Tutto il mio affetto e il mio
ringraziamento a 3ragon
che
ha caritatevolmente
acconsentito a farmi da Beta. Tutti uniti in un minuto di silenzio per
il suo ancora
presente coraggio!!
I’m
not a Murderer
06
Nel
segno dei gemelli
Con
uno
scatto che quasi non si aspettava, chiuse di colpo il libro che stava
leggendo
e lo scaraventò per la stanza, lasciando che sbattesse
contro il muro e
scivolasse a terra, la copertina staccata.
Una
settimana.
Il
periodo di tempo durante il quale faceva fatica a dormire e non ne
capiva il
motivo.
Infilandosi
le dita tra i capelli, Castor si tirò a sedere dal divano
dove era sdraiato e
borbottò qualcosa di inintelligibile mentre decideva se
alzarsi e andare a
mettere qualcosa sotto i denti o continuare ad oziare. Il lavoro non
stava
andando un granché bene.
D’altro
canto, il progetto che aveva messo in piedi con il fratello sembrava
andare a
gonfie vele. Una nuova linea di prodotti per la pelle – a cui
aveva lavorato
con gli scienziati affiliati all’Azienda. Come se a lui e a
Oscar servissero
altri soldi.
La
verità era che da quando suo nonno aveva lasciato il posto
al maggiore dei suoi
fratelli – Oscar per l’appunto – il
mercato era diventato una riserva di caccia
come non aveva mai pensato potesse essere.
Alimentari,
elettrodomestici, attrazioni, cosmetici e moda erano stati i nuovi
campi in cui
il colosso che già era la O’Connell si era mosso.
Quello stramaledetto Orion –
poteva aver anche cambiato nome, ma quando lo vedeva sorridere in quel
modo
arrogante e insofferente, vedeva in tutto e per tutto il ragazzo con
cui era
cresciuto – aveva una fottuta fortuna. O fiuto.
In
ogni
caso il suo lavoro –
quello di Castor,
che languiva in un placido, beneamato niente – si era fermato
e non vedeva
alcun segale di ripresa. Gli mancava la voglia di scrivere e tutte le
idee che
gli venivano in mente parevano scadenti e scontate.
Con
un gemito di insofferenza,
allungò una mano a terra e tastò alla cieca fino
a trovare il bordo del
quaderno – il primo oggetto lasciato cadere, prima di
prendere il libro che
aveva fatto la fine che aveva fatto. Lo sfogliò
distrattamente, rileggendo gli
appunti che aveva messo giù per il nuovo manoscritto. Era
quello che faceva –
da qualche anno a quella parte. Scriveva.
La
sua
prima pubblicazione risaliva a cinque anni prima. Era rimasto in cima
alle
classifiche e ancora oggi vendeva, fermo al settimo posto.
Il
secondo volume pubblicato era stato “Sleep
of Hearts generates Monsters”, che aveva ricevuto
addirittura un successo
maggiore di “Soul’s Color”.
Entrambi
trattavano di storie tormentate, intrighi e misteri che legavano e
riunivano i
protagonisti in torbide storie di gelosia e desiderio. Uno specchio
della
realtà, troppo spesso nascosta da luci colorate e annaffiata
nell’alcool.
Da
quel
momento era stato considerato l’astro nascente della
letteratura e sei mesi
prima aveva consegnato all’editore un terzo manoscritto
– un poliziesco, che
affondava le sue radici negli anni della Rivoluzione – che
prometteva di
diventare un altro più che discreto successo.
“Morgue Phantom”
era stato il titolo
provvisorio da lui scelto, ma probabilmente per ora della pubblicazione
effettiva lo avrebbe cambiato.
Ed
ora,
fermo da mesi, stava iniziando ad annoiarsi.
E
lui detestava annoiarsi.
Ma
al
momento non riusciva a pensare a nulla.
Erano
state poche le tracce e gli abbozzi di personaggi che gli erano venuti
in mente
e non serviva a niente rimanere a rimuginarci per ore quando il
risultato
ottenuto non era altro che un atroce mal di testa. E storie atrocemente
piatte.
Un uomo che in un momento di
pazzia aveva ucciso moglie e figli, aveva bruciato la propria casa ed
era
fuggito. Condannato a ricordare per sempre gli atroci crimini commessi,
si cava
gli occhi e vaga alla ricerca della pace senza riposarsi, senza
più riuscire a
prendere sonno. Le sue avventure e le persone che incontra durante il
suo
incessante errare. Mamma,
che allegria, gli faceva venire voglia di tagliarsi le vene.
Non
riusciva nemmeno a dormire.
Un’organizzazione stava
cercando di prendere il controllo del mondo grazie ad un farmaco
sperimentale –
spacciato per un vaccino. Gli effetti collaterali erano quelli di- che stronzata colossale, non
valeva nemmeno la pena di leggerla per intero. Come diavolo gli era
anche solo
passata per la mente?
Si
chiese se per caso non stesse covando un’influenza,
considerato il peso sempre
meno sopportabile che si sentiva allo stomaco.
Una creatura di un altro
pianeta che arriva sulla terra e capisce solo il linguaggio dei sapori,
perché
sono come le parole. Non parla e sente l’aria. Pura fantascienza.
Che
avesse mangiato qualcosa di avariato? Eppure era sicuro che i funghi
fossero
ancora freschi…
La tragedia di due gemelli
separati alla nascita, uno destinato alla grandezza e l’altra
alla perdizione.
Banale, banale, banale!
Sospirando
si apprestò a leggere l’ultima traccia, scritta
poco più di qualche giorno
prima.
Due persone sconosciute si
incontrano per caso e passano la notte insieme, lasciandosi per tornare
alle
loro vite la mattina successiva, sicure che non si sarebbero mai
rincontrate,
ma il caso volle che una delle due – detentrice di uno
spaventoso segreto – si
trovi coinvolta e debba fuggire dall’organizzazione per cui
lavora l’altra.
Solo
vagamente interessante, storse il naso, ma neanche lontanamente
realizzabile.
Quanti ne erano stati già scritti di quelli?
Poi,
improvvisamente, una fitta allo stomaco gli fece fare un collegamento
del tutto
inaspettato.
Maximillian.
Ricordarlo
rendeva la sua insofferenza più profonda. E non sapeva
spiegarsene il motivo.
Okay,
non era uno stupido e sapeva perfettamente con il modo in cui si erano
“non-salutati” era stato parecchio scortese
– da stronzi, aveva detto Clio – ma
non pensava avrebbe dato a quel ricordo un peso tanto grande.
Non
avrebbe voluto comportarsi tanto da stronzo, ma quando si era trovato
Clio in
cucina non aveva capito più niente. Era ancora arrabbiato
con lei e aveva
lasciato che quei sentimenti prendessero il sopravvento.
Non
le
aveva ancora perdonato la decisione di trasferirsi in Giappone
– Giappone, mica girato
l’angolo.
Era
arrabbiato con lei e per un attimo si era dimenticato dell’ospite
nell’altra stanza.
Almeno
fino a quando non se lo era trovato davanti mezzo svestito e con ancora
quell’espressione soddisfatta in volto e si era sentito a
disagio al pensiero
di doverlo scaricare, così aveva lasciato che Clio e Orion
si occupassero di
lui.
Era
stato inspiegabilmente fastidioso vedere l’espressione del
ragazzo diventare
spenta, ferita, per poi scoppiare in una rabbia incontrollata. Non
avrebbe mai
immaginato potesse avere così tante sfumature il suo animo.
La
prima volta che lo aveva visto, in quell’incontro casuale
nell’atelier di famiglia,
mentre stava
supervisionando la merce esposta, lo aveva trovato degno di attenzione.
Se ne
stava lì, circondato dai suoi amici e compagni che lo
prendevano in giro, con
quel broncio adorabile e quel sorriso che sembrava pronto a sbucare
fuori da un
momento all’altro… e aveva pensato che avrebbe
voluto averlo.
Lo
aveva puntato e affascinato.
Poi lo aveva avuto.
Era
come uno dei suoi soliti capricci, che lo prendevano il tempo
necessario e poi
lo lasciavano andare, tornando nei ranghi di indifferenza che gli erano
soliti.
Si aspettava esattamente quello che gli aveva dato:
l’eccitazione di una sera,
il corteggiamento e un divertimento temporaneo. Castor sapeva che non
sarebbe
stato niente di serio, e lo sapeva anche Max – glielo aveva
letto negli occhi,
quando lo aveva visto la mattina dopo – che stava cercando il
modo migliore per
andarsene senza chiasso.
Quello
che però non si aspettava di sentire – oltre
all’imbarazzo e ai segni dei morsi
– era il rifiuto e l’umiliazione da parte di tre
estranei.
Esattamente
come Castor non si sarebbe mai aspettato di sentire una morsa allo
stomaco.
Non
una
piacevole, come quando gli veniva fame o le montagne russe partivano a
razzo.
Era
stato come una tenaglia che gli afferrava la viscere e si divertiva a
girare e
rigirarsi su sé stessa.
Lo
aveva visto entrare in cucina con quell’espressione
scandalosamente candida e
imbarazzata – per non dire anche di cupida bramosia
– e Clio aveva parlato.
Impreparato, non aveva mosso un muscolo.
Forse
era quello a tenerlo sveglio? Senso di colpa?
Castor
era sempre stato considerato un genio – dalla famiglia, a
scuola e nel mondo
del lavoro – ed era abituato ad ottenere quanto desiderava.
E
quella notte l’aveva ottenuto – appagamento,
eccitazione e follia. Quindi
perché adesso doveva sentirsi così?
Chi
diavolo era Max?
E
perché se lo stava chiedendo?
Rimase
a fissare il vuoto per tutto il resto della mattinata, la ciotola di
cioccolato
fuso e melone che si era preparato per uno spuntino che si raffreddava
sul
pavimento.
°°°
Dire
che Tom si sentiva preoccupato sarebbe stato un eufemismo.
Mancavano
meno di sedici minuti all’inizio delle selezioni e si trovava
con una squadra
che più disastrata non sarebbe potuta essere. E nel giro di
quattro ore sarebbe
partita la prima batteria per le eliminatorie.
Sin
dal
momento in cui i ragazzi erano entrati in palestra – per il
consueto
riscaldamento prima di entrare in vasca, aveva avuto il sentore che
qualcosa
sarebbe andato storto.
Va
bene, dire il sentore magari non avrebbe reso
l’idea…
Appena
varcato l’ingresso, infatti, Jamie aveva afferrato il
materassino per
l’allenamento e si era posizionato tra la pressa e la
macchina per gli
adduttori, di modo da non essere affiancato da nessuno. Era poi stato
con sommo
sbigottimento che aveva visto il gemello scoccargli
un’occhiata irritata e
stendere il proprio accanto a Dorian.
Dorian!
Quello
tra tutti i membri della squadra che parlava di più e che
quel giorno non aveva
detto che un saluto.
Era
stata una scena a ridosso dell'apocalittico.
Mai,
e
si ripeté nella sua testa con rafforzata convinzione, mai aveva visto i gemelli Gordon vivere
niente meno che in
simbiosi.
Stava
giusto per chiedere cosa potesse essere successo tra i due quando
un'altra
visione del tutto insolita gli si era parata in fronte.
Bach,
ancora con la felpa addosso, che fissava i piedi mentre camminava.
Accigliato.
Tom
non
poteva dire di conoscerlo bene, non come gli altri ragazzi. Bach era
sempre
stato come un mistero per lui, un mistero avvolto in un altro mistero.
Un po’
come una donna. Lo aveva trovato complicato, machiavellico e facile
alle
provocazioni. Una sorta di teppista sofisticato e ammantato da una
patina di
superiorità.
Un
ragazzo difficile da controllare, ma bravo a controllarsi, entro i
propri
limiti.
Non
lo
aveva mai visto arrabbiarsi se non per motivi più che
validi, non lo aveva mai
sentito mentire preferendo una visione sincera del mondo, anche se
piuttosto
cinica. Sincerità radicale, così
l’aveva chiamata.
Non
lo
aveva mai visto perdere una discussione – o
quell’unica rissa a cui aveva
assistito quando ancora il ragazzo non faceva parte della squadra, ma
era solo
uno dei tanti candidati suggeriti da Brook, il quale glielo aveva
presentato
come un suo amico, un po’ problematico forse, ma capace.
Non
lo
aveva mai visto abbandonare l’espressione di sfacciata
indifferenza dal suo volto,
nemmeno nelle situazioni di tensione pre-gara.
Quella
era la prima volta che lo guardava e avvertiva che sì, di
fronte a lui c’era il
Bach Queen che Brook aveva imparato – a proprie spese
– a conoscere al tempo
della scuola. Qualcosa di muoveva dietro le pupille grigie.
Era
chiaramente incazzato. Lo
osservò allungarsi con una smorfia irritata e concludere la
serie di esercizi
in modo impeccabile e totalmente impersonale. Era evidente che la mente
fosse
altrove.
Nel
vederlo in quello stato, si era chiesto se per caso non centrasse
qualcosa con
i Gordon, ma il moro non lanciò nemmeno
un’occhiata a Joakim o Jamie,
continuando a fissare un punto davanti a sé.
Lionel,
l’unico che sembrava essere arrivato di buon umore, aveva
saggiamente deciso
sarebbe stata un’ottima idea starsene in silenzio invece di
fare battutine come
sempre – un po’ perché Dorian non aveva
ancora aperto bocca, dettaglio
catastrofico –, un po’ perché
l’umore era talmente tanto a terra che si era
lasciato influenzare.
Per
un
momento, l’allenatore si trovò a desiderare di non
aver concesso a Brook e Max
di precederli in piscina.
Magari
con la loro presenza calma e rilassante li avrebbero aiutati a
distendersi.
O
almeno era quello che aveva sperato nel precederli all’angolo
a loro assegnato
per la gara.
Mancavano
ancora quattro ore all’inizio ufficiale delle selezioni e gli
atleti cercavano
di occupare il tempo nel modo che ritenevano migliore. Quello era il
periodo
delle parole, delle interviste, delle preparazioni e
dell’accoglienza degli ospiti.
Le
batterie non sarebbero partire prima delle cinque.
Tom
osservò gli atleti avversari conversare con amici o parenti,
discutere o
ascoltare i rispettivi coach, oppure rimanere seduti in disparte ad
ascoltare
musica. C’era qualcuno che leggeva, chi continuava con il
riscaldamento
muscolare e chi era entrato in acqua per farsi qualche vasca in totale
relax.
Apparentemente
sembrava una giornata come un’altra –
nell’ambito delle gare, beninteso.
«Coach»
sentì una mano battere delicatamente sulla spalla e si
girò, vedendo Max
stargli di fronte con un asciugamano sulla spalla e con
un’espressione
stranamente rigida in volto.
«Tutto
bene, Maximillian?» chiese cauto. Pure lui no!
«Certo»
affermò scrollando una spalla noncurante
«perché?»
«Niente»
bofonchiò scettico, tornando a guardarsi intorno
«è solo che oggi mi sembra che
la squadra abbia qualcosa di strano».
«Vorrei
farmi qualche vasca» aggiunse Max, ignorando la sua ultima
uscita – elemento
che lo fece sospettare maggiormente «terresti il
tempo?»
«Certo»
assentì sfilandosi il cronometro dal collo e accendendolo,
in attesa con il
ragazzo di posizionasse sulla pedana per il tuffo.
Nel
vederlo chinarsi in avanti e sistemarsi, flettendo i muscoli allenati,
l’immagine della prima volta che lo aveva incontrato, anni
prima, si sovrappose
a quella presente, fondendosi in un ricordo a cui non pensava da tanto
tempo.
Fece
partire il tempo.
«Avanti Callagh, solo
un’occhiata, che ti costa?»
«Mi costa che ho da fare» aveva
borbottato, cercando inutilmente di scrollarsi di dosso quella vocina
petulante. Quella persona petulante.
France Swon era stato un
compagno di quadra alle scuole medie. Avevano gareggiato da bambini e
per un
qualche strano motivo la loro amicizia era durata in tutti quegli anni.
Soprattutto da parte dell’irritante biondino, si trovava in
quel momento a
mugugnare tra sé, allungando il passo nel goffo tentativo di
scollarselo di
dosso.
Era arrivato in città da un
giorno, e già era a quel punto.
Si erano incontrati per caso ad
un Internet Café e France si era dimostrato incredibilmente
felice di vederlo.
Anche troppo.
Il motivo?
Aveva scoperto quello che lui
definiva un nuovo talento. Un ragazzino indubbiamente scheletrico e
rinchiuso
nel proprio mondo che magari era un po’ bravo a nuotare.
France gli aveva
chiesto di fargli fare un provino per ammetterlo nella sua squadra.
That
bullshit.
«Senti, non ho dubbi sul fatto
che questo…»
«Maximillian» ci tenne a
ripetere l’amico tenendo il suo ritmo senza fatica. Maledetto
sportivo.
«Giusto, Max» aveva sospirato
seccato «dicevo, non ho dubbi sul fatto che sia
eccezionale-»
«Non è solo questo!» lo aveva
interrotto nuovamente, eccitato «È
un
autentico talento!»
«Appunto» aveva biascicato tra
i denti «comunque non ho più posto in squadra, le
selezione sono state chiuse
settimana scorsa».
«Ma devi assolutamente
vederlo!» aveva insistito gesticolando e piazzandosi davanti
a lui, deciso a
non farlo proseguire fino a quando non lo avesse ascoltato –
ed essersi
convinto che sì, doveva assolutamente dare
un’occhiata a quel prodigio.
«Io non devo proprio niente»
aveva sibilato seccato «adesso però fammi il
favore di tornartene da lui a
dirgli che no, non ho tempo né voglia di stare a guardarlo
annaspare a galla!»
«Veramente…»
«Mister Swon» una voce bassa e
acuta aveva attirato la sua attenzione, portandolo a guardare negli
occhi un
ragazzino che gli arrivava a mala pena al gomito.
«Maximillian» la voce
dell’amico si era ammorbidita, come quella di un maestro che
si rivolge al
proprio pupillo.
«Sarebbe lui?» Tom lo aveva squadrato
scettico.
Era basso per la sua età –
dodici anni, forse tredici? – e portava i capelli tagliati
cortissimi. Guance
morbide e spalle sottili e nervose.
Grandi occhi azzuro-grigi.
Un ragazzino normalissimo.
«Lei chi sarebbe?»
Eppure aveva un tono piuttosto
indisponente, per essere un frugoletto da poco svezzato.
«Lui è il Coach di cui ti ho
parlato, Tom Callagh, un mio vecchio amico» si era affrettato
a spiegare France
posandogli una mano sulla schiena, per farlo avanzare e mostrarsi
interamente.
Indossava un paio di pantaloncini a righe sottili e una maglia verde
scuro
slavata.
«Non la tratta molto da amico»
aveva mormorato il bimbo sospettoso, guardandolo dritto negli occhi.
Tom si era costretto ad
ammettere che, tutto sommato, almeno un po’ di fegato
sembrava averlo.
«Quindi tu saresti il
prodigio?» aveva commentato sarcastico, senza lasciar
intendere aver ascoltato
le sue ultima parole «Come ti chiami?»
«Maximillian Pollux, undici
anni» aveva risposto pronto, stringendo al petto –
solo ora se ne era reso
conto – un album da disegno. O forse un libro illustrato.
Fantastico, un
bambino.
«E dimmi, Maximillian Pollux»
aveva detto, nuovamente ironico «sei veramente
così bravo come ti si dipinge?»
Il bimbo aveva lanciato
un’occhiata perplessa a France, che gli aveva sorriso
incoraggiante, poi era
tornato a fissarlo.
«Per saperlo deve vedermi, no?»
Tom aveva fatto fatica ad
ingoiare lo stupore.
E quell’imbecille di France era
scoppiato a ridere.
Uno
schizzo d’acqua lo raggiunse, dandogli segno che Max si stava
avvicinando alla
meta.
Scuotendosi
dai ricordi, bloccò il cronometro, facendogli segno
positivo. Fatto.
Mentre
il ragazzo si sollevava sulle braccia per uscire dalla piscina, Tom si
distrasse a guardare gli altri ragazzi. Dorian e Brook sedevano
corrucciati con
il walkman acceso – in barba al fatto che Tom avesse sperato
nell’influenza
positiva del secondo per migliorare l’umore. Joakim alternava
occhiate al
gemello con la lettura di una pagina del fumetto che si era portato
dietro,
mentre Jamie stava confabulando qualcosa con Lionel, dandogli
ostentatamente le
spalle.
Bach
sedeva composto con la testa riversa all'indietro e il volto nascosto
dall’asciugamano, le spalle rigide a mostrare la sua
irritazione.
Stavano
dando chiaramente mostra di un esiguo coinvolgimento, gridando a tutti
gli
avversari che no, non erano affatto in forma. L’unico che
sembrava andare forte
e sul pezzo era Max, che aveva
appena
realizzato il tempo migliore dell’ultimo anno. Lo
guardò issarsi sul bordo
della piscina e afferrare un asciugamano per tamponarsi
l’acqua sul viso e sul
collo.
Un
campione nato di impegno e dedizione.
Peccato
solo avesse quell’espressione corrucciata e la fissa di
allenarsi senza freni
anche prima di una gara importante solo quando qualcosa nella sua vita
stava
andando storto.
La
prima volta in cui se ne era accorto era stata quando la sua ragazza lo
aveva
mollato. La seconda alla morte del padre e la terza – che
aveva sperato essere
l’ultima – quando era stato sfrattato, sette mesi
prima.
Lo
osservò passare oltre i compagni di squadra senza proferire
parola e infilarsi
nelle docce. Proprio in quel momento Bach alzò un lembo
dell’asciugamano lo
seguì con lo sguardo, scuotendo la testa.
Max
non
aveva aperto bocca, non aveva guardato nessuno negli occhi e,
soprattutto,
aveva una scia non poco sospetta di fioriture rosse sul collo, lungo la
spina
dorsale e un vecchio livido circolare sulla spalla.
Tom
fece scorrere lo sguardo tra Max e Bach, sospirò, e fece un
cenno per attirare
l’attenzione di quest’ultimo.
Devo parlarti,
gli sillabò prima di
dirigersi verso il pullman con cui erano arrivati.
La
preparazione pre-gara l’avrebbe fatta dopo.
…
Hi, quindi
eccoli
la situazione vista da un altro punto di vista… ci tenevo a
far valere anche la
voce della controparte bastarda perché, nonostante il
comportamento ecc, Castor
è uno dei personaggi che amo
di più… chissà come mai…
Direi
quindi anche che è arrivato
il momento di mettere il suo profilo, non credete?
Castor
O’Connell
Un
metro e settantatre, capelli castani tinti di rosso, occhi azzurro
intenso,
tipici della famiglia, apparentemente sottile, ma anche molto forte.
È un
autentico genio, tutto quello che fa gli viene in modo eccezionale.
Scrive da
anni e si è laureato contemporaneamente in letteratura
moderna ed economia. Non
vuole prendere in mano gli affari della famiglia, ma se è
necessario li aiuta,
poi torna alla sua vita di sempre.
Ha 24
anni.
baci
NLH