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Autore: aliasNLH    06/01/2014    2 recensioni
«Tu lo sai, vero, che quando un uomo compra dei vestiti alla propria ragazza, lo fa perché vuole toglierglieli personalmente?» mormorò, rispondendo finalmente all’interrogativo.
Max deglutì, improvvisamente accaldato per via del contatto di quella mano – per non dire altro, considerato il fatto che si trovava tra decine di corpi sudati e uno in particolare felicemente spalmato su di lui.
Molto felicemente, in effetti. Avvampò.
«M-ma… io non sono la tua ragazza» cercò di erigere una – blanda – difesa a quello che sembrava qualcosa di inevitabile.
«Questo è vero» gli sussurrò in risposta, sfiorandogli il lobo con le labbra «non sei una donna».
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Tutto il mio affetto e il mio ringraziamento a 3ragon che ha caritatevolmente acconsentito a farmi da Beta. Tutti uniti in un minuto di silenzio per il suo ancora presente coraggio!!



I’m not a Murderer

06
 
Nel segno dei gemelli
 
    Con uno scatto che quasi non si aspettava, chiuse di colpo il libro che stava leggendo e lo scaraventò per la stanza, lasciando che sbattesse contro il muro e scivolasse a terra, la copertina staccata.
    Una settimana.
    Il periodo di tempo durante il quale faceva fatica a dormire e non ne capiva il motivo.
    Infilandosi le dita tra i capelli, Castor si tirò a sedere dal divano dove era sdraiato e borbottò qualcosa di inintelligibile mentre decideva se alzarsi e andare a mettere qualcosa sotto i denti o continuare ad oziare. Il lavoro non stava andando un granché bene.
    D’altro canto, il progetto che aveva messo in piedi con il fratello sembrava andare a gonfie vele. Una nuova linea di prodotti per la pelle – a cui aveva lavorato con gli scienziati affiliati all’Azienda. Come se a lui e a Oscar servissero altri soldi.
    La verità era che da quando suo nonno aveva lasciato il posto al maggiore dei suoi fratelli – Oscar per l’appunto – il mercato era diventato una riserva di caccia come non aveva mai pensato potesse essere.
    Alimentari, elettrodomestici, attrazioni, cosmetici e moda erano stati i nuovi campi in cui il colosso che già era la O’Connell si era mosso. Quello stramaledetto Orion – poteva aver anche cambiato nome, ma quando lo vedeva sorridere in quel modo arrogante e insofferente, vedeva in tutto e per tutto il ragazzo con cui era cresciuto – aveva una fottuta fortuna. O fiuto.
    In ogni caso il suo lavoro – quello di Castor, che languiva in un placido, beneamato niente – si era fermato e non vedeva alcun segale di ripresa. Gli mancava la voglia di scrivere e tutte le idee che gli venivano in mente parevano scadenti e scontate.
    Con un gemito di insofferenza, allungò una mano a terra e tastò alla cieca fino a trovare il bordo del quaderno – il primo oggetto lasciato cadere, prima di prendere il libro che aveva fatto la fine che aveva fatto. Lo sfogliò distrattamente, rileggendo gli appunti che aveva messo giù per il nuovo manoscritto. Era quello che faceva – da qualche anno a quella parte. Scriveva.
    La sua prima pubblicazione risaliva a cinque anni prima. Era rimasto in cima alle classifiche e ancora oggi vendeva, fermo al settimo posto.
    Il secondo volume pubblicato era stato “Sleep of Hearts generates Monsters”, che aveva ricevuto addirittura un successo maggiore di “Soul’s Color”. Entrambi trattavano di storie tormentate, intrighi e misteri che legavano e riunivano i protagonisti in torbide storie di gelosia e desiderio. Uno specchio della realtà, troppo spesso nascosta da luci colorate e annaffiata nell’alcool.
    Da quel momento era stato considerato l’astro nascente della letteratura e sei mesi prima aveva consegnato all’editore un terzo manoscritto – un poliziesco, che affondava le sue radici negli anni della Rivoluzione – che prometteva di diventare un altro più che discreto successo.
    “Morgue Phantom” era stato il titolo provvisorio da lui scelto, ma probabilmente per ora della pubblicazione effettiva lo avrebbe cambiato.
    Ed ora, fermo da mesi, stava iniziando ad annoiarsi.
    E lui detestava annoiarsi.
    Ma al momento non riusciva a pensare a nulla.
    Erano state poche le tracce e gli abbozzi di personaggi che gli erano venuti in mente e non serviva a niente rimanere a rimuginarci per ore quando il risultato ottenuto non era altro che un atroce mal di testa. E storie atrocemente piatte.
    Un uomo che in un momento di pazzia aveva ucciso moglie e figli, aveva bruciato la propria casa ed era fuggito. Condannato a ricordare per sempre gli atroci crimini commessi, si cava gli occhi e vaga alla ricerca della pace senza riposarsi, senza più riuscire a prendere sonno. Le sue avventure e le persone che incontra durante il suo incessante errare. Mamma, che allegria, gli faceva venire voglia di tagliarsi le vene.
    Non riusciva nemmeno a dormire.
    Un’organizzazione stava cercando di prendere il controllo del mondo grazie ad un farmaco sperimentale – spacciato per un vaccino. Gli effetti collaterali erano quelli di- che stronzata colossale, non valeva nemmeno la pena di leggerla per intero. Come diavolo gli era anche solo passata per la mente?
    Si chiese se per caso non stesse covando un’influenza, considerato il peso sempre meno sopportabile che si sentiva allo stomaco.
    Una creatura di un altro pianeta che arriva sulla terra e capisce solo il linguaggio dei sapori, perché sono come le parole. Non parla e sente l’aria. Pura fantascienza.
    Che avesse mangiato qualcosa di avariato? Eppure era sicuro che i funghi fossero ancora freschi…
    La tragedia di due gemelli separati alla nascita, uno destinato alla grandezza e l’altra alla perdizione. Banale, banale, banale!
    Sospirando si apprestò a leggere l’ultima traccia, scritta poco più di qualche giorno prima.
    Due persone sconosciute si incontrano per caso e passano la notte insieme, lasciandosi per tornare alle loro vite la mattina successiva, sicure che non si sarebbero mai rincontrate, ma il caso volle che una delle due – detentrice di uno spaventoso segreto – si trovi coinvolta e debba fuggire dall’organizzazione per cui lavora l’altra.
    Solo vagamente interessante, storse il naso, ma neanche lontanamente realizzabile. Quanti ne erano stati già scritti di quelli?
    Poi, improvvisamente, una fitta allo stomaco gli fece fare un collegamento del tutto inaspettato.
    Maximillian.
    Ricordarlo rendeva la sua insofferenza più profonda. E non sapeva spiegarsene il motivo.
    Okay, non era uno stupido e sapeva perfettamente con il modo in cui si erano “non-salutati” era stato parecchio scortese – da stronzi, aveva detto Clio – ma non pensava avrebbe dato a quel ricordo un peso tanto grande.
    Non avrebbe voluto comportarsi tanto da stronzo, ma quando si era trovato Clio in cucina non aveva capito più niente. Era ancora arrabbiato con lei e aveva lasciato che quei sentimenti prendessero il sopravvento.
    Non le aveva ancora perdonato la decisione di trasferirsi in Giappone – Giappone, mica girato l’angolo.
    Era arrabbiato con lei e per un attimo si era dimenticato dell’ospite nell’altra stanza.
    Almeno fino a quando non se lo era trovato davanti mezzo svestito e con ancora quell’espressione soddisfatta in volto e si era sentito a disagio al pensiero di doverlo scaricare, così aveva lasciato che Clio e Orion si occupassero di lui.
    Era stato inspiegabilmente fastidioso vedere l’espressione del ragazzo diventare spenta, ferita, per poi scoppiare in una rabbia incontrollata. Non avrebbe mai immaginato potesse avere così tante sfumature il suo animo.
    La prima volta che lo aveva visto, in quell’incontro casuale nell’atelier di famiglia, mentre stava supervisionando la merce esposta, lo aveva trovato degno di attenzione. Se ne stava lì, circondato dai suoi amici e compagni che lo prendevano in giro, con quel broncio adorabile e quel sorriso che sembrava pronto a sbucare fuori da un momento all’altro… e aveva pensato che avrebbe voluto averlo.
    Lo aveva puntato e affascinato. Poi lo aveva avuto.
    Era come uno dei suoi soliti capricci, che lo prendevano il tempo necessario e poi lo lasciavano andare, tornando nei ranghi di indifferenza che gli erano soliti. Si aspettava esattamente quello che gli aveva dato: l’eccitazione di una sera, il corteggiamento e un divertimento temporaneo. Castor sapeva che non sarebbe stato niente di serio, e lo sapeva anche Max – glielo aveva letto negli occhi, quando lo aveva visto la mattina dopo – che stava cercando il modo migliore per andarsene senza chiasso.
    Quello che però non si aspettava di sentire – oltre all’imbarazzo e ai segni dei morsi – era il rifiuto e l’umiliazione da parte di tre estranei.
    Esattamente come Castor non si sarebbe mai aspettato di sentire una morsa allo stomaco.
    Non una piacevole, come quando gli veniva fame o le montagne russe partivano a razzo.
    Era stato come una tenaglia che gli afferrava la viscere e si divertiva a girare e rigirarsi su sé stessa.
    Lo aveva visto entrare in cucina con quell’espressione scandalosamente candida e imbarazzata – per non dire anche di cupida bramosia – e Clio aveva parlato. Impreparato, non aveva mosso un muscolo.
    Forse era quello a tenerlo sveglio? Senso di colpa?
    Castor era sempre stato considerato un genio – dalla famiglia, a scuola e nel mondo del lavoro – ed era abituato ad ottenere quanto desiderava.
    E quella notte l’aveva ottenuto – appagamento, eccitazione e follia. Quindi perché adesso doveva sentirsi così?
    Chi diavolo era Max?
    E perché se lo stava chiedendo?
    Rimase a fissare il vuoto per tutto il resto della mattinata, la ciotola di cioccolato fuso e melone che si era preparato per uno spuntino che si raffreddava sul pavimento.
 
°°°
 
    Dire che Tom si sentiva preoccupato sarebbe stato un eufemismo.
    Mancavano meno di sedici minuti all’inizio delle selezioni e si trovava con una squadra che più disastrata non sarebbe potuta essere. E nel giro di quattro ore sarebbe partita la prima batteria per le eliminatorie.
    Sin dal momento in cui i ragazzi erano entrati in palestra – per il consueto riscaldamento prima di entrare in vasca, aveva avuto il sentore che qualcosa sarebbe andato storto.
    Va bene, dire il sentore magari non avrebbe reso l’idea…
    Appena varcato l’ingresso, infatti, Jamie aveva afferrato il materassino per l’allenamento e si era posizionato tra la pressa e la macchina per gli adduttori, di modo da non essere affiancato da nessuno. Era poi stato con sommo sbigottimento che aveva visto il gemello scoccargli un’occhiata irritata e stendere il proprio accanto a Dorian.
    Dorian!
    Quello tra tutti i membri della squadra che parlava di più e che quel giorno non aveva detto che un saluto.
    Era stata una scena a ridosso dell'apocalittico.
    Mai, e si ripeté nella sua testa con rafforzata convinzione, mai aveva visto i gemelli Gordon vivere niente meno che in simbiosi.
    Stava giusto per chiedere cosa potesse essere successo tra i due quando un'altra visione del tutto insolita gli si era parata in fronte.
    Bach, ancora con la felpa addosso, che fissava i piedi mentre camminava. Accigliato.
    Tom non poteva dire di conoscerlo bene, non come gli altri ragazzi. Bach era sempre stato come un mistero per lui, un mistero avvolto in un altro mistero. Un po’ come una donna. Lo aveva trovato complicato, machiavellico e facile alle provocazioni. Una sorta di teppista sofisticato e ammantato da una patina di superiorità.
    Un ragazzo difficile da controllare, ma bravo a controllarsi, entro i propri limiti.
    Non lo aveva mai visto arrabbiarsi se non per motivi più che validi, non lo aveva mai sentito mentire preferendo una visione sincera del mondo, anche se piuttosto cinica. Sincerità radicale, così l’aveva chiamata.
    Non lo aveva mai visto perdere una discussione – o quell’unica rissa a cui aveva assistito quando ancora il ragazzo non faceva parte della squadra, ma era solo uno dei tanti candidati suggeriti da Brook, il quale glielo aveva presentato come un suo amico, un po’ problematico forse, ma capace.
    Non lo aveva mai visto abbandonare l’espressione di sfacciata indifferenza dal suo volto, nemmeno nelle situazioni di tensione pre-gara.
    Quella era la prima volta che lo guardava e avvertiva che sì, di fronte a lui c’era il Bach Queen che Brook aveva imparato – a proprie spese – a conoscere al tempo della scuola. Qualcosa di muoveva dietro le pupille grigie.
    Era chiaramente incazzato. Lo osservò allungarsi con una smorfia irritata e concludere la serie di esercizi in modo impeccabile e totalmente impersonale. Era evidente che la mente fosse altrove.
    Nel vederlo in quello stato, si era chiesto se per caso non centrasse qualcosa con i Gordon, ma il moro non lanciò nemmeno un’occhiata a Joakim o Jamie, continuando a fissare un punto davanti a sé.
    Lionel, l’unico che sembrava essere arrivato di buon umore, aveva saggiamente deciso sarebbe stata un’ottima idea starsene in silenzio invece di fare battutine come sempre – un po’ perché Dorian non aveva ancora aperto bocca, dettaglio catastrofico –, un po’ perché l’umore era talmente tanto a terra che si era lasciato influenzare.
    Per un momento, l’allenatore si trovò a desiderare di non aver concesso a Brook e Max di precederli in piscina.
    Magari con la loro presenza calma e rilassante li avrebbero aiutati a distendersi.
    O almeno era quello che aveva sperato nel precederli all’angolo a loro assegnato per la gara.
    Mancavano ancora quattro ore all’inizio ufficiale delle selezioni e gli atleti cercavano di occupare il tempo nel modo che ritenevano migliore. Quello era il periodo delle parole, delle interviste, delle preparazioni e dell’accoglienza degli ospiti.
    Le batterie non sarebbero partire prima delle cinque.
    Tom osservò gli atleti avversari conversare con amici o parenti, discutere o ascoltare i rispettivi coach, oppure rimanere seduti in disparte ad ascoltare musica. C’era qualcuno che leggeva, chi continuava con il riscaldamento muscolare e chi era entrato in acqua per farsi qualche vasca in totale relax.
    Apparentemente sembrava una giornata come un’altra – nell’ambito delle gare, beninteso.
    «Coach» sentì una mano battere delicatamente sulla spalla e si girò, vedendo Max stargli di fronte con un asciugamano sulla spalla e con un’espressione stranamente rigida in volto.
    «Tutto bene, Maximillian?» chiese cauto. Pure lui no!
    «Certo» affermò scrollando una spalla noncurante «perché?»
    «Niente» bofonchiò scettico, tornando a guardarsi intorno «è solo che oggi mi sembra che la squadra abbia qualcosa di strano».
    «Vorrei farmi qualche vasca» aggiunse Max, ignorando la sua ultima uscita – elemento che lo fece sospettare maggiormente «terresti il tempo?»
    «Certo» assentì sfilandosi il cronometro dal collo e accendendolo, in attesa con il ragazzo di posizionasse sulla pedana per il tuffo.
    Nel vederlo chinarsi in avanti e sistemarsi, flettendo i muscoli allenati, l’immagine della prima volta che lo aveva incontrato, anni prima, si sovrappose a quella presente, fondendosi in un ricordo a cui non pensava da tanto tempo.
    Fece partire il tempo.
 
    «Avanti Callagh, solo un’occhiata, che ti costa?»
    «Mi costa che ho da fare» aveva borbottato, cercando inutilmente di scrollarsi di dosso quella vocina petulante. Quella persona petulante.
    France Swon era stato un compagno di quadra alle scuole medie. Avevano gareggiato da bambini e per un qualche strano motivo la loro amicizia era durata in tutti quegli anni. Soprattutto da parte dell’irritante biondino, si trovava in quel momento a mugugnare tra sé, allungando il passo nel goffo tentativo di scollarselo di dosso.
    Era arrivato in città da un giorno, e già era a quel punto.
    Si erano incontrati per caso ad un Internet Café e France si era dimostrato incredibilmente felice di vederlo. Anche troppo.
    Il motivo?
    Aveva scoperto quello che lui definiva un nuovo talento. Un ragazzino indubbiamente scheletrico e rinchiuso nel proprio mondo che magari era un po’ bravo a nuotare. France gli aveva chiesto di fargli fare un provino per ammetterlo nella sua squadra.
    That bullshit.
    «Senti, non ho dubbi sul fatto che questo…»
    «Maximillian» ci tenne a ripetere l’amico tenendo il suo ritmo senza fatica. Maledetto sportivo.
    «Giusto, Max» aveva sospirato seccato «dicevo, non ho dubbi sul fatto che sia eccezionale-»
    «Non è solo questo!» lo aveva interrotto nuovamente, eccitato  «È un autentico talento!»
    «Appunto» aveva biascicato tra i denti «comunque non ho più posto in squadra, le selezione sono state chiuse settimana scorsa».
    «Ma devi assolutamente vederlo!» aveva insistito gesticolando e piazzandosi davanti a lui, deciso a non farlo proseguire fino a quando non lo avesse ascoltato – ed essersi convinto che sì, doveva assolutamente dare un’occhiata a quel prodigio.
    «Io non devo proprio niente» aveva sibilato seccato «adesso però fammi il favore di tornartene da lui a dirgli che no, non ho tempo né voglia di stare a guardarlo annaspare a galla!»
    «Veramente…»
    «Mister Swon» una voce bassa e acuta aveva attirato la sua attenzione, portandolo a guardare negli occhi un ragazzino che gli arrivava a mala pena al gomito.
    «Maximillian» la voce dell’amico si era ammorbidita, come quella di un maestro che si rivolge al proprio pupillo.
    «Sarebbe lui?» Tom lo aveva squadrato scettico.
    Era basso per la sua età – dodici anni, forse tredici? – e portava i capelli tagliati cortissimi. Guance morbide e spalle sottili e nervose.
    Grandi occhi azzuro-grigi.
    Un ragazzino normalissimo.
    «Lei chi sarebbe?»
    Eppure aveva un tono piuttosto indisponente, per essere un frugoletto da poco svezzato.
    «Lui è il Coach di cui ti ho parlato, Tom Callagh, un mio vecchio amico» si era affrettato a spiegare France posandogli una mano sulla schiena, per farlo avanzare e mostrarsi interamente. Indossava un paio di pantaloncini a righe sottili e una maglia verde scuro slavata.
    «Non la tratta molto da amico» aveva mormorato il bimbo sospettoso, guardandolo dritto negli occhi.
    Tom si era costretto ad ammettere che, tutto sommato, almeno un po’ di fegato sembrava averlo.
    «Quindi tu saresti il prodigio?» aveva commentato sarcastico, senza lasciar intendere aver ascoltato le sue ultima parole «Come ti chiami?»
    «Maximillian Pollux, undici anni» aveva risposto pronto, stringendo al petto – solo ora se ne era reso conto – un album da disegno. O forse un libro illustrato. Fantastico, un bambino.
    «E dimmi, Maximillian Pollux» aveva detto, nuovamente ironico «sei veramente così bravo come ti si dipinge?»
    Il bimbo aveva lanciato un’occhiata perplessa a France, che gli aveva sorriso incoraggiante, poi era tornato a fissarlo.
    «Per saperlo deve vedermi, no?»
    Tom aveva fatto fatica ad ingoiare lo stupore.
    E quell’imbecille di France era scoppiato a ridere.
 
    Uno schizzo d’acqua lo raggiunse, dandogli segno che Max si stava avvicinando alla meta.
    Scuotendosi dai ricordi, bloccò il cronometro, facendogli segno positivo. Fatto.
    Mentre il ragazzo si sollevava sulle braccia per uscire dalla piscina, Tom si distrasse a guardare gli altri ragazzi. Dorian e Brook sedevano corrucciati con il walkman acceso – in barba al fatto che Tom avesse sperato nell’influenza positiva del secondo per migliorare l’umore. Joakim alternava occhiate al gemello con la lettura di una pagina del fumetto che si era portato dietro, mentre Jamie stava confabulando qualcosa con Lionel, dandogli ostentatamente le spalle.
    Bach sedeva composto con la testa riversa all'indietro e il volto nascosto dall’asciugamano, le spalle rigide a mostrare la sua irritazione.
    Stavano dando chiaramente mostra di un esiguo coinvolgimento, gridando a tutti gli avversari che no, non erano affatto in forma. L’unico che sembrava andare forte e sul pezzo era Max, che aveva appena realizzato il tempo migliore dell’ultimo anno. Lo guardò issarsi sul bordo della piscina e afferrare un asciugamano per tamponarsi l’acqua sul viso e sul collo.
    Un campione nato di impegno e dedizione.
    Peccato solo avesse quell’espressione corrucciata e la fissa di allenarsi senza freni anche prima di una gara importante solo quando qualcosa nella sua vita stava andando storto.
    La prima volta in cui se ne era accorto era stata quando la sua ragazza lo aveva mollato. La seconda alla morte del padre e la terza – che aveva sperato essere l’ultima – quando era stato sfrattato, sette mesi prima.
    Lo osservò passare oltre i compagni di squadra senza proferire parola e infilarsi nelle docce. Proprio in quel momento Bach alzò un lembo dell’asciugamano lo seguì con lo sguardo, scuotendo la testa.
    Max non aveva aperto bocca, non aveva guardato nessuno negli occhi e, soprattutto, aveva una scia non poco sospetta di fioriture rosse sul collo, lungo la spina dorsale e un vecchio livido circolare sulla spalla.
    Tom fece scorrere lo sguardo tra Max e Bach, sospirò, e fece un cenno per attirare l’attenzione di quest’ultimo.
    Devo parlarti, gli sillabò prima di dirigersi verso il pullman con cui erano arrivati.
    La preparazione pre-gara l’avrebbe fatta dopo.
 
 
Hi, quindi eccoli la situazione vista da un altro punto di vista… ci tenevo a far valere anche la voce della controparte bastarda perché, nonostante il comportamento ecc, Castor è uno dei personaggi che amo di più… chissà come mai…
Direi quindi anche che è arrivato il momento di mettere il suo profilo, non credete?
 
Castor O’Connell
Un metro e settantatre, capelli castani tinti di rosso, occhi azzurro intenso, tipici della famiglia, apparentemente sottile, ma anche molto forte. È un autentico genio, tutto quello che fa gli viene in modo eccezionale. Scrive da anni e si è laureato contemporaneamente in letteratura moderna ed economia. Non vuole prendere in mano gli affari della famiglia, ma se è necessario li aiuta, poi torna alla sua vita di sempre.
Ha 24 anni.
 
baci
NLH
  
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