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Autore: MarySmolder_1308    06/01/2014    4 recensioni
Sequel di "Friendzone?" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2098867)
L'amore non è mai facile.
In amore non sempre tutto è rose e fiori, ci sono i problemi.
L'amore ci rende felici, tristi, fortunati, devastati; ci consuma, ci consola, ci risolleva, ci distrugge, ci pervade, ci fa perdere il senno, ci fa agire d'istinto.
Mary e Ian stanno per riconciliarsi, quand'ecco un'auto giungere.
Ian scansa Mary.
L'auto lo travolge.
Dal mezzo esce una donna, che spara a Mary.
Nina guarda impietrita e terrorizzata.
Abbiamo lasciato i nostri protagonisti a quello che poteva essere il "lieto fine", a quella che poteva essere finalmente una riconciliazione, dopo tanti litigi e fraintendimenti; ma qualcosa è andato storto.
Chi è questa donna?
Perché ha agito in questo modo?
Ian e Mary sopravviveranno?
Continuate a leggere, perché l'amore vi/ti mostrerà ogni cosa.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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POV Nina
Mi risvegliai di soprassalto, toccando d’istinto l’altra parte del letto, la Sua parte.
Era vuota.
Lui non c’era.
Quello che avevo vissuto la sera precedente era successo davvero. Non era stato un semplice sogno.
Assolutamente no. Io conserverò questi tre anni sempre nel mio cuore, lo prometto”
“Ti amo”
“Anch’io”.

Strizzai gli occhi pizzicanti e mi toccai inconsciamente le labbra.
Riuscivo a percepire ancora il suo sapore.
Riuscivo ancora a percepire le sue labbra sulle mie, così morbide, così…
Scossi la testa violentemente.
Non dovevo pensare che quello era stato il nostro ultimo bacio.
Non dovevo pensare che quello era stato il nostro ultimo ‘ti amo’.
Non dovevo piangere.
Non dovevo e non volevo.
Fu tutto inutile.
Le lacrime cominciarono a scendere sulle lenzuola bianche, mentre il mio petto era scosso da singhiozzi.
Non riuscivo a credere che fosse finita.
Come avrei fatto ad andare avanti?
Come avrei fatto ad andare a lavoro, a uscire di casa?
Mi presi il volto tra le mani.
Ero persa.
Definitivamente.
Sospirai, mentre lasciavo le lacrime scorrere lungo le mie guance, brucianti sotto il loro flebile e veloce tocco.
Scesi dal letto e indossai le pantofole, stringendomi le braccia.
Da sola.
Andai al piano di sotto, mentre l’oscurità mi faceva compagnia.
I miei piedi non facevano rumore. Ero silenziosa, come un felino.
E a proposito di felini… cercai con gli occhi, abituatisi al buio, la mia compagna fidata.
La trovai dopo poco. Lynx dormiva in salotto sul divano.
Era così dolce e così serena.
Al contrario della sua padrona in quel momento.
Andai in cucina e guardai l’orologio.
Erano solo le quattro del mattino.
Aprii il frigorifero e presi il latte. Non appena lo richiusi, notai una foto in particolare, tra le tante che avevo attaccato.
La foto ritraeva me, Ian e Mary il giorno del suo compleanno.
Ricordavo perfettamente quando l’avevamo scattata.
Mary ci aveva appena dato i biglietti gratis per il centro benessere e, contenti, avevamo chiesto ad Austin di farci una foto.
Austin aveva preso volentieri l’Iphone di Ian e in un attimo, ecco la nostra prima foto.
Tutti e tre insieme.
I nostri volti erano sorridenti e felici.
Asciugai le lacrime nuovamente sgorgate con il dorso della mano, prima che bagnassero la foto.
Dovevo smetterla di piangere.
Non ero un’adolescente. Ero una donna.
Dovevo risollevarmi, camminare a testa alta.
Una rottura non poteva condizionarmi e segnarmi per sempre.
Dovevo essere forte.
Ma…
Come si poteva essere forti in momenti simili?
Come si poteva non piangere, pensando a quei tre anni andati in fumo, così, in un niente?
Passai una mano tra i capelli, togliendoli dal viso.
Purtroppo non era stato un niente a far finire tutto.
Era stata la gelosia. Verso tante donne.
Verso lei.
Lei, sempre sorridente, così altruista, così timida.
Lei, sempre pronta ad aiutare, così semplice, così spontanea.
Mi morsi il labbro inferiore.
Provai una grande rabbia nei suoi confronti.
Mollai un pugno al bancone.
“Ti dovrebbe succedere qualcosa” biascicai, guardando il suo volto sorridente nella foto.
 
“Niki!”.
Tornai con i piedi per terra.
Joseph era accanto a me, in piedi, che mi scrollava le spalle.
“Joseph” sussurrai.
Mi alzai di scatto e lo abbracciai forte.
“Così mi stritoli, Niki” mormorò mestamente al mio orecchio.
Lo strinsi di più e continuai a singhiozzare.
“Niki, calmati! Vedrai che i colleghi di Mary salveranno la vita a entrambi”
“N-n-non capisci, n-non capisci”.
Sciolsi l’abbraccio e mi presi il volto tra le mani, nascondendomi per la vergogna.
“Che succede?”.
Riuscivo a percepire lo sguardo preoccupato di Joseph su di me.
Come potevo spiegargli l’enorme colpa che era emersa?
Mi prese per le spalle, cautamente, con delicatezza, come se stesse toccando la porcellana più rara tra tutte, e mi fece accomodare sulle sue gambe.
“Cos’è che non capisco?”
“Io ho fatto una cosa brutta”
“Cos’hai fatto?”
“Quando io e Ian ci siamo lasciati ero in pessime condizioni. Piangevo praticamente sempre a casa e-e”
“E? Non hai fatto niente di brutto, è normale essere così dopo una rottura”
“E ho desiderato che a Mary succedesse qualcosa di brutto. L’ho desiderato con tutto il mio cuore, con tutta la mia mente, con tutte le mie forze. E ora una psicopatica le ha sparato!” tirai su con il naso.
“Ti senti in colpa per un pensiero omicida che hai fatto quasi cinque mesi e mezzo fa, mentre eri arrabbiata e frustrata per il post-rottura?”.
Annuii, portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro.
“Niki, oh, dolce Niki! Non devi sentirti in colpa! Secondo te tutto questo è successo per colpa tua? Non è assolutamente così. Purtroppo queste cose succedono. Succedono e basta”.
Joseph lasciò che nascondessi il mio volto nell’incavo del suo collo, finché una voce, rotta dalle lacrime non ci destò.
“Com’è successo?” disse singhiozzando.
Uscii fuori dal mio nascondiglio e guardai Jessica.
Aveva gli occhi azzurri gonfi e arrossati.
Paul la teneva saldamente.
“Una psicopatica credeva che Ian fosse davvero Damon e voleva che stesse con me e non con Mary e… e voleva farla fuori, investendola, credo. Ian, però, non so come, l’ha salvata e la macchina ha preso lui in pieno. La psicopatica, non soddisfatta, ha sparato a Mary” le spiegai con tono spento.
“Tutto ciò è assurdo” singhiozzò più forte, trovando rifugio tra le braccia del marito.
“Lo so” sussurrai.
La mia voce sembrava morta. Priva di ogni tipo di vita.
“Avete avvisato Butch?” chiese Joseph.
“Sì – rispose Paul – Avete avvisato la famiglia?”
“Ci ha pensato una collega di Mary”
“Capisco – annuì – Avanti, Jess, accomodiamoci” le sussurrò dolcemente all’orecchio.
“No, io non… non posso, noi” lasciò cadere la frase, guardandolo e sgranando quei suoi meravigliosi occhi.
“Jess, non possiamo fare niente. Meglio accomodarsi, su”
“Ok” Jessica sospirò.
Si sedettero vicino me e Joseph.
“In che trauma center sono?” chiese Paul.
“Non lo so, li hanno portati dentro prima che entrassi” risposi.
Dopo qualche attimo di silenzio mi alzai.
“Niki, dove vai?” mi domandò Joseph apprensivo.
“Ho bisogno di un caffè. Torno subito” accennai un sorriso.
Andai verso la macchinetta del caffè, in fondo al corridoio a destra.
Stavo per arrivare a destinazione, quando vidi Ian e Mary essere trasportati verso gli ascensori.
“Mi scusi – mi rivolsi d’un tratto agitata a un’infermiera – Dove li stanno portando?”
“In sala operatoria, signorina”
“Sala operatoria? Ma cos’hanno? Sono gravi?”
“Lei è una parente?”
“N-no, un’amica” balbettai.
“Allora non posso fornirle queste informazioni, mi dispiace” fece per andarsene, ma la bloccai.
“La prego, ho assistito all’incidente, devo sapere”
“Posso solo dirle che non hanno delle ferite lievi e che l’uomo è più grave. Mi dispiace di non poterle dire altro” disse mortificata e si allontanò.
Presi il caffè meccanicamente e tornai in sala d’attesa.
“Niki, che succede?” Joseph fu al mio fianco in un attimo.
“Li ho visti. Li stavano portando in sala operatoria. L’infermiera ha detto che”
“Che?” Jessica mi incitò a continuare.
“Che Ian è più grave” abbassai lo sguardo, bevendo un sorso di caffè.
 
Afferrai il mio Iphone e cercai tra i contatti Robyn.
“Che vuoi fare, mh?” Ian fece capolino dalla mia spalla, abbracciandomi da dietro.
“Voglio chiamare tua sorella e avere informazioni sul tuo angelo custode”
“D’accordo. Che hai in mente?”
“Di rintracciarla”
“L’avevo intuito. E poi?”
“Di ringraziarla. Uh, e magari invitarla a uscire” lo guardai con la coda dell’occhio.
“Chiederle di uscire? Lei con noi? Vuoi farla morire d’infarto, per caso?”
“No, certo che no! Però, non ti ha investito, ti ha accudito per una notte intera con discrezione, ha permesso la nostra riconciliazione, mi sembra il minimo che possiamo fare in confronto a quello che ha fatto lei. E, dato che so quello che stai pensando, rispondo subito: no, un caffè non è abbastanza”.
Ian scoppiò a ridere e mi fece la linguaccia.
“E Robyn sia” alzò le braccia al cielo in segno di resa.
“Ehi, non ho detto che potevi togliere le mani”
“Mi scusi, signorina Dobrev” sghignazzò e mi abbracciò nuovamente.
Risi anch’io e composi il numero di Robyn.
 
Ian guidava la sua Audi rilassato, con la fronte finalmente distesa, dopo giorni e giorni di discussioni e litigi.
Chiunque fosse quest’angelo custode, era entrato nelle mie grazie. Anzi, entrata.
“Robyn ha detto che ora dovremmo svoltare a destra” dissi, indicando a Ian un incrocio.
“Agli ordini” scalò la marcia e imboccò la prima strada a destra.
Dopo qualche minuto, giungemmo in un cortile.
La casa che avevamo davanti era splendida.
Una casa semplice, di color bianco sporco, a due piani, sommersa dagli alberi.
Come aveva fatto una specializzanda del terzo anno a guadagnarsi una meraviglia simile?
Ian parcheggiò vicino a una Land Rover Freelander 2 azzurra metallizzata.
Che fosse l’auto dell’angelo custode?
Sempre più sorpresa, scesi dall’auto con l’aiuto di Ian.
Ci avvicinammo al portico e suonammo.
Dei passi veloci percorsero il pavimento.
Si sentì uno scatto, poi la porta si aprì.
Ne uscì una donna normale, con indosso un’enorme e deforme felpa blu notte e dei jeans stretti. Aveva il volto radioso, seppur stanco; i capelli castani, lunghi, ricci, che le ricadevano disordinatamente sulle spalle; gli occhi, incorniciati da un paio di occhiali neri, castani e verdi in perfetta armonia all’interno di quelle iridi, sgranate per la sorpresa; le guance un po’ arrossate; le labbra rosee spalancate.
Era rimasta imbambolata.
L’avevamo shockata?
“Ian mi ha detto che devo ringraziare te per la sorpresa e… per aver evitato che qualcuno lo investisse – accennai un sorriso e strinsi la mano di Ian – Perciò, grazie”.
Speravo sentisse quel ringraziamento.
Veniva dal profondo del mio cuore, tutto per lei, Maria Chiara Floridia.
 
“Nina”
“Sì?” guardai Joseph, tornata in me.
“Tutto ok?”
“Sì, pensavo a – lasciai cadere la frase e scossi la testa – Lascia perdere. Dimmi”
“Mary è appena uscita dalla sala operatoria”
“Che ore sono?”
“Sono quasi le otto”
“E’ stata dentro per quasi tutto il pomeriggio?”.
Joseph annuì.
“E Ian?”
“Non si sa ancora niente”
“Capisco. Joseph, vado a vedere Mary. Se ci sono novità, di qualsiasi tipo, chiamami, ok?”
“Non vuoi che ti faccia compagnia?”.
Feci no con il capo.
“Voglio andare da sola”
“D’accordo, Niki” mi diede un bacio sulla fronte.
Mi alzai e andai al bancone delle infermiere della terapia intensiva, terzo piano.
“Mi scusi, ho saputo che la dottoressa Floridia è uscita dalla sala operatoria. Si è svegliata?”
“Ancora no, ma l’operazione è andata bene, quindi credo che presto riaprirà gli occhi”
“E’ possibile vederla? Io ho assistito all’incidente e-e”
“Ma certo, stanza 1308”.
Sorrisi per la coincidenza. Il numero della stanza era l’unione dei loro giorni di nascita.
“Grazie mille”
“Signorina Dobrev, posso chiederle un favore?”
“Sa che io sono” mi spiazzò.
“Ma certo, è molto famosa – l’infermiera accennò un sorriso – Le chiedo solo di non rilasciare interviste. Fuori dall’ingresso principale della struttura è pieno di giornalisti, che vogliono notizie sulle condizioni di Mary, relativamente, e soprattutto di Ian. Il capo Richardson sta cercando di guadagnare tempo e di far calmare le acque, perciò se lei può contribuire”
“Certamente! Non andrei mai in un momento simile a parlare con loro – le presi una mano – Grazie per avermi detto il numero della camera” sorrisi un’ultima volta. 
Quando mi avvicinai alla stanza giusta, un medico mi fermò.
“Signorina Dobrev, giusto?”
“Sì, sono io”
“Sbaglio o non è una familiare della dottoressa?” mi chiese.
“Infatti, sono solo un’amica”
“Allora non può stare qui”
“La prego, lei… lei la conosce, non ha nessun parente qui, mi permetta di restare” lo supplicai.
“D’accordo” sussurrò lui, passandosi una mano tra i capelli corvini.
“Chiedo troppo se le chiedo le lesioni di Maria Chiara e Ian?” domandai.
“In teoria sì, ma dato che al momento non c’è nessuno per loro… Maria Chiara aveva un lieve trauma cranico e maggiori danni nell’addome, dove la pallottola l’ha colpita. Sono stati danneggiati fegato, pancreas, colecisti e persino il rene sinistro, la pallottola l’ha sicuramente colpita in modo obliquo; ma, nonostante qualche difficoltà, siamo riusciti a stabilizzarla. Inoltre, aveva una lieve lussatura, perciò l’ortopedico le ha aggiustato la spalla destra. Per il signor Somerhalder la situazione è più grave. Ha un trauma cranico più esteso, delle costole rotte, il polmone destro danneggiato, un paio di vertebre incrinate e il femore sinistro fratturato . Lo stanno ancora operando, perciò non so dirle di più”
“Rischiano la vita?”
“Maria Chiara no, a meno che l’emorragia causata dalla pallottola non riprenda. Il signor Somerhalder…” il medico lasciò cadere il discorso.
Fu chiamato da un’infermiera e si congedò in fretta.
Mi sedetti accanto a Mary e cominciai a piangere.
Le stetti accanto, stringendole la mano, fin quando non vidi arrivare Rose e Steve.
Rose mi si avvicinò.
“Nina” mi toccò una spalla.
“Sì?” mi voltai a guardarla.
“Paul, Jessica, Joseph, Paul e Torrey sono di là con la famiglia di Ian. Se vuoi andare da loro” mi sussurrò.
“Sono arrivati anche gli altri?”
“Sì, ma stanno aspettando in sala d’attesa”
“L’operazione di Ian si è conclusa?” chiesi.
“Proprio adesso” Rose sorrise amaramente.
I suoi occhi erano gonfi. Aveva sicuramente pianto di nuovo.
Annuii vagamente e uscii da quella stanza.
Guardai l’orologio, erano quasi le dieci. Ero stata in compagnia di una Mary addormentata per quasi due ore.
Sbloccai la tastiera dell’Iphone e chiamai Joseph per sapere dove fossero di preciso.
Mentre camminavo verso la stanza, in cui Ian era stato sistemato, guardai fuori da una finestra.
Era buio ormai.
La luna splendeva serena nel cielo, accompagnata dalle sue fidate stelle.
Qualche lampione illuminava flebilmente il cortile principale dell’ospedale.
Tutto sembrava così ordinario, così normale.
Ma non lo era. Affatto.
Come si poteva ritenere normale una cosa del genere?
Le lacrime uscirono nuovamente dai miei occhi.
L’unica colpa che aveva avuto Mary era stata quella di innamorarsi di Ian.
“L’amore, però, è una cosa bella. E’ quel sentimento che fa svegliare al mattino con la voglia di vedere l’altro, respirarlo, stringerlo, viverlo; è quel sentimento che fa disperare, quando le cose non vanno. Quando si urla, quando le parole e le lacrime vanno a braccetto. E’ il sentimento per eccellenza, è il più altruista, è il più gentile, è il più devastante, è il più amato, è il più odiato. Come può l’amore muovere una persona a tentare un omicidio? Come può l’amore portare a tutto questo?” pensai, prendendomi il volto tra le mani.
Asciugai le lacrime con un fazzoletto striminzito e proseguii il mio cammino.
Quando la mamma di Ian mi vide, mi corse incontro.
“Hanno messo Ian in coma farmacologico in attesa che si stabilizzi. Ma com’è successo?” disse tra i singhiozzi.
“Una donna…” fu tutto ciò che riuscii a dire e la strinsi forte.
Non me la sentivo di dirle che il figlio era stato investito perché quella pazza credeva fosse davvero un vampiro con capacità auto-curative.
Mentre ero ancora stretta in un abbraccio con Edna, vidi Robyn uscire dalla stanza di Ian.
“Robyn” sussurrai.
Edna sciolse l’abbraccio e guardò la figlia.
“Sembra sereno, come se stesse dormendo – mormorò colei che una volta era stata mia cognata; poi si rivolse a me – Nina, posso chiederti una cosa?”
“Ma certamente” annuii, sperando non mi chiedesse la dinamica dell’incidente.
“Joseph mi ha detto che eri nella stanza di Mary”
“Sì” confermai, avvicinandomi al mio ragazzo.
“E come sta?”
“Dicono che l’operazione sia andata bene, ma sono rimasta in sua compagnia per ben due ore e non si è svegliata. Non si è nemmeno mossa. Spero non sia una cosa negativa” conclusi mormorando e abbassai lo sguardo.
 
“Nina, stiamo andando a prendere un caffè. Vuoi venire?” Edna mi sorrise mestamente.
Guardai il volto sereno di Joseph dormire sulla mia spalla.
Annuii a Edna e, scostatami lentamente per non svegliare Joseph, mi alzai.
Andammo in mensa. Ordinati i caffè, ci accomodammo a un tavolo, vicino al televisore, posto in alto vicino al bancone.
Stava andando in onda il telegiornale serale.
“Passiamo ora a una notizia che ha scioccato moltissime persone nel mondo. Tutti i social network stanno impazzendo, strapieni di preghiere per l’attore trentaquattrenne Ian Somerhalder, che all’ora di pranzo ha avuto un brutto incidente. Abbiamo intervistato alcune persone che si trovavano nei dintorni, sentiamo il servizio”.
Apparve il cameriere che ci aveva servito il pranzo.
Guardando il giornalista, disse: “Ian era a pranzo con la sua collega, Nina. Improvvisamente è uscito, non so per quale motivo, e poi è avvenuto l’incidente”.
Fu ripresa una donna anziana.
“Una donna lo scuoteva e urlava il suo nome. Sembrava disperata”.
Il giornalista intervistò una giovane donna.
“La donna che l’ha investito ha poi sparato alla donna che ha cercato di soccorrerlo, che aveva i capelli ricci e castani. Credo fosse proprio la sua nuova compagna. Stavo per chiamare l’ambulanza, quando mi sono accorta che altri l’avevano già chiamata”.
Il piccolo servizio terminò e fu inquadrato nuovamente il giornalista in studio.
“Abbiamo intervistato in serata anche il Capo di chirurgia dell’ospedale, il dottor Craig Richardson, per conoscere le condizioni dell’attore e della sua compagna”
“Il signor Somerhalder e la dottoressa Floridia hanno subìto un’operazione difficile questo pomeriggio. Entrambe le operazioni hanno avuto successo. Al momento si trovano tutti e due in terapia intensiva. La dottoressa Floridia non si è ancora svegliata, ma è stabile. Il signor Somerhalder è stato messo in coma farmacologico per stabilizzare la sua condizione. Questo è tutto ciò che posso dirvi su entrambi. Arrivederci” il Capo parlò con professionalità e si allontanò in fretta, mentre i giornalisti lo inseguivano con i microfoni.
Degli uomini della sicurezza, però, li bloccarono.
Vidi la donna al bancone scuotere amaramente la testa e cambiare canale.
Anche lei aveva gli occhi un po’ gonfi.
Tutti in quell’ospedale volevano bene a Mary.
Sospirai e sorseggiai un altro po’ di caffeina, tenendo lo sguardo basso.
Non osavo guardare Edna, Bob e Robyn in faccia in quel momento.
“Nina, scusami” una voce flebile e dolce attirò la mia attenzione.
Mi voltai.
Rose e Steve erano in piedi accanto a me.
“Dimmi”
“Non vorrei disturbarti, capisco che vuoi stare con i tuoi colleghi e i familiari di Ian, però” Rose sospirò, non riuscendo a continuare la frase.
“Però Mary è sola. Siamo state con lei fino a ora, ma purtroppo sono arrivati dei feriti al pronto soccorso e dobbiamo tornare a lavoro e la sua famiglia non è ancora arrivata. Un’ora fa ci hanno chiamato, dicendoci che erano all’aeroporto di Londra. Stanno sicuramente per prendere il volo e questo vuol dire che impiegheranno tutta la notte per venire, anzi, di più. Perciò ci chiedevamo se”
“Se tu potessi farle un po’ di compagnia. Di nuovo. Non per tutto il tempo. Non appena uno tra noi due – Rose indicò sé stessa e Steve – si libera, o anche altri nostri colleghi, veniamo e le teniamo noi compagnia”
“Sì, certo” annuii.
“Grazie” dissero entrambi riconoscenti e se ne andarono, diretti al pronto soccorso.
Guardai Edna, Bob e Robyn un po’ mortificata.
Stavo per parlare, quando Robyn mi bloccò: “Vai e non preoccuparti. Non è giusto lasciarla sola. Se ci sono novità, ti faccio sapere”
“D’accordo. Grazie” accennai un sorriso e uscii dalla mensa.
Entrai nella stanza di Mary.
C’era un silenzio inquietante, rotto costantemente dai segnali dell’elettrocardiogramma.
Ah, anche l’intervento di Mary era stato difficile e non si era ancora svegliata. La guardai dormire beatamente e mi avvicinai. Era così serena. Sembrava che niente potesse farle del male. Chissà come avrebbe preso la notizia di Ian. Le sfiorai una mano. In quell’esatto momento le sue dita si mossero.
 
POV Mary
La campanella suonò.
Tutti ci alzammo, mostrando così il nostro rispetto al professore in uscita.
La prima ora era andata. Avanti la seconda!
Ci catapultammo tutti fuori dalla classe, come consuetudine, per bighellonare in giro per i corridoi.
Improvvisamente, vedemmo la professoressa di italiano e latino arrivare.
“Ragazzi, tutti dentro! Se ci vede, è la fine” pronunciai quelle parole velocemente.
Subito rientrammo tutti, accomodandoci ai nostri posti.
“Buongiorno, ragazzi” esordì la professoressa, chiudendo la porta.
Dopo aver posato i suoi libri e le sue borse, si assicurò che fossimo tutti presenti, dopo di che si avvicinò alla lavagna e prese un gessetto.
Scrisse due parole, poi si rivolse a noi con un sorriso a trentadue denti.
“Sapete che parole sono? Le conoscete?”.
Le guardai.
Ovviamente.
“Carpe diem. Cogli l’attimo” dissi.
“Esatto, Maria Chiara. Bene, ragazzi. Oggi parleremo proprio di quest’ode di Orazio. Ho scelto questo testo non solo perché è una delle sue odi più famose, ma perché racchiude in sé uno degli insegnamenti più importanti per la vita di una persona. Sigilla al suo interno l’augurio che personalmente posso fare a tutti voi, che vi state affacciando alla vita solo ora”.
Detto questo si accomodò.
Letto il testo latino, ci guardò.
“Chi vuole tradurlo?”.
In classe scese il silenzio. Non importava che si facessero lezioni noiose o appassionanti, i miei compagni si ammutolivano, non appena si chiedeva loro di interagire. Fare qualcosa.
Sentii il richiamo di quel ‘Cogli l’attimo’ e alzai la mano timidamente.
“Maria Chiara – la professoressa mi sorrise – avanti, traduci”
Tu non chiedere, non è lecito saperlo, quale termine gli dei abbiano assegnato a me, a te, o Leuconoe, e non tentare i calcoli babilonesi. Come è meglio sopportare tutto quello che accadrà! Sia che Giove ti abbia assegnato ancora molti inverni, o che questo sia l’ultimo, che ora su opposte scogliere fiacca il mar Tirreno, sii saggia, filtra il vino e contieni la tua lunga speranza entro un breve spazio. Mentre parliamo, il tempo, invidioso, è già volato via: cogli l’attimo, facendo il meno possibile affidamento su quello che verrà”
“Benissimo. Secondo te cosa vuol dire?”.
Quella domanda mi spiazzò.
Quel testo mi aveva scosso.
Mi aveva provocato delle emozioni, che decisamente non potevo condividere con i miei compagni di classe. Per quanto li amassi, loro non potevano comprendere certi aspetti di me, certe mie sfaccettature. Non avevano il tempo per scavare dentro di me e conoscermi del tutto. Perlomeno la maggior parte di loro.
Come poteva la professoressa chiedermi di mettermi a nudo così?
Mi agitai sulla sedia, a disagio.
“Professoressa, io non” abbassai lo sguardo, non riuscendo a continuare la frase.
“Oh, so benissimo cosa stai per dire: ‘Professoressa, io non so cosa dire, mi vergogno a parlare’ e così via. Beh, devi superare questa timidezza. E, soprattutto, devi dirmi cosa pensi di quest’ode. Su! Non voglio ripetertelo un’altra volta” concluse con un tono di voce più stridulo.
“D’accordo – annuii lievemente con la testa e alzai lo sguardo – Secondo me quest’ode è ricca di significato, soprattutto oggi. Ai giorni nostri, infatti, ciò che ciascun uomo fa maggiormente è ‘dare per scontato’, perché crede che tutto resterà sempre così e com’è, che niente cambierà mai; ma non è così. Ci sono persone che non hanno da mangiare e che non hanno molti vestiti e noi sprechiamo tutto così, non curandoci di questi dettagli, dandoli, appunto, per scontato. Il problema è che non lo si fa solo con i beni materiali, ma  anche con le persone. Spesso e volentieri molte persone non si curano di coloro che gli stanno dietro, che li amano così come sono e che non cambierebbero neanche una virgola di quello che sono. Non si rendono conto che un giorno potrebbero perderle. E, dicendo questo, non sto andando fuori tema, perché credo che quello che Orazio ci voglia insegnare è che non bisogna sprecare il tempo. Non bisogna dare tutto per scontato, perché in un attimo le cose cambiano. La tua vita può mutare così velocemente, che non te ne rendi nemmeno conto. E poi diventi un cumulo di ricordi e rimpianti vivente. E poi ti penti di molte tue azioni e cominci a non andare più avanti con la tua vita, perché rivivi costantemente nel passato, come un giradischi rotto, che ripropone sempre lo stesso stralcio di canzone. E anche questo è sbagliato. Orazio ci insegna che bisogna imparare a vivere pienamente ogni istante che la vita ci offre. Ti manca una persona? Diglielo. Ami qualcuno? Dichiarati. Vorresti correre sulla spiaggia durante un giorno di pioggia? Fallo. Fai tutto ciò che desideri, esponi tutto ciò che vuoi dire da sempre, fai in modo di non rimpiangere niente, perché la vita è troppo breve per essere vissuta in questo modo. Non possiamo trascorrerla aggrappandoci alle cose sbagliate. Dobbiamo fare le cose che amiamo, abbracciare le persone che amiamo e dir loro quanto le amiamo, perché un giorno potremmo non essere più nella posizione di farlo. E i rimpianti potrebbero attanagliarci lo stomaco e impadronirsi di noi e non lasciarci più. Ecco cosa penso che significhi quest’ode. Ecco cosa penso che significhi il ‘Cogli l’attimo’”.
 
Mi sentivo aleggiare nell’aria, senza vincoli, senza ostacoli, senza paure. Era come essere distaccati dal resto del mondo, catapultati in un mondo bianco e puro. Che posto era quello? Come ci ero arrivata? E perché mi trovavo lì?
Provai con ogni singolo neurone a ricordare. All’inizio continuai a vedere quella luce bianca calda, serena e avvolgente, poi i ricordi mi invasero, come dei potenti lampi.
Accecanti.
Dolorosi.
La chiamata a Ian.
I nostri passi, l’uno verso l’altra.
Un rumore.
Una macchina.
Ian al suolo, incosciente.
Sentivo ancora le mie urla di dolore trapanarmi le orecchie.
Poi un altro rumore, stavolta più pomposo.
E poi me a terra.
Il sangue.
Ah già, quella donna mi aveva sparato.
Mentre metabolizzavo ancora quelle informazioni amare, cercando di capire se ci si sentiva così leggeri e tranquilli quando si affrontava la morte, sentii un tocco.
Mi toccai la mano sinistra incredula.
Allora capii. Non ero morta. Stavo ancora lottando per me.
Risposi automaticamente a quel tocco così affettuoso e familiare e, senza alcuna previsione, riuscii finalmente ad aprire gli occhi.
La stessa figura, che avevo visto prima di svenire, mi sorrideva. Il suo sguardo era brillante, felice, sollevato, ma nonostante ciò, si intravedevano tocchi di tristezza nel gonfiore e nel rossore dei suoi occhi.
“N-nina?” farfugliai, mettendola meglio a fuoco.
“Sì, sono io. Ti sei svegliata” disse felice.
“Dove sono?” sussurrai.
“Sei in ospedale. Hai avuto un brutto incidente, ricordi?”
“S-sì. D-dov’è I-ian?” chiesi ancora debole, guardando lievemente a destra e a sinistra.
Non c’era. Eravamo sole.
Nina si paralizzò, poi cominciò a guardarsi intorno, evidentemente agitata.
“Ecco, Ian…” cominciò a balbettare.
Andai nel panico.
“Dov’è Ian?” la mia voce si spezzò e sentii i miei occhi velarsi di lacrime.
“Ian è in coma farmacologico”.
Fu come essere colpita da un treno, un aereo, un accetta, un’altra pallottola, uno squalo. Tutto quanto contemporaneamente.
Era in coma farmacologico. Significava che il cervello doveva essere protetto. Aveva danni cerebrali consistenti.
“Cosa? No!” urlai con voce strozzata.
Cominciai a divincolarmi nel letto. Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene, pulsare febbrilmente nelle orecchie e nelle tempie.
Il monitor della pressione segnalò un aumento vertiginoso, le bende cominciarono a bagnarsi di sangue. Inizialmente Nina tentò di bloccarmi, ma, non riuscendoci, fu costretta a chiamare qualcuno.
“Mary, calmati” disse l’infermiera Carol.
“No, devo andare da Ian, è tutta colpa mia, devo andarci! Lasciami andare, ti prego” continuai a urlare straziata tra le lacrime.
Carol dovette sedarmi, per evitare che mi facessi ancora del male.
Nonostante lottassi per oppormi al sedativo, questi vinse.
Il mio corpo smise di obbedirmi e si accasciò beatamente sul letto. Le urla si placarono, lasciando il posto a dei singhiozzi sommossi. Non appena mi calmai definitivamente, Carol chiamò il dottor Ross, che suturò nuovamente la mia ferita.
Usciti entrambi, anche Nina si diresse verso la porta per uscire dalla mia stanza.
“Ti prego, resta. Non voglio restare da sola” sussurrai scossa.
“D’accordo” tornò indietro e si sedette al mio fianco.
“Mi sento una stupida. In queste settimane non ho fatto altro che aggredirlo e farlo stare male, gli ho persino detto di tornare da te! E ora… lo sto perdendo e tutti quei litigi e quelle urla e quelle parole mi sembrano così senza senso. E… e” non riuscii a continuare.
Mi strinse la mano e rispose: “Non dire così. Non sta per”
“Ti invidio, sai? Tu hai passato con lui i suoi ultimi giorni”
“Mary, no! Quelli che abbiamo passato insieme non sono i suoi ultimi giorni. Lui si sveglierà e starà bene! Dobbiamo crederlo insieme, sperare insieme”.
Il suo tentativo di infondermi coraggio non stava funzionando benissimo, nonostante lo facesse con tutta sé stessa.
Guardandola, mi resi conto che non avevo ancora avuto occasione di parlarle seriamente, dopo tutto quello che era successo.
“Carpe diem”
“Cosa?” mi guardò confusa.
“Nina”
“Sì?”
“Io devo dirti una cosa. E’ una cosa che ho sempre pensato, ma che non ho mai detto ad alta voce. E’ una cosa che ti devo”
“Mary, di che parli?”
“Nina, mi dispiace. S-s-scusami se mi sono innamorata di lui – dissi con fatica – Quando mi sono resa conto di amarlo, mi sono sentita un verme. Mi sono vergognata di me stessa. Tu mi reputavi tua amica e io pure e, davvero, ho cercato di tenermi tutto dentro per non farti del male, perché tenevo a te e ci tengo tuttora. Credimi, ci ho provato con tutta me stessa, anche dopo che l’ho lasciato andare. E’ stata la cosa più difficile e più distruttiva che io abbia mai fatto, in tutta la mia vita. Ma forse non ci sono riuscita. Scusami, davvero”.
Nina sgranò i suoi grandi occhi e in pochi secondi cominciò a piangere.
“Non volevo farti piangere” dissi in fretta e cercai di alzarmi, ma me lo impedì.
“Non sforzarti! Anch’io tengo a te e non hai niente da scusare. Ricorda queste parole, Mary, imprimile nella tua mente e non dimenticarle mai: noi non possiamo scegliere di chi innamorarci. L’amore… l’amore accade e basta. Mary, non è colpa tua se ci siamo lasciati. Sono convinta che, anche se non ci fossi stata tu, questa rottura sarebbe avvenuta ugualmente. C’era una spaccatura, che, quando Ian ti ha conosciuto, era già profonda ed evidente. Non è colpa tua” mi sorrise.
Restò a parlare con me per un altro po’, poi uscì per lasciarmi riposare.
Prima di riaddormentarmi stanca, sorrisi per la discussione che avevamo appena avuto.






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Note dell'autrice:
Mi dispiace non aver aggiornato prima, ma domani riapre la scuola e ho dovuto studiare. Certo, non ho studiato molto, ma pazienza, non si può ottenere tutto dalla vita ahahah
Comunque, ecco qui il capitolo 2.
I flashback continuano, vedendo che sono piaciuti nel 1° capitolo, ho deciso di metterli anche in questo capitolo. Spero vi siano piaciuti e vi abbiano aiutato anche stavolta a capire di più.
Mary si è finalmente svegliata, mentre Ian è in coma farmacologico. Si stabilizzerà presto?
Mary e Nina si sono riconciliate. Scrivendo questa scena ho sospirato di sollievo. Finalmente! Era dal capitolo 13 di "Friendzone?" che aspettavo di scrivere questa scena. Nessun momento precedente mi è sembrato più adatto di QUESTO!
Carpe diem, right? ;)
Spero che il capitolo sia piaciuto e spero di aggiornare presto.
Ringrazio chi mi lascia recensioni, chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite e ringrazio anche i lettori silenziosi.
Come vi avevo detto nelle note precedenti, avevo intenzione di creare un gruppo.
Beh, l'ho creato: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Se vi va, iscrivetevi. Vi accetterò volentieri :3
Alla prossima,
Mary :*
  
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