Giro.
Giro. Giro.
Io,
Procne, non posso fare altro che girare in tondo in
questo piccolo spazio. La parola non mi appartiene più, sfuggita dalla mia
bocca con la mia lingua in un getto di sangue.
Giro.
Giro. Giro.
Attendo una mano pietosa ad alleviare la mia pazzia.
Pazzia completa. Pazzia distruttrice.
Da
regina a schiava, da donna a essere informe, non più
umano nell’aspetto e nella mente.
Figlia
di re, data in sposa a un mostro, un orrore sputato
dall’Ade. Chiunque penserebbe che essere nata da una
stirpe antica e essere andata in sposa al figlio di Ares sia un grande vanto. Sciocco chi lo pensa! Il mio
destino si è sciolto in mille lacrime, in lacrime e
sangue.
Tereo, questo il nome dell’aguzzino, mi prese in moglie con
mille onori. Mille giorni mi attesero, ma il mio talamo non fu presenziato da Imeneo, non ci fu il canto nuziale degli dei,
le Grazie, Algaia, Eufrosine e Talia
odiarono il mio matrimonio e Era non posò lo sguardo su di me.
Le
Erinni, sì, forse solo loro accettarono di presiedere il mio sposalizio per
versare veleno dentro i nostri calici.
Oltre la mia vita, anche quella dell’amata sorella hanno richiesto. Filomela, dolce e
piccola fanciulla, gioia dei miei pensieri, unico
appiglio rimasto, fosti ingannata con la menzogna della mia morte, fosti
convinta così dalle lacrime di Tereo a prendere il
mio posto come regina. Dalla prima volta che il suo sguardo si era posato sul
tuo corpo eri rimasta impressa come un marchio, nel
fuoco, col fuoco. Povero mio dolce affetto, non sapevi quale inganno si celava
sulla nave che ti avrebbe portato nella tua nuova partia.
Quale figlio di Ares, Tereo sterminò la scorta
fornita da nostro padre da solo. La buttò giù dalla nave senza alcun tipo di
pietà. In fin dei conti non l’ha avuta per me e
nemmeno per un fiore come te.
Ti
prese, ti prese brutalmente senza preoccuparsi di
ferirti. Piccola sorella, violentata da quella mano di sangue.
Il
turpe Tereo ti prese in moglie, contravvenendo alla
legge degli dei, diventando bigamo e tu hai vissuto
ancora nel terrore.
Ho intessuto il tuo abito nuziale con una trama di
porpora. Non ho lingua, ma avevo ancora il cuore di
comunicarti il tuo destino e di svelarti il mio. Filomela, tu hai accolto il mio
messaggio, come quando eravamo bambine e riuscivano a raccontare i nostri
segreti nel silenzio degli sguardi.
Ho
intessuto il velo nuziale con un messaggio di vita. Ho intessuto i nostri
destini e per noi e la nostra liberà hanno sofferto e pagato Tereo e il frutto della mia unione, perché non c’è
sofferenza più grande che vedere i propri figli morti. Ito, mio figlio, è morto
per mia mano ed è stato il prezzo che Tereo ha pagato per le sue empietà.
Giravo, quando colto il messaggio sul velo, sei venuta
da me. Mi hai trovata. Calde lacrime hanno bagnato il
tuo bel viso, vedendomi così folle, così persa in trame e orditi empi.
Io
sono stata la mente e il braccio della mia vendetta, della mia
rivalsa sull’orrore di quel maschio scellerato.
Con
una spada ho trafitto il fianco di Ito, nonostante la
sua piccola voce mi chiamasse. “Mamma, mamma!” diceva
e le sue braccia, piccole braccia bianche, cercavano di raggiungere il mio
collo per abbracciarmi. Non mi vedeva da un anno, ma il mio sguardo e il mio cuore erano induriti e i suoi richiami mi erano
indifferenti. Il sangue ha iniziato a sgorgare da quella ferita e sarebbe stata una morte lenta, se Filomela
non gli avesse tagliato la gola. Lo sguardo di Ito si
è spento con la mia immagine negli occhi.
Da vere sorelle abbiamo agito insieme, io e Filomela. Insieme abbiamo fatto a
pezzi Ito. Le sue membra ancora calde sono state gettate in un calderone a
bollire.
La
sua testa era sul davanzale delle cucine e il suo sguardo seguiva ogni mio
movimento. Sì, lui era il mio monito: così somigliante a suo
padre, non faceva altro che accrescere il mio odio.
Tereo, tu
hai sopportato un dolore per la prima volta. Dopo il lauto banchetto
la mia apparizione ti è sembrata indigesta, poco rispetto alla rivelazione
crudele che ho fatto. Non avevo voce, ma avevo la testa di Ito:
l’ho lanciata verso di te con un ghigno di vittoria e tu hai compreso quale era
stata la pietanza prelibata del tuo banchetto, il banchetto al quale solo tu
hai partecipato.
Volevi vomitare, volevi vomitare tuo figlio. Tu eri la sua tomba. Avevi
mangiato il frutto della tua carne, il tuo sangue.
Volevi uccidere me e Filomela?
Gli dei non hanno voluto. Zeus ha fermato questa carneficina, questa continua vendetta.
Tu,
Tereo, hai conservato la tua vocazione alla guerra
con quella cresta e quelle piume…”Poù Poù” vai cantando….ci cerchi ancora per ucciderci.
La
mia amata sorella è un usignolo: cant, piange per mio
figlio, lei che ne ha avuto pietà.
E io? Io
non ho un bel canto, io non ho lingua e nella mia pazzia giro sempre in tondo.
Giro.
Giro. Giro.