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Autore: Alex Wolf    07/01/2014    2 recensioni
Questa, più che una One-Shot, è una FF di 5 capitoli sul nuovo personaggio introdotto nella mia trilogia composta da "When you let her go", "Just can't let her go" e "You must go.'Cause it's time to choose".
« Non volevo dire quelle cose, mio signore. » Mi scusai appena lo percepii a poca distanza da me. Aprii le palpebre e lo vidi lontano, intento a guardarmi. « Ora devo andare. » I suoi occhi da gatto, belli e crudeli, mi seguirono finché non scomparii fra le fronde ramose in cerca del mio drago. Potevo sentirli pungere sulla schiena, come le fruste che l’avevano ferita molto tempo prima. Potevo sentire il suo respiro regolare anche da quella distanza; il battito del suo cuore. Le sue labbra che si muovevano sussurrando parole che il vento mi portava segretamente. Potevo sentire la sua anima, l’anima di Thranduil, muoversi in subbuglio mentre sparivo e uscivo dalla sua visuale, fuori dal suo controllo.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza dei draghi.
 
 
“ Lo sento nelle mie vene. ”
 
-Imagine Dragons.


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A lui non piaceva aspettare. A lui non piaceva ricevere visite. Lui non voleva nemmeno riceverla quest’elfa nuova, ma Dama Galadriel aveva talmente insistito per far si che l’accogliesse che alla fine era crollato. Lui, il grande Thranduil, re di Bosco Atro, si stava dirigendo verso lo spiazzo della sua sala del trono con un finto sorriso stampato in volto. Davanti alla sua figura si ergevano tutti e tre i grandi sovrani elfici della terra di mezzo: Elrond, Galadriel e Celeborn. Il primo con i capelli scuri ed abiti ramati, i secondi con le vesti bianche e i capelli biondi; e poi c’era lui dai capelli d’oro e la veste d’argento. Si sentiva così potente in confronto a loro, eppure aveva accettato di sottostare a una loro richiesta e accogliere nel suo regno il sangue del sangue di Sauron.
« E’ un ottima guerriera ed è anche un’ottima ancella. » La voce di Celeborn era calda e sicura mentre parlava. « Il suo nome è Fanie, ed è un’abile manipolatrice del ghiaccio. » Il re di Lorien si spostò un poco e alle sue spalle ecco incamminarsi una giovane elfa dai lunghi capelli biondi e ondulati come le onde del mare racchiuso nei suoi occhi. La giovane si fermò innanzi a lui e alzò il volto: quegli occhi che da lontano gli erano parsi il mare da vicino lo colpirono per la freddezza racchiusavi.
« Ti servirà come meglio desideri, Thranduil. Ma, bada, se verremo a sapere che le hai fatto del male non saremo clementi. » Lady Galadriel l’osservò con i suoi occhi chiari prima di voltarsi e scomparire con al seguito gli altri due regnati. Rimasero solo lui e la nuova arrivata li, fermi immobili a osservarsi e per la prima volta dopo decenni il cuore del re batté un tantino più veloce.
 
Le prese la mano e con lentezza calcolata poggiò quella libera alla base del suo collo, scostando le lunghe onde bionde oltre le spalle fini e coperte dalle spalline rosse del vestito che le aveva prestato. I loro occhi chiari non si erano allontanati nemmeno per un secondo, mentre il re avvicinava il suo volto a quello della giovane e piegava la testa leggermente a destra. Un attimo prima di chiudere gli occhi sentì il suo fiato leggero contro le proprie labbra e sorrise: l’aveva messa in difficoltà e la cosa gli piaceva.
« Non voglio mangiati, lo prometto. » Ridacchiò e lei sorrise. I loro occhi si scontrarono ancora poi la giovane chiuse gli occhi in attesa e il re non si fece aspettare. Le loro labbra si scontrarono e nel petto del sovrano parvero scatenarsi fuoco e fiamme. Lasciò la presa sulla mano della ragazza per stringerla successivamente attorno ai suoi fianchi e tirarla più vicina. I loro corpi aderirono perfettamente e, dopo qualche secondi d’esitazione, le mani di Fanie furono fra i capelli del re, privi di corona. Le loro bocche si muovevano febbrili e eccitate, mentre con qualche passo lui la spinse contro il muro e prendesse ad accarezzarle la vita.
 
« Mio signore? » Thranduil aprì gli occhi e si ritrovò davanti la giovane Fanie, che l stava fissando confusa. « Mio signore, si sente bene?  »
 


 
°   °
 
 


« Elendil, oh Dio, ma che ti hanno fatto? » Sussurrai raccogliendo fra le braccia il corpo di un giovane elfo. I lunghi capelli scuri erano sparsi sul terreno e macchiati di terra e sangue, così come il suo viso.  Gli occhi azzurri erano privi di tutta quella vitalità che avevo conosciuto quando mi avevano portata per la prima volta nei boschi di Lorien. Quel giovane che mi aveva accolta con un sorriso quando nessuno osava avvicinarmisi, quello stesso ragazzo che mi aveva insegnato a lottare per anni e mi aveva presentata a suo fratello Rìnon. Elendil, lo stesso elfo che aveva pianto per la mia partenza dalla corte di Sire Celeborn ora giaceva inerme fra le mie braccia sporche del suo sangue. Alzai il volto dal suo e mi guardai attorno: sul campo di battaglia migliaia di corpi erano disseminati e privi di vita. Migliaia di vittime, colpevoli e non, giacevano sulla stessa terra grondante del loro sangue dopo essere corsi incontro ad un destino unico che li aveva condotti alla morte. I miei draghi volarono in circolo sopra di me e dopo qualche tempo atterrarono schiacciando le carcasse sotto il loto peso. Li ignorai e tornai al corpo senza vita del mio amico; era straziante vederlo così, dopo averci passato tanto tempo assieme. Non riuscivo a credere che fosse morto, o forse non volevo, ma ero faccia  a faccia con la verità in questo momento e faceva male. Accarezzai una guancia all’elfo e il freddo del suo corpo mi fece scostare le dita velocemente inorridita. Cosa avrei detto a Rìnon al mio ritorno? Come avrei potuto spiegargli che avevo trovato il corpo di suo fratello morto sotto le mura del Fosso di Helm? Come avrei solo potuto dargli quella notizia, io che ero l’ultima persona che avrebbe voluto vedere dopo l’annuncio di Thranduil? E se anche mi avesse ascoltato cosa gli avrei detto? Già mi immaginavo la sua mascella tendersi e gli occhi velarsi di lacrime mentre dalle mie labbra uscivano frasi tipo: “Non ho potuto salvarlo, era già morto al mio arrivo”, oppure, “Ti posso assicurare che però aveva un’espressione serena sul viso. L’ho sepolto e ho ghiac…” Smisi di pensare e asciugai la lacrima solitaria che stava rigando la mia guancia. Un idea malsana mi attraversò la mente e, per quanto sapessi che era quasi impossibile per me riuscirci ancora, alzai il palmo verso l’alto e sentii il freddo ghiacciarmi le vene. Faceva male, era talmente tanto che non praticavo più quella magia che ora potevo vedere persino da quella distanza le mie vene schiarirsi fiano a diventare bianche e scomparire sotto la pelle candida; poi un formicolio prese a espandersi sul palmo, fino all’attaccatura delle dita e successivamente accadde: una ventata gelida invase me e i corpi che mi stavano attorno, fiocchi di ghiaccio si ritrovarono in balia del drago d’oro che non esitò a inghiottirli. Serrando le labbra fino a ridurle in una linea sottile richiusi le dita sulla mano e lanciai un’occhiata al dragone. Ora, aveva aperto le grandi ali d’oro e tossiva nuvole di fumo, mentre il drago nero gli si avvicinava circospetto col muso piegando la testa verso destra. Il più piccolo dei due tossì e l’altro fece un salto indietro muovendo la testa per liberarsi dal ghiaccio che aveva sul muso; con uno sbuffo questo gli colò sul muso nero.
 
 


°   °





« Fai piano, per favore. » Chiesi al drago nero quando con i suoi artigli prese Elendil. Osservai il corpo allenato dell’elfo venire alzato come se non pesasse nulla e i suoi capelli ondulare a causa del movimento dell’animale. Quando l’enorme lucertola giunse davanti alla fossa che avevo scavato vi depositò il cadavere con attenzione. Rivolsi un sorriso all’animale  e fischiai al drago d’oro che si avvicinò in un battito d’ali. Osservai i suoi occhi d’ambra e poggiai una mano sul suo collo forte per infondergli calore e potere. « Soffia piano: guarda me. » Rivolsi un palmo alla buca e subito il ghiaccio prese ad uscire solleticandomi la pelle. La sostanza cominciò a depositarsi sul corpo del soldato; il ghiaccio, che come cristallo pregiato prese a ricoprire Elendil brillava al sole. Ormai le brutte giornate erano lontane e la primavera si avvicinava. Abbassando il volto, il drago posizionò le labbra all’altezza della buca e prese a soffiare: in pochi minuti la tomba brillò come fosse un enorme diamante e sotto di essa si riusciva a vedere il corpo del soldato.  Mi chinai su di essa e gli feci un’ultima carezza prima di voltarmi e avventurarmi oltre le mura in cerca di sopravvissuti. Inutile, oltre esse si apriva ai miei occhi lo stesso scenario che c’era fuori: corpi su corpi di uomini, elfi e orchi… e un drago.
Oh, per tutti i Valar: quello deve essere il drago di cui aveva parlato Thranduil. Lo stesso che era atterrato nella radura!
Corsi finché non raggiunsi il suo corpo e potei accertarmi che era realmente quell’animale. Feci correre le mani sul suo enorme muso, e sui denti che sporgevano dalla mascella aperta: alcuni mancavano, caduti a terra a causa dell’urto improvviso col terreno, pensai. Ma poi qualcosa attirò la mia attenzione: un Uruck-ai steso a terra che teneva fra le mani un’armatura, che dalla forma pareva di fattura elfica, ricoperta da squame azzurre.  Mi avvicinai circospetta e gliela rubai dalle mani: questo non fece resistenza, molto probabilmente perché aveva un artiglio infilato nel petto. Magari il drago era ancora morente mentre quello gli strappava le squame e le attaccava all’armatura, e così l’aveva ucciso. Scossi il capo e tornai sui miei passi; quando oltrepassai le mura e tornai sul campo di battaglia più esterno le squame brillarono al sole come zaffiri. Le osservai per qualche secondo e poi decisi di infilarmela: le squame di drago erano la corazza più sicura al mondo e io avevo avuto la fortuna di trovare un’armatura fatta con esse.
  
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