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Autore: Josie Walking_Disaster Vengeance    06/01/2014    1 recensioni
Quelle erano parole che andavano bene insieme, certo. Un nome femminile e una canzone a seguito, che era più una dichiarazione d'amore. Ma se quelle parole fossero state dedicate a qualcun altro? Se al posto di un nome femminile ce ne fosse stato uno maschile, sarebbero andate bene comunque?
[McLennon]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Saaalve, gente di efp :) Un piccolo avviso: questa è la prima McLennon che scrivo, quindi spero di non aver sconvolto i personaggi o fatto qualche altro disastro simile! E' che adoro troppo questa coppia e non ho saputo resistere :3 Non ho altro da aggiungere,  in caso troviate errori non esitate a dirmelo, anche ricontrollando spesso purtroppo mi sfuggono! Ah, e scusate se in alcuni punti è un po' strana (capirete avanti) ^^"
 Buona lettura!
Peace, Love & McLennon.

 

 

 

 

 

 

 

Michelle.



La casa di Londra che i quattro amici e musicisti, meglio conosciuti come Beatles, dividevano insieme durante il periodo delle registrazioni era silenziosa, disturbata solo dal suono incerto di una chitarra.
John era perso nei suoi pensieri mentre guardava  le dita dell'amico scorrere e pizzicare le corde della sua chitarra acustica. Era qualcosa di vagamente ipnotizzante, di bello da guardare.
Bello. Non riusciva a trovare altri aggettivi quando si trattava di Paul. E, per diamine, John era un artista, uno scrittore, persino un poeta se vogliamo. Seriamente non riusciva a trovare un aggettivo migliore quando si trattava di descrivere il suo più caro amico?
Non fraintendiamoci, John non intendeva "bello" nel senso più semplice della parola, non era solo un fatto fisico. Certamente Paul era molto affascinante, con quei capelli e occhi scuri in perfetto contrasto con la sua delicata pelle bianca. Lo era, niente in contrario. Ma John intendeva il senso più ampio di quella parola. Paul era bello nel suo intero: era bella la sua risata, la sua gentilezza, la sua apparente delicatezza, il sorriso. Ma in lui erano belli anche quei tratti che a qualcuno avrebbero fatto storcere il naso: la sfacciataggine, la determinazione fin troppo pressante, il suo essere talvolta seccato e infastidito e l'incapacità di non riuscire a non mostrarlo. Era una bella persona, in generale. Di qualsiasi cosa si trattasse. 
John lo aveva sempre pensato e aveva trovato molto particolari questi sentimenti nei suoi confronti. Fra i due c'era sempre stata sintonia, sin dai primi momenti, e John aveva imparato a convivere con quelle sensazioni senza farsi poi troppe domande, tanto erano inutili. Era così e basta.
Ogni tanto si ritrovava comunque a pensarci, ma quel giorno la sua mente era occupata in altro modo. Se "altro modo" si poteva definire, perché il centro dei suoi pensieri finiva comunque per riguardare lui.
Paul era alla scrivania, piegato sulla sua chitarra, impegnato a creare e ridefinire la melodia e le parole di "Michelle", una canzone che trovava particolarmente dolce, soprattutto cantata dalla sua voce. In ogni caso non era questo ciò che teneva la mente di John occupata. Il fatto era che Paul continuava a sbagliare. Certo poteva capitare a volte, un momento di distrazione o il non calcolare bene la posizione delle dita, ma in quel momento Paul stava facendo davvero un disastro. Sbagliava gli accordi, le dita pizzicavano le corde sbagliate, le parole non volevano saperne di uscire.
 Dopo esser rimasto a osservare attentamente i lineamenti contratti dell'altro e le sue continue imprecazioni di frustrazione, John decise di avvicinarsi e di andargli in soccorso.
-Si può sapere che diamine combini?- chiese con la sua solita schiettezza.
Paul fece un leggero balzo sulla sedia e alzò lo sguardo.
-Non ti avevo visto arrivare.
John sorvolò sul fatto che era nella stanza da più di venti minuti, poteva risultare alquanto inquietante.
Comunque fece stridere una sedia sul pavimento, facendo venire brividi di fastidio all'altro, e si sedette affianco a lui, prendendo in mano lo spartito che era appoggiato sopra il tavolo. I nomi degli accordi e le parole del testo erano coperti di scarabocchi e cancellature, tanto che si riuscivano a malapena a scorgere sotto quella tempesta d'inchiostro.
John strizzò gli occhi, cercando di leggere -non si capisce un bel niente qui- constatò.
Paul sospirò, massaggiandosi gli occhi -forse se mettessi quei dannati occhiali ogni tanto...
-Ehy, non c'entra nulla!- protestò -a parte il fatto che sono miope e non ci vedo da lontano, il problema qui è che hai pasticciato tutto.
-Sei venuto qui per dare una mano o per rimproverarmi?- sbuffò Paul che sembrava non essere proprio dell'umore adatto.
John posò il foglio sul tavolo. Aveva ragione. Voleva aiutare l'amico, non causare ulteriore frustrazione giudicando il suo modo di lavorare. Solitamente gli piaceva prenderlo in giro e stuzzicarlo, ma sapeva anche quando era il momento giusto per farlo.
Si perse qualche secondo a guardare quel viso: gli occhi erano chiusi, la pelle bianchissima sotto la lieve luce della sala. Ebbe l'istinto di posargli una mano sulla fronte e spostargli la frangia da sopra gli occhi, invece si sistemò meglio sulla seggiola e, infilatosi gli occhiali, prese nuovamente in mano lo spartito.
-Allora, qual è il problema?
-Il problema- fece Paul, riscuotendosi da quel suo attimo di meditazione -è che ho il ritornello e i versi principali, ma non ho idea di come collegarli- concluse portandosi entrambe le mani a disordinarsi i capelli.
Gli mostrò nello spartito le parti a cui si riferiva e John lo sottopose ad attenta osservazione.
Le prime due strofe si adattavano perfettamente: la prima parte veniva cantata in inglese e la seconda era praticamente uguale alla precedente, con l'aggiunta del fatto che una frase era stata trasformata in francese. Poi si aggiungeva un'altra strofa.
-Cantamela, per favore.
Paul prese in mano il foglio e cominciò a cantare, con voce così bassa che sembrava più un sussurro. John dovette avvicinarsi di più per sentirlo e quasi si distrasse a guardare quelle labbra rosa e carnose che si muovevano seguendo le parole, ma poi si impose di concentrarsi.
Nel momento in cui terminò le due strofe però, Paul si bloccò. C'erano altri versi scritti sotto i precedenti, che andavano "That's all I want to say until I find a way, I will say the only words I know that you'll understand"
John corrugò la fronte. In effetti non andavano bene. O meglio, c'era qualcosa che mancava. Le parole andavano bene, ma avevano bisogno di essere collegate alla strofa precedente.
John cominciò a perdersi nella sua stessa mente, assorto, e per qualche minuto non si sentì alcun rumore al di fuori dei loro respiri.
-I love you, I love you, I love you.
Paul sobbalzò, guardandolo appena intimorito.
-C-cosa?
John inclinò la testa leggermente di lato.
-Le parole- disse semplicemente, ma Paul continuava a guardarlo confuso.
-Pronto, Paul?- fece, schioccando una delle sue dita sulla fronte dell'altro, che ammiccò più volte -le parole per la tua canzone!
Paul rimase qualche altro istante in silenzio, la bocca semi-aperta e poi si riprese, come se stesse tornando alla realtà -Oh. Certo!
Distolse lo sguardo e per un po' non osò staccarlo dal foglio, a cui aggiunse le nuove parole. Una volta terminato, riprese a canticchiare, seguendo la nuova versione.
Continuò a fissare ancora quel foglio e poi si voltò verso il più grande.
-Sono perfette. Grazie, John.
John gli sorrise, contento di essere stato d'aiuto. Paul ora sembrava più tranquillo, ma qualcosa nei suoi occhi gli diceva che non era pienamente soddisfatto.
John inarcò un sopracciglio -sei sicuro che vadano bene? Perché possiamo cambiarle se vuoi.
-No, non c'è problema, vanno benissimo- fece Paul e si alzò in piedi facendo un gran rumore nello spostare la sedia -Ora però credo sia ora che andiamo a dormire- continuò, guardando l'orologio appeso al muro, che segnava la mezzanotte passata -buonanotte, John.
-Aspetta, Paul, che succede?
Ma Paul era già sparito oltre la soglia della stanza, lasciando John confuso più che mai, lo spartito ancora fra le mani.




Una volta uscito dalla sala ed aver lasciato John indietro, Paul entrò nella sua camera e si chiuse la porta alle spalle, appoggiandosi con la schiena ad essa.
Sospirò e si passò una mano fra i capelli. La giornata era stata abbastanza pesante: l'uscita per il nuovo album era stata fissata e le canzoni andavano scritte in fretta, per questo i quattro componenti della band avevano passato l'intera giornata nella casa di Londra, intenti a cercare di tirar fuori qualcosa. Ma non era per questo che Paul si sentiva così stanco, quasi spossato. Il vero motivo era la troppa vicinanza con John che comportavano quelle giornate, tanto che quel giorno era stato così distratto da non riuscire ad azzeccare una nota.
Esatto, perché James Paul McCartney era fottutamente innamorato di John Winston Lennon. Non era una cosa nuova, ormai erano passati anni da quando lo aveva capito, un po' meno da quando lo aveva finalmente accettato. Il problema non era tanto il fatto che John fosse un uomo. Al diavolo quello, Paul si sentiva libero di poter vivere la sua vita privata come più voleva. Il problema era che lui era il fottutissimo John Lennon. Non riusciva a capire dove veramente fosse il problema, ma sapeva che risiedeva esclusivamente nella sua persona. John era la persona più meravigliosa che avesse mai incontrato nella sua vita e non era mai riuscito a scacciare via quel pensiero, per quanto ci avesse provato in passato.
Paul guardava John e si domandava come facesse ogni essere umano che egli incontrava a non innamorarsi perdutamente di lui. Nella sua mente era inconcepibile. Perché, andiamo, John era John e Paul non aveva mai conosciuto una persona che fosse riuscita a trascinarlo in quel modo, a rubargli tutti i pensieri, tutte le emozioni e a farle sue. Perché ormai era così: John era padrone di ogni suo pensiero, di ogni sua emozione. Tutto finiva  inevitabilmente per indirizzarsi nella sua direzione e dopo anni di tentativi inutili, Paul aveva smesso di combattere.
Si ritrovava a fissarlo incantato e a non riuscir a spostare lo sguardo dal suo viso. Se qualcuno se ne fosse accorto lo avrebbe etichettato come un fottuto maniaco. Ma Paul faceva sempre molta attenzione che ciò non accadesse. Soprattutto per quanto riguardava il diretto interessato.
Solo che a volte era troppo. Rimanere a lungo nella stessa stanza con lui, in particolare se erano soli, poteva diventare molto difficile. Trovava il stargli distante, fisicamente doloroso. E questo era il vero problema: non riusciva a stargli vicino e non riusciva a stargli lontano. Paul si sentiva come se John fosse un buco nero e lui un povero corpo celeste che, per caso, si era avvicinato troppo e veniva risucchiato verso di lui. Solo che al posto di trovarci il vuoto, in John trovava tutto.
Con questi pensieri che gli frullavano per la testa, Paul trascinò i piedi e si gettò di peso sul letto. Quando il rumore di qualcosa che veniva accartocciato attirò la sua attenzione, si rese conto che si era portato dietro lo spartito senza neanche farci caso.
Rimase qualche istante a fissare quelle scritte, in particolare quelle parole che aveva aggiunto John.
I love you, I love you, I love you.
Era proprio questo che Paul avrebbe voluto dirgli. Glielo avrebbe ripetuto all'infinito, senza mai stancarsi.
Strinse le mani chiuse a pugno sul foglio, portandoselo più vicino al petto, al cuore. Avrebbe voluto rimanere qualche minuto  in più cosciente, a pensare e fantasticare su come avrebbe potuto essere la sua vita se solo avesse avuto più coraggio. Se solo ne avesse avuto un pizzico di più.
Ma la giornata era stata davvero pesante e si ritrovò fra le braccia di Morfeo nell'istante in cui chiuse gli occhi.
Non sapeva ben dire quanto tempo fosse passato, ma quando li riaprì, Paul si ritrovò nella stessa identica posizione in cui si era addormentato. Si tirò su a sedere e notò che era andato a dormire completamente vestito, non avendo avuto le forze. Tutto era esattamente come prima, tranne che per una cosa: Paul era sicuro di essersi addormentato con lo spartito della canzone fra le mani, ma ora sembrava non essercene traccia. Smosse le coperte e i cuscini, ma niente. Si alzò e si piegò per controllare se fosse sotto il letto, ma non era neanche lì. Si rimise in piedi grattandosi la nuca confuso, ma nel momento in cui si tirò su, i suoi occhi catturarono un'immagine di sfuggita.
Si voltò e sbarrò gli occhi: di fronte la porta della sua camera si trovava una ragazza, vestita di quella che sembrava una vestaglia da notte bianca, molto elegante. Aveva biondi capelli e occhi nocciola. Il suo sguardo e il suo sorriso erano così dolci che Paul non ne ebbe paura.
-Chi sei?- chiese quando finalmente ritrovò l'uso della voce. Le parole rimbalzarono nella stanza.
-Non mi riconosci?- domandò enigmaticamente la ragazza.
Paul fece per scuotere la testa, ma poi notò il foglio che stringeva fra le mani e le parole fuoriuscirono senza che potesse controllarle. Come se la risposta fosse già sua.
-Michelle? La Michelle della canzone?
Per tutta risposta la ragazza sorrise.
Poi la verità colpì Paul, ma lo colpì in modo leggero, delicata come una carezza: stava sognando. Ed era con molta probabilità una delle cose più bizzarre che gli fossero capitate. Solitamente quando si accorgeva di star sognando si svegliava dopo pochi istanti, ma ora si sentiva perfettamente in equilibrio all'interno del sogno.
-Sono qui perché credo che noi due dovremmo parlare- fece lei, e assunse una posa di rimprovero, le mani appoggiate sui fianchi.
-Parlare di cosa?
-Della canzone che hai scritto. A chi ti sei ispirata per scriverla, Paul?
Paul deglutì. Tutte le canzoni che scriveva erano ispirate ad un'unica persona. Era così da anni.
-E' John- disse, sapendo che non poteva sfuggire o nascondersi questa volta.
-Se è una canzone per John, perché l'hai chiamata "Michelle"?- domandò, ma la voce non era di rimproverò era gentile, quasi materna.
-Può essere di John anche se l'ho chiamata Michelle- rispose Paul, sulla difensiva.
Michelle sorrise.
-Certo che può esserlo. Ma non credi che almeno dovrebbe sapere che la canzone è per lui?
Paul scosse ripetutamente e velocemente la testa, come non faceva da quando era bambino.
-No, no, no! Non posso!
-Perché non puoi?
Paul chiuse gli occhi. Perché non poteva? Si era ripetuto i motivi milioni e milioni di volte nella sua testa, ma ora nessuno di quelli sembrava sensato abbastanza.
-E' il mio migliore amico- sparò, senza pensarci.
-E se è il tuo migliore amico non credi che avrebbe il diritto di sapere?
Paul si portò una mano fra i capelli e si sedette sul letto. Michelle lo raggiunse e gli posò una mano sulla spalla.
-Finirei per rovinare tutto- disse infine.
-Rovinare cosa?
-La nostra amicizia.
-Potresti avere più di questo.
Quando alzò lo sguardo, Paul incontrò quello di Michelle.
-Lo pensi davvero?- domandò, più curioso che rassegnato.
-Chi riuscirebbe a resistere se una canzone così bella gli venisse dedicata?
Paul, suo malgrado, sorrise. La voglia che aveva di parlare con John era sempre stata tanta e aveva sempre pensato che alla fine glielo avrebbe detto, solo che continuava a rimandare ad un futuro più lontano. Che fosse quella la volta giusta? Lo avrebbe voluto con tutto il cuore, ma era ancora così pieno di dubbi.
Paul pensava, immerso nella sua testa e Michelle cominciò a intonare la melodia della canzone. Della sua canzone che aveva scritto per John.
Quella melodia, quella dolcezza. Lo devastavano. E lui non voleva, lui voleva amarla quella canzone.
Poi la ragazza cominciò a cantare le parole, la voce leggera come una nuvola:
-Michelle, ma belle, these are words that go together well.
Quelle erano parole che andavano bene insieme, certo. Un nome femminile e una canzone a seguito, che era più una dichiarazione d'amore. Ma se quelle parole fossero state dedicate a qualcun altro? Se al posto di un nome femminile ce ne fosse stato uno maschile, sarebbero andate bene comunque? 
La sua mente ormai era partita al seguito di quei pensieri, che si facevano sempre più intensi, sempre più forti. E man mano che il suo pensare aumentava, la sua attività cerebrale si faceva più veloce. I suoi sensi si allertavano e la voce di Michelle si affievoliva. La vide rivolgergli un ultimo sorriso. Dopo pochi istanti Paul si svegliò.
Gli ci volle qualche minuto per capire che aveva appena sognato. Si strofinò gli occhi e si guardò intorno. Tutto era uguale, ma non c'erano tracce di ragazze bionde e, cosa più importante, lo spartito era tornato fra le sue mani. Aprì e spiegò il foglio come meglio poteva, dopo che lo aveva accartocciato inconsciamente durante il sonno. Lo lesse un'ultima volta e poi si alzò. Uscì dalla camera e i piedi lo portarono istintivamente ad attraversare il corridoio per dirigersi nella spaziosa sala.
Aprì la porta e gettò un'occhiata dentro: John si era addormentato su di una poltrona accanto al fuoco. Col cuore che gli martellava nel petto per via di quello strano sogno ancora così vivido nella mente, si avvicinò e posò delicatamente una mano sul braccio dell'uomo, attento a non svegliarlo e notò che tremava leggermente. Spostò lo sguardo alla sua destra e vide che il fuoco nel camino era ormai spento ed era rimasta solo qualche brace, incandescente ma non sufficiente per riscaldare l'ambiente. Fece per tornare sui suoi passi per andare a cercare una coperta che lo potesse riscaldare, ma Paul si sentì bloccare per un braccio.
-Paul, che fai qui? Che ore sono?- chiese John, la voce impastata, mentre si svegliava e si tirava un po' più su sulla poltrona -devo essermi appisolato.
Paul gli sorrise dolcemente -direi di sì. Ma stai congelando, vado a prenderti una coperta.
Fece un passo in direzione della porta, ma di nuovo si sentì strattonare.
-No, vieni qui- gli disse John, facendogli spazio sulla poltrona.
Per qualche attimo Paul rimase interdetto sul da farsi, il cuore che minacciava di scoppiargli in petto per la prospettiva di quella vicinanza. Ma alla fine cedette al suo istinto e gli si sedette accanto. Lo spazio però era così piccolo che Paul si ritrovò quasi sopra a John, incastrato in un contorto abbraccio quando quest'ultimo portò le sue braccia intorno alla vita del più giovane per scaldarsi, o almeno così pensò Paul.
John affondò il naso nell'incavo del collo di Paul, che sospirò nel sentire quanto caldo fosse il contatto con la pelle della guancia dell'altro. Non resistette: portò una mano ad accarezzargli la pelle e rimasero così per un po'.
-Perché sei andato via in quel modo prima?- chiese John, la voce bassa nonostante ormai fosse più che sveglio.
-I-Io...- cominciò Paul non sapendo bene come continuare la frase, ma John intervenne in suo aiuto.
-Non importa. Ma non devi farlo mai più- disse, stringendolo ancora un po' di più a sé.
-Me lo prometti, Paul? Mi prometti che non scapperai mai più da me, qualsiasi sia il problema?
A questo punto John lo guardava fissò negli occhi. Erano alla stessa altezza e Paul non riusciva a scappare a quello sguardo.
-Me lo devi promettere Paul, non penso che ce la farei senza di te, non scappare mai.
Paul si addolcì alle parole dell'altro. 
-Te lo prometto, John. Ma tu farai la stessa cosa? Rimarrai con me qualsiasi cosa succeda?
John si avvicinò e strofinò il naso sulla sua guancia -Mhmm- annuì in consenso, gli occhi chiusi.
-John?- lo chiamò Paul, la voce leggermente tremante -hai detto che non te ne andrai mai, vero?
John inspirò piano -L'ho detto.
-Qualsiasi cosa succeda?
-Ho detto anche questo.
-Allora sappi che devo fare una cosa. E secondo quello che hai detto sei obbligato a non scappare.
John alzò lo sguardo incuriosito e incatenò gli occhi a quelli di Paul. Quest'ultimo portò delicatamente una mano sul viso del più grande e decise che quello era il momento giusto per avere quel pizzico di coraggio in più. Chiuse gli occhi e la successiva cosa che sentì furono le labbra di John premute sulle sue, calde e morbide, come se le era da sempre immaginate, ma mille volte meglio, mille volte più vere. Quante volte aveva immaginato di farlo? E ora si ritrovava nel minuscolo spazio che poteva offrire quella poltrona, così vicino e intrecciato a John che poteva sentire il calore del suo corpo nonostante i vestiti. Nella sua testa esplosero fuochi d'artificio, incurante del pensiero che John avrebbe potuto non gradire, avrebbe potuto allontanarlo e scansarlo. Quel pensiero però non era contemplato e non c'era bisogno di farlo, perché qualche istante dopo Paul sentì cingersi i fianchi dalle braccia dell'altro, che cercava di avvicinarlo a sé più di quanto fosse umanamente possibile. John rispose e approfondì il bacio, portò una mano fra i capelli disordinati di Paul e li strinse. Paul era sicuro che se in quel momento non fosse stato seduto le sue gambe avrebbero ceduto.
Quando in fine si staccarono, unicamente per guardarsi negli occhi, John aveva quel suo sorriso da strafottente che Paul amava. Paul lo amava, Dio, se lo amava.
-Non sei scappato- disse, stupidamente, un sorriso sul volto. Si sentiva sciocco, ma non poteva farne a meno.
-Che ci devo fare. Ho promesso.
-Solo per quello, quindi?- lo provocò.
-Assolutamente sì. Sarei scappato a gambe levate!
Paul gli diede un pugno scherzoso sul braccio.
-Ehy, vacci piano! Con questo ci devo suonare.
-Tu suoni con le braccia?- interrogò Paul, ridendo.
-Con le mani, che guarda caso sono attaccate alle mie braccia!
Paul scosse la testa. I discorsi con John inevitabilmente finivano per prendere sempre una piega bizzarra. Non poteva comunque fare a meno di sentirsi al settimo cielo, ma  se pensava a tutti i dubbi che aveva avuto fino a quel pomeriggio... aveva perso un sacco di tempo e questo non sarebbe riuscito a perdonarselo. Voleva essere felice, ma finì per incupirsi un po' e John l'aveva notato.
-Paulie... che c'è?- chiese John, alzandogli il mento fino a fargli incontrare il suo sguardo.
Paul scosse la testa -avrei voluto farti capire prima... tutto questo.
John lo scrutò attentamente -era dovuto a questo il tuo strano comportamento di stasera?
Paul sarebbe rimasto sbalordito dal modo in cui il più grande riusciva a leggerlo come un libro, ma era così sin da quando si erano incontrati.
-Mi spiace di averti trattato in modo brusco... ma tenersi tutto dentro per così tanto tempo... semplicemente non riuscivo più a reggere- disse, lo sguardo basso.
John lo strinse in un abbraccio e con la mano prese ad accarezzargli i capelli, con estrema dolcezza. Non voleva che stesse più male, mai più.
-Non sarà più così, Paul.
Paul portò le braccia intorno al collo di John, affondando in quell'abbraccio.
-L'ho scritta per te- sussurrò e lo strinse più forte -le ho scritte tutte per te.
A John era quasi mancato il respiro a quell'idea. Era meravigliosa e spaventosa allo stesso momento.
Continuò ad accarezzare i capelli all'altro e incominciò a intonare la melodia di quella canzone che tanto li aveva fatti dannare quel pomeriggio.
Avvicinò le labbra all'orecchio di Paul, arrivando a sfiorarlo.
E gli sussurrò, cantando.
-I love you, I love you, I love you.

 

 

 

 

 

   
 
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