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Autore: Some kind of sociopath    05/01/2014    4 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Imprecai, piombando nella strada con la spada sguainata. Quattro o cinque giubbe rosse stavano bussando con violenza alla porta di un poveretto, sparando e battendosi contro un uomo malconcio e un ragazzo con il cappuccio calato sugli occhi e un simbolo alla cintura che conoscevo fin troppo bene. – Connor – ringhiai tra i denti, il sangue che ribolliva nelle vene.
Alice si voltò verso di me aggrottando le sopracciglia, così mi buttai addosso ad una delle aragoste, spingendola a terra e affondando la spada nel suo collo.
Fui stupito nel vedere la reazione di Alice. Si buttò nella mischia – vestito permettendo – e cominciò a combattere con le sue spade, roteandole con eleganza e ferocia, probabilmente la stessa che mettevo io nell’uccidere le mie vittime ma con un tocco di… femminilità. Era più precisa di me, ecco qual era la differenza. Mirava in certi punti, non colpiva i soldati dove era più facile. Affondava le sciabole in modo da assicurare la morte.
Connor, intanto, si era a malapena accorto di noi, intento com’era a combattere con le giubbe rosse. Ne erano rimaste quattro, una per ognuno di noi. Semplici soldati, facili da uccidere. Aprii lo stomaco di quella che mi stava davanti e raggiunsi Alice, che aveva appena impalato un uomo sulla lama. Aveva il viso, le mani e il vestito sporco di sangue. – State bene? – chiesi, ignorando completamente mio figlio e l’altro uomo.
Sorrise e sputò a terra, scrollando il capo. – Magnificamente, Haytham. Ci voleva un po’ d’azione, non trovate?
Ridacchiai. – Sì, le giornate si stavano facendo decisamente noiose.
Mi rivolse un sorriso dolce e indicò Connor con un cenno della testa. – Lo conoscete, vero?
Scrollai le spalle. – Diciamo che non siamo esattamente sconosciuti.
– Non lo aiutiamo?
– Facciamo così: lo faremo solo se lo vedremo in difficoltà.
– E non lo è? – In quel momento la adorai con tutto me stesso. Considerava Connor incapace di difendersi, buon Dio, avevo voglia di abbracciarla! – Guardatelo.
Abbassai il capo, scuotendolo appena. Era davvero un incapace. – Volete pensarci voi, Alice?
Sorrise. – Preferirei vedervi all’opera. Sapete, questo vestito diventerà irrecuperabile se lo sporco ancora di sangue.
Le mostrai i palmi vermigli e sorrisi, poi mi lanciai verso la giubba rossa e la pugnalai alle spalle con la lama celata, osservando l’espressione stupita di Connor. L’altro uomo, intanto, stava estraendo una mannaia dalla spalla di un soldato agonizzante sulla strada, ansimando con violenza. Indossava un grembiule da macellaio sporco di sangue – in parte rappreso e in parte fresco – e lanciò un’occhiata a noi tre come se fossimo appena scesi dal cielo, un po’ come un dono divino.
Connor mi lanciò un’occhiataccia delle sue. – Buongiorno, Connor – esclamai con sarcasmo, facendo cenno ad Alice di avvicinarsi. – Che ci fai qui?
Il ragazzo non mi rispose, ma rivolse tutta la sua attenzione all’altro uomo, mettendo a posto il tomahawk e pulendosi le mani sporche di sangue sui calzoni. – Giustizia è fatta – sibilò l’uomo con spiccato e divertente accento francese, sputando a terra. – Che il governatore ne mandi altri.
Connor avanzò di un passo. – Come state?
L’altro scrollò le spalle con noncuranza. – Sto bene. Tenuto conto delle armi che sfoggiano? Combattono come dei bambini – Scoppiò a ridere, mollando una forte pacca sulla spalla di Connor.
– Il vostro stile di combattimento mi pareva piuttosto simile, infatti – commentai rivolto a Connor con una punta di acidità. Alice mi rivolse un’occhiata un po’ contrariata, poi sorrise. Mi era sempre più simpatica.
– Grazie, amico – disse l’uomo con un sorriso di gratitudine. – Ti offrirei una birra, ma ho un appuntamento altrove.
Detto questo, semplicemente girò sui tacchi, stando attento a non scivolare sul sangue ancora fresco, e scomparve nei viottoli di Boston. Alice ed io riuscimmo finalmente ad ottenere l’attenzione di Connor. – Che ci fai qui? – tuonò mio figlio, usando un tono che non sarebbe sembrato autoritario nemmeno davanti ad un poppante.
– Non mi pare di avere le catene ai piedi – replicai, inclinando la testa di lato con scherno. – Tu, invece? Cosa ti porta alla grande Boston?
Fece un passo verso di me, incrociando le braccia e guardandomi negli occhi. – Il mio contatto dal villaggio è venuto ad avvertirmi – disse con amarezza nella voce. – William Johnson ha intenzione di acquistare la terra su cui sorge il mio villaggio. E con la terra… lo sai.
Lanciò un’occhiata contrariata ad Alice e sollevai gli occhi al cielo. – Dimenticavo di presentarvi – esclamai, nonostante la notizia riguardante William, il villaggio e il Frutto dell’Eden mi avesse un po’ scombussolato. – Alice, questo è Connor. E, Connor, lei è Alice Jackson. Un’amica.
Alice strinse la mano di Connor come un uomo, invece di farsi fare il baciamano. – Incantata – mi parve di sentire un filo di ironia nella sua voce, ma non lo feci notare. – Dunque, Haytham, pensate ancora di prendere quel tè o abbiamo altri soldati britannici da uccidere?
– Abbiamo? – sussultai, sfiorandole la spalla. – Alice, vi ho messo già abbastanza in pericolo. Tornate in casa, vi prego.
Grugnì con scherno, infilando le sciabole nella cinta che stringeva il vestito alla vita. – E lasciarvi l’azione? Non se ne parla.
– Haytham – mio figlio mi richiamò con stizza – devo incontrare Sam Adams. Ti dispiacerebbe seguirmi?
– Non sei mia madre – replicai bruscamente, per poi tornare a rivolgermi ad Alice. – Avete intenzione di venire con me?
Incrociò le braccia. – Se me lo permettete.
Sorrisi. – Non pensavo che vi interessasse avere il mio permesso – sibilai con sarcasmo.
Ridacchiò, guardandomi con quegli occhi ardenti. – Allora avete capito che non sono una ragazzina indifesa.
– Non oserò mai più pensarlo – mi misi una mano sul petto, come in un giuramento.
– Bene – replicò con un sorriso. – Allora verrò con voi, Haytham, ma ad una condizione.
Trasalii. Per un attimo pensai che volesse chiedermi la verità sul mio conto, su quello che stavo facendo. Non lo fece, fortunatamente. – Cominciamo a darci del tu.
Scrollai le spalle, prendendo fiato. – Benissimo.
– Ottimo! – guardò Connor con un sorriso. – Allora, dove si va?
Lui imprecò a mezza voce, reclinando indietro il capo. – Oh, non vi permettete di dirmi che sono in pericolo o qualcosa del genere, perché ho appena ucciso un soldato più velocemente di voi, quindi l’ultima cosa che potete offrirmi è uno stupido commento maschilista – sbottò Alice, indicandolo minacciosamente con l’indice. – Non mi interessa il vostro parere, per cui potete anche cucire la bocca.
Quella risposta lasciò Connor senza parole e io scoppiai a ridere senza alcun ritegno, mentre mio figlio ci voltava le spalle e s’incamminava lungo la strada lanciandomi mentalmente tutti gli insulti di questo mondo.
Alice mi rivolse un sorrisetto e s’incamminò lentamente dietro Connor, le braccia ancora incrociate. – Perché il tuo amico ha tanta fretta?
Scrollai le spalle. – Un uomo vuole acquistare la terra su cui sorge il suo villaggio – esclamai con le mani in tasca. – Ha intenzione di non ricorrere ad una soluzione diplomatica.
– E tu vuoi dargli una mano?
Sospirai. – Sono obbligato, a dire il vero.
– Obbligato?
– Ho stretto un giuramento.
– Facciamo che mi racconti la storia dopo, davanti ad una vera tazza di tè?
Le sorrisi, annuendo appena.
Quella donna mi piaceva sempre di più.
 
Seguendo mio figlio, ci ritrovammo in una taverna abbastanza piccola e spoglia: all’interno vi erano Sam, l’uomo che avevamo salvato dalle giubbe rosse e un terzo che non conoscevo. – Ah, Connor! – esclamò Samuel voltandosi di scatto verso di noi. Vedendomi, sbiancò. – Oh, e c’è anche Haytham. E questa signora…?
Lei roteò gli occhi al cielo. – Alice Jackson. Ho dato una mano a sistemare quelle giubbe rosse – aggrottò un attimo la fronte. – E voi chi siete?
– Samuel Adams – sibilò lui di rimando, con una nota di sdegno. Alice parve sul punto di trapassarlo con la spada, ma posai una mano sulla sua per trattenerla leggermente. – Ad ogni modo, Connor, vorrei presentarti alcuni carissimi amici. Il proprietario di questo posticino, William Molineux – Sam indicò un uomo dall’aria rigida con una tendina di capelli neri ed unti che ricadevano sul viso pallido – e il gestore, nonché chef, del suo locale…
Il cuoco ci guardò con lo sguardo pieno di rabbia, probabilmente ancora infuriato con quelle giubbe rosse. – Stephane Chapheau – lo presentò Sam con un sorriso.
– Lui e io…
– E noi siamo invisibili, giusto? – brontolai a mezza voce, appoggiandomi alla parete con noncuranza. Francamente, non mi interessava l’appoggio degli Assassini, dei Figli della Libertà o di chiunque altro avessi davanti, ma ero infastidito. Se non fosse stato per Alice e me probabilmente Connor e Stephane sarebbero morti.
Il cuoco grugnì con stizza, poi continuò il suo discorso da dove l’aveva ripreso, escludendo noi due dal contesto. Eravamo quasi due spettatori. – Abbiamo avuto un diverbio con delle giubbe rosse proprio sotto casa mia.
Molineux scosse la testa, contrariato. – Gli esattori oramai sono sempre più spavaldi – esclamò, battendo il pugno sul tavolo con frustrazione. – Bisognerebbe fare qualcosa, Samuel.
Sam Adams parve pensarci su un momento, poi rispose: - Dobbiamo dare un segnale forte. Qualcosa che dica alla gente che siamo con lei.
Alice fece un passo avanti con leggerezza. – Se mi permettete, signori, vi consiglierei il porto. L’attenzione dell’intera città – giubbe rosse, Figli della Libertà, manifestanti – è concentrata lì.
William lanciò un’occhiata sorpresa a Sam, che annuì. – Avete ragione. Il porto è un posto caldo ora, pieno di manifestanti che picchettano gli ultimi carichi di tè inglese.
Stephane fece schioccare la lingua. – Ah! Non privare mai un bostoniano del suo tè.
Molineux si portò una mano alla fronte, riflettendo. – William Johnson contrabbanda il tè. – Tirò fuori da una tasca della giubba un involto, probabilmente pieno di foglie. – Uno dei suoi è venuto a vendermi questa. Naturalmente ho rifiutato, ma guardate il titolo. Quel maledetto lo fa pagare una fortuna.
Sorrisi tra me, ripensando al mio vecchio amico, l’uomo per le cui ricerche io, Charles e Thomas avevamo quasi rischiato la vita. Scossi lievemente la testa, sentendo lo sguardo di Alice di nuovo su di me. – Adesso dov’è? – chiese Connor. Riuscivo a sentire l’astio nella sua voce profonda.
– Ah, io non l’ho mai visto – replicò William Molineux scuotendo la testa.
– Posso sapere perché lo cerchi, Connor? – chiese Sam Adams con il solito tono da santarellino. Non erano certo affari suoi.
Ovviamente il mio figlioletto, il migliore amico dei rivoluzionari, rispose con la verità: - Vuole acquistare la terra sulla quale sorge il mio villaggio, contro il volere del mio popolo – evidenziò l’ultima parte con la voce, come se fosse una giustificazione.
Il cervello di Adams sembrava lavorare alla velocità della luce nonostante tirasse fuori da quella bocca affermazioni così ovvie da non stupire nessuno. Tranne Connor. – Senza dubbio finanzierà quell’acquisto con il guadagno ricavato dal contrabbando. Come se non bastasse, la nuova tassa introdotta sul tè favorisce il contrabbando. Scommetto che a tassarci sono gli stessi che vendono il tè. – Si portò una mano al mento con aria pensierosa. – Dobbiamo cercare di approfittarne, forse ho un’idea.
Feci un passo avanti con le mani dietro la schiena e un sorriso impertinente. – Siamo pronti a collaborare, allora – sentenziai con un briciolo di ironia. – Tutti noi.
Alice mi affiancò sorridendo e Samuel roteò gli occhi. – Continuiamo ad indagare, per ora, d’accordo?
Annuimmo tutti e tre, poi uscimmo, lasciando i Figli della Libertà soli nella loro locanda.
Alice mi rivolse un sorrisetto e sbuffò con poca eleganza. – Che razza di maschilisti – sibilò guardandomi negli occhi.
Risposi con una scrollata di spalle. – C’è un motivo per cui non si chiamano Figli e Figlie della Libertà – replicai, le mani affondate nelle tasche. Alice ridacchiò e mi diede un colpetto con lo stivale, sorridendo.
– Dunque, per questo tè, Haytham?
– Aspetta solo un minuto. Devo confrontarmi con Connor per capire cosa fare.
Sorrise. – Siete dei rivoluzionari?
Le sorrisi di rimando. – Avevi detto che ne avremmo parlato davanti ad un tè – risposi, facendole l’occhiolino. Portai lo sguardo su Connor e lo vidi scontrarsi contro un uomo con delle casse, spaccandone una con le sue spalle. Degli involti simili a quello che ci aveva mostrato Molineux rotolarono a terra mentre Connor li seguiva con lo sguardo.
– Scusate – bofonchiò.
– E stai attento, amico – replicò quello con una smorfia.
Connor portò lo sguardo sull’uomo, un sopracciglio sollevato, e quello sbiancò. Raccattò gli involti tintinnanti – pieni di denaro, quindi – a tutta velocità, lanciò un ultimo sguardo minaccioso a Connor e si dileguò di corsa nelle strade. – Un contrabbandiere – notò il mio intelligente figlio.
– Pensavo avessimo parlato di farfalle – replicai con un sorrisetto sarcastico. – Allora? Che cosa hanno intenzione di fare i tuoi amichetti?
Respirò profondamente, scrollando le spalle. – Ancora non lo so – rispose a testa bassa. – Io non aspetterò che Johnson prenda le nostre terre. Vado al porto a distruggere quei carichi di tè.
Guardai Alice, che era rimasta pochi passi più indietro ma – lo sapevo, lo leggevo nei suoi occhi grigi – stava ascoltando tutta la conversazione. – Puoi farcela da solo, no? Lo saprebbe fare anche un piromane schizzato – esclamai con il solito sorrisetto impertinente.
– Va’ pure.
– Non mi serviva il tuo permesso.
Girò sui tacchi e si allontanò con stizza, lasciando me ed Alice soli. Sorrisi, guardandolo andare verso il porto con l’aria di chi può aggiustare tutto.
– Pronto per il tè – dissi, voltandomi verso Alice.
Sorrise di rimando, passando una mano sulla mia schiena. – Allora andiamo.
 
Rientrammo a casa di Alice e la vidi risistemare il bollitore sul focolare, sedendosi poi davanti a me e raccogliendosi i capelli con un nastro. – Quel ragazzo mi è sembrato molto triste – disse con il capo inclinato. – È il carattere o gli è successo qualcosa, Haytham?
Sospirai. – Ha perso sua madre quando era molto piccolo, ma credo sia anche un po’ il suo carattere.
Sorrise, cogliendo la nota sarcastica. – Non sembravi contento di collaborare con lui.
– Infatti non lo sono.
– Posso chiedertene il motivo? – mi guardò negli occhi, chinandosi leggermente in avanti e puntellandosi sui gomiti. Gesù, quanto sarei riuscito a resistere?
Mi passai una mano sugli occhi. – Sei sicura di voler sentire la verità, Alice?
Stavo davvero per aprirmi con quella donna, una donna bella, affascinante, sarcastica e determinata. Se non con lei, allora con chi? Sorrise. – Se non sei pronto a raccontarmela potrei farti sentire prima la mia storia.
Annuii. – Sarebbe più facile – sussurrai.
Con una mossa veloce e inaspettata, prese la mia mano sinistra, poggiata sul tavolo, tra le sue. Sentii un brivido correre lungo la schiena. – Sono stata l’unica figlia di un ex-soldato. Niente figli maschi, nessun altra figlia. Solo io. Così mi ha cresciuta quasi come un maschio, facendomi seguire le lezioni e, al contempo, insegnandomi a combattere. La maggior parte delle armi in quell’armadio erano sue – indicò l’armadio alle sue spalle con un cenno della testa e un sorriso. – E mio marito… Non è esattamente morto in modo naturale.     
Sorrisi. – L’hai ucciso tu.
– Sono prevedibile?
– Assolutamente no, ma io sono un genio e ho un enorme intuito per queste cose – replicai.
Ridacchiò, scuotendo la testa. Fu come avere la vista e i sensi annebbiati da qualche potentissima sostanza stupefacente. – Era un mercante. Non avevamo molto denaro e ha tentato di mandarmi a fare la puttana in un bordello. Così gli ho dato una lezione. – Mi guardò, come se pensasse di vedermi stupito. Ero abituato a quelle storie di violenza. – Haytham, lui ha picchiato me e mia figlia per un’intera vita. Non potevo permettergli di rovinare ciò che restava mandandomi a lavorare in un bordello. Non potevo.
Annuii con un leggero sorriso, mettendo la mano destra attorno alle sue. – Ti capisco.
Lentamente mi ritrovai ad avvicinare il viso al suo, respirando piano e inclinando la testa di lato. Sentivo i nostri respiri cozzare l’uno contro l’altro, le fronti sfiorarsi. Le sue labbra si schiusero, piegandosi in un sorriso triste e liberatorio mentre sfioravo il suo naso con il mio, le mani strette le une sulle altre, sicuro di me come non ero mai stato e…
Il bollitore cominciò a fischiare.
Mi lasciò le mani e scattò in piedi, avvampando, e rovesciò la sedia sul pavimento. – Accidenti! – la sentii esclamare. – Haytham, potresti prendere due tazze? Le tengo in quella vetrinetta.
Subito mi alzai in piedi, avvicinandomi alla credenza polverosa abbandonata in un angolo e passandole due tazze di ceramica con la voce che tremava. – Mi dispiace.
Sorrise, versando lentamente il tè nelle tazze. – Haytham, forse sei davvero un mascalzone – mormorò con un tono a metà tra l’ironico e il provocatorio. Non potei fare a meno di sorridere con lei.
Presi la tazza tra le mani e bevvi un lungo sorso per scaldarmi l’esofago. Il tè era ottimo, dolce, caldo e forte. Lei, appoggiata al ripiano con noncuranza, mi fissava da sopra la tazza, sorridendo. – Non volevo metterti in imbarazzo con quel commento – sussurrò, lo sguardo fisso sulla bevanda.
Scossi il capo. – Non mi hai imbarazzato, non preoccuparti. E io non volevo metterti a disagio. Mi sono comportato come un idiota – mormorai a voce bassa, passandomi una mano sugli occhi. – Non avevo intenzione di farlo. È stata una cosa abbastanza spontanea.
Lei posò la tazza vuota sul tavolo, lanciandomi uno strano sguardo. – Sei un uomo fuori dall’ordinario, Haytham.
Scoppiai a ridere. – È un complimento o un insulto?
Sorrise. – Qualcosa nel mezzo – disse, guardandomi negli occhi e torcendosi le mani senza sapere bene cosa fare. Aveva ancora il vestito macchiato di sangue. – Davvero, non ho mai conosciuto un uomo come te. Sei sincero, ironico, gentile. Sei diverso dagli altri.
Rimasi quasi scioccato da quelle parole.
Diverso.
Ero diverso dagli Assassini, ero diverso dai Templari, ero diverso dagli altri uomini. Non avevo una categoria. Ero Haytham Kenway e basta, non potevo essere paragonato a nessun altro. Mi portai la mano alla testa con un sussulto. – Sei ancora convinta di voler sentire la mia storia? Nonostante…
Ridacchiò. – Haytham, non devi preoccuparti per quello che è successo. Davvero. Sta’ tranquillo – sussurrò, stringendo la mano tra le sue. Riuscivo a sentire i piccoli calli causati dall’addestramento alle armi. – Voglio sentire quella storia dalla prima all’ultima parola.
Sorrisi di rimando. – Ma giura di non parlarne con nessuno.
– Con nessuno? – chiese, sorpresa. – Potrebbe mettermi in pericolo?
Sospirai. – Sì, e ti prometto che se questo ti spaventerà potrai tirarti indietro quando vuoi. Te lo prometto, Alice. Però… se intendi restare nonostante tutto, devi promettere di mantenere il segreto.
Abbassò lo sguardo un secondo. – Te lo prometto, Haytham.
Scrollai la testa e ripresi fiato, pronto a raccontargli la verità, quella che avevo nascosto a Tiio per l’intera durata della nostra relazione.
 
Avevo deciso di fidarmi di lei perché non mi ero mai fidato di nessuno. Avevo sempre tenuto dentro di me segreti inconfessabili, avevo serbato rancore e non ero mai riuscito ad aprirmi completamente con nessuno, per cui decisi che se Alice voleva anche solo essere una mia alleata, doveva sapere tutto. Tutto. Presi lentamente fiato prima di cominciare.
Le raccontai ogni cosa, partendo dalla mia vita a Londra: l’esistenza di Templari e Assassini, l’omicidio di mio padre, l’ingresso di Reginald nella mia vita, l’accoglienza nell’Ordine e le varie missioni sotto Edward Braddock, l’arrivo nel Nuovo Mondo, il mio rapporto con Tiio e l’inutile partenza alla ricerca di mia sorella, solo per vederla morire davanti ai miei occhi. Poi, il ritorno in America e la cattura da parte dei miei vecchi amici, l’accusa di tradimento e il salvataggio da parte degli Assassini. E da lì, la mia presenza al massacro di Boston, in quel giorno del 1770. Il resto lo conosceva.
Per tutto il tempo non disse una parola, ma rimase sorprendentemente seria e silenziosa. Posò gli occhi grigi nei miei con dolcezza e abbozzò un sorriso, portandosi un ricciolo biondo dietro le orecchie. Non potei fare a meno di notare quanto fosse bella. – Immagino che mi tirerai un calcio e mi sbatterai fuori di casa nel giro di tre secondi, giusto? – chiesi con un piccolo sorriso.
Sembrò offesa, per un attimo. – Può sembrarti strano, Haytham, ma ti credo.
Sgranai gli occhi, sorpreso. – Cosa? Come… Come puoi? Non ti sembra una storia assurda?
Sorrise, gli occhi che tradivano tristezza. – Ad essere sincera, no. E posso anche dirti perché. Seguimi, Haytham. – Si alzò di scatto e s’incamminò lungo il corridoio, entrando nella camera da letto. Inizialmente mi sentii un po’ a disagio: sul letto vi era un grande ritratto di famiglia, ma nessuno che somigliasse minimamente ad Alice, e di fronte c’era una grande cassettiera sulla quale erano poggiate diverse scatoline e un paio di portagioie. Cominciò rapidamente a scavare in una piccola scatola laccata e notò che il quadro aveva attirato la mia attenzione. Sorrise distrattamente, richiamando la mia attenzione poggiandomi la mano sul braccio. – Guarda qui.
Mi voltai a guardarla e lei aprì lentamente il pugno, con aria solenne.
All’interno, sulla sua mano, vi era un anello metallico che conoscevo bene. Feci per prenderlo, ma lei lo sollevò alla luce della finestra. – Apparteneva a mio padre, Haytham. Faceva parte anche lui del vostro Ordine. Credo che mi abbia insegnato a combattere per quello. – Scrollò il capo, battendo violentemente le palpebre. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.
– Alice… – sussurrai, premendo le mani sulle sue spalle.
Chiuse gli occhi, mordicchiandosi il labbro inferiore con insicurezza. Non vidi nemmeno una lacrima scivolare lungo le sue guance. – Mi diceva che il mondo era pieno di cattiveria e io, in qualità di donna, dovevo esservi preparata. Dovevo combatterlo. Dovevo avere la mia dignità, combattere non per il caos, ma per una legge.
Sorrisi leggermente. – Un mondo in cui tutti obbediscano alle stesse parole, senza distinzione, ma con una disciplina che non garantisca abusi – completai per lei. Era esattamente ciò in cui credevo io. – Sai, non sono molti i Templari a pensarla così. Ufficialmente sì, ma molti uomini – Templari o no – crollano, sopraffatti dalla sete di potere.
Si voltò verso di me con sicurezza. – Quel ritratto, Haytham, rappresenta la famiglia di mio padre. Guardalo.
Portai di nuovo lo sguardo sul quadro e rimasi esterrefatto. Erano ritratti un uomo sui cinquant’anni, i capelli già bianchi, e altri quattro ragazzi decisamente più giovani, tutti con i capelli castano chiaro e l’aria seria. Due di loro avevano delle donne al fianco, donne belle ed altere come suore o icone religiose. E solo uno degli uomini, con lo sguardo grigio, vivo e familiare, non portava una fin troppo familiare polsiera, abilmente mimetizzata con gli abiti eleganti.
– Erano tutti Assassini – sussurrai, sorpreso. – Non posso crederci.
Per un attimo immaginai il signor Jackson afferrato per una spalla mentre qualche altro membro dell’Ordine gli sputava in faccia la verità, che era un Templare con il cervello di un Assassino, esattamente come Reginald aveva fatto con me. Scrollai il capo per scacciare quel pensiero. – Come mio padre – mormorai.
Alice mise la mano sulla mia spalla, sospirando con tristezza. – Haytham, l’hanno giustiziato davanti a me. Credo fossero mercenari, perché conoscevo bene alcuni Templari e questi uomini non avevano nemmeno una maschera. Ci hanno afferrati entrambi e trascinati in un vicolo, erano in cinque. Due hanno pensato a tenere ferma me, due lo hanno bloccato al muro e un quinto gli ha tagliato la gola da orecchio a orecchio. Ero disperata. – Mi guardò un attimo, come se vedesse quella stessa tristezza nei miei occhi. – Mi hanno lanciato l’anello con la Croce e sono spariti, dicendo che dovevo vergognarmi e ritenermi fortunata. Non mi hanno nemmeno toccato, Haytham – aggiunse, vedendo l’espressione truce che avevo assunto. – Sono stati molto… corretti, oserei dire, da quel punto di vista. Sei il primo Templare che vedo da quella volta.
Sorrisi tristemente. – Entrambi traditi dal nostro stesso Ordine.
Lei mi guardò, sorridendo di rimando. – A dire il vero, i Templari pensano l’esatto contrario. Che voi abbiate tradito l’Ordine.
Scrollai appena le spalle. – E per quanto riguarda Tiio… - mi guardò sollevando un sopracciglio. – Non è andata come pensavi.
– Speravo che si mostrasse più comprensiva, a dire il vero – sussurrai. – Non ha mai tollerato la mia appartenenza all’Ordine. Ha sempre prediletto gli Assassini.
– E immagino che Connor non sia semplicemente un tuo “conoscente”.
Sorrisi. – Lui è mio figlio, Alice, ma il nostro rapporto è pieno di buchi e di vuoti che non possono essere riparati. Siamo troppo distanti, credimi.
– In effetti c’è qualcosa di te in lui – mi lanciò uno sguardo indagatore.
– Di sicuro non il senso dell’umorismo.
Ridacchiò, poggiandosi appena al mio braccio. – Ed è un Assassino anche lui, giusto? Mentre William Johnson, l’uomo che vuole acquistare la sua terra, è un Templare.
– Esattamente. E, Alice – presi tutto il coraggio che avevo in corpo per rivelargli quell’ultimo segreto – immagino tu conosca i Frutti dell’Eden.
Storse appena il naso, come se l’idea non la entusiasmasse. – Papà me ne aveva parlato, sì. Antichi e potentissimi manufatti lasciati da uno strano popolo di predecessori.
– Studentessa modello, vedo – le dissi ironico. – Ho intenzione di prenderne possesso per risolvere un dubbio personale. Poi ho giurato di cederla agli Assassini, nonostante non sia ancora sicuro dell’uso che potrebbero farne.
Mi guardò battendo le palpebre. Non riusciva a crederci? – E di che dubbio si tratta?
Scossi la testa, distogliendo rapidamente lo sguardo dal suo. – Io… è una cosa di cui preferisco non parlare.
 La sentii ridacchiare. – Haytham – mi richiamò, prendendo dolcemente il mio viso tra le mani – quando ti andrà, io sono qui.
Si chinò dolcemente verso di me, le mani che scivolavano lungo il mio collo, e poggiai le mie sulla sua schiena. Sorrisi, sentendomi finalmente libero, lasciai che il suo corpo aderisse al mio. Sentivo il suo cuore battere contro le costole, accanto e opposto al mio, e lei strofinò il viso sulla mia camicia sporca di sangue.
Alice Jackson si sollevò lentamente sulle punte dei piedi, sorridendomi con la testa china. Portai un dito sotto il suo viso, sollevandolo, e sfiorai la punta del naso contro il suo. Ridacchiò sussurrando il mio nome e feci ironicamente lo stesso.
Poi presi un ultimo respiro dal naso, felice di essere lì, felice di essere con lei, e chiusi gli occhi, portando le labbra a cozzare con le sue e baciandola con una passione e un’iniziativa che non avevo mai avuto in tutta la mia vita, né con Tiio né con qualunque altra donna. 
  
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