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Autore: HamletRedDiablo    06/01/2014    7 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Quindici: Il Portavoce del Sole
 

Una persona sa di essere a casa quando ogni ciottolo è ricollegabile a un ricordo.

Così si sentì Yao, quando calpestò il suolo di Chugoku per la prima volta dopo un intero anno di esilio.

Erano scesi sul pianeta solo lui e il Mago dell’Ovest, entrambi camuffati grazie alla magia di quest’ultimo. Non sapevano quale fosse la situazione politica su Chugoku, e avevano ritenuto più prudente scendere in pochi per ottenere informazioni: un gruppo troppo numeroso di stranieri, anche se un incantesimo avesse loro donato fattezze orientali, avrebbe potuto destare sospetti. Così erano scesi solo loro due, l’unico a conoscere a fondo quel pianeta esotico e l’unico a sapere dove poter trovare il Marauder. Arthur teneva il non ti scordar di me in un borsello da polso che nascondeva con le maniche larghe tipiche dell’abbigliamento Asean.

Il Mago dell’Ovest rispettò i secondi di immobilità del Figlio del Cielo: poteva capire cose significasse essere stato separato dalla propria casa.

Yao chiuse gli occhi per sentirsi sommergere dall’ambiente a lui tanto caro: le strade erano riempite dal suono musicale della lingua asiatica e dalle spezie della cucina locale; nel paesaggio si spandeva il colore delle risaie e quello delle case di legno, e nell’aria si libravano le volute serpentine degli incensi, lasciati a bruciare sulle finestre per scacciare gli spiriti malevoli.

Il giovane orientale strinse una mano sul petto, dove il nucleo di fuoco bruciava: quel sapore familiare che aleggiava nell’aria sembrava rinvigorirlo ad ogni passo. Aveva scelto una tunica di tessuto pesante e nero affinché trattenesse al meglio i raggi del suo cuore di fiamme, ma temeva che la luce sarebbe trapelata ugualmente, se non fosse riuscito a calmarsi.

Inspirò a fondo prima di addentrarsi in una stretta via.

«Dove stiamo andando?» domandò il Mago dell’Ovest alle sue spalle. Il Figlio del Cielo si complimentò interiormente per le capacità magiche del Britanno: i capelli neri, gli occhi a mandorla, i lineamenti e l’accento erano perfetti. Sembrava originario delle terre Asean.

«C’è una locanda frequentata dai militari, in fondo a questa strada. È la più lontana dal palazzo» semplificò Yao, continuando a camminare. «I soldati hanno sempre voglia di chiacchierare, quando terminano le loro mansioni al castello. Chiederemo a loro.»

Fu grato ad Arthur per non addentrarsi oltre in quella conversazione.

La mole del Palazzo Imperiale incombeva su tutta la capitale, e la sua presenza maestosa soffocava il Figlio del Cielo: troppi ricordi in quei corridoi, troppi dolori in quelle stanze.

Il castello era situato sulla collina più alta, in modo da sovrastare la gente comune ed essere più vicino al Cielo, considerato il padre di tutti i regnanti. Il Mago dell’Ovest aveva sentito parlare molte volte della bellezza di quella costruzione, ma le parole non rendevano giustizia alla splendida laccatura cremisi delle pareti, al legno intarsiato in un connubio di architettura e arte, all’attenzione maniacale per ogni dettaglio e decorazione. Sapeva che il castello contava oltre un centinaio di statue di dragoni, sparsi su tutte le mura, e ognuno di essi aveva due enormi gemme per occhi, che a loro volta portavano il marchio della dinastia scolpito in oro al loro interno. Yao gli aveva spiegato che la tecnica dell’incisione aurea all’interno di una pietra preziosa era un’arte che prevedeva il lavoro in simultanea di un orafo e di un mago, entrambi di altissimo livello. Quei dragoni erano ritenuti i protettori del Figlio del Cielo e della sua famiglia, per cui dovevano essere semplicemente impeccabili.

Yao gli aveva anche raccontato che il colore del palazzo variava al variare del sovrano. Poiché lui era nato sotto la benedizione del fuoco, le mura, le piume dei draghi e l’arredamento interno erano stati convertiti in un nobile cremisi. Perfino i vestiti dei servitori, i gioielli e le sete dei nobili e le armi dei militari seguivano quella moda, e tra i popolani era considerato di buon auspicio portare almeno un orpello del colore del sovrano.

Arthur fece una valutazione molto più pratica e meno culturale: se il colore di Yao addobbava ancora il Palazzo Imperiale, significava che il suo potere non era stato del tutto spodestato. Oppure il suo successore era nato sotto lo stesso astro.

Yao osservò di sfuggita il castello, prima di concentrarsi di nuovo sulla strada. Era bastata un’occhiata, ma l’aveva riconosciuta subito. L’Ala Est, quella dell’alba. Quella in cui era cresciuto e in cui era stato detronizzato.

 

***

 

Era nato nel giorno più caldo del mese più torrido nella regione più assolata.

Sua madre era considerata la moglie più bella tra tutte quelle che il precedente Figlio del Cielo avesse mai avuto. Si diceva che, al suo passaggio, i pesci affogassero poiché si dimenticavano di nuotare, troppo rapiti dal suo fascino.

Quel giorno era stata chiamata per benedire con la sua voce argentina i campi a sud del paese, che mal tolleravano l’estate tremendamente afosa di quel periodo.

Le doglie l’avevano colta a metà del viaggio, e aveva passato un pomeriggio in travaglio per darlo alla luce nella casa di un coltivatore locale. Il piccolo sole che palpitava nel petto del neonato non aveva lasciato spazio a dubbi: lui sarebbe diventato il Figlio del Cielo, un giorno.

Il padre era morto quando lui aveva dodici anni, lasciandogli in eredità il peso di un trono troppo vasto per un bambino così piccolo.

Non appena il padre era passato a miglior vita, i consiglieri gli avevano impiantato la memoria generazionale. Yao ricordava di aver creduto di impazzire, in quel periodo: sentiva mille voci risuonargli nelle orecchie, e mille ricordi che non conosceva gli affollavano la testa. Aveva passato una settimana intera a letto, febbricitante, finché non era riuscito a zittire quel caos e a discernere tra i suoi pensieri e quelli dei suoi predecessori. I consiglieri si erano congratulati a lungo con lui, quando era uscito dalla camera dopo soli sette giorni: gli altri regnanti ne avevano impiegati almeno una dozzina, per sopportare quel fardello.

In seguito, tutto il palazzo era stato rivoluzionato: suo padre aveva regnato sotto il segno della Terra, e occorreva sostituire tutti i paramenti gialli del palazzo. Il Figlio del Cielo aveva dato prova dei suoi poteri cambiando con la magia ogni ornamento del castello. I consiglieri e i servitori avevano applaudito a ogni trasformazione, più suntuosa e maestosa di quelle del precedente sovrano; erano orgogliosi di quel potere debordante che avrebbe certamente portato una grande prosperità al Sistema Asean.

Il ricordo più vivido che Yao aveva di quel giorno, era stato quando si era voltato per chiedere dove fossero sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle. Uno dei consiglieri si era inchinato profondamente, in modo che il bambino fosse più alto di lui, mentre gli comunicava la triste verità: la sua famiglia era stata esiliata dal castello. Avrebbero mantenuto il loro status di reali e avrebbero condotto una vita adeguata al loro rango, ma non avrebbero mai più potuto mettere piede nel Palazzo, salvo in occasioni del tutto eccezionali. Il castello era riservato al Figlio del Cielo attuale, e alla sua futura famiglia. Ogni vestigia del passato doveva essere allontanata, familiari compresi.

Quella sera, mentre il sole pugnalava l’orizzonte con una violenta tinta carminio, Yao aveva fissato l’acciottolato che conduceva fuori dalla capitale. Sua madre era solita prenderlo sulle ginocchia, di fronte a quella stessa finestra, per raccontargli del luogo in cui era nato, un posto dove il sole bruciava ogni cosa, tranne la gentilezza delle persone.

Il bambino si era toccato le guance, perplesso.

«Dovrei piangere…» aveva convenuto, tastando le gote alla ricerca delle lacrime. «Perché non piango?»

Poi, comprese: la saggezza di tutti i suoi predecessori gli permetteva di accettare quel distacco come avrebbe fatto un uomo di profonda sapienza, e non come un bambino di dodici anni.

Per la prima volta, Yao si sentì estremamente vecchio. E tremendamente solo.

 

***

 

Esistevano molti modi per conoscere una persona.

Yao aveva incontrato Im Young Soo quando quest’ultimo gli aveva rovesciato l’intera ciotola di zuppa addosso.

Il Figlio del Cielo aveva osservato quel servitore, forse di qualche anno più piccolo di lui, mentre barcollava fissandosi le mani come se temesse che potessero diventare due serpenti velenosi. Aveva prestato troppa attenzione alle sue dita, coperte da alcuni panni per evitare di bruciarsi con la pentola bollente, e troppa poca ai suoi piedi.

I consiglieri scattarono all’istante e lo stesso fecero le guardie, che afferrarono quel servitore imprudente e lo costrinsero a mettersi in ginocchio. Yao si fece largo tra di loro come una falce in mezzo al grano, e osservò il bambino rannicchiato a terra, con le mani chiuse a pugno contro il petto.

Ordinò alla sua corte di abbandonare la stanza e lasciarlo da solo con il piccolo. Si inginocchiò davanti a lui – le vesti di seta inzuppata fecero un buffo rumore quando si chinò – e scostò gentilmente quei pugni contratti dal petto sussultante di paura del bimbo.

Yao non mutò espressione, quando portò alla luce le dita del piccolo: a volte, pareva più la porcellana di un bambino che la sua copia originale in carne ed ossa.

Tra le sue mani, lisce e bianche, la deformità di quelle dell’altro risaltava con una chiarezza crudele: le dita erano ritorte e gonfie come i rami tumorali degli alberi, e le unghie erano talmente scure, scheggiate e ruvide da sembrare corteccia.

Il servitore ritrasse le mani quasi temesse di poter scottare il regnante, e biascicò una scusa a occhi bassi:

«Non sono degne di essere viste da un reale.»

La memoria generazionale gli permise di identificare immediatamente quella malformazione: era la caratteristica distintiva dei maghi neri del Sistema Asean. La deformità degli arti era il prezzo da pagare per esercitare le arti oscure.

«Qual è il tuo nome?» pretese di sapere Yao.

«Im Young Soo» rispose il piccolo, rattrappendosi ancora di più su se stesso.

Il Figlio del Cielo gli impose di rialzare la testa afferrandogli il mento e tirandolo verso l’alto. I capelli erano corvini e gli occhi castani, ma le fattezze differivano lievemente da quelle degli abitanti di Chugoku e il nome non era associabile a nessuna famiglia di quel pianeta; quel bambino doveva essere originario di Kankoku, uno dei loro satelliti vassalli.

«Come sei arrivato qui?» lo interrogò, altero.

Young Soo si torturò le mani deformi, e masticò con vergogna:

«Sono stato venduto dalla mia famiglia. Avevano… paura di me.»

«Che motivano avevano, per temerti?»

Il bambino occhieggiò timoroso dalla lunga frangia che gli copriva gli occhi e tormentò un ciuffo di capelli tra le dita mentre mormorava:

«Avete visto le mie mani. Sapete cosa significano.»

«Hai mai fatto del male a qualcuno?»

Young Soo saltò a quattro zampe come se gli avessero marchiato a fuoco le ginocchia; quasi rotolò su se stesso, annaspando:

«Mai, signore! Glielo posso giurare, non ho mai, mai, mai, mai ferito nessuno!»

«Non sprecare giuramenti» lo redarguì Yao. «E cosa li ha spaventati tanto, allora?»

«Queste!» esclamò il piccolo, mostrando le sue mani ritorte. Le richiuse subito dopo, pentendosi di aver mostrato una cosa tanto orribile. «Questo… morbo?» non vedendo disapprovazione sul volto del sovrano, Young Soo continuò: «Questo morbo non colpisce solo chi pratica la magia oscura. Colpisce anche chi usa la magia senza sapere come utilizzarla.»

«Continua» ordinò il Figlio del Cielo.

Young Soo inghiottì un boccone di saliva e si mise a sedere sui talloni, in un buffo tentativo di darsi un contegno.

«Le arti oscure vanno contro le regole della magia, per questo gli stregoni sono deformi. A meno che non trovino degli espedienti per dirottare su qualcun altro gli effetti negativi degli incantesimi.»

Yao annuì; uno dei suoi predecessori aveva visto uno stregone veicolare su una bambina il prezzo di un suo incanto. La piccola era letteralmente esplosa.

«Ma vale anche per chi infrange le regole senza volerlo. Chi usa la magia senza sapere come fare…» Young Soo sospirò, e proseguì: «Non so se mi crederete, ma io non sapevo di essere un mago. Stavo giocando con i miei fratelli in riva al fiume, quando la mia sorellina più piccola ci è caduta dentro. In quel momento ho pensato solo che volevo salvarla, non importava come. Le acque si sono divise, e lei è uscita di corsa dal fiume. Non appena è arrivata da me, l’acqua si è richiusa e ho sentito un dolore fortissimo alle mani. I miei genitori si sono spaventati a morte, e mi hanno venduto. Credevano che fossi stato io a spingere mia sorella nel fiume» il piccolo sorrise debolmente, appiattendosi la frangia sul viso con le mani nodose. «Erano contadini, non sapevano che anche un mago normale può avere questo morbo, se non sa come usare la magia. Io stesso l’ho saputo solo quando sono arrivato qui, e una signora gentile me lo ha spiegato» le dita dal colore ligneo aprirono la frangia come una tenda, e la richiusero un secondo dopo. «Voi le assomigliate molto.»

Yao cercò di non mostrare il suo stupore per quelle parole. C’era solo una donna che poteva assomigliargli, in tutto il pianeta.

«Questa signora ti ha detto perché ti ha fatto entrare nel palazzo, anche se eri sospettato di praticare le arti oscure?»

Il servitore piegò la testa in strane angolazioni, come se dovesse far rotolare i pensieri da una parte all’altra del cranio per poter rispondere.

«Ha detto che avrei fatto compagnia a suo figlio, quando lei fosse andata via» le labbra del bambino si corrucciarono in una piega comica, esprimendo disappunto. «Non ne sono sicuro. Ero appena arrivato e non capivo bene la lingua di qui… lei mi ha insegnato alcune cose, prima di sparire. Stavo imparando a leggere e scrivere... Mi chiedo dove sia adesso.»

Il piccolo non vide gli occhi scuri del regnante arenarsi sulle pieghe del suo abito imperiale per dissimulare l’emozione. Capiva cosa sua madre avesse visto, in quello straniero goffo e impacciato: una persona libera dalle convenzioni e dell’etichetta soffocante del Palazzo Imperiale. Una persona sola come lui, privata della propria famiglia.

Gli aveva donato un amico che potesse capire il suo isolamento e che fosse slegato dalle catene della formalità.

«Hai mai praticato la magia, da allora?» domandò, quando fu certo che la sua voce sarebbe risuonata ferma e nobile.

La frangia troppo lunga si aprì come un ventaglio scomposto in un cenno di diniego.

«Mai.»

«Penso che dovresti ricominciare.»

Gli occhi gli lanciarono un’occhiata sconcertata, da sotto la cortina di capelli.

«Cosa avete detto?»

«Hai detto tu stesso di non essere mai stato un mago oscuro. È stato un incidente. Penso che sia un peccato sprecare il tuo talento.»

Young Soo si raddrizzò carponi e si allontanò da lui di qualche passo.

«E voi dareste lezioni di magia a un completo sconosciuto che potrebbe diventare uno stregone nero?»

Il Figlio del Cielo si rialzò in piedi, e millenni si storia scintillarono nel suo viso e nelle sue parole mentre annunciava:

«Non sopravvalutarti troppo, Im Young Soo. Anche se tu ricevessi nozioni magiche, non diventerai mai più potente di me. Se tu dovessi diventare una minaccia, ti ucciderei senza troppo sforzo.»

Sentì il piccolo deglutire rumorosamente a quella prospettiva.

«E poi, la persona che per prima ti ha dato fiducia è… la persona di cui mi fido di più in tutto il mondo. Non posso mettere in discussione il suo giudizio.»

«Cosa dovrei fare?»

Una debole stretta di dolore strizzò il cuore di Yao. Quel ragazzo era stato abituato a servire, obbedire e umiliarsi fin dalla più tenera età: c’era la paura di chi non può abbandonarsi alle illusioni in quegli occhi sgranati che lo fissavano, il panico di sperare in qualcosa e il terrore di vedere quella stessa speranza frantumata.

Il Figlio del Cielo inspirò a fondo, e proclamò:

«Sarai istruito come si conviene. Imparerai a leggere e a scrivere. E imparerai a usare la magia per proteggere il regno.»

«Ma ho il mio lavoro nelle cucine…»

«Non sarai più uno sguattero. Sarai un mago.»

Il terrore della speranza raggiunse i massimi livelli in quelle iridi castane.

«Ma io non merito tanto…»

«Allora dovrai fare del tuo meglio per meritarlo. Studia. Diventa il miglior mago che si sia mai visto. E metti la tua magia al mio servizio, al servizio di tutto il Sistema Asean.»

Young Soo gattonò fino a lui, e afferrò un lembo della sua veste rubino con le dita tremanti. Portò il tessuto vermiglio alle labbra per baciarlo, e si rialzò di scatto per non bagnarlo con le lacrime che avevano improvvisamente cominciato a scorrere sul suo viso.

Cercò di fermarle contro le maniche ruvide della tunica servile, ma sembravano aumentare a ogni sfregamento.

«Scusatemi…» singhiozzò. «Non è questo il modo giusto… di rispondere alla vostra proposta…»

Yao si chinò per vedere le sue lacrime più da vicino. Quella era la reazione normale di un bambino: piangere come se i condotti lacrimali si fossero rotti. Non la gelida accettazione che gli aveva asciugato gli occhi, mesi prima.

«Scusate…»

«A volte è bello saper ancora piangere» il suo mormorio non fu più forte del fruscio della seta, quando si sporse per abbracciare il suo coetaneo singhiozzante.

Young Soo aprì le braccia per ricambiare, ma rimase in quella posa senza avvicinare le sue dita indegne alla schiena del sovrano.

«Farò del mio meglio» garantì, le mani che ciondolavano nel vuoto come quelle degli spaventapasseri. «Non vi pentirete di aver scelto me! Ve lo giuro!»

Quella volta, Yao non lo rimproverò di non sprecare giuramenti.

 

***

 

Young Soo mantenne la parola.

Nei mesi successivi si dedicò allo studio con tanto zelo che i servi cominciarono a sospettare che si nutrisse di libri e non di cibo.

Yao osservò la sua metamorfosi con un sorrisetto compiaciuto.

Il servo goffo diventò uno studente brillante, anche se il precettore si lamentava spesso del suo carattere troppo vivace e chiassoso per un uomo di cultura. E lo studente mutò in mago principiante, che saettava dal Figlio del Cielo per mostrargli i suoi progressi, scatenando un coro di proteste da tutti i servitori che rischiava di investire con la sua corsa folle per i corridoi.

Yao aveva dovuto sopportare lunghe riunioni e interminabili discussioni con i consiglieri perché accettassero la sua decisione di far diventare quel campagnolo un mago reale. E, nonostante fossero passati mesi dalla formalizzazione della sua scelta, alcuni consiglieri ancora borbottavano.

«Dovreste istituire una carica solo per lui. In questo modo, nessuno potrà più contestare alcunché» gli suggerì un giorno il più anziano.

Yao, a quell’epoca tredicenne, si era voltato verso di lui con un sopracciglio arcuato dalla sorpresa.

«Credevo che fosse poco etico, fare una cosa del genere. È come calpestare la volontà di tutto il consiglio.»

«Siete il sovrano, siete nato per far finta di ascoltare le opinioni altrui e poi procedere per la vostra strada. È il vostro lavoro» il vecchio gli aveva sorriso in un delinearsi di rughe ai lati degli occhi e della bocca. «Ma, per la giusta decisione, vale la pena calpestare l’opinione di qualche brontolone.»

Yao lo aveva fissato socchiudendo gli occhi e inclinando la testa, esattamente come la madre era solita fare.

«Mi stupisce che approviate Im Young Soo.»

«Oh, io non approvo che un servo possa scalare in questo modo la piramide sociale. Per questo, sono conservatore» lo smentì il vecchio. «Ma quel giovane sta dimostrando un talento non comune per la magia, e una dedizione che oserei definire famelica per lo studio. Penso che Chugoku trarrebbe giovamento dai suoi servigi, se guidati dalla vostra saggezza. E ammetto di trovare piacevole la distensione sul vostro volto, da quando avete quel piccolo straniero intorno.»

Il Figlio del Cielo sorrise, scendendo dal trono tramite la scaletta d’oro. Non vedeva l’ora di crescere abbastanza da rimuovere quell’aggeggio avvilente.

«Eri il consigliere cui mia madre era più affezionata» rifletté Yao, passandogli vicino.

«E lei era la sovrana cui ero più devoto» contraccambiò l’uomo.

La calma della sala fu sgretolata dall’entrata del tifone di Kankoku; Young Soo irruppe all’interno e si fiondò contro Yao.

«Fratellone! Guarda cosa ho imparato a fare!» esultò, prima di battere le mani per richiamare un minuscolo drago di fuoco sul palmo. La bestiola compì qualche spirale nell’aria, prima di sparire in una piccola nuvola di fumo contro le dita ricurve del piccolo.

«“Fratellone”?» disapprovò il consigliere.

Solo in quel momento Young Soo registrò la presenza di un’altra persona nella stanza. Si voltò di scatto, raddrizzò la schiena e recitò come un automa:

«Consigliere, giungo qui per mostrare al Figlio del Cielo i miei progressi negli studi…»

«Non serve recuperare adesso» lo smontò severamente l’uomo. «Cerca di tenere a mente il galateo, e non solo le formule magiche.»

Young Soo si girò verso Yao con espressione colpevole, non appena rimasero soli nella sala.

«L’ho fatto arrabbiare?»

«No. Ma dovresti davvero prestare più attenzione al luogo e al momento.»

Il piccolo infossò la testa tra le spalle, depresso.

«Allora non posso più chiamarti “fratellone” e darti del tu?»

«Puoi farlo, ma solo quando siamo da soli.»

«Quando ci sono altri servi?»

«No.»

«Quando ci sono i consiglieri?»

«Assolutamente no.»

«E davanti a un kappa

«Per quale motivo dovremmo mai trovarci davanti a un kappa

«Se dovesse farci visita.»

«I kappa vivono solo negli stagni, per ricaricare di acqua la pozza che hanno sulla fronte.»

«Ma se ci fosse un kappa

«Forse.»

Young Soo emise un gridolino felice, e saltellò di fronte al sovrano.

«Fratellone, quanti anni hai, esattamente?»

Yao chiuse gli occhi, rassegnato. L’ingenuità di quel bambino non conosceva confini: non sapeva neppure che il Figlio del Cielo era venuto alla luce tredici anni prima.

«Tredici» rispose infatti.

«Sei più grande di me di due anni» meditò ad alta voce Young Soo. «Però hai gli occhi degli adulti.»

«Gli occhi degli adulti?» gli fece eco Yao.

«Sì. Gli occhi annoiati, come se avessero già visto tutto… e come se quel tutto non gli fosse piaciuto.»

Il nucleo di fuoco pulsò nel suo petto. Era colpa sua se aveva già sperimentato tutte le brutture del mondo, a soli tredici anni: aveva visto il tradimento, l’invidia e l’ipocrisia. Aveva visto battaglie, sangue e guerre, colpi di stato e rivoluzioni. L’infanzia non era solo una questione di anni: era una condizione mentale, e la sua era stata spazzata via dalla memoria generazionale. Invidiava quasi i bambini i cui massimi problemi erano mangiare le verdure troppo amare e finire i compiti per la scuola pubblica.

«Ti fa male il cuore, fratellone?»

Young Soo dovette ripetere la domanda prima che Yao potesse evadere la risposta.

«Un po’. Nulla di grave.»

Il mago non si lasciò scoraggiare da quel bubbolio; si piazzò davanti al coetaneo e mosse le dita come per accarezzargli il petto, salmodiando:

«Non fa male, non fa male… non fa più male!» e batté le mani per concludere l’incanto.

«Ti hanno insegnato anche questo, a lezione di magia?» domandò pacato Yao.

«No» Young Soo sfregò il naso con un dito, confessando: «Me lo faceva mia sorella minore, quando mi facevo male. Non sapeva come fare per curarmi, così “mandava via il male”, diceva lei» scostò appena la frangia per sbatacchiare le ciglia, mentre chiedeva: «Ha funzionato?»

«Temo che la tua formula debba essere revisionata» il Figlio del Cielo cominciò con una lamentela, ma terminò con un complimento: «Ma apprezzo lo sforzo.»

Yao tossì con eleganza prima di noare:

«I miei occhi sono antichi, ma per quanto riguarda i tuoi… sarebbe bello vederli, ogni tanto.»

«A che scopo? Non hanno nulla di particolare.»

«Come puoi dirlo, se li tieni sempre sotto la frangia?»

«Lo so…?»

Incurante della recalcitranza dell’amico, Yao scostò i capelli dal viso di Young Soo pettinandoglieli all’indietro con una mano. Le ciglia erano corte e scurissime, spalancate su un paio di iridi che avevano il colore del legno a dicembre, quando l’umidità lo rende più spesso e scuro.

«Hai dei begli occhi. Dovresti scoprirli.»

«Ma io…»

«Scoprili. È un ordine.»

E Yao aggiunse un secondo comando: si sarebbe dovuto recare in camera sua la mattina seguente, affinché il regnante potesse assicurarsi che il nuovo taglio fosse di suo gusto. Quando Young Soo gli chiese a quale taglio di riferisse, il Figlio del Cielo rispose con sicurezza: «Quello che andrai a fare questa sera stessa per non contrariare il tuo sovrano.»

Gli appartenenti alla razza reale si distinguevano soprattutto per quella particolare abilità di imporre con estrema naturalezza il proprio volere agli altri, dando l’obbedienza per scontata.

Young Soo si presentò puntuale all’appuntamento con l’amico, tastandosi continuamente la fronte scoperta. Il barbiere di corte gli aveva pettinato i capelli ai lati del viso senza alcuna pietà, dopo averli accorciati abbastanza da assicurargli una fronte nuda per almeno due mesi.

Yao lo fece entrare, e si congratulò per il risultato. Young Soo avrebbe voluto che il palazzo si sollevasse e lo schiacciasse con la sua mole: non aveva una grande opinione del suo viso, specie se paragonato a quello del regnante, che aveva ereditato la fine bellezza della madre.

«Ho fatto preparare una cosa per te» lo informò aristocratico Yao, indicandogli un manichino piazzato in mezzo alla stanza.

Young Soo lo circumnavigò lentamente, gli occhi fissi sul vestito in esposizione. Non ricordava di aver mai visto un abito simile a corte: un paio di calzini bianchi contenevano la parte terminale dei pantaloni candidi, su cui ricadeva una lunga tunica color neve. Lo scollo ricalcava la moda di Chugoku, incrociato sul petto, così come le maniche, lievemente più lunghe di quanto fosse necessario. Un bizzarro gilet blu, fermato sul petto da una spilla carminio, completava il tutto.

«È un abito piuttosto strano» commentò alla fine. «Però è bello.»

«Sono lieto che ti piaccia. Perché, d’ora in poi, sarà la tua divisa ufficiale» Yao aggiunse, per essere ulteriormente chiaro: «Il Portavoce del Sole deve avere un’uniforme distintiva.»

«Non ho mai sentito nominare questa carica» notò serafico Young Soo.

Non c’era limite alla semplicità di quel ragazzo. Non sapeva se invidiare o maledire tanta ingenuità.

«Tu sarai il Portavoce del Sole. È una carica nuova, che ho creato io, e designa il mago di corte» preferì essere elementare, nella successiva spiegazione. «I consiglieri non approvano la nostra differenza di status, non approvano l’opportunità che ti ho dato. Ma, se accetti questa carica, non potranno più ribattere nulla. E tu sarai libero di continuare a studiare.»

Young Soo non si voltò; le mani rimasero sospese di fianco al vestito, come se anelasse di toccarlo ma temessero di sporcarlo. Non aveva perso il suo terrore per la speranza.

«Stai andando contro il volere dei consiglieri per me?»

«Solo alcuni di loro.»

«Perché?»

«Ritengo che sia la cosa giusta da fare. In pochi mesi hai fatto progressi che normalmente richiedono anni. Sarebbe sciocco non concederti l’occasione di servire il Sistema Asean solo perché sei nato da una famiglia di contadini.»

«Non ti creerà dei problemi, aver scelto me?»

«Mi creerebbe più problemi non avere un mago capace al mio fianco.»

Young Soo rimase in silenzio, e Yao lo incalzò gentilmente:

«Accetterai?»

Vide le mani deformi del giovane stringersi fino a tremare, e sentì la voce strisciare a fatica attraverso una gola otturata di lacrime.

«Fratellone, devi smettere di decidere le cose alle mie spalle. E, soprattutto…» un singhiozzo lo fece interrompere, e la manica corse a sfregarsi contro gli occhi come un anno prima. «Devi smettere di farmi piangere perché decidi troppo bene.»

Come un anno prima, Yao lo raggiunse per abbracciarlo.

«E se non fossi capace?» pianse Young Soo, premendo inutilmente gli occhi con le mani.

«Hai dimostrato di avere una volontà di ferro, e delle ottime capacità magiche. Saprai fare il tuo dovere.»

«E se ti dovessi deludere?»

«Mi deluderesti solo se mi abbandonassi.»

Le dita contorte si appoggiarono su quelle affusolate di Yao. Un anno prima, non era degno di toccare un reale: adesso era il Portavoce del Sole.

«Non abbandonerò mai il fratellone» giurò. «E troverò un modo per ripagare la tua gentilezza, un giorno.»

«Sarà sufficiente che tu protegga il nostro Sistema» minimizzò Yao, lasciandolo andare.

Young Soo sfiorò la stoffa bianca delle maniche. Erano più lunghe del normale, e adesso aveva capito il motivo: avrebbe potuto nascondere le sue mani sotto quel tessuto, così non avrebbe più dovuto vergognarsi della sua deformità.

Portò la stoffa al viso, annusandola per rapire il sentore di bucato.

Era uno dei più giovani, tra i suoi fratelli, e l’unico che contava davvero all’interno della famiglia era il figlio primogenito; non aveva mai sperato di ricoprire un ruolo importante all’interno del nucleo domestico. Poi era stato spedito tra i servi, dove i sogni erano banditi. Nella sua breve vita, era stato rassegnato fin dalla nascita a vivere nella mediocrità.

Aveva ottenuto la benedizione del Figlio del Cielo, aveva ricevuto un’istruzione più che adeguata e stava per diventare una figura portante della nobiltà di Chugoku.

Yao non aveva idea di quanto profondamente lo avesse salvato: la miseria materiale era un cancro che si diffondeva anche nell’anima, lasciando lo spirito spoglio e affamato. Sarebbe diventato uno dei tanti servitori con gli occhi spenti. Il Figlio del Cielo lo aveva sottratto a quel destino e stava stendendo una strada lastricata d’oro davanti a lui.

Aveva quasi paura di quella fortuna insperata: temeva che qualcuno potesse strappargliela via da un momento all’altro. Soprattutto, temeva che potessero strappargli Yao.

«Diventerò forte» promise al vestito che lo fissava. «Così forte che il fratellone non avrà nulla da temere» accarezzò il gilet blu, e avvalorò: «Prima di Chugoku, servirò il fratellone. Finché non avrò ripagato il mio debito.»

Si voltò, e sorrise alla stanza vuota: Yao si era dovuto recare alla consueta riunione mattutina.

«E anche dopo, quando non ci saranno più debiti a legarmi. Perché ho giurato di non abbandonare mai il fratellone. E non era un giuramento sprecato.»

Portò quel vestito in camera sua e lo ammirò come un trofeo per tutto il giorno prima di decidersi a indossarlo.

Fu rivestito della carica di Portavoce del Sole tre mesi dopo.

Fu in quel periodo che conobbero Kiku.

 

 

 

 

Buonasera a tutti<3

All’inizio la storia di Im Young Soo e quella di Kiku dovevano essere insieme… poi ho deciso di spezzarle, altrimenti non sarei mai riuscita ad aggiornare in tempo, e il capitolo sarebbe stato un papiro egizio XD

Nel prossimo capitolo comparirà Kiku<3 E si spiegherà un po’ come, quando e perché è entrato in contatto con il Figlio del Cielo<3

Dunque… ci rivediamo il 13!

Red

P.S. Per la metafora sui pesci che affogano per la troppa bellezza della sovrana… è una metafora realmente esistente, utilizzata per descrivere la bellezza di Da Chao, una delle donne più belle di tutta la Cina dei Tre Regni.

P.P.S. Per chi fosse interessato: “Chugoku” è “Cina” in giapponese, e “Kankoku” è “Corea”, sempre in giapponese. Visto che conosco poco di cinese e niente di coreano, ho preferito usare una lingua in cui sono cosciente di quello che scrivo, per evitare di buttar giù delle fesserie XD

   
 
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