Capitolo
Quindici: Il Portavoce
del Sole
Una
persona sa di essere a casa quando ogni ciottolo è
ricollegabile a un ricordo.
Così
si sentì Yao, quando calpestò il suolo di Chugoku
per
la prima volta dopo un intero anno di esilio.
Erano
scesi sul pianeta solo lui e il Mago dell’Ovest,
entrambi camuffati grazie alla magia di quest’ultimo. Non
sapevano quale fosse
la situazione politica su Chugoku, e avevano ritenuto più
prudente scendere in pochi
per ottenere informazioni: un gruppo troppo numeroso di stranieri,
anche se un
incantesimo avesse loro donato fattezze orientali, avrebbe potuto
destare
sospetti. Così erano scesi solo loro due, l’unico
a conoscere a fondo quel
pianeta esotico e l’unico a sapere dove poter trovare il
Marauder. Arthur
teneva il non ti scordar di me in un borsello da polso che nascondeva
con le
maniche larghe tipiche dell’abbigliamento Asean.
Il
Mago dell’Ovest rispettò i secondi di
immobilità del
Figlio del Cielo: poteva capire cose significasse essere stato separato
dalla
propria casa.
Yao
chiuse gli occhi per sentirsi sommergere dall’ambiente a
lui tanto caro: le strade erano riempite dal suono musicale della
lingua asiatica
e dalle spezie della cucina locale; nel paesaggio si spandeva il colore
delle
risaie e quello delle case di legno, e nell’aria si libravano
le volute
serpentine degli incensi, lasciati a bruciare sulle finestre per
scacciare gli
spiriti malevoli.
Il
giovane orientale strinse una mano sul petto, dove il
nucleo di fuoco bruciava: quel sapore familiare che aleggiava
nell’aria
sembrava rinvigorirlo ad ogni passo. Aveva scelto una tunica di tessuto
pesante
e nero affinché trattenesse al meglio i raggi del suo cuore
di fiamme, ma
temeva che la luce sarebbe trapelata ugualmente, se non fosse riuscito
a
calmarsi.
Inspirò
a fondo prima di addentrarsi in una stretta via.
«Dove
stiamo andando?» domandò il Mago
dell’Ovest alle sue
spalle. Il Figlio del Cielo si complimentò interiormente per
le capacità
magiche del Britanno: i capelli neri, gli occhi a mandorla, i
lineamenti e
l’accento erano perfetti. Sembrava originario delle terre
Asean.
«C’è
una locanda frequentata dai militari, in fondo a questa
strada. È la più lontana dal palazzo»
semplificò Yao, continuando a camminare.
«I soldati hanno sempre voglia di chiacchierare, quando
terminano le loro
mansioni al castello. Chiederemo a loro.»
Fu
grato ad Arthur per non addentrarsi oltre in quella
conversazione.
La
mole del Palazzo Imperiale incombeva su tutta la capitale,
e la sua presenza maestosa soffocava il Figlio del Cielo: troppi
ricordi in
quei corridoi, troppi dolori in quelle stanze.
Il
castello era situato sulla collina più alta, in modo da
sovrastare la gente comune ed essere più vicino al Cielo,
considerato il padre
di tutti i regnanti. Il Mago dell’Ovest aveva sentito parlare
molte volte della
bellezza di quella costruzione, ma le parole non rendevano giustizia
alla
splendida laccatura cremisi delle pareti, al legno intarsiato in un
connubio di
architettura e arte, all’attenzione maniacale per ogni
dettaglio e decorazione.
Sapeva che il castello contava oltre un centinaio di statue di dragoni,
sparsi
su tutte le mura, e ognuno di essi aveva due enormi gemme per occhi,
che a loro
volta portavano il marchio della dinastia scolpito in oro al loro
interno. Yao
gli aveva spiegato che la tecnica dell’incisione aurea
all’interno di una pietra
preziosa era un’arte che prevedeva il lavoro in simultanea di
un orafo e di un
mago, entrambi di altissimo livello. Quei dragoni erano ritenuti i
protettori
del Figlio del Cielo e della sua famiglia, per cui dovevano essere
semplicemente impeccabili.
Yao
gli aveva anche raccontato che il colore del palazzo
variava al variare del sovrano. Poiché lui era nato sotto la
benedizione del
fuoco, le mura, le piume dei draghi e l’arredamento interno
erano stati
convertiti in un nobile cremisi. Perfino i vestiti dei servitori, i
gioielli e
le sete dei nobili e le armi dei militari seguivano quella moda, e tra
i
popolani era considerato di buon auspicio portare almeno un orpello del
colore
del sovrano.
Arthur
fece una valutazione molto più pratica e meno
culturale: se il colore di Yao addobbava ancora il Palazzo Imperiale,
significava che il suo potere non era stato del tutto spodestato.
Oppure il suo
successore era nato sotto lo stesso astro.
Yao
osservò di sfuggita il castello, prima di concentrarsi
di nuovo sulla strada. Era bastata un’occhiata, ma
l’aveva riconosciuta subito.
L’Ala Est, quella dell’alba. Quella in cui era
cresciuto e in cui era stato
detronizzato.
***
Era
nato nel giorno più caldo del mese più torrido
nella
regione più assolata.
Sua
madre era considerata la moglie più bella tra tutte
quelle che il precedente Figlio del Cielo avesse mai avuto. Si diceva
che, al
suo passaggio, i pesci affogassero poiché si dimenticavano
di nuotare, troppo
rapiti dal suo fascino.
Quel
giorno era stata chiamata per benedire con la sua voce
argentina i campi a sud del paese, che mal tolleravano
l’estate tremendamente
afosa di quel periodo.
Le
doglie l’avevano colta a metà del viaggio, e aveva
passato un pomeriggio in travaglio per darlo alla luce nella casa di un
coltivatore locale. Il piccolo sole che palpitava nel petto del neonato
non
aveva lasciato spazio a dubbi: lui sarebbe diventato il Figlio del
Cielo, un
giorno.
Il
padre era morto quando lui aveva dodici anni, lasciandogli
in eredità il peso di un trono troppo vasto per un bambino
così piccolo.
Non
appena il padre era passato a miglior vita, i
consiglieri gli avevano impiantato la memoria generazionale. Yao
ricordava di
aver creduto di impazzire, in quel periodo: sentiva mille voci
risuonargli
nelle orecchie, e mille ricordi che non conosceva gli affollavano la
testa.
Aveva passato una settimana intera a letto, febbricitante,
finché non era
riuscito a zittire quel caos e a discernere tra i suoi pensieri e
quelli dei
suoi predecessori. I consiglieri si erano congratulati a lungo con lui,
quando
era uscito dalla camera dopo soli sette giorni: gli altri regnanti ne
avevano
impiegati almeno una dozzina, per sopportare quel fardello.
In
seguito, tutto il palazzo era stato rivoluzionato: suo
padre aveva regnato sotto il segno della Terra, e occorreva sostituire
tutti i
paramenti gialli del palazzo. Il Figlio del Cielo aveva dato prova dei
suoi
poteri cambiando con la magia ogni ornamento del castello. I
consiglieri e i
servitori avevano applaudito a ogni trasformazione, più
suntuosa e maestosa di
quelle del precedente sovrano; erano orgogliosi di quel potere
debordante che
avrebbe certamente portato una grande prosperità al Sistema
Asean.
Il
ricordo più vivido che Yao aveva di quel giorno, era
stato quando si era voltato per chiedere dove fossero sua madre, i suoi
fratelli e le sue sorelle. Uno dei consiglieri si era inchinato
profondamente,
in modo che il bambino fosse più alto di lui, mentre gli
comunicava la triste
verità: la sua famiglia era stata esiliata dal castello.
Avrebbero mantenuto il
loro status di reali e avrebbero condotto una vita adeguata al loro
rango, ma
non avrebbero mai più potuto mettere piede nel Palazzo,
salvo in occasioni del
tutto eccezionali. Il castello era riservato al Figlio del Cielo
attuale, e
alla sua futura famiglia. Ogni vestigia del passato doveva essere
allontanata,
familiari compresi.
Quella
sera, mentre il sole pugnalava l’orizzonte con una
violenta tinta carminio, Yao aveva fissato l’acciottolato che
conduceva fuori
dalla capitale. Sua madre era solita prenderlo sulle ginocchia, di
fronte a
quella stessa finestra, per raccontargli del luogo in cui era nato, un
posto
dove il sole bruciava ogni cosa, tranne la gentilezza delle persone.
Il
bambino si era toccato le guance, perplesso.
«Dovrei
piangere…» aveva convenuto, tastando le gote alla
ricerca delle lacrime. «Perché non
piango?»
Poi,
comprese: la saggezza di tutti i suoi predecessori gli
permetteva di accettare quel distacco come avrebbe fatto un uomo di
profonda
sapienza, e non come un bambino di dodici anni.
Per
la prima volta, Yao si sentì estremamente vecchio. E
tremendamente solo.
***
Esistevano
molti modi per conoscere una persona.
Yao
aveva incontrato Im Young Soo quando quest’ultimo gli
aveva rovesciato l’intera ciotola di zuppa addosso.
Il
Figlio del Cielo aveva osservato quel servitore, forse di
qualche anno più piccolo di lui, mentre barcollava
fissandosi le mani come se
temesse che potessero diventare due serpenti velenosi. Aveva prestato
troppa
attenzione alle sue dita, coperte da alcuni panni per evitare di
bruciarsi con
la pentola bollente, e troppa poca ai suoi piedi.
I
consiglieri scattarono all’istante e lo stesso fecero le
guardie, che afferrarono quel servitore imprudente e lo costrinsero a
mettersi
in ginocchio. Yao si fece largo tra di loro come una falce in mezzo al
grano, e
osservò il bambino rannicchiato a terra, con le mani chiuse
a pugno contro il
petto.
Ordinò
alla sua corte di abbandonare la stanza e lasciarlo
da solo con il piccolo. Si inginocchiò davanti a lui
– le vesti di seta
inzuppata fecero un buffo rumore quando si chinò –
e scostò gentilmente quei
pugni contratti dal petto sussultante di paura del bimbo.
Yao
non mutò espressione, quando portò alla luce le
dita del
piccolo: a volte, pareva più la porcellana di un bambino che
la sua copia
originale in carne ed ossa.
Tra
le sue mani, lisce e bianche, la deformità di quelle
dell’altro risaltava con una chiarezza crudele: le dita erano
ritorte e gonfie
come i rami tumorali degli alberi, e le unghie erano talmente scure,
scheggiate
e ruvide da sembrare corteccia.
Il
servitore ritrasse le mani quasi temesse di poter
scottare il regnante, e biascicò una scusa a occhi bassi:
«Non
sono degne di essere viste da un reale.»
La
memoria generazionale gli permise di identificare
immediatamente quella malformazione: era la caratteristica distintiva
dei maghi
neri del Sistema Asean. La deformità degli arti era il
prezzo da pagare per
esercitare le arti oscure.
«Qual
è il tuo nome?» pretese di sapere Yao.
«Im
Young Soo» rispose il piccolo, rattrappendosi ancora di
più su se stesso.
Il
Figlio del Cielo gli impose di rialzare la testa
afferrandogli il mento e tirandolo verso l’alto. I capelli
erano corvini e gli
occhi castani, ma le fattezze differivano lievemente da quelle degli
abitanti
di Chugoku e il nome non era associabile a nessuna famiglia di quel
pianeta;
quel bambino doveva essere originario di Kankoku, uno dei loro
satelliti
vassalli.
«Come
sei arrivato qui?» lo interrogò, altero.
Young
Soo si torturò le mani deformi, e masticò con
vergogna:
«Sono
stato venduto dalla mia famiglia. Avevano… paura di
me.»
«Che
motivano avevano, per temerti?»
Il
bambino occhieggiò timoroso dalla lunga frangia che gli
copriva gli occhi e tormentò un ciuffo di capelli tra le
dita mentre mormorava:
«Avete
visto le mie mani. Sapete cosa significano.»
«Hai
mai fatto del male a qualcuno?»
Young
Soo saltò a quattro zampe come se gli avessero
marchiato a fuoco le ginocchia; quasi rotolò su se stesso,
annaspando:
«Mai,
signore! Glielo posso giurare, non ho mai, mai, mai, mai
ferito nessuno!»
«Non
sprecare giuramenti» lo redarguì Yao. «E
cosa li ha
spaventati tanto, allora?»
«Queste!»
esclamò il piccolo, mostrando le sue mani ritorte.
Le richiuse subito dopo, pentendosi di aver mostrato una cosa tanto
orribile.
«Questo… morbo?» non vedendo
disapprovazione sul volto del sovrano, Young Soo
continuò: «Questo morbo non colpisce solo chi
pratica la magia oscura. Colpisce
anche chi usa la magia senza sapere come utilizzarla.»
«Continua»
ordinò il Figlio del Cielo.
Young
Soo inghiottì un boccone di saliva e si mise a sedere
sui talloni, in un buffo tentativo di darsi un contegno.
«Le
arti oscure vanno contro le regole della magia, per
questo gli stregoni sono deformi. A meno che non trovino degli
espedienti per
dirottare su qualcun altro gli effetti negativi degli
incantesimi.»
Yao
annuì; uno dei suoi predecessori aveva visto uno
stregone veicolare su una bambina il prezzo di un suo incanto. La
piccola era
letteralmente esplosa.
«Ma
vale anche per chi infrange le regole senza volerlo. Chi
usa la magia senza sapere come fare…» Young Soo
sospirò, e proseguì: «Non so se
mi crederete, ma io non sapevo di essere un mago. Stavo giocando con i
miei
fratelli in riva al fiume, quando la mia sorellina più
piccola ci è caduta
dentro. In quel momento ho pensato solo che volevo salvarla, non
importava
come. Le acque si sono divise, e lei è uscita di corsa dal
fiume. Non appena è
arrivata da me, l’acqua si è richiusa e ho sentito
un dolore fortissimo alle
mani. I miei genitori si sono spaventati a morte, e mi hanno venduto.
Credevano
che fossi stato io a spingere mia sorella nel fiume» il
piccolo sorrise
debolmente, appiattendosi la frangia sul viso con le mani nodose.
«Erano
contadini, non sapevano che anche un mago normale può avere
questo morbo, se
non sa come usare la magia. Io stesso l’ho saputo solo quando
sono arrivato
qui, e una signora gentile me lo ha spiegato» le dita dal
colore ligneo
aprirono la frangia come una tenda, e la richiusero un secondo dopo.
«Voi le
assomigliate molto.»
Yao
cercò di non mostrare il suo stupore per quelle parole.
C’era solo una donna che poteva assomigliargli, in tutto il
pianeta.
«Questa
signora ti ha detto perché ti ha fatto entrare nel
palazzo, anche se eri sospettato di praticare le arti oscure?»
Il
servitore piegò la testa in strane angolazioni, come se
dovesse far rotolare i pensieri da una parte all’altra del
cranio per poter
rispondere.
«Ha
detto che avrei fatto compagnia a suo figlio, quando lei
fosse andata via» le labbra del bambino si corrucciarono in
una piega comica,
esprimendo disappunto. «Non ne sono sicuro. Ero appena
arrivato e non capivo
bene la lingua di qui… lei mi ha insegnato alcune cose,
prima di sparire. Stavo
imparando a leggere e scrivere... Mi chiedo dove sia adesso.»
Il
piccolo non vide gli occhi scuri del regnante arenarsi
sulle pieghe del suo abito imperiale per dissimulare
l’emozione. Capiva cosa
sua madre avesse visto, in quello straniero goffo e impacciato: una
persona
libera dalle convenzioni e dell’etichetta soffocante del
Palazzo Imperiale. Una
persona sola come lui, privata della propria famiglia.
Gli
aveva donato un amico che potesse capire il suo
isolamento e che fosse slegato dalle catene della formalità.
«Hai
mai praticato la magia, da allora?» domandò,
quando fu
certo che la sua voce sarebbe risuonata ferma e nobile.
La
frangia troppo lunga si aprì come un ventaglio scomposto
in un cenno di diniego.
«Mai.»
«Penso
che dovresti ricominciare.»
Gli
occhi gli lanciarono un’occhiata sconcertata, da sotto
la cortina di capelli.
«Cosa
avete detto?»
«Hai
detto tu stesso di non essere mai stato un mago oscuro.
È stato un incidente. Penso che sia un peccato sprecare il
tuo talento.»
Young
Soo si raddrizzò carponi e si allontanò da lui di
qualche passo.
«E
voi dareste lezioni di magia a un completo sconosciuto
che potrebbe diventare uno stregone nero?»
Il
Figlio del Cielo si rialzò in piedi, e millenni si storia
scintillarono nel suo viso e nelle sue parole mentre annunciava:
«Non
sopravvalutarti troppo, Im Young Soo. Anche se tu ricevessi
nozioni magiche, non diventerai mai più potente di me. Se tu
dovessi diventare
una minaccia, ti ucciderei senza troppo sforzo.»
Sentì
il piccolo deglutire rumorosamente a quella
prospettiva.
«E
poi, la persona che per prima ti ha dato fiducia
è… la
persona di cui mi fido di più in tutto il mondo. Non posso
mettere in
discussione il suo giudizio.»
«Cosa
dovrei fare?»
Una
debole stretta di dolore strizzò il cuore di Yao. Quel
ragazzo era stato abituato a servire, obbedire e umiliarsi fin dalla
più tenera
età: c’era la paura di chi non può
abbandonarsi alle illusioni in quegli occhi
sgranati che lo fissavano, il panico di sperare in qualcosa e il
terrore di
vedere quella stessa speranza frantumata.
Il
Figlio del Cielo inspirò a fondo, e proclamò:
«Sarai
istruito come si conviene. Imparerai a leggere e a
scrivere. E imparerai a usare la magia per proteggere il
regno.»
«Ma
ho il mio lavoro nelle cucine…»
«Non
sarai più uno sguattero. Sarai un mago.»
Il
terrore della speranza raggiunse i massimi livelli in
quelle iridi castane.
«Ma
io non merito tanto…»
«Allora
dovrai fare del tuo meglio per meritarlo. Studia.
Diventa il miglior mago che si sia mai visto. E metti la tua magia al
mio
servizio, al servizio di tutto il Sistema Asean.»
Young
Soo gattonò fino a lui, e afferrò un lembo della
sua
veste rubino con le dita tremanti. Portò il tessuto
vermiglio alle labbra per
baciarlo, e si rialzò di scatto per non bagnarlo con le
lacrime che avevano
improvvisamente cominciato a scorrere sul suo viso.
Cercò
di fermarle contro le maniche ruvide della tunica
servile, ma sembravano aumentare a ogni sfregamento.
«Scusatemi…»
singhiozzò. «Non è questo il modo
giusto… di
rispondere alla vostra proposta…»
Yao
si chinò per vedere le sue lacrime più da vicino.
Quella
era la reazione normale di un bambino: piangere come se i condotti
lacrimali si
fossero rotti. Non la gelida accettazione che gli aveva asciugato gli
occhi,
mesi prima.
«Scusate…»
«A
volte è bello saper ancora piangere» il suo
mormorio non
fu più forte del fruscio della seta, quando si sporse per
abbracciare il suo
coetaneo singhiozzante.
Young
Soo aprì le braccia per ricambiare, ma rimase in
quella posa senza avvicinare le sue dita indegne alla schiena del
sovrano.
«Farò
del mio meglio» garantì, le mani che ciondolavano
nel
vuoto come quelle degli spaventapasseri. «Non vi pentirete di
aver scelto me!
Ve lo giuro!»
Quella
volta, Yao non lo rimproverò di non sprecare
giuramenti.
***
Young
Soo mantenne la parola.
Nei
mesi successivi si dedicò allo studio con tanto zelo che
i servi cominciarono a sospettare che si nutrisse di libri e non di
cibo.
Yao
osservò la sua metamorfosi con un sorrisetto
compiaciuto.
Il
servo goffo diventò uno studente brillante, anche se il
precettore si lamentava spesso del suo carattere troppo vivace e
chiassoso per
un uomo di cultura. E lo studente mutò in mago principiante,
che saettava dal
Figlio del Cielo per mostrargli i suoi progressi, scatenando un coro di
proteste da tutti i servitori che rischiava di investire con la sua
corsa folle
per i corridoi.
Yao
aveva dovuto sopportare lunghe riunioni e interminabili
discussioni con i consiglieri perché accettassero la sua
decisione di far
diventare quel campagnolo un mago reale. E, nonostante fossero passati
mesi
dalla formalizzazione della sua scelta, alcuni consiglieri ancora
borbottavano.
«Dovreste
istituire una carica solo per lui. In questo modo,
nessuno potrà più contestare
alcunché» gli suggerì un giorno il
più anziano.
Yao,
a quell’epoca tredicenne, si era voltato verso di lui
con un sopracciglio arcuato dalla sorpresa.
«Credevo
che fosse poco etico, fare una cosa del genere. È
come calpestare la volontà di tutto il consiglio.»
«Siete
il sovrano, siete nato per far finta di ascoltare le
opinioni altrui e poi procedere per la vostra strada. È il
vostro lavoro» il
vecchio gli aveva sorriso in un delinearsi di rughe ai lati degli occhi
e della
bocca. «Ma, per la giusta decisione, vale la pena calpestare
l’opinione di
qualche brontolone.»
Yao
lo aveva fissato socchiudendo gli occhi e inclinando la
testa, esattamente come la madre era solita fare.
«Mi
stupisce che approviate Im Young Soo.»
«Oh,
io non approvo che un servo possa scalare in questo
modo la piramide sociale. Per questo, sono conservatore» lo
smentì il vecchio. «Ma
quel giovane sta dimostrando un talento non comune per la magia, e una
dedizione che oserei definire famelica per lo studio. Penso che Chugoku
trarrebbe giovamento dai suoi servigi, se guidati dalla vostra
saggezza. E ammetto
di trovare piacevole la distensione sul vostro volto, da quando avete
quel
piccolo straniero intorno.»
Il
Figlio del Cielo sorrise, scendendo dal trono tramite la
scaletta d’oro. Non vedeva l’ora di crescere
abbastanza da rimuovere
quell’aggeggio avvilente.
«Eri
il consigliere cui mia madre era più affezionata»
rifletté Yao, passandogli vicino.
«E
lei era la sovrana cui ero più devoto»
contraccambiò
l’uomo.
La
calma della sala fu sgretolata dall’entrata del tifone di
Kankoku; Young Soo irruppe all’interno e si fiondò
contro Yao.
«Fratellone!
Guarda cosa ho imparato a fare!» esultò, prima
di battere le mani per richiamare un minuscolo drago di fuoco sul
palmo. La
bestiola compì qualche spirale nell’aria, prima di
sparire in una piccola
nuvola di fumo contro le dita ricurve del piccolo.
«“Fratellone”?»
disapprovò il consigliere.
Solo
in quel momento Young Soo registrò la presenza di
un’altra persona nella stanza. Si voltò di scatto,
raddrizzò la schiena e
recitò come un automa:
«Consigliere,
giungo qui per mostrare al Figlio del Cielo i
miei progressi negli studi…»
«Non
serve recuperare adesso» lo smontò severamente
l’uomo. «Cerca
di tenere a mente il galateo, e non solo le formule magiche.»
Young
Soo si girò verso Yao con espressione colpevole, non
appena rimasero soli nella sala.
«L’ho
fatto arrabbiare?»
«No.
Ma dovresti davvero prestare più attenzione al luogo e
al momento.»
Il
piccolo infossò la testa tra le spalle, depresso.
«Allora
non posso più chiamarti “fratellone” e
darti del tu?»
«Puoi
farlo, ma solo quando siamo da soli.»
«Quando
ci sono altri servi?»
«No.»
«Quando
ci sono i consiglieri?»
«Assolutamente
no.»
«E
davanti a un kappa?»
«Per
quale motivo dovremmo mai trovarci davanti a un kappa?»
«Se
dovesse farci visita.»
«I
kappa vivono
solo negli stagni, per ricaricare di acqua la pozza che hanno sulla
fronte.»
«Ma
se ci fosse un
kappa?»
«Forse.»
Young
Soo emise un gridolino felice, e saltellò di fronte al
sovrano.
«Fratellone,
quanti anni hai, esattamente?»
Yao
chiuse gli occhi, rassegnato. L’ingenuità di quel
bambino non conosceva confini: non sapeva neppure che il Figlio del
Cielo era
venuto alla luce tredici anni prima.
«Tredici»
rispose infatti.
«Sei
più grande di me di due anni» meditò ad
alta voce Young
Soo. «Però hai gli occhi degli adulti.»
«Gli
occhi degli adulti?» gli fece eco Yao.
«Sì.
Gli occhi annoiati, come se avessero già visto
tutto… e
come se quel tutto non gli fosse piaciuto.»
Il
nucleo di fuoco pulsò nel suo petto. Era colpa sua se
aveva già sperimentato tutte le brutture del mondo, a soli
tredici anni: aveva
visto il tradimento, l’invidia e l’ipocrisia. Aveva
visto battaglie, sangue e
guerre, colpi di stato e rivoluzioni. L’infanzia non era solo
una questione di
anni: era una condizione mentale, e la sua era stata spazzata via dalla
memoria
generazionale. Invidiava quasi i bambini i cui massimi problemi erano
mangiare
le verdure troppo amare e finire i compiti per la scuola pubblica.
«Ti
fa male il cuore, fratellone?»
Young
Soo dovette ripetere la domanda prima che Yao potesse
evadere la risposta.
«Un
po’. Nulla di grave.»
Il
mago non si lasciò scoraggiare da quel bubbolio; si
piazzò davanti al coetaneo e mosse le dita come per
accarezzargli il petto,
salmodiando:
«Non
fa male, non fa male… non fa più male!»
e batté le mani
per concludere l’incanto.
«Ti
hanno insegnato anche questo, a lezione di magia?»
domandò pacato Yao.
«No»
Young Soo sfregò il naso con un dito, confessando:
«Me
lo faceva mia sorella minore, quando mi facevo male. Non sapeva come
fare per
curarmi, così “mandava via il male”,
diceva lei» scostò appena la frangia per
sbatacchiare le ciglia, mentre chiedeva: «Ha
funzionato?»
«Temo
che la tua formula debba essere revisionata» il Figlio
del Cielo cominciò con una lamentela, ma terminò
con un complimento: «Ma
apprezzo lo sforzo.»
Yao
tossì con eleganza prima di noare:
«I
miei occhi sono antichi, ma per quanto riguarda i tuoi…
sarebbe bello vederli, ogni tanto.»
«A
che scopo? Non hanno nulla di particolare.»
«Come
puoi dirlo, se li tieni sempre sotto la frangia?»
«Lo
so…?»
Incurante
della recalcitranza dell’amico, Yao scostò i
capelli dal viso di Young Soo pettinandoglieli all’indietro
con una mano. Le
ciglia erano corte e scurissime, spalancate su un paio di iridi che
avevano il
colore del legno a dicembre, quando l’umidità lo
rende più spesso e scuro.
«Hai
dei begli occhi. Dovresti scoprirli.»
«Ma
io…»
«Scoprili.
È un ordine.»
E
Yao aggiunse un secondo comando: si sarebbe dovuto recare
in camera sua la mattina seguente, affinché il regnante
potesse assicurarsi che
il nuovo taglio fosse di suo gusto. Quando Young Soo gli chiese a quale
taglio
di riferisse, il Figlio del Cielo rispose con sicurezza:
«Quello che andrai a
fare questa sera stessa per non contrariare il tuo sovrano.»
Gli
appartenenti alla razza reale si distinguevano
soprattutto per quella particolare abilità di imporre con
estrema naturalezza
il proprio volere agli altri, dando l’obbedienza per scontata.
Young
Soo si presentò puntuale all’appuntamento con
l’amico,
tastandosi continuamente la fronte scoperta. Il barbiere di corte gli
aveva
pettinato i capelli ai lati del viso senza alcuna pietà,
dopo averli accorciati
abbastanza da assicurargli una fronte nuda per almeno due mesi.
Yao
lo fece entrare, e si congratulò per il risultato. Young
Soo avrebbe voluto che il palazzo si sollevasse e lo schiacciasse con
la sua
mole: non aveva una grande opinione del suo viso, specie se paragonato
a quello
del regnante, che aveva ereditato la fine bellezza della madre.
«Ho
fatto preparare una cosa per te» lo informò
aristocratico Yao, indicandogli un manichino piazzato in mezzo alla
stanza.
Young
Soo lo circumnavigò lentamente, gli occhi fissi sul
vestito in esposizione. Non ricordava di aver mai visto un abito simile
a
corte: un paio di calzini bianchi contenevano la parte terminale dei
pantaloni
candidi, su cui ricadeva una lunga tunica color neve. Lo scollo
ricalcava la
moda di Chugoku, incrociato sul petto, così come le maniche,
lievemente più
lunghe di quanto fosse necessario. Un bizzarro gilet blu, fermato sul
petto da
una spilla carminio, completava il tutto.
«È
un abito piuttosto strano» commentò alla fine.
«Però è
bello.»
«Sono
lieto che ti piaccia. Perché, d’ora in poi,
sarà la
tua divisa ufficiale» Yao aggiunse, per essere ulteriormente
chiaro: «Il
Portavoce del Sole deve avere un’uniforme
distintiva.»
«Non
ho mai sentito nominare questa carica» notò
serafico
Young Soo.
Non
c’era limite alla semplicità di quel ragazzo. Non
sapeva
se invidiare o maledire tanta ingenuità.
«Tu sarai il
Portavoce del Sole. È una carica nuova, che ho creato io, e
designa il mago di
corte» preferì essere elementare, nella successiva
spiegazione. «I consiglieri
non approvano la nostra differenza di status, non approvano
l’opportunità che
ti ho dato. Ma, se accetti questa carica, non potranno più
ribattere nulla. E
tu sarai libero di continuare a studiare.»
Young
Soo non si voltò; le mani rimasero sospese di fianco
al vestito, come se anelasse di toccarlo ma temessero di sporcarlo. Non
aveva
perso il suo terrore per la speranza.
«Stai
andando contro il volere dei consiglieri per me?»
«Solo
alcuni di loro.»
«Perché?»
«Ritengo
che sia la cosa giusta da fare. In pochi mesi hai
fatto progressi che normalmente richiedono anni. Sarebbe sciocco non
concederti
l’occasione di servire il Sistema Asean solo
perché sei nato da una famiglia di
contadini.»
«Non
ti creerà dei problemi, aver scelto me?»
«Mi
creerebbe più problemi non avere un mago capace al mio
fianco.»
Young
Soo rimase in silenzio, e Yao lo incalzò gentilmente:
«Accetterai?»
Vide
le mani deformi del giovane stringersi fino a tremare,
e sentì la voce strisciare a fatica attraverso una gola
otturata di lacrime.
«Fratellone,
devi smettere di decidere le cose alle mie
spalle. E, soprattutto…» un singhiozzo lo fece
interrompere, e la manica corse
a sfregarsi contro gli occhi come un anno prima. «Devi
smettere di farmi
piangere perché decidi troppo bene.»
Come
un anno prima, Yao lo raggiunse per abbracciarlo.
«E
se non fossi capace?» pianse Young Soo, premendo
inutilmente gli occhi con le mani.
«Hai
dimostrato di avere una volontà di ferro, e delle
ottime capacità magiche. Saprai fare il tuo
dovere.»
«E
se ti dovessi deludere?»
«Mi
deluderesti solo se mi abbandonassi.»
Le
dita contorte si appoggiarono su quelle affusolate di
Yao. Un anno prima, non era degno di toccare un reale: adesso era il
Portavoce
del Sole.
«Non
abbandonerò mai il fratellone» giurò.
«E troverò un
modo per ripagare la tua gentilezza, un giorno.»
«Sarà
sufficiente che tu protegga il nostro Sistema»
minimizzò Yao, lasciandolo andare.
Young
Soo sfiorò la stoffa bianca delle maniche. Erano
più
lunghe del normale, e adesso aveva capito il motivo: avrebbe potuto
nascondere
le sue mani sotto quel tessuto, così non avrebbe
più dovuto vergognarsi della
sua deformità.
Portò
la stoffa al viso, annusandola per rapire il sentore
di bucato.
Era
uno dei più giovani, tra i suoi fratelli, e
l’unico che
contava davvero all’interno della famiglia era il figlio
primogenito; non aveva
mai sperato di ricoprire un ruolo importante all’interno del
nucleo domestico.
Poi era stato spedito tra i servi, dove i sogni erano banditi. Nella
sua breve
vita, era stato rassegnato fin dalla nascita a vivere nella
mediocrità.
Aveva
ottenuto la benedizione del Figlio del Cielo, aveva
ricevuto un’istruzione più che adeguata e stava
per diventare una figura
portante della nobiltà di Chugoku.
Yao
non aveva idea di quanto profondamente lo avesse
salvato: la miseria materiale era un cancro che si diffondeva anche
nell’anima,
lasciando lo spirito spoglio e affamato. Sarebbe diventato uno dei
tanti
servitori con gli occhi spenti. Il Figlio del Cielo lo aveva sottratto
a quel
destino e stava stendendo una strada lastricata d’oro davanti
a lui.
Aveva
quasi paura di quella fortuna insperata: temeva che
qualcuno potesse strappargliela via da un momento all’altro.
Soprattutto,
temeva che potessero strappargli Yao.
«Diventerò
forte» promise al vestito che lo fissava.
«Così
forte che il fratellone non avrà nulla da temere»
accarezzò il gilet blu, e
avvalorò: «Prima di Chugoku, servirò il
fratellone. Finché non avrò ripagato il
mio debito.»
Si
voltò, e sorrise alla stanza vuota: Yao si era dovuto
recare alla consueta riunione mattutina.
«E
anche dopo, quando non ci saranno più debiti a legarmi.
Perché ho giurato di non abbandonare mai il fratellone. E
non era un giuramento
sprecato.»
Portò
quel vestito in camera sua e lo ammirò come un trofeo
per tutto il giorno prima di decidersi a indossarlo.
Fu
rivestito della carica di Portavoce del Sole tre mesi
dopo.
Fu
in quel periodo che conobbero Kiku.
Buonasera
a
tutti<3
All’inizio
la
storia di Im Young Soo e quella di Kiku dovevano essere
insieme… poi ho deciso
di spezzarle, altrimenti non sarei mai riuscita ad aggiornare in tempo,
e il
capitolo sarebbe stato un papiro egizio XD
Nel
prossimo
capitolo comparirà Kiku<3 E si spiegherà
un po’ come, quando e perché è
entrato in contatto con il Figlio del Cielo<3
Dunque…
ci
rivediamo il 13!
Red
P.S.
Per la
metafora sui pesci che affogano per la troppa bellezza della
sovrana… è una
metafora realmente esistente, utilizzata per descrivere la bellezza di
Da Chao,
una delle donne più belle di tutta la Cina dei Tre Regni.
P.P.S.
Per chi
fosse interessato: “Chugoku” è
“Cina” in giapponese, e
“Kankoku” è “Corea”,
sempre in giapponese. Visto che conosco poco di cinese e niente di
coreano, ho
preferito usare una lingua in cui sono cosciente di quello che scrivo,
per
evitare di buttar giù delle fesserie XD