Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Segui la storia  |       
Autore: funklou    05/01/2014    35 recensioni
Al Norwest Christian College le cose vanno così: o sei popolare, o non sei nessuno.
Ma c'è anche chi, oltre ad essere popolare, è anche misterioso, quasi pericoloso. E nessuno sta vicino al pericolo.
Tutti sapevano quello che Luke Hemmings e i suoi amici avevano fatto.
Ricordatevi solo una cosa: le scommesse e i segreti hanno conseguenze.
___________________________________________________________________________
Dal secondo capitolo:
"A me, invece, non sembri un tipo così pericoloso. Forse strano" affermò Avril, senza distogliere l'attenzione dal suo libro.
"Due." Si guardò intorno, in cerca di un banco libero.
"Due?"
"Due."
"Cosa significa?" Alzò lo sguardo e lo guardò confusa.
"Sinceramente? Nulla. Quando non so cosa rispondere, o quando non voglio rispondere, dico due." Scrollò le spalle, come se fosse la cosa più ovvia e si allontanò.
"Questo conferma la mia teoria, Hemmings."
Doped!Luke
Scene di droga esplicite. Se ne siete sensibili, non aprite.
Il trailer di Two: http://www.youtube.com/watch?v=NE35nheHyZY
Genere: Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum, Hood, Luke, Hemmings, Michael, Cliffors, Nuovo, personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Two Banner (2) photo BANNER_zps8739bdb7.jpg




Sydney again.

Le mani impossessate dal freddo, le maniche della felpa che arrivano a coprire la metà delle dita, le scritte indecifrabili sulle maglie nere. I pantaloni scuri e stretti, le scarpe con vari buchi che spaccano il tessuto nero e consumato. La pelle chiara, le labbra rosee e screpolate, corrucciate quasi sempre in giù, e i denti bianchi che le divideva ultimamente saltuariamente. La voce ferma, controllata, che fa' trasparire quasi la tranquillità, con il compito di coprire l'inferno all'interno. Il profumo appena percepibile appiccicato alla pelle, l'aria da duro che si cosparge intorno. Gli occhi azzurrissimi, un mare in tempesta che lotta con l'oceano calmo, tutto coperto da un velo di apatia. I capelli biondi alzati, alcuni ciuffi che giocano a fare i ribelli cambiando direzioni. Le spalle larghe, il torace che si alza e si abbassa calmissimo. L'odore di dolore, indifferenza, colpevolezza. Ferite aperte, somiglianti a squarci dai quali filtrano ricordi, invisibili agli occhi delle persone e per questo mai curate. Le fossette ai lati della bocca, voragini nel grigio. Le sopracciglia che si alzano al sentire parole sconosciute, la fronte che si corruga per la confusione.
C'erano tante cose che ad Avril mancavano di Luke. E queste facevano parte di una lista che non avrebbe mai finito. 
Richiuse gli occhi e sospirò. Poi afferrò il cellulare e chiamò Calum. Lo chiamò quattro, cinque volte. Nessuno rispondeva. Si alzò dal letto e tirò un calcio al muro, mugugnò per il dolore, non solo fisico. Si sedette sul pavimento, si prese la testa fra le mani. 
Avril stava uscendo fuori di testa.
Allora si rialzò, si sedette ancora sul letto. Chiamò un'altra volta Calum, e un'altra volta non ricevette alcuna risposta. 
Questo fu quello che fece fino a sera. 
Scese al piano di sotto e si accomodò a tavola. Non guardò nessuno negli occhi, nemmeno suo padre, che poteva vedere che non le staccava gli occhi nemmeno per un secondo. 
Le faceva strano stare in quella casa. 
La donna quella sera non c'era, era fuori con le amiche. Ashton si faceva gli affari suoi, cenava tranquillamente. Suo padre, invece, "Allora, vi siete conosciuti, voi due?" chiese ad entrambi.
Avril fremette di rabbia. Il suo piede si alzava e abbassava sul pavimento in un movimento estremamente nervoso. 
"Mh, sì..." rispose vago Ashton, per poi continuare a mangiare con lo sguardo annoiato. 
"Bene!" trillò l'uomo. "Avril, tu domani dovresti tornare a scuola." 
Avril alzò di scatto la testa in sua direzione e lo guardò per la prima volta. Era ansia, quella cosa che aveva nella pancia. 
"Ti accompagna Ashton." proseguì.
"Ma hai deciso tutto tu!" lo rimbeccò il ragazzo, ma senza cattiveria nelle parole. Anzi, aveva quel sorriso stampato in faccia che Avril proprio non digeriva. 
"Okay." disse infine lei, mettendoci quanta più freddezza potesse. Strisciò la sedia sul pavimento e si alzò, prendendo il suo piatto e posandolo nel lavandino. 
"Ho finito, vado su in camera." annunciò.
Suo padre la esaminò, riportò lo sguardo sul piatto che aveva davanti ed annuì.

La sera era una merda. 
Chiamate senza risposte, mani che tremavano, il freddo dentro, lacrime che bagnavano guance.
Questo era la sera.
Ed Avril aveva paura, perché ciò che sentiva lei lo sentiva pure Luke. C'era qualcosa che non andava. Lo chiamavano sesto senso. 
Riprese il cellulare, digitò per la millesima volta il tasto 'chiama' di fianco al nome di Calum. 
Lo stomaco le si attorcigliava in un nodo strettissimo, che la fece piangere ancora e ancora. Buttò il cellulare sul comodino e restò inerme sul letto della sua nuova camera. 
La consapevolezza che qualcosa non stesse andando bene e l'impossibilità di fare qualcosa: un mix micidiale. 
Smise di piangere, si girò su un fianco e piantò le iridi verdi al muro che aveva davanti. Si immaginò Luke a terra, grondante di sudore, con la faccia verdognola. Lo vide davvero. Allora chiuse gli occhi, e non sentì il bussare alla sua porta. 
"Ciao!" 
Ashton e la sua voce squillante. Sussultò per quella visita inaspettata, ma non aveva voglia di averlo vicino. Non rispose. 
Ashton chiuse la porta, avanzò e si sedette per terra, di fianco al letto.
Allora aveva davvero questa mania di posizionarsi davanti alle persone e stare in silenzio, pensò Avril.
"Non voglio parlare, Ashton."
"Chi hai lasciato a Sydney?" 
E a questa domanda Avril si girò dall'altra parte e prese a fissarlo.
"Io devo tornare là, tu non capisci. Io devo ritornarci." gli disse con fare calmo, in contrasto con la disperazione che aveva dentro. 
Ashton ricambiò lo sguardo, ma stette in silenzio. 
"Domani faccio finta di portarti a scuola, andiamo a farci un giro." annunciò dopo alcuni secondi. 
Avril rimase spiazzata. Alzò un sopracciglio e il ragazzo rise. 
"Sei serio? Ma tu non ci vai mai a scuola?"
"Lascia stare, che ti frega?" 
Il fatto era che Ashton diceva frasi cattive con un tono amichevole. Poteva mandarti a fanculo ridendo, e tu non potevi prendertela. Per questo, Avril gli sorrise. 
"Va bene, ma questo non significa che tu mi stia simpatico."
Ashton alzò le mani in segno di non colpevolezza e nell'istante esatto il cellulare di Avril iniziò a squillare. Lei fece uno scatto inumano, si precipitò a prendere quell'aggeggio elettronico e premette il tasto verde. Doveva essere risultata proprio una pazza psicopatica, perché Ashton aveva un'espressione tra lo spaventato e il divertito.
"Pronto?!" quasi urlò.
Istanti che sembravano anni. Anni scanditi dall'ansia che stava a poco a poco ammazzando Avril.
"Ce l'hanno preso." sentenziò Calum, tutto d'un fiato.
Avril trattenne il respiro, sentiva il cuore sbattere sempre più lentamente contro la gabbia toracica.
"Cosa vuol dire che l'hanno preso?"
"Vuol dire che i suoi genitori l'hanno chiuso in una clinica di drogati, se si può chiamare così."
Avril iniziò un pianto isterico. Era come se tutta la disperazione le stesse uscendo di botto in quel momento, con quelle lacrime, con quei gemiti misti ai singhiozzi. 
"Non possono!" urlò. 
Ashton era ancora seduto davanti a lei ed in faccia aveva quegli occhi spalancati che dovevano proprio rispecchiare lo stato d'animo della ragazza.
Avril odiò quegli occhi. 
Anzi, si alzò proprio dal letto, lasciando il cellulare e andò a sedersi vicino ad Ashton per iniziare a tirargli dei pugno sul petto. A lui non facevano male ed Avril lo sapeva. E questo la mandava ancora di più in bestia. Lo odiava, in quel momento. Lo odiava soprattutto perché le fermò le mani, stringendole con le sue e le abbassò le braccia, giusto per intrappolarla in un abbraccio. 
Ad Avril gli abbracci le facevano strano. Le mettevano disagio.
Ma giurò che quello di Ashton riuscì a farla smettere di urlare. Le sue braccia erano forti e il suo corpo caldo. Ci si trovò benissimo, stretta a lui. Le lacrime le scendevano copiose sul viso, ma erano ormai silenziose e si infrangevano sulla felpa di Ashton. Non aveva idea di cosa quest'ultimo stesse pensando, però le andava bene così. 
"Me l'hanno portato via..." sussurrò pianissimo, con lo sguardo perso nel vuoto. Era esattamente quello, ciò che si ritrovava davanti: il vuoto. Perché tutto ciò che si distingueva dal nulla erano solo gli occhi azzurri di Luke.
Ashton le accarezzò la schiena e "Chi?" chiese.
Avril si rese conto solo in quel momento di aver parlato. Non si era sentita. Non sentiva più niente di se stessa. Perché, senza Luke, lei non c'era. 
Chiuse gli occhi, un'altra lacrima le solcò la guancia. "Luke." 
Buttò fuori quel nome con tutto il dolore incastrato tra quelle lettere. Tremò, al sentirlo. Così come tremò Ashton.
Si abbracciarono per chissà quanto tempo, e poi il ragazzo si staccò e la guardò. E lei quelli occhi aveva deciso di detestarli. Le facevano paura, la facevano sentire rispecchiata e lei odiava vedersi distrutta. 
"Va meglio?"
Lei non diede alcuna risposta. Ashton si mise in piedi, le afferrò una mano e la tirò su.
"Ci sono sempre, se vuoi." disse e se ne andò dalla stanza. 
Quella sarebbe stata la seconda notte insonne, per Avril. 
Avril che era riuscita a sentire ancora di più la lontananza di Luke, e che non riusciva a non pensare a cosa fosse andato incontro entrando in quella clinica. Avril che aveva paura che Luke si sentisse solo, un po' come lei. Avril che sentiva una corda, nella quale risiedeva tutto il legame che c'entra tra lei e Luke, che continuava a tirarsi sempre di più. E non poteva spezzarsi. Non poteva. 
Avril che si rivedeva negli occhi verdi di Ashton, e ancora non ne sapeva il motivo.

Erano le sette del mattino e una mano le scuoteva incessantemente il braccio. Mugugnò qualcosa e aprì di poco gli occhi. 
C'era Ashton in piedi, di fianco al suo letto, ed aveva in mano i suoi fottuti cereali. 
"Alzati, pigrona. Devi andare a scuola."
"A scuola non ci andiamo e tu lo sai." lo schernì lei, girandosi dall'altra parte. 
Ashton rise e successivamente la ragazza sentì sollevarsi dal letto, e in un istante si ritrovò sospesa in aria. 
Rabbia.
"Lasciami giù!" gridò, in preda ad una crisi di nervi. La testa le girava da matti.
"Non urlare, cretina, sono le sette del mattino." affermò Ashton, facendole posare i piedi a terra. 
"Ti odio."
"E questi sono i cereali di cui ti parlavo, se..."
"Sì sì, so tutta la storiella, ora vattene." lo interruppe Avril, schiacciandogli sul petto la scatola.
Ashton si zittì, ma proseguì nella sua monotona risata. Le dedicò un ultimo sguardo ed uscì dalla camera.
Avril si cambiò vestiti dopo tre giorni di agonia. 
C'era qualcosa all'altezza della gola che le impediva di farle venire voglia di mangiare. Perché, in realtà, un po' di fame ce l'aveva. Però, quel qualcosa la buttava giù in un modo assurdo. Le veniva quasi voglia di vomitare, ovvero la peggior cosa che possa capitare ad un'emetofobica. Uscì anche lei dalla camera e cercò il bagno. Si fece una doccia veloce, si lavò i denti, si pettinò e non si guardò mai allo specchio. Le veniva ansia solo a pensare di vedersi riflessa.
Scese al piano di sotto, dove Ashton stava facendo colazione. Quando la vide, le sorrise.
"Come fai ad essere sempre così?" indagò. 
Lui fece spallucce, probabilmente senza capire nemmeno la domanda, ed Avril mangiò tre biscotti, tutto in silenzio. 
Quel giorno, Avril non vedeva più Luke nella sua testa, ma se lo sentiva addosso. Sentiva il suo profumo appiccicato alla sua pelle, quello mischiato al detersivo che si impadroniva delle sue felpe e a quello che emanava quando si muoveva, quando alzava il collo, quando si passava una mano nei suoi ciuffi biondi. 
Avril chiuse le palpebre e il labbro le tremò.
"Cazzo, ho a che fare con una ragazza in preda ad una crisi depressiva." sbottò Ashton, sempre col suo sorriso, quello che copriva le brutte frasi.
Si alzò dal tavolo e la abbracciò, come se fosse stata la cosa più normale al mondo. 
Lei non pianse.
"Brava." le disse piano Ashton e se ne andò a prendere una giacca. 
Avril era rimasta semplicemente stregata da quel suo tocco.
"Andiamo?" domandò il ragazzo.
E quello fu il primo giorno in cui Avril uscì da quella maledetta casa. Ed era la prima volta che, dopo aver abbandonato Melbourne, ci rimetteva piede, andandola a visitare per tutte le vie che anni prima percorreva sempre, di giorno o di sera, con le sue amiche o con Jason.
La stretta alla gola le era ritornata. Quelle strade le mettevano tristezza.
"Voglio tornare a casa." esordì.
Ashton posò la tazza ancora mezza piena di cioccolata calda e sbuffò.
Erano in quel bar da massimo dieci minuti.
"Sei pesante, ragazzina."
Avril lo fulminò con lo sguardo e continuò a guardare fuori dalla vetrata la via su cui mesi fa camminava tutti i giorni per andare a scuola. 
"Fa niente." disse lei.
"Ma che hai, ché sei sempre così scorbutica?" le chiese, tirandosi indietro e facendo scontrare la schiena contro la sedia.
"Non mi rompere." lo ammonì Avril.
Ashton sbuffò un'altra volta.
"Dovresti solo ringraziarmi: se non fosse stato per me, ora saresti a scuola."
Avril alzò le spalle, era triste. Luke le mancava troppo. Si sentiva fottutamente debole, senza lui.
Ashton si alzò dopo aver finito la sua cioccolata e uscirono dal bar. Fecero alcuni giri per Melbourne e poi "Torniamo a casa?" propose lui.
Avril annuì, senza capire come potesse lui chiamare casa quell'inferno.
Era l'una di pomeriggio e la madre di Ashton era in casa, purtroppo. Quando Avril aprì la porta, se la ritrovò in salotto mentre guardava la tv. Alzò gli occhi al cielo.
"Ciao cari!" accolse i due ragazzi con un sorriso schifoso. 
"Ciao."
"Ehi, mamma."
E poi entrambi salirono le scale, diretti verso camere diverse. 

Passarono due giorni così: camera, pranzo, cena, silenzi, sguardi. Sguardi perché suo padre sapeva che sarebbe dovuta andare a scuola ed Avril non voleva. Ma non le diceva nulla, anche se era a conoscenza che entro una settimana dal suo arrivo l'avrebbe costretta ad andarci. 
Il cellulare le suonò: Calum.
"Pronto?"
"Ciao, Avril."
Era bello sentire la voce di Calum. Quel suo accento strano le piaceva. 
"Come stai?" gli chiese, sapendo già la risposta. 
E infatti, "Una merda, tu?"
"Una merda." gli fece eco. "Luke?"
Sentì un sospiro.
"Niente. Sta chiuso lì, forse tra due settimane esce. Il fatto è che ci era ricascato e si era fatto una pera a nostra insaputa. L'abbiamo lasciato da solo un attimo e non ha resistito. Ma l'importante è che ora si rimetta in sesto in quella clinica." 
Calum parlò così tranquillamente che Avril pensava scherzasse. La bocca con molte probabilità ce l'aveva spalancata.
Luke ci era cascato un'altra volta, in questo merdoso circolo della droga.
Avril odiava l'eroina e ora stava odiando anche Luke. Lo voleva picchiare, in quel momento.
"Non ci posso credere." sbottò poi infine.
Non piangere, si ripeteva dentro di sé. 
"Già. Ma è tutto sotto controllo, ora. Non ti preoccupare." cercò di consolarla, perché Calum riconosceva la voce di Avril quando stava per piangere. Ed Avril questo lo sapeva, ed è per questa ragione che cercò di calmarsi.
"Devo tornare lì. Me lo devo venire a prendere." affermò con una sicurezza che non era di certo della Avril di quell'ultimo periodo.
"Mi manchi, deficiente."
Lui rispose questo. 
Se lo immaginava sul letto di casa sua, stretto nel suo maglione e il suo beanie. Se lo immaginava col cellulare in mano e un sorriso imbarazzato dopo quella frase, preoccupato della sua risposta. Cazzo, quanto gli voleva bene. 
"Mi manchi anche tu, Cal."
Lo sentì ridere piano e "Oggi a scuola i professori erano agitatissimi. Ho pensato a te, a quanto te ne saresti innervosita." le disse. 
"Meno male che non c'ero, allora! Però, wow, sei andato a scuola." rifletté da sola.
"Già, ora che Luke non è qui, non ho nient'altro da fare." 
In effetti era vero. Tutto ciò che occupava loro le giornate era prendersi cura di lui, e forse per questo Calum ne sentiva molto la mancanza. Sospirò sconfortata.
"Va bene, Avril. Volevo solo sentirti. Vado a farmi una partita a FIFA, chiamami quando vuoi." 
"Va bene, allora ci sentiamo." 
Stava per chiudere la chiamata, quando "Ah, e Avril...?"
"Si?"
"Ti voglio bene, okay? Non te lo devi dimenticare. Non ora."
Avril quel "non ora" non l'aveva capito. Però, "Okay, te ne voglio anche io." rispose, per poi dar fine alla chiamata.

Ne passarono altri tre, di giorni così. E al terzo, Avril scese giù in salotto, perché in casa non c'era nessuno: Ashton, finalmente, si era deciso ad andare a scuola. Accese la tv, si sedette sul divano e cercò di immaginare che quella fosse casa sua, o magari quella di Luke. Qualsiasi casa fuorché quella di Ashton. Non che questi le stesse antipatico, è che non le andava bene convivere con una persona così viva e solare, quando lei era esattamente il contrario. Ed è per questo che, quando sentì le chiavi girare nella toppa, "Porca troia." imprecò, portando gli occhi al cielo.
"Ciao anche a te." esordì lui, togliendosi la giacca e andandola ad appendere. 
Avril seguì ogni sua mossa.
Lo vide andare in cucina e prepararsi un panino. Poi diede ogni sua attenzione alla tv che aveva davanti e cercò di dimenticarsi del ragazzo che, proprio in quel momento, si sedette di fianco a lei. Emise un verso di fastidio, ma Ashton parve non curarsene, procedendo coi morsi al suo stramaledetto panino. 
"Come te li fai, quelli?"
Una serie di parolacce passò per la testa di Avril. 
"Quelli cosa?" domandò, senza mai distogliere lo sguardo dallo schermo.
"I capelli, non il colore, intendo. Cioè, te li piastri tu in quel modo?"
"Ma li piastravo da un lato fino a tre mesi fa, ora sono rimasti così." 
Non voleva nemmeno chiedergli la motivazione di quella domanda, perché, sinceramente nemmeno le interessava. 
"Mi piacciono." commentò infine lui, dopo aver deglutito.
Avril voleva dirgli che non glielo aveva chiesto se gli piacessero o meno i suoi capelli, però non disse niente. Si alzò dal divano, gli passò davanti, pronta a salire le scale. 
"Luke..." parlò ancora Ashton. Sembrò fermarsi, ma poi continuò la frase. "Luke, come sta?" 
Ad Avril traballò l'anima. Quella proprio non se l'aspettava. Si fermò sul primo gradino della scala e si voltò. Gli guardò quegli occhi che tanto odiava e in quell'istante le venne una voglia matta di urlare. Non lo sapeva, il perché. 
"Non lo so." sbottò poi. 
Non gli chiese nemmeno quella volta il motivo delle sue fottute domande. La continuava a guardare e lei decise di girarsi ed andarsene. 
Quegli occhi avevano qualcosa che aveva anche lei, e questo le metteva angoscia e paura. 
Eviti di guardarti allo specchio e poi ti ritrovi negli occhi della gente. Non le andava bene, questo specchio verde chiaro.

La sera era sempre la parte più brutta della giornata. Le mancanze ti investono e ti sbriciolano velocemente. 
900 km.
Non poteva davvero crederci. Era così lontano. 
Ogni tanto doveva subirsi queste crisi che la spezzavano. Si immaginò Luke e le sue cadute di astinenza. Pensò che, se la rota fosse stata tanto brutta, allora quelle sue crisi ci si avvicinavano. E, come sempre, si ritrovava a contaminarsi con Luke. 
Stava incominciando ad impazzire e lo sapeva bene. Si alzò di scatto dalla scrivania e la sedia fece un rumore tremendo. Iniziò a racchettare vestiti dall'armadio e li gettò con ferocia nella valigia. Ci mise tutto ciò che aveva portato con sé da Sydney. Cominciò a camminare velocemente per la stanza, perché non poteva stare ferma, non quando aveva da fare così tanti km. 
"Ashton!" urlò a squarciagola. Non sapeva in quale parte della casa fosse, ma sperò che la sentisse. "Viene un attimo, Ashton." lo chiamò ancora. 
Lui aprì la porta della camera dopo circa 30 secondi. Aveva una bandana a arrotolata tra i capelli, una maglietta a maniche corte e dei pantaloni aderenti. Si chiese come facesse a non aver freddo.
Perché Avril stava tremando, soprattutto nelle mani.
"Ascoltami, mi devi aiutare." cominciò, accompagnata dalle lacrime che avevano appena iniziato a scendere. "Devo tornare a Sydney, ho un ragazzo che amo fino a far schifo chiuso in un centro di intossicazione. Lui le astinenze le supera solo con me. Non lo posso lasciare da solo, lo devo andare a prendere." Il labbro le tremava e per questo ogni tanto la voce le si abbassava. Non riusciva a stare ferma con le mani e Dio solo sa quanto avrebbe voluto smettere di piangere davanti ad Ashton. "E tu mi ci devi accompagnare." concluse.
Ashton aveva una faccia impassibile e la bocca semiaperta. La guardava come si guarda la scena di un film che ti prende totalmente. Ci furono istanti di silenzio, e poi lui disse solo: "Cazzo." 
Avril capì davvero quanto la situazione fosse anormale grazie a quell'imprecazione. Sapeva che fosse drastica, ma non aveva mai pensato ad un altro lato: era insolita. Non tutti i diciassettenni erano drogati e non tutti si ritrovavano a fare i conti con la rota. Anzi, probabilmente non sapevano neanche cosa fosse. E nemmeno lei lo sapeva, prima che conoscesse Luke. 
"Cazzo?"
"Sì, insomma... Oh mio dio. Non lo so."
"È strano e lo so, cristo santo. Ma tu mi ci devi accompagnare perché io non ce la faccio più." Avril lo stava seriamente implorando e non se ne vergognava neanche un po'. 
Lo vide mordersi il labbro, indeciso, e passarsi le dita tra il ciuffo mosso. 
"Come cazzo faccio, io, ad accompagnarti?" 
"Che ne so, se siamo in due, ci perdiamo in due. Dobbiamo prendere un taxi, farci accompagnare alla stazione e comprare un biglietto per il treno, perché io ce l'ho già per il ritorno. Dalla stazione poi io so la strada. Per favore." 
Ashton respirò a fondo per secondi lunghissimi, ed Avril aveva l'ansia che si espandeva in ogni molecola del suo corpo.
Ashton se ne andò. Poi ritornò, diede un pugno ad una porta e
"Spegni il telefono, va." sbottò alla fine, con fare arreso. 
Avril corse letteralmente ad abbracciarlo, agganciandogli le braccia un po' più sopra al bacino, perché Ashton era quasi alto come Luke. 
Si ritornava a Sydney. 
Si ritornava da Luke. 
Si ritornava a salvarsi. 

Cercarono per venti minuti il modo per ricercare un taxi e, dopo troppi tentativi, ci riuscirono e diedero l'indirizzo. Parlarono a bassa voce tutto il tempo e questo metteva un po' di ansia ad Avril: aveva paura che si scoprisse tutto. 
Alle dieci di sera i loro cellulari erano spenti, nessuno dei due era più rintracciabile.
Avril chiuse prima una valigia e poi l'altra, e successivamente le gettarono dalla finestra.
"Chi me lo ha fatto fare..." continuava a ripetere Ashton.
Si diressero poi al piano di sotto e "Noi usciamo un secondo, torniamo presto." annunciarono alla donna. 
Lei assunse un'espressione un po' perplessa, ma poi li salutò. 
Andarono a recuperare le valigie e svoltarono nella via parallela, quella che avevano dato al tassista per non farsi scoprire. 
Il taxi era già là. Un uomo barbuto scese dall'auto e, nell'esatto momento in cui chiese la destinazione, Avril ed Ashton si guardarono. Entrambi cercarono conferma nei loro occhi, ma ancora non sapevano che non l'avrebbero mai trovata, perché tutti e due riflettevano le stesse paure. 
Il tizio, dopo aver sistemato le valigie, partì. I due ragazzi erano entrambi seduti nei sedili posteriori, ed Avril osservava le vie di Melbourne dal finestrino. Quella era la seconda volta che l'abbandonava.

Il taxi si fermò davanti alla stazione. 
"Cristo." imprecava continuamente Ashton. 
Avril non lo sapeva il perché. Ashton era nervoso, lo vedeva dalla mano che continuava ad aprire e chiudere, per poi portarla tra i capelli. Entrambi erano terrorizzati, ma si diressero verso l'ufficio nel quale si vendevano i biglietti. Comprarono quello per Ashton e scesero nel sottopassaggio. Era buio pesto.
"Senti, perché non parli a me, invece di cristonare di continuo?" sputò acida Avril. Non aveva mai visto Ashton così.
Ma lui non rispose e salirono le scale. La stazione era enorme, il soffitto era pazzesco, ondulato e con quel colore che tendeva al giallo scuro. Ci era stata tante volte, ma ogni volta la apprezzava. 
Raggiunsero il binario sette, e il treno era già lì. Avril ed Ashton avevano smesso di parlare, così la ragazza fece per conto suo, non preoccupandosi di lui. Salì e, dopo aver sorpassato due vagoni pieni, ne trovò uno con due posti liberi. Si fermò, posò la valigia e si sedette. Ashton arrivò dopo poco e fece anche lui così. 
Il treno partì. 

Sentiva di star facendo qualcosa di grande. E se i rischi erano proporzionali alla grandezza, allora quei due stavano combinando qualcosa di altamente rischioso. Eppure le ore di viaggio passavano e stavano continuando ad andare incontro ai rischi. Avril aveva paura. Non solo per tutta quella situazione, ma anche per Ashton. Muoveva le gambe nervosamente, si mangiava le unghie e ogni tanto lo sentiva prendere respiri profondissimi. 
Poi Avril si addormentò, e solo dopo un'ora e mezza aprì gli occhi.
Ed Ashton era ancora in quello stato pietoso.
"Ashton." lo chiamò con la voce di chi si è appena svegliato.
Lui sembrò non sentirla. Oppure la ignorava.
"Ashton." ritentò.
Questa volta, il ragazzo si girò, la guardò di sfuggita ed Avril vide che i suoi occhi erano rossi e lucidi. Non conosceva bene Ashton, quindi non aveva idea di come gestirlo.
"Io non lo so perché stai così, però se ti va puoi dirmelo."
E lui rimase impassibile. Sembrò non esserci. Poi intrufolò le mani nei capelli, chiuse gli occhi e poggiò la testa contro il finestrino. Rimase lì così per molto tempo, ed Avril lo continuò ad osservare, aspettando che accadesse qualcosa. 
"Mi dispiace." disse lei.
"Per cosa?" 
"Di averti trascinato a Sydney con me, e ora stai così. Non volevo farti star male." 
Ashton si lasciò andare sull'ampio sedile in pelle, e rimase in quella posizione fino alla fine del viaggio. Avril si addormentò un'altra volta, e così nessuno parlò più.

La voce elettronica maschile che avvisava l'arrivo si sentì alle 8:30 del mattino. Scesero dal treno e faceva un freddo tremendo. Presero due scale automobili e si diressero all'uscita della stazione.
Era felice e impaurita allo stesso tempo. Ora che era davvero a Sydney, non sapeva cosa fare. Doveva nascondersi per non farsi vedere da sua madre e da qualsiasi altra persona che fosse in contatto con quest'ultima. 
"Vuoi fare colazione?" domandò Avril.
"Non ho fame." replicò lui. "Dove andiamo?"
Avril ci pensò su. "Non lo so." 
"Che cosa vuol dire che non lo sai?" 
"Che non lo so, cazzo. Fammici pensare. Okay, possiamo andare da lui. Lo devo chiamare. Sì, ci possiamo andare." decretò Avril nervosa, ansiosa e impaurita. 
Ashton si mise una mano sugli occhi con fare disperato. Poi arrivò un taxi, Avril diede l'indirizzo, caricarono le valigie e partirono.
C'era il suo cuore a fare eco in quella macchina, che sembrava in preda ad un infarto. Sentiva di avere la coscienza sporca nella città giusta.
E poi c'era Ashton, che pareva avere un attacco di panico da un momento all'altro. Allora Avril fece come aveva fatto con Luke mentre stava a rota, e gli prese la mano e la strinse nella sua. Ashton mise fine ai suoi movimenti ansiosi, si girò e le puntò quelle odiose iridi negli occhi. Avril sembrò avere un qualcosa che si avvicinava ad uno spasmo e ritirò la mano. 

Il taxi fece capolinea ad Harrington Street, ovvero la strada di fianco al parco con cui era stata con gli altri. Scesero, pagarono il tassista e cominciarono a camminare. Era mattino presto, quindi non c'era quasi nessuno in giro, e questo le metteva un po' più di sicurezza.
"Cristo." sbottò un'altra volta Ashton, quando passarono davanti al parco. "Cristo santo." e si fermò sul marciapiede.
"Puoi dirmi che ti prende?" chiese Avril sconcertata. Ashton iniziava seriamente a preoccuparla, così si fermò anche lei. 
"Non credo." le rispose lui tra il disperato e il terrorizzato.
"Okay, va bene, stiamo calmi. Ce la fai a camminare fino a Dailey Street?"
"Sì."
"Bene."
E riniziarono a camminare. Poi, mentre la ragazza osservava il cartello Dailey St, si fermò di botto e "Come facevi, tu, a sapere dove si trovasse questa strada?" domandò.
Ashton rimase sconcertato per alcuni istanti e "Non lo sapevo, infatti. Ho detto di sì perché sto bene e posso andare ovunque." spiegò.
Avril arricciò il naso e lasciò perdere. "Okay. Dobbiamo lasciare queste valigie da qualche parte e cercare di capire dove sta quella stramaledetta clinica.
"Sì, ma non possiamo vagare per le strade, ti vedranno." 
"Cazzo, Ashton, mi metti ansia." scoppiò Avril. Stava per esaurirsi, non aveva la situazione sotto controllo e lei odiava sentirsi così.
"No, Dio santo, sei tu che la metti a me!" inveì Ashton ad alta voce.
Una donna che passava per la parte opposta della strada si girò a guardarli.
Avril era furiosa.
"Per la cronaca, non sono io quella che continuava a lamentarsi a bassa voce! E Non urlarmi contro!" gli sbraitò addosso e buttò a terra la valigia. Odiava quando la gente le alzava la voce. 
"Cristo, Avril! Non ci voglio stare qua, e non so nemmeno perché ci sto. Me ne vado." 
"E allora vattene!" 
Avril aveva una gran voglia di tirargli uno schiaffo, ma strinse un pugno e cercò di calmarsi.
"Fanculo." esclamò infine Ashton, prima di voltarsi e incamminarsi dalla parte opposta.
Fece tre lunghi respiri e contò fino a dieci. Poi prese la valigia e accese il cellulare, mentre riprendeva a camminare. Decise di chiamare Calum. E lui non rispose. Richiamò e dopo alcuni secondi finalmente rispose.
"Avril?"
"Calum."
"Sono a scuola, Avril. Cosa c'è?" parlò a bassa voce. Probabilmente era nei bagni della scuola.
"Sono qui, puoi uscire?"
"Cosa? Cosa vuol dire che sei qui?" domandò il moro, questa volta alzando il tono.
Avril sbuffò.
"Cal, per favore. Esci in qualche modo e basta." disse, ormai stanca di tutte le sue pretese, di Ashton, di ogni cosa.
Chiuse la chiamata e iniziò a dirigersi verso la scuola.

L'aveva già visto, il Norwest Christian College, così vuoto e silenzioso. Però, quel giorno, le faceva quasi male. Quell'odiosa struttura era stata spettatrice del loro inizio. Era essa che conteneva i loro primi sguardi, i loro primi incontri e le prime parole scambiate. 
Lì dentro c'erano lei e Luke. 
C'era anche la paura di Avril, quella che le infliggevano gli occhi di Luke. C'era il periodo iniziale, quello che faceva schifo, quello in cui non poteva sapere che sarebbe diventato ancora più complicato col passare del tempo.
Poi una sagoma, in lontananza, scavalcò il cancello e si mise a correre. 
Calum. 
Non si preoccupò della valigia. Iniziò anche lei a corrergli incontro e, solo quando furono vicini, si abbracciarono. Calum stringeva fortissimo, e tutto l'odore di Melbourne venne cancellato da Avril.
"Mi sei mancato." sussurrò lei, con la testa nell'incavo del suo collo.
"Pensavo non tornassi più." 
"Smettila, non è vero. Lo sapevi bene." lo rimbeccò Avril, subito dopo che sciolsero l'abbraccio. "Sono scappata... E non da sola." disse infine.
Calum corrugò la fronte e "E con chi?" chiese.
"Con Ashton, il figlio della compagna di mio padre. Ma abbiamo litigato e se n'è andato. Ora non so dov'è ed è tutto un casino. E voglio sapere dov'è rinchiuso Luke." buttò tutto fuori, forse per sfogarsi, o forse per dar voce ad ogni sua preoccupazione e passarla a Calum.
"Senti, ora ce ne andiamo da qui e proviamo ad entrare a casa di Luke. Magari lì troviamo qualcosa che possa darci qualche indicazione sulla clinica." 
E, detto questo, salirono sul motorino di Calum e guidarono verso casa Hemmings.

Erano le dieci e mezza del mattino e faceva un freddo cane.
Calum spostò un vaso posto sul davanzale e recuperò un mazzo di chiavi. Aprì la porta tranquillamente. Entrarono in casa, trovando solo il silenzio.
Profumo di Luke ovunque.
"Cerca da qualche parte." le suggerì Calum.
Allora Avril cominciò a guardarsi intorno, in cerca di qualche documento o qualsiasi altra cosa che sarebbe potuta servire. Vide Calum che apriva cassetti e ante, così lo imitò.
"Non c'è un cazzo qui." si lamentò il moro, che aveva in mano tre fogli diversi. 
Avril diede un'altra occhiata intorno e si accorse di un comodino in salotto pieno di buste, fermacarte e post-it. Si avvicinò e iniziò a perlustrare, fermandosi solo quando lesse Luke Hemmings. Ora le mani le iniziavano a tremare. 
"Centri Multidisciplinari Integrati... Disturbi comportamentali di tipo ossessivo compulsivo... Calum! Cazzo..." biascicò con già la vista appannata. "Ribellione del sistema nervoso centrale..."
Calum poi le fu di fianco.
"Cosa cazzo è questo?! Somministrata buprenorfina e lofexidina?!" strillò Avril, in preda ad una crisi. Teneva i fogli così forte che li stropicciò.
Calum glieli prese e "Calmati, Avril." disse. 
"No! Questi sono pazzi, Luke non è un fottuto psicotico!" 
"Ascoltami, ascoltami. E' un drogato, ha le sue ricadute, i suoi problemi. Noi la chiamiamo rota, loro con i loro termini. E' lo stesso." tentò di spiegarle.
Allora Avril si calmò e si sedette sul divano.
"Non ce la faccio più, Cal. Non ce la faccio più."
Calum la raggiunse e prese posto di fianco a lei. "Non è vero, ce la puoi fare. Anzi, ce la possiamo fare." la consolò, accarezzandole dolcemente i capelli. 
"Non lo so."
"Lo so io, però. Ora bisogna prima cercare quel tipo che ti sei portata dietro e poi indagheremo su dov'è Luke. Mi sembra fattibile."
Lo guardò negli occhi e trovò quella sicurezza che Ashton non era stato in grado di darle.
Si poteva fare.

Uscirono di casa che erano le 11:00.
Calum andò a casa a fare qualche ricerca su quella fottuta clinica, ed Avril si aggirò per Sydney alla ricerca di Ashton.
Non poteva essere andato molto lontano, perché non poteva conoscere le strade. E, se sei almeno un po' intelligente, non ti viene in mente di allontanarti dal centro.
Allora Avril lo cercò per tutte le vie più vicine, ma a mezzogiorno non aveva ancora trovato alcune traccia di lui. Così, si fermò per poco a metter sotto i denti qualcosa, in un bar vicino. Si ricordò, poi, di rispegnere il cellulare, cercando di far finta di ogni singola chiamata persa. Quando intravedeva una macchina che assomigliasse anche di poco a quella di sua madre, subito si affrettava a cambiare direzione, e solo allora il suo cuore riprendeva a battere regolarmente. 

Poi arrivarono le due di pomeriggio ed Avril era stanca. Aveva quasi smesso di camminare, fermandosi su ogni panchina. Decise di entrare nel parco, quello di Luke, Michael e Calum. Sembrava sempre tranquillo, nonostante i drogati. Perlomeno di facevano gli affari propri. 
Mentre avanzava, però, lo vide.
Era seduto proprio sulla panchina che occupavano i tre ragazzi. Li vedeva sempre lì, alla sera. Ed era per questo che, non appena era entrata, aveva guardato in quella direzione.
Solo che quella volta c'era Ashton. 
Gli si avvicinò e restò a guardarlo: aveva uno sguardo assorto, come se stesse esaminando qualcuno, ma non c'era nessuno. E aveva questi occhi che la riflettevano, contornati da un rossore. Aveva proprio una brutta cera.
"Ehi." esordì Avril.
Lui si girò e la guardò, ma senza dire nulla.
"Mi dispiace. Ho reagito così perché sono nervosa e tutto è una merda. Non sapevo cosa fare e odio quando la gente mi urla contro. Non volevo, davvero." 
Le sembrò di parlare troppo velocemente e si sentì una stupida. 
"Okay." 
"Okay?"
"Sì, è okay. Ti scuso, perché anche io ero nervoso e non ti ho trattata poi così bene." affermò, alzandosi dalla panchina.
La lasciò un po' interdetta. "Beh, va bene. Ma dove vai?"
"Dove vai tu." 
Successivamente, uscirono dal parco ed Avril aveva intenzione di andare a casa di Calum, per avvisare di aver trovato Ashton, e anche perché, effettivamente, non sapeva dove stare.
"Comunque, non mi sembra che tu stia bene." osservò Avril, continuando a percorrere il marciapiede.
Ci fu una pausa di silenzio di almeno cinque minuti e, quando pensò che Ashton non avesse più intenzione di aprire bocca, "Sono nervoso, in effetti." confessò.
"Me ne parlerai, un giorno?"
"Sì, penso di sì." 
Poi Ashton si ammutolì e restò così fino a quando non arrivarono a casa Hood.
"Oh mio dio." disse. "Oh mio... E' questa la casa?"
"Ti senti bene? Sì, è questa."
Avril pensava che Ashton, da un momento all'altro, avrebbe avuto un infarto. Non respirava più regolarmente, e quasi le ricordò Luke.
"Non penso di... Poter entrare." sentenziò infine, con gli occhi puntati sulla porta.
"Ma che ti prende? Senti, mi stai facendo preoccupare."
Ashton non parlò. 
Avril andò ad aprire la porta e lui le rimase di fianco, spostato un po' più indietro. Chiuse gli occhi e li riaprì più volte, sempre lentamente. 
C'era Calum, in quella casa. Ma ce n'era anche un'altra, di persona.
E questa era Luke.
C'era Luke e, nell'attimo in cui si voltò per il rumore della porta che si apriva, non guardò Avril.
Guardava Ashton. 








Hei people! 
Nali is back, yep. Mi sento parecchio diligente, perché ormai sono sempre puntuale, lmao.
Questo è il capitolo più lungo di tutta la storia, ma non potevo fermarmi, perché volevo che finisse in questo modo.
Veniamo al dunque: all'inizio mi sembrava proprio un capitolo depresso. Avril disperata, Avril che sta per uscire fuori di testa. E quando ricorda ogni cosa di Luke, mi fa un po' di pena. E allora entra in scena Ashton, che la consola a modo suo. 
Anche lui ha una doppia personalità: allegro/nervoso. Ma la accompagna lo stesso a Sydney.
Sydney.
Un ritorno voluto ma, come ogni comune mortale, anche Avril ha una coscienza, e lei ce l'ha completamente sporca. Sydney sembra diversa, senza Luke. Si sente. E c'è bisogno di Calum, per mettere ogni pezzo a posto. Io li amo, quei due. Li amo troppo. 
Volevo dirvi che arriverà anche il trailer di questa storia.
E che non manca molto alla fine di Two.
Il banner è sparito, okay. Tornerà presto ahah.
Quindi, niente, come sempre vi ringrazio. Spero non smettiate di recensire e ora credo di poter andarmene :)
Ciao belle xx

il mio twitter: funklou
quello di Martina: danswtr

http://ask.fm/AnnalisaSanna
  
Leggi le 35 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: funklou