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Autore: Minerva97    05/01/2014    1 recensioni
Non bisognerebbe mai dare la vita per scontata. Bisogna godersela fino all'ultimo istante. E io lo sapevo bene.
Mi chiamo Michael Greene e sono morto da cinque anni.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Non bisognerebbe mai dare la vita per scontata. Bisogna godersela fino all'ultimo istante. E io lo sapevo. Mi chiamo Michael Greene e sono morto da 5 anni. Non ricordo nulla di come successe, ricordo solo che ero in un ospedale affetto da una grave malattia di cui, adesso, non ricordo il nome. Nonostante fossi grave, avevo l'inusuale vizio di alzarmi dal letto e girovagare come un'anima perduta per tutto l'ospedale. Molte volte mi riportarono in camera dottori molto occupati o pazienti stessi affetti da malattie meno gravi, tipo un polso rotto o quant'altro.
Anche loro avevano il vizio di farsi un giro.
Vedete, quando sei in ospedale non hai molte possibilità: o fissi il muro o preghi purchè un dottore venga da te a esporti nuovi problemi o nuove cure. Non sai mai cosa fare, in un ospedale. Io ero quel genere di persona che non prendeva la propria malattia sul serio, in quanto sapevo già che sarei potuto morire da un momento all'altro.
Un pomeriggio, l'ultimo che io ricordi, ero fermo nel mio letto a pensare al resto della mia vita e a come sarei voluto morire. Realizzai che nonostante avessi avuto al momento 45 anni, non ho fatto tutto ciò che avrei voluto fare. E così, anche quel pomeriggio, mi feci un giro nel mio ospedale.
Cosa vidi? Beh, difficile da ricordare...
C'erano pazienti, medici, dottori e laureandi. Mi ricordo anche che c'era un ragazzino intento a fare delle analisi ad un anziano signore. E così pensai: E' questo che diventerò? Un vecchio dipendente da farmici? Poi successe. Sono morto.
Non so ben descrivere la morte, in quanto non ricordo nemmeno il punto preciso in cui avvenne. Tutto ciò che posso dire è che ora sono qui, nella casa che tutti catalogano come “Abbandonata”, nell'Ohio, insieme a gatti di cui non ne conosco la provenienza e che probabilmente non sanno che io sono ancora qui.
Com'è la vita di una persona morta? Bella domanda.
Le persone morte non hanno una vita. E' come quando si è depressi: Si sta a letto tutto il giorno. Le uniche alternative sono il cibo e l'espletamento di bisogni fisiologici. Vedete, io non sono un morto normale. Io ho bisogno di queste cose anche da morto. Credo che facciano parte della routine.
E io amo la routine.
In quanto morto, non ho amici. Le uniche persone che possono similmente essermi amiche sono i miei nuovi gatti: Marceline, Debbie, Howard e Clary.
Oh, e come potrei dimenticarmi di Dorothy?
Sapete, Dorothy è l'unica ragazza capace di vedermi anche da morto. Mi viene a fare visita, ogni tanto. Mi porta dolcetti e pasticcini quasi ogni mattina. Credo che non voglia accettare il fatto che sia morto, dato che mi ripete sempre che non è così. Ritornando al discorso di prima...
Coma, ecco cos'era! Ebbene sì, ero in coma.
E a quanto pare, non ne uscii. Sono tante le cose che sono riuscito ad imparare anche da morto e sono tanti i vantaggi che acquisisci essendolo. Ad esempio, avete mai provato a leccarvi il gomito? Beh, chiunque ci ha provato. Voi vi fermate perchè il vostro subconscio vi mette allerta circa il dolore che potreste provare insistendo e avvicinandovi di più. Io non ho alcun problema nel proseguire, dato che sono morto.
Sì, lo so, è un vantaggio stupido.
Ma almeno posso dirvi la sensazione che prova la lingua toccando quella poca pelle concessa al gomito. E' ruvida, come leccare la carta-vetro. Nella mia vita sono stati tanti i momenti belli, quelli più di tutti sono avvenuti con la mia famiglia. Sì, ero sposato. La mia ex moglie si chiama Carla ed è ancora in vita.
Poi ci sono Johnatan e Fred, i nostri due figli. Dopo la mia morte, lei si risposò con un certo Robert e andarono a vivere a Philadelphia. Come biasimarla? La morte di una persona cara a volte ci fa sentire un vuoto colmabile solo sostituendo quest'ultima. So che è brutto da dire, ma la penso così.
Da quando sono morto, però, ho acquisito anche una certa padronanza dei linguaggi. Ora che non lavoro più, ho molto più tempo libero che mi piace dedicare alla lettura.
Eppure, noi uomini o fantasmi, siamo tutti uguali arrivati ad un certo punto: La sera. Un essere umano, la sera, tende a deprimersi e pensare alle sue relazioni sociali. E io faccio lo stesso.
Ogni sera mi fermo a pensare a quelle camere prive di colore e di gioia situate nel mio vecchio ospedale e tento di avvicinarmi di più alla risposta della domanda che tanto mi tormenta: Come sono morto? Se prima vi ho detto che è stato coma, ora non ne sono più convinto. Sono molto confuso.
Aaaaaaaah, quell' ospedale... Ci tornai settimana scorsa, perchè mi mancava veramente assai. E' stato strano girovagare per i corridoi sapendo di non essere calcolato da nessuno.
Eppure, Dorothy, lo faceva. Sì, Dorothy lavora come infermiera al The Hospital ed è stata lei a starmi vicina durante il mio periodo lì. E' così che la conobbi. Mi ricordo come se fosse ieri. Andai in ospedale in seguito ad una gastrite. Venni accolto da dei medici molto gentili nei miei confronti che mi accompagnarono in una delle tante camere.
Passai in sedia a rotelle da corridoi dalle pareti grige e bluastre, da dottori con siringhe in mano e medici con cartelline contenenti informazioni di vari pazienti. E arrivai nella mia stanza.
Dopo mezz'ora passata a fare visite di controllo, i medici mi avvisarono della mia infelice malattia e mi dissero che c'era il 90% di sicurezza di un mio eventuale decesso.
Non era semplice gastrite.
Rimasi in quell'ospedale per mesi in attesa del mio venir meno. Come ho detto, passavo i pomeriggi nei corridoi o pensando alla mia vita e,come ho sempre detto, realizzai ciò che mi sono perso.
Al che avvenne la mia morte.
Qualche mattina dopo mi svegliai sempre in quel letto, pronto ad andarmene e iniziare la mia nuova avventura.
Dorothy mi aiutò accompagnandomi a casa, cercando di convincermi che non ero morto.
Ma, ahimè, alla morte non si può fuggire.
Così ci tornai settimana scorsa e per qualche motivo a me misterioso, tutti i medici, dottori e infermieri mi salutarono, gioiosi.
E fu così che capii finalmente ciò che a me sfuggiva.
Io non sono morto.
Sono affetto da una malattia chiamata Sindrome di Cotard. Acquisii questa malattia in seguito ad un trauma avvenuto in quell'ospedale. Io vidi quel vecchio in coma, io ero quel vecchio finito in coma, a cui quel ragazzino stava facendo analisi.
Io ero lui. E tutto ciò che posso dire, ora, è che non sono morto.
Sono vivo e lei aveva ragione.
  
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