosa non ti riguarda. Smettila di fare qualunque cosa tu stia cercando di fare perchè, semplicemente, non ti riguarda. Non..."
"Non più? E' questo che volevi dire?"
"Non fare ciò che stai facendo, Robert"
"Sei tu cha fai tutto da sola. Come sempre. Vieni, Bear. Non perdiamo tempo, altrimenti la signorina qui non può tornare a casa"
"Rob..." biascicò.
"Cosa?"
"Ieri sera..."
"Zitta. Stai zitta."
"Robert"
"Kristen vuoi tornare a casa tua o no? Se lo vuoi davvero lasciami andare a preparare e iniziamo a lavorare"
"Voglio solo..."
"Cosa? Cosa vuoi? Hai fatto tutto tu anche ieri sera, se per caso te lo stessi chiedendo e no, non ci ho pensato stanotte. Nè ci penserò mai." bugia. "Puoi lasciarmi in pace ora?"
"S-si" le diedi le spalle e con Bear mi incamminai. Lontano da lei. Almeno per qualche minuto.
"Ehi... EHI! No. Aspetta un pò!" ecco. Era troppo bello per essere vero. "Ho fatto tutto io? Davvero? Ne sei così sicuro Pattinson?"
"Kriste..."
"Oh. OH. Niente Kristen." mi puntò il dito contro "Te mi hai chiesto di passare la notte insieme. Sei stato tu a dirlo!"
"Stai a vedere che ora..."
"E' colpa tua!" appunto. "Sei venuto a casa mia. A rompermi le palle."
"A romperti le...?"
"Chissà per cosa poi!"
"Chissà per...?"
" E smettila di ripetere le cose a metà! O per intero o stai zitto. O dici altro. O insomma... Basta!" gesticolava come una matta. Quasi mi venne voglia di sorridere. Era nel pieno di uno dei suoi momenti sclero.
Con le mani tra i capelli, gli occhi fuori dalle orbite e la pelle chiazzata di rosso nel collo. Era bellissima. La visione migliore che avessi mai potuto desiderare quella mattina.
"Tu mi hai baciata!" urlò. Poi respirò a fondo due o tre volte. Chiuse gli occhi. Strinse le sue mani a pugno e poi le rilasciò mentre le sue palpebre si aprivano lentamente e finalmente - finalmente - il suo verde si scagliò sulla mia vista. Al centro di essa. Riempiendola di ansia e amore insieme.
"Tu mi hai baciata..." Quattro parole. Il fiato buttato giù in una volta. Seria. Calma.
"E tu però hai smesso di farlo" Serio. Calmo.


POV Kristen

Sapete cosa conta davvero nella vita di un essere umano? Sì? Beh, se ne siete a conoscenza ditemelo. Perchè nella mia, di vita, tutto ciò che conta adesso è smettere di fissargli gli occhi.
Probabilmente conta respirare. E innamorarsi ancora una volta dell'uomo che ami da sempre per le parole che ti ha appena detto.
Forse è l'amore ciò che conta davvero, dunque. Ma io avevo vissuto due anni senza di esso.
Difficile? Sì. Dannoso? Sì. Liberatorio? No. Se è possibile ci si sentiva ancora più incatenati a ciò da cui si scappava.
Cos'è la vita senza l'amore? L'amore quello vero. Condiviso da due anime che si donavano a vicenda, ogni istante, anima e corpo. Beh, senza l'amore non c'è vita. Non c'è aria nei polmoni nè sangue che pompa nelle vene. Senza l'amore si sopravvive, tra lacrime e urla strozzate contro un cuscino ogni notte.
Continuare a sopravvivere poteva essere un giusto compromesso per non morire, per me e per lui. Per non soffrire più di quanto stessimo già soffrendo.
"Tu però hai smesso di farlo" .
Vedevo quelle parole brillare, spente da delusione e sofferenza, nei suoi occhi chiari. Un riflesso dei miei.
"Ho dovuto farlo"
"No. Non dovevi. Non avresti dovuto fare niente di quello che hai fatto in questi anni"
"Non avrei dovuto ma l'ho fatto. L'ho fatto. E... non me ne pento"
"Non te ne penti.... Ma ti senti? Ti senti quando parli, Kristen? Cosa cazzo stai..."
"Zitto." un sussurro stretto tra i denti mentre i miei occhi mollavano ancora una volta i suoi per guardare il cielo. Chiaro. Limpido. Ma si stava offuscando, come noi. Come le nostre parole. Come i miei occhi colmi di lacrime.
"Non ci sto zitto. Non...." afferrò il mio viso con le sue mani. Calde, forti. Quanto le avevo desiderate in questi anni. Esattamente dove si trovavano adesso.
Mi costrinse a guardarlo mentre anche lui piangeva. Come un bambino, come la persona più fragile del mondo. E lo era. Ed io sarei dovuta essere abbastanza forti per entrambi.
Ancora una volta.

"Non ci sto zitto. Non ci sto zitto. Non ci sto zitto..." cantilenò. La sua fronte sulla mia. Le nostre lacrime a specchiarsi, le une nelle altre.
Tremavo. Il mio petto, ormai sconquassato dai singhiozzi, sembrava correre verso un'irrefrenabile e straziante dilaniamento. Staccò la mano destra dal mio viso. Mi sentii mancare.
Il freddo congelava la mia pella senza le sue fibre nervose poggiate a riscaldarla. Gelo. Brividi. Brividi. Fuoco.
La sua mano sul mio petto. Al centro. Come un guanto miracoloso che scioglie i nodi di un dolore ormai troppo acuto da mantenere nascosto. Ripresi a respirare regolarmente. Insieme a lui.
Occhi negli occhi. Calore e umido di lacrime.
Era così bello. Lui. Io. Il nostro contatto. Nostro.
Eravamo noi. Noi, noi, noi e sempre noi. E lo saremmo stati per tutta la vita. Anche lontani, separati da km e da un amore nascosto nei meandri dei nostri tormenti. Anche se ci fossimo sposati con altri.
Anche se lui si fosse sposato con un'altra. Non io. Io non avrei voluto nessuno accanto. Mai. Solo il suo ricordo e quello del suo amarmi inesorabilmente.
Saremmo stati noi nella prossima vita. E in quelle successive. Ci saremmo distrutti, amati, odiati. Come sempre. Ma almeno in una - in una soltanto - saremmo stati insieme. Felici.
Con una realtà che osavamo sognare per il nostro futuro e che ci era stata strappata via. Che io avevo strappato via.

"Ti devo baciare"
"No"
"Devo..."
"Ti prego..."
"Kris.." un sospiro. Una preghiera, anche la sua.
"Non sei ubriaco"
"Non adesso"  no, non lo era. Era lucido. E stava per farlo. Ed io lo avrei fermato.
Incanalai tutta la mia forza nelle mie braccia, fino a farla sprigionare nelle mie mani. Le poggiai sulla sua maglia. Il suo cuore a mille. Lo avrei spinto. Avrei dovuto farlo, almeno.
Quella sua mano, tanto calda ed elettrica,  ancora sul mio viso, scese sul mio collo. Usò una delicatezza talmente rude da farmi sentire posseduta da lui soltanto con quel gesto.
Le mie di mani - maledette - fallirono in tutti i loro propositi. Perse, confuse e assuefatte strinsero la sua maglia con una forza inaudita.
Un 'ti prego baciami come se non ci fosse domani' urlato nel mio gesto e respinto dalla mia mente.
Persi il contatto con le sue iridi chiare, chiudendo il mio sguardo al sicuro dentro me e tanto bastò a farlo scattare.

Una molla - la sua - chiamata passione, desiderio, sesso... amore. Le sue labbra. Di nuovo. Sulle mie.
Una molla - la mia - chiamata rifiuto, dolore, paura... amore. Le mie mani. Di nuovo. Sul suo petto. Una spinta tanto forte da farlo andare indietro di qualche passo.
"No. NO. Non avvicinarti mai più. MAI!" Urlai senza guardarlo, passandomi freneticamente le mani tra i capelli. Potevo immaginarlo il suo viso.
Una maschera del dolore, proiettato da me stessa.

Non disse nulla. Sentivo il suo respiro corto che mi urlava silenziosamente la sua delusione. Di nuovo.
Mantenni lo sguardo fisso su Bear, ancora accanto a noi, a guardarci con i suoi occhioni e la lingua di fuori. Probabilmente era sconvolto anche lui.
Immobili. Come statue con il respiro rotto dalla sofferenza. Per secondi, minuti... forse ore. Poi prese da terra il guinzaglio del nostro cane e lo tirò verso lui. 
I miei muscoli congelati non si mossero fino a quando il rumore dei suoi passi non scomparve dalla mia mente. Presi aria. Ma senza di lui fu come annegare, per l'ennesima volta.
Mi serviva un salvagente.
 Dovevo resistere fin quanto fosse stato possibile e poi, a Cannes, annegare senza lui accanto sarebbe stato più semplice.


Era stato semplice sentirlo andare via. Era stato semplice rifiutarlo, allontanare le sue labbra. Era stato semplice urlargli contro. Sì. Era stato semplice.
Almeno quanto lo era stato lasciarlo con un solo post-it ed un cuore che gridava 'torna a casa, torna dall'amore'.
Non riuscivo a definire i miei pensieri o i miei sentimenti a proposito. Era troppo forte e difficile da incanalare in un'unica sfera e metterla da parte.
Ma avrei dovuto farlo, o almeno fingere. Dovevo lavorare. Con lui. E probabilmente non sarebbe stato il caso trasferire tutto in quel campo. No. Era lavoro. Solo lavoro.
Non potevamo intralciarlo.


Si girava all'aperto e ormai dovevo anche essere in ritardo. Ma la truccatrice ci aveva messo più del dovuto a rendermi presentabile. Aveva sussurrato "Vedo lacrime" e io avevo solo risposto "Fa sparire tutto".
Mentre mi recavo sul set intravidi Bear, accucciato in un angolo con Cassie accanto. Sarebbe stato per sempre il cane più bello del mondo, il più dolce. Il mio Bear.
"Fa il bravo mentre lavoriamo. Non farla impazzire" gli carezzai il capo lentamente, come a prolungare all'infinito il gesto.
Vuoi perchè mi mancava non averlo in giro per casa, vuoi perchè il suo pelo era morbido come non mai, vuoi perchè volevo ritardare il più possibile il momento in cui avrei
ri-incontrato i
suoi occhi.
"Oh, lui è buono. Ci divertiremo un sacco insieme, vero Bear?" mi rassicurò con un sorriso solare e tranquillo. Chissà se ne era a conoscenza.
Chissà se la crew aveva capito o anche solo intuito la situazione. Speravo in cuor mio che mai nessuno avrebbe saputo niente. Continuavo a pregare affinchè non arrivassero fuori dal set determinate voci, o supposizioni su me e Rob. Anche perchè non c'era proprio niente da supporre. Niente di niente. Nisba. Nada. No.
"Credo la stiano già aspettando sul set"
"Dovresti smetterla di darmi del 'lei'. Non sono poi così vecchia, no?" le sorrisi lievemente, prima di lasciarla lì ed incamminarmi.
Mi sentivo come una condannata a morte. Un essere vivente, non una donna. Soltanto un essere vivente che muoveva automaticamente i piedi, uno dopo l'altro, camminando inesorabilmente verso il patibolo.
Ma io non avevo nessuno dietro ad obbligarmi. Nessuno che mi stesse spingendo a mettere quei passi in fila. La verità è che forse il patibolo non sarebbe stato tanto male, ragionando con il cuore.
Già, il cuore -il mio- non sarebbe mai stato d'accordo con la mia mente. Mai. Per nessun motivo, in nessuna era. Per nulla che potesse riguardare lui.
Robert Pattinson.
Che si fa se la cosa che ti fa più male è anche la cura al male stesso?
Robert.
Si rischia?
Rob.
Sì, si rischia. Per pochi istanti di futile felicità.
Il mio Rob.

Era di spalle. Abito grigio. Con il copione in mano parlava con Catherine. Non so di cosa. E non mi occorreva saperlo. Averlo davanti a me bastava sia al mio cuore che alla mia mente.
"Oh finalmente!" Cat, alzò le mani al cielo come sollevata da un peso "ma che fine avevi fatto? Ti aspettiamo da un po'"
"Qualche problemino con il trucco" mi avvicinai, cercando di non porre il mio sguardo su di lui. I suoi, di occhi, mi stavano fissando. "Adesso sono qui. Possiamo iniziare"
"Perfetto. Rob, hai capito il passaggio che ti ho spiegato?"
Fissarsi le unghie, facendo finta di controllare lo smalto poteva essere un giusto perditempo mentre aspettavo di sentire la sua voce. Senza guardarlo. Mai più i miei occhi su di lui.
Ma più scambiarci amore e sofferenza con le nostre iridi bagnate.

"Rob?" riprovò.
"Mhm?"
"Si. Vabbè. Abbiamo capito. Andate. Appena siete in posizione si parte"
Mi passò davanti con passo svelto e deciso. Non riuscii a non fissarlo mentre gli stavo dietro. Oh, quel corpo. Quando lo avevo amato. Quanto avrei continuato ad amarlo il resto dei miei giorni.
"Ti sei sentita male? Per questo hai ritardato'"
"Cosa?"
"Hai sentito. Non farmelo ripetere."
"No. Io... sto benissimo" dovevo sembrargli un alieno per l'espressione sbalordita rivoltagli. Si stava preoccupando per me?
"Devi mangiare. Devi..." uno sguardo talmente duro da fare a pugni con la sua voce calda e ansiosa. Bellissima.
"Ok. ragazzi. Tutti pronti....."
"Io mangio. Sta zitto."
"...AZIONE!"

Respiro profondo. Presi la sua mano tra le mie, come da copione. Sorridendo innamorata, anche questo come da copione -ovviamente-.
"Edw-"
"FERMI!" mi voltai di scatto, insieme a Rob, verso quella voce che aveva appena urlato. Mi ritrovai davanti quell'assistente, Cassie, sconvolta. Tremava.
 Si pose davanti a Rob con uno sguardo sbarrato.

"Il tuo cane..."
"Bear!" esclamai già in pieno panico.
"Una macchina è sbucata mentre stava bevendo e..."
"CAZZO!"
L'urlo di Rob arrivò alle mie orecchie ovattato. Mi ero già tolta le scarpe e avevo iniziato a correre verso il punto in cui lo avevo lasciato prima.
Non so cosa provai in quei secondi, prima di vederlo.

Sperai in un brutto scherzo. Uno di quelli pesanti che la gente intorno a te potrebbe considerare divertenti. Invece no.
Invece sbagliavo. Invece non era uno scherzo.
Non lo era affato.
Stava lì, a terra. Accasciato. Dove lo avevo lasciato poco prima. Dove adesso anche io mi ero inginocchiata.
"E' colpa mia" un sussurro. Una supposizione.
Riuscivo a sentire diverse voci confuse intorno a me.
"E' colpa mia" un altro sussurro. Una consapevolezza.
Qualcuno che chiedeva, agitato, di chiamare un veterinario. Rob, forse.
"E' colpa mia" ancora un sussurro. Una certezza.
 Tutto frenetico, fuori di me. Tutto calmo, piatto, dentro me.
La mia mano corse sul suo pelo. Lo carezzai inesorabilmente. Cercando silenzio intorno a me. Cercando un po' di pace che non avevo più da tanto tempo.
Sapevo di chi fosse la colpa. Lo sapevo bene. E quella consapevolezza mi fece rabbrividire mentre un'altra mano a carazzere Bear sfiorò la mia. Come risvegliata da un coma, alzai lo sguardo e mi bastò un
secondo per capire cosa stesse provando anche lui. Aprii la bocca.
Volevo dire qualcosa. Avrei voluto averne la forza. Ma riuscii solo a produrre un tremolio alle mie labbra. E questo bastò a trasformare lo sfioramento di due mani ormai estranee in una salda presa di due mani compagne di una vita.


Non pensavo sarei mai entrata in quella casa. La sua casa. Per la prima volta non nostra. Soltanto sua. Di Robert. E il non farne parte mi logorava non poco.
Quando mi aveva chiesto se volevo esserci, quello stesso pomeriggio, non ero stata capace di dire no. O meglio, ero stata impossibilitata dal dirlo. E per una volta non mi interessai ad alcun tipo di minaccia.
Per Bear non c'era stato niente da fare. E io... Io mi sentivo l'unica responsabile di questo. Mi ero ritrovata a piangere la sua morte nel giardino di quella casa così sconosciuta e gelida.
Soltanto io e Rob a poggiarlo delicatamente, avvolto in una coperta, sulla nuda terra. Tom e la piccola Marlowe accanto a noi.
Non sapevo quanto fosse legata a Rob fino a quando non la vidi disperarsi per Bear. Probabilmente in questi anni era stato l'ottimo zio che si era prefissato di essere. Probabilmente Tom portava così tanto
spesso Marlowe qui da farle considerare Bear il proprio cane. 'Zio Rob'. Ecco cos'era lui. E io? Io non ero più la zia Kristen. Agli occhi di quella bambina ero solo poco più che un'estranea.
Non smisi di singhiozzare neanche un attimo mentre Rob e Tom lo ricoprivano e vi ci piantavano sopra un'orchidea bianca.
E per la prima volta mi resi conto di quanto avessi sbagliato a tornare. Forse lo sbaglio più grande della mia vita.
Tornare per cosa, poi? Il lavoro? No. Per soffrire, più di quanto lo stessi già facendo da lontana. Per far soffrire gli altri e mettere in pericolo la loro vita. E uno dei miei tesori ci aveva rimesso davvero.
"Shssss" in quel momento avevo solo bisogno di un contatto con qualcuno. E se quel qualcuno fosse stato lui, tanto meglio. Aveva lo sguardo perso e vuoto. Le mani nelle tasche dei jeans.
E io... io volevo che mi desse forza. Lo pretendevo.
Mi aggrappai al suo braccio. Come una bambina piccola si aggrappa alle gambe del suo papà. Solo il suo calore poteva riuscire a lenire il dolore che sentivo dentro.
"Rob, io devo accompagnare Marlowe a casa. Se hai bisogno, qualunque cosa, sai cosa fare." lo guardai. Sarebbero stati per sempre come fratelli. "Anche per te. Kris. Qualunque cosa..." mi affrettai ad annuire, cercando di fargli capire che sarei stata bene. Che niente sarebbe servito.
Da soli. Non ci smuovemmo di un millimetro da quella posizione. Forse anche lui in quel momento mi considerava come un' ancora. O forse stava solo cercando di assecondarmi.
Non mi importava. In quel momento andava bene così.

"Era... era il n-nostro.. bambino" tirai sù col naso.
"Shsssss. Calmati. Ti prego..."
"N-no" a quella sillaba sussurrata con tremore, mise fine al nostro intreccio di braccia mi offrì un posto in prima fila in quello che sarebbe stato per sempre il mio porto sicuro. Mi strinse a sè. Talmente forte da ridarmi il respiro che quei singhiozzi mi avevano tolto.
"Ne avrai altri... di bambini" lo sussurrò impercettibilmente, tra i miei capelli.
"...Anche tu"
"No. Non io. Avevo fatto una promessa a me stesso e ho intenzione di mantenerla" alzai gli occhi per farlo rientrare di nuovo nella mia visuale e lo vidi serio, sconfitto.
Più di quanto non lo fosse già prima.

Se solo avesse saputo. Se solo avessi avuto il coraggio di rischiare talmente tanto da vuotare il sacco e dirgli 'Ti amo da morire. Ti prego, proteggimi. Come hai sempre saputo fare tu.' Ero sfinita. E dovevo ammettere che questa era la sconfitta definitiva. Quel campanello d'allarme talmente forte da ridestarmi da ogni altra cosa, meno che una: non sarebbe mai finita. Mai.
Scosse la testa come a ridestarsi improvvisamente da un brutto pensiero "Andiamo? Ti porto fuori a prendere un tè. Qui ho la dispensa vuota"
"Una volta non sapevamo dove metterlo tutto il cibo che compravamo" sorrisi.
"Una volta vivevo in una casa in cui c'era qualcuno che cucinava" touchè.
"Sai sempre come farmi sentire in colpa, eh?" asciugai due lacrime che ancora solcavano il mio viso con la manica della felpa.
"Eviterò di risponderti. Andiamo a prendere questo tè, oppure no?" non avrei dovuto farlo. Nel modo più assoluto. Ma in quel momento, in quel piccolo frangente di istante, davanti al nostro Bear, mi resi conto
che niente mi sarebbe stato più d'aiuto che del tempo insieme a Robert. Per sentirmi protetta, almeno un po'. Un'ora al massimo. Un tè, come aveva detto lui. E poi sarei tornata sola.
"Sì. Andiamo"


Urth Caffè. Il tè in questo posto era meglio di quello inglese. Ne ero convinta da secoli. E ovviamente non l'avrei mai detto a Rob.
Era così appartato e di buon gusto. Uno di quei posti in cui oltre a bere un bell'infuso, eri te ad infonderti di serenità. Era quello serviva ad entrambi in quel momento.
Forse non sarebbe giovato a sentirsi meglio ma almeno saremmo stati in un ambiente pacifico.
"Mi mancava questo posto"
"Anche a me" oh. "Ci venivamo spesso"
"Già"
"E non ci beccavano mai!" ridacchiò, insieme a me, mentre portava la tazza alle labbra. Ah, quel suono. Il suono della sua risata era probabilmente la cosa più preziosa che potessi ricordare. E le sue labbra,
quel suo modo di poggiarle a quella tazza. Se solo avesse avuto vita, quel pezzo di ceramica, sarebbe morta all'istante per interruzione di battito cardiaco.
"Posso chiederti una cosa? Credo mi spetti, saperlo.."
"Cosa?"
"Beh, dove sei stata? Ok, sì, in Francia ma... dove?"
Poggiai la mia tazza bollente sul tavolo e congiunsi le mie mani, prima di guardarlo intensamente e sparare la bomba. "Cannes"
Ecco. Attacco di tosse compulsivo. Gli avevo fatto andare il tè di traverso e lo vedevo con gli occhi fuori dalle orbite mentre cercava di ricomporsi. Probabilmente non avrei dovuto dirglielo.
Ma, ormai, che senso avrebbe avuto? Nessuno.
"Cosa?? Ma sei seria??" lo guardai colpevole. Che altro fare? "Perchè proprio lì?"
"Era un posto come un altro" lunga sorsata di tè. In attesa.
"Un posto come...? E quello che abbiamo vissuto lì? I nostri ricordi? Non ti frega di niente?" si passava la mano tra i capelli con un'agitazione piuttosto fuori dal normale. "Cristo!"
"Dovevo... solo scegliere un posto in cui vivere, Rob. Cannes mi era sembrato quello migliore. Tutto qui."
"Tutto qui?"
"Cos'altro dovrebbe esserci?"
"Quindi... vivere nei ricordi? Se ne hai, certo."
"Cosa? Ma di che diavolo parli, Rob? Certo che ho dei ricordi legati a Cannes. Che cazzo vuoi dire? Non essere così stronzo, dio. Pensavo mi conoscessi!" e pensavo che avessimo messo giù le pistole, almeno
per un po'.
"Sì, infatti. Lo pensavo anche io. Poi mi hai lasciato... Con un post-it e il cuore a pezzi"







Abbiate fede, come sempre.
Helen & Rose


   
 
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