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Autore: Betta3x9    28/05/2008    4 recensioni
[Dedicata a Strana90]
Le mani di Remus accarezzarono la copertina un po' consumata dell'album, per poi aprirlo. Nella prima pagina, scurita dal tempo, si leggeva ancora chiaramente: “A Lunastorta da Felpato. Ti faccio dono del mio cuore: abbine cura”
Genere: Romantico, Commedia, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: James Potter, Peter Minus, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata a Strana90 con tanto affetto.
Perché questa è la sua coppia preferita,
perché è un'amica speciale,
perché è l'unica con cui riesco a rimanere in silenzio,
perché oggi è il suo compleanno.
[Kokka, ancora tantissimi auguri per i tuoi 18 anni]



SORRISI DI CARTA


Quell'anno l'Inverno era arrivato in anticipo, adagiandosi sull'erba come morbida neve, insinuandosi tra le fessure, mangiandosi il Sole in un cielo d'un grigio così uniforme da nauseare.

Remus sbatté la porta d'ingresso, opponendosi al vento, che cercava di riaprirla.
Lasciò scivolare a terra l'impermeabile nero, zuppo di pioggia, ripromettendosi che l'avrebbe sistemato più tardi.

Di lì a pochi minuti, Remus era accoccolato davanti al camino, dove delle fiamme blu si mangiavano la legna, senza sprigionare fumo.
E l'uomo, stringendosi nel vecchio maglione di lana, respirava piano, lo sguardo perso nel fuoco, e la mente a rincorrere pensieri pigri e vecchi ricordi.

La nostalgia è una delle peggiori malattie, si sa, e difficilmente si riesce a guarire.

Remus era malato di nostalgia.

Gli occhi percorsero la stanza, senza vederla realmente.
Un librone di pelle nera, dai bordi rovinati, riposava sulla mensola del salotto, senza far nulla per attirare l'attenzione su di sé.

Le mani di Remus lo conoscevano bene, quel libro: poteva quasi sentire la ruvidezza della copertina soltanto fissandolo.

Anzi, per essere precisi, non era esattamente un libro, ma un album di foto: uno di quelli che ti aspetteresti essere pieni di foto in bianco e nero di uomini dallo sguardo severo e baffoni un po' ridicoli, di signore anziane vestite di nero, e di bambini composti, con la riga di lato e il vestito della domenica.

Le mani di Remus accarezzarono la copertina un po' consumata dell'album, per poi aprirlo.

Nella prima pagina, scurita dal tempo, si leggeva ancora chiaramente:

“A Lunastorta da Felpato. Ti faccio dono del mio cuore: abbine cura”

Sotto la scritta, dalla calligrafia elegante e un po' svolazzante, si leggeva la firma: Sirius.

Remus ricordava come fosse ieri il giorno in cui Sirius gli si era avvicinato con un sorriso timido e l'album stretto tra le mani.

Era stato diversi anni prima, quando Hogwarts respirava ancora attorno a loro, quando la vita adulta era una lontana preoccupazione, e la scuola sussurrava al passaggio dei celebri Malandrini.

Quando James, una mano tra le ciocche ribelli e l'altra stretta attorno ad un boccino, scherzava fraternamente con Peter, che, stando al gioco, lasciava che un finto sdegno gli colorasse il viso.

Quando Sirius gli sorrideva ancora dal suo fianco, parlandogli di centinaia di cose diverse: dal compito di trasfigurazione per il giorno successivo, allo scherzo che progettava di fare a Piton, a James che pareva sempre più innamorato della Evans.

Quando la vita aveva ancora il sapore dolciastro delle giornate primaverili sulla riva del Lago Nero, ma anche quello un po' amaro dei pomeriggi passati chini sui libri; quando il cuore era ancora capace di battere forte, lì nella Stamberga Strillante, come tra le coperte sfatte del suo letto, con Sirius che respirava piano accanto a lui.

Remus sentiva qualcosa bruciargli dentro, graffiandogli la gola, ogni volta che accarezzava con la mente la sua vita passata, finendo, inevitabilmente, per confrontarla con le giornate grigie e vuote che ormai lo circondavano.

Quando, esattamente, era cresciuto?

Forse, quando, da bambino, aveva osservato terrorizzato quel lupo mannaro avvicinarsi minaccioso, o forse quando aveva visto Hogwarts farsi sempre più lontana per l'ultima volta, o forse quando quel mago folle che cercò di diventare dio si portò via il mondo che conosceva, o forse quando... sì, probabilmente era proprio questo.

Ma... Dio, non poteva ancora crederci, proprio non poteva.
Non poteva essere stato Sirius, non lui, non a James.
No.

Quello non era il suo Sirius.

Il suo Sirius ora gli rivolgeva un sorriso di carta ed agitava una mano in segno di saluto dalle pagine dell'album.

Eccolo lì, il suo Sirius.

Il viso ancora giovane, i capelli lunghi e un po' arruffati, e nessuna preoccupazione negli occhi.
Era più bello che mai.

Dalla seconda pagina dell'album James, Peter, Sirius e un se stesso ancora giovanissimo gli sorridevano raggianti.

Era la loro prima foto da Malandrini, all'inizio del primo anno ad Hogwarts.

Ricordava ancora la prima volta che attraversò la barriera che portava al binario 9 e ¾, con il carrello stretto tra le mani, e un po' di titubanza di fronte a quel muro così solido.

Era stata proprio in quell'occasione che aveva incontrato Sirius.
O meglio, più che un incontro, era stato un vero e proprio scontro.

Aveva appena attraversato la barriera, rimanendo a guardasi attorno spaesato dalla confusione e dal frastuono, senza sapere esattamente dove andare e cosa fare, quando fu improvvisamente strattonato, finendo a terra.

“Oh, scusa tanto! Ti sei fatto male?”

Remus guardò sorpreso un ragazzino della sua stessa età, che lo guardava un po' accigliato, senza apparire affatto dispiaciuto.

“Anche tu, però, non dovresti startene fermo in quel modo davanti alla barriera! Di certo non potevo sapere che sarei andato a sbattere contro di te, quando l'ho attraversata!”

Remus stava ancora lì fermo, a fissarlo in silenzio, seduto per terra.
Improvvisamente, rendendosi conto della cosa, si sentì ridicolo, col risultato di arrossire furiosamente.

Quasi sobbalzò dalla sorpresa, quando vide l'altro porgergli la mano, per aiutarlo a rialzarsi.
Remus, senza indugiare neppure un secondo, la strinse con forza, tirandosi su.

“Bene, piacere. Io sono Sirius”
“Ehm, piacere. Remus”
“Remus, eh? Allora parli! Bhè, bel nome, comunque. Adesso immagino che tu voglia sapere tutto di questa splendida persona che ti trovi davanti, ma mi vedo costretto a rimandare la storia della mia vita a dopo, visto che il treno sta per partire”

Remus era un tantino shockato.
Due minuti prima era a guardarsi attorno spaesato; ed ora veniva trascinato attraverso i vagoni del treno da un ragazzo che non aveva mai visto prima, che gli stava raccontando della partita di Quidditch a cui aveva assistito la settimana precedente (e pensare che a Remus nemmeno piaceva, il Quidditch!).

Ora che ci pensava, non ricordava neppure come si chiamasse quel tizio... Iniziava con la S...Sigmund? Steve? Sylvester? No, no, era qualcosa tipo...

“Sirius!”

Sì, sì, era proprio Sirius!

“Chi è che mi nomina invano?”
“Piantala con 'stè manie di grandezza, Sì!”
“James! Ce l'hai fatta a non perderti il treno, eh?”
“Traumatico. E' da barbari svegliarsi prima di mezzogiorno”
“Ah, James, ti presento un mio carissimo amico! Questo è... è... Come hai detto che ti chiami, scusa?”
“Remus”
“Ah, sì, James questo è Remus”
“Diventi più rincoglionito ogni giorno che passa, eh? Manco ti ricordi il nome dei tuoi amici! Comunque piacere di conoscerti, Remus”

Remus era un po' disorientato... Carissimo amico? Ma se si erano conosciuti cinque minuti fa, e nemmeno si ricordava il suo nome!
Ce n'era di gente strana in giro.
Però, doveva ammettere che si stava divertendo.

Remus seguì i due ragazzi, che stavano discutendo riguardo a quella partita di Quidditch, alla ricerca di uno scompartimento libero.
Non trovandone nemmeno uno vuoto, decisero di entrare in uno occupato da un solo ragazzino, che doveva essere un primino come loro, anche se sembrava ancora più piccolo.

“Scusa, possiamo entrare, o sono occupati?”

Il ragazzino sobbalzò, sorpreso, distogliendo lo sguardo dal finestrino.

“No, no, ehm, sono tutti liberi”
“Bene!”

James e Sirius si gettarono di peso su due sedili, soddisfatti.
Remus si sedette accanto al ragazzino, sorridendogli amichevolmente.

“Io mi chiamo Remus, tu?”
“Ehm, Peter, Peter Minus”
“Qua la mano, Pete! Io sono Sirius!”
“Ed io James, per gli amici James!”

Il ragazzo di nome Peter sorrise, felice.
Se prima sembrava così solo – lo sguardo perso tra gli alberi che scorrevano veloci fuori dal finestrino, la schiena curva, gli angoli della bocca piegati verso il basso- ora gli occhi luccicavano un poco, divertiti.

Loro non potevano ancora saperlo, ma quelle strette di mano, e quelle battute scherzose, avevano appena gettato le radici di una delle più salde amicizie della storia di Hogwarts.

Tanto meno poteva immaginarlo Sirius, tirando fuori dalla tasca una macchina fotografica magica, esortando i suoi compagni di viaggio a sorridere verso l'obbiettivo.

No, loro non potevano di certo sapere che proprio lì, in quello scompartimento del Hogwarts Express che li stava portando alla loro nuova casa, i loro destini si erano intrecciati, tessendo un futuro tanto imprevedibile, quanto ironicamente folle.

Ma loro non potevano saperlo, no.
Fortunatamente non potevano.

E continuavano a sorridere, agitandosi sui sedili, spintonandosi un poco, eterni undicenni felici, che ancora non sanno quale sarà il loro dormitorio, senza aver mai osservato stupiti il soffitto stellato della Sala Grande, senza aver mai tremato di paura o d'aspettativa davanti ad una Luna piena, senza ancora conoscere sulla propria pelle né amore, né tradimento, né morte.


Remus girò le pagine dell'album, che scricchiolarono un po'.


Eccolo lì, il loro dormitorio, la loro casa per sette lunghi anni.
I muri rosso-oro era tappezzati di poster di squadre di Quidditch o di gruppi di cantanti, oppure di foto; vicino alla finestra c'era anche una grossa bandiera di Grifondoro con un leone disegnato sopra che scuoteva la criniera ed agitava le zampe, maestoso.

Sirius, Remus e Peter erano sdraiati tutti e tre sullo stesso letto, giocando a carte, mentre James, che aveva abbandonato momentaneamente la partita, scattava la foto.

Peter sorrideva timidamente, con la testa inclinata di lato, e dimostrava meno anni di quanti ne avesse realmente.
Sirius, sdraiato a pancia all'aria, con la testa fuori dal letto, sorrideva all'obbiettivo, cercando, nello stesso tempo, di fare il solletico a Remus che si era rifugiato nell'angolo più lontano del materasso.

Era il loro secondo anno, e ben poche preoccupazioni si potevano scorgere nei sorrisi dei Malandrini.
Anche se, a guardare bene, il sorriso di Remus appariva un po' tirato.
Forse perché, come pensavano i suoi amici, era preoccupato per tutti i problemi familiari che richiedevano la sua assenza da Hogwarts almeno una volta al mese, per alcuni giorni.



Remus sfogliò l'album delicatamente, osservando gli anni ed i sorrisi scorrergli sotto le dita.

Un'altra foto attirò la sua attenzione: era del terzo anno, quel giorno che... Dio, che paura che aveva avuto, paura di perderli, paura di essere scacciato, deriso perché lui era... diverso.

Era il 1973, Gennaio, anche se non ricordava bene il giorno.
Le sue vacanze di Natale si erano prolungate per via della Luna piena che gli aveva impedito di tornare a scuola con l'Hogwarts Express insieme a James, che aveva passato le vacanze natalizie con la sua famiglia.

Remus si portava ancora addosso la stanchezza e il colorito malato che aveva sempre dopo la Luna piena.

Era tornato di mattina, così si era ritrovato a disfare le valigie da solo, visto che i suoi amici erano a lezione (salvo decisioni impreviste di marinare qualche materia, ma era improbabile, visto che non c'erano compiti in classe in programma).

Ma si era sbagliato.
Era chino sul suo baule, con una pila di vestiti tra le braccia, quando la porta del dormitorio si spalancò.

“Bentornato, Rem”

Remus si girò, stando attento che non gli cadesse quel paio di calzini in bilico sopra alle magliette ancora la le sue braccia.
Inarcò un sopracciglio.

“Non dovreste essere a lezione, voi?
“Anche noi siamo contenti di rivederti, Rem, e sì, abbiamo passato delle belle vacanze, grazie per l'interessamento”

James si buttò sul letto di Peter, il primo a sinistra.

“Ok, ciao ragazzi, sono contento di rivedervi, ma, ripeto, non dovreste essere a lezione?”
“Oh, quello, abbiamo deciso che avevamo cose più importanti da fare” Sirius lo fissò, con un sorriso che gli aleggiava sulle labbra.
“Tipo?”
“Tipo salutare il nostro amico Remus che torna più tardi dalle vacanze”

Remus, perplesso, si girò a guardare Peter, che gli rivolse uno sguardo strano.

“Come sta tua zia?”
“Cosa?” Chiese Remus, sorpreso dal repentino cambio d'argomento.
“Tua zia, no? Stava male, vero? Non è per questo che sei rientrato più tardi dalle vacanze?”
“Ah, sì, sì, ehm, comunque non sta tanto bene, ecco”
“Ah... E cos'ha?”

Remus squadrò James, che lo osservava tranquillo, in attesa della risposta.

“Ehm, lo scrofungulus, è ricoverata al San Mungo”
“Lo scrofungulus, eh? Brutta malattia, vero Siry?”
“Già. Avevo un nonno che si è preso lo scrofungulus. Brutta malattia. Pensa che è dovuto rimanere alla San Mungo addirittura due giorni. Ma questo perché, oltre allo scrofungulus, si era beccato anche il vaiolo di drago. Aveva parecchia sfiga, mio nonno, ora che ci penso”

Remus fissò Sirius, chiedendosi dove volesse andare a parare.

“Ma raccontaci di tua zia – continuò Sirius – sei andato a trovarla, immagino”
“Ehm, sì. Sono andato a trovarla al San Mungo, sì”
“Che dottori sconsiderati. E pensare che lo scrofungulus è maledettamente contagioso. Basta avvicinarsi e...zac! Tempo venti minuti e ti ricopri di bolle. Come stai, Rem?”
“Cosa volete?”
“Noi siamo tuoi amici, Remus” Sussurrò Peter.

Remus iniziava a sentire le mura della camera stringersi attorno a sé.
Soffocava.
Il respiro affannoso, la pila di magliette gettata malamente su un letto, e una preghiera che gli invadeva la mente, assordandolo.

Ti prego, fa che non sappiano, ti prego...

E si era trovato a supplicare un dio in cui non credeva.

“Siamo tuoi amici, Rem” La voce di James risuonò nella stanzetta soffocante, colorandosi di mille echi.

“Non capisco...” aveva sussurrato a mò di preghiera.
“Sì, Rem, hai capito. Ti preghiamo di non propinarci altre scuse” La voce di James suonò stranamente formale.
“Sono anni che hai qualche parente che si ammala ogni mese, oppure qualche altra faccenda misteriosa, che ti tiene lontano da scuola proprio durante la Luna piena. Non siamo stupidi, Rem”

Le gambe gli cedettero, e Remus si ritrovò per terra, ad artigliare il tappeto con dita tremanti.

Tremava, ma non piangeva.
Eppure sentiva la gola bruciagli, e miliardi di sensazioni affilate graffiagli il petto.

Una mano calda e rassicurante gli strinse il braccio.
Sirius.

“Rem, noi siamo tuoi amici”

E sembrava quasi un ritornello, ormai.

“Sì, ci siamo qui noi, Rem”

E le mani di Remus non artigliavano più il tappeto, ma stringevano frenetiche la divisa di Sirius, che lo abbracciava talmente stretto da togliergli il fiato; James gli accarezzava piano i capelli, per calmarlo, e Remus potrebbe quasi giurare di aver sentito qualche strana ninna nanna mugolata a labbra serrate.

Ed il tempo si cristallizzò in un flash, e nel sorriso di Peter che stringeva forte la macchina fotografica.

Il mondo iniziava e finiva in quella stanza per Remus, che ormai non tremava più.
La terra, in quel momento, era salda sotto di lui.


La foto successiva era una delle preferite di Remus, anche se era un po' rovinata sui bordi da quella che sembra l'impronta di una zampa.

Era stata scattata durante il loro quinto anno, e l'inquadratura non era proprio perfetta: troppo spostata in alto, e un po' inclinata a destra. Insomma, non avevano ancora una piena padronanza dell'autoscatto.

Remus, seduto sul prato vicino alla Foresta Nera, rideva e cercava di allontanare un grande cane nero che gli stava leccando una guancia.
Dietro di loro un imponente cervo sembrava sorridere (semmai un cervo potesse farlo) alla scena, scuotendo un po' il capo per mostrare le grandi corna ramificate.
Poco più in là, tra l'erba, faceva capolino il musetto di un topo grigio.

La loro prima trasformazione da Animaghi compiuta simultaneamente.

Era stato uno dei più bei giorni della sua vita: i suoi amici sarebbero potuti rimanere al suo fianco anche quando la Bestia avrebbe preso possesso del suo corpo.

Ricordava di aver pensato che non sarebbe stato più solo, mai più.
[Ed il futuro rideva beffardo della candida ingenuità]


Remus sorrise nel girare la pagina dell'album.
[Un sorriso che sapeva di lacrime]

Nella foto, scattata da James durante il loro sesto anno, Sirius e Remus, stretti l'uno a l'altro nel loro dormitorio, si baciavano.

Remus ricordava ancora come i capelli lunghi di Sirius gli solleticassero il viso, e come le sue mani calde gli stringessero i fianchi regalandogli piccoli brividi che diventavano risate sfumate sulle labbra dell'altro.

Era il Paradiso. Anzi, era meglio.

Remus rideva ancora al pensiero di come si fossero dichiarati.

Per la verità non c'era stata nessuna romantica dichiarazione al chiaro di Luna, né Sirius gli aveva fatto trovare una lettera d'amore, né, tanto meno, si era presentato da lui con una mazzo di rose rosse.
No, niente di tutto questo.

Dio, era stata una delle scene più divertenti della sua vita.
E tutto perché, fortunatamente, Sirius e James avevano avuto un'altra delle loro sciagurate idee (che erano soliti definire geniali) riguardo a qualche perfido scherzo contro lo sfigato di turno.

Caso volle che lo sfigato di turno fosse proprio il prefetto di Serpeverde Severus Piton, meglio noto come Mocciosus.
Ma fu proprio un caso, eh!

Remus Lupin, prefetto Grifondoro, aveva fiutato nell'aria la preparazione di uno scherzo.
E non sbagliava.
I suoi amici gli avevano giurato e spergiurato che non era nulla di particolarmente cattivo, né pericoloso.
Era solo un altro innocuo scherzetto a Mocciosus.

Quel pomeriggio ben pochi temerari si erano allontanati dalla biblioteca, visto che gli esami di fine anno si avvicinavano minacciosamente.

Remus aveva dovuto far appello a tutta la sua pazienza e forza di volontà per convincere James e Sirius a studiare con lui.
Per l'esattezza più che tentare di convincerli, li trascinò direttamente in biblioteca.

C'era solo da sperare che l'anno successivo, quello dei M.A.G.O., quei due sciagurati si mettessero una mano sulla coscienza e prendessero in mano un libro per qualcosa di più impegnativo che riempirne le pagine di partite all'impiccato.

Peter, fortunatamente, si era dimostrato un filino più collaborativo.

Aveva avuto la meglio: mai solleticare un lupo che dorme.

La biblioteca era piena: sotto esami tutti riuscivano, bene o male, a sopportare la presenza di Madame Prince, che si aggirava tra gli studenti con aria minacciosa, pronta a sbranarsi il malcapitato di turno.

I quattro Malandrini erano riusciti ad occupare il tavolo vicino alla finestra, quello dove c'era un po' più di luce.

Sirius, sfogliando distrattamente il libro di trasfigurazione, cercava di buttare qualche occhiata agli allenamenti di Quidditch di Corvonero, mentre James leggeva il capitolo di pozioni dedicato alla Felix Felicis con aria concentrata: sarebbe risultato addirittura convincente, se non fosse per il fatto che era una ventina di minuti che non girava pagina.
Peter, che non aveva opposto una resistenza eccessiva all'idea dello studio, si sforzava di memorizzare l'incantesimo Reducto, non resistendo, però, alla tentazione di gettare qualche occhiata ai tavoli vicini, impicciandosi delle altre conversazioni, distraendosi.

Remus sospirò rassegnato.

“Scordatevi i compiti”
“Cosa?”
“Hai sentito bene, James. Non copierete di certo da me il tema di pozioni”
“Perché?”
“Perché potreste studiare”
“Abbi pietà di noi, Rem!”
“Non attacca. Guardatevi. Giusto Peter sta studicchiando. Potrebbe impegnarsi, però”
“Ma io sto studiando la preparazione della Felix Felicis! E Sirius sta facendo gli esercizi di trasfigurazione!”
“Sì, ma...”

“Ma goool! Che portiere incapace!” La voce di Sirius interruppe la conversazione.

“...”
“Niente tema. Punto”
“Sirius?”
“Sì, James?”
“Dimentica il Quidditch e tira fuori il libro di pozioni. Passami pure il mio già che ci sei. E questa me la paghi”

Sirius non fece in tempo a ribattere alla strana richiesta dell'amico, che la sua attenzione venne attirata da un tonfo sordo.
Esattamente lo stesso suono che fa una testa che va a sbattere contro una porta.

Piton si stava appunto massaggiando la parte indolenzita, tentando, nello stesso momento, di raccogliere i libri sparsi per terra, lanciando occhiate velenose qua e là, giusto per scoraggiare eventuali scocciatori.
E bisogna ammettere che non era affatto una cosa facile.

“Thò, Mocciosus”

La voce di James risuonò nel silenzio delle risate trattenute a stento.
Sirius decise di rincarare la dose:

“Ti sei fatto male? Immagino di no. Tutto quell'unto in testa deve averti attutito il colpo. Di certo non toccherò più quella porta”

“Black...” Sibilò Piton, assottigliando gli occhi.
“E' tutto quello che sai dire? Capisco che tu sia rimasto folgorato dalla mia bellezza, ma non pensavo fino a questo punto!”

Fu un attimo: Piton sfoderò la sua bacchetta, ma James fu più veloce.

“Stupefici...”
“Vestimenta mutare!”

In una frazione di secondo, ogni studente nella biblioteca si accasciava sulla sedia dalle risate davanti allo spettacolo di Piton in divisa femminile. (anche se, a dire il vero, la gonna era fin troppo corta).

“Maledetti...Everte statim!”

James fu scaraventato su una libreria, facendo cadere quasi tutti i libri dagli scaffali.
Sirius sfoderò la bacchetta, ringhiando.

“Mutare ...”
“Expelliarmus! ”

La bacchetta schizzò via dalle mani di Sirius, proprio mentre pronunciava l'incantesimo, che fu deviato su una libreria vicino a lui piena di libri antichi.

Con effetti imprevedibilmente disastrosi.

Ogni singolo libro presente in quella libreria, tanto protetto e vezzeggiato da Madama Prince, fu trasfigurato in riviste femminili.

Qualche pergamena volteggiava ancora nell'aria, quando la bibliotecaria lanciò un urlo che, si racconta, fu udito fino alla vicina città babbana.



“... il professor Lumacorno si è offerto per porre rimedio ai danni che avete causato. Sconterete, quindi la punizione con la professoressa McGranitt, lunedì sera dopo cena. Confido nel fatto che abbiate imparato la lezione e che una cosa del genere non si ripeta mai più”

Lo sguardo di Silente scintillò divertito dietro gli occhiali a mezzaluna.

“Ora potete andare”

James e Sirius si alzarono dalle sedie, con un espressione che cercavano di far apparire contrita.
La porta si stava era quasi chiusa, quando sentirono Silente commentare:

“Comunque era proprio un bell'incantesimo”

Sirius e James sorrisero.




“Ma siete degli... degli...diamine, siete degli sconsiderati!”
“Suvvia, Rem, per qualche librone ammuffito!”
“Librone ammuffito? Tra quei libroni ammuffiti, c'era l'unica copia esistente del primo trattato sulle Chimere, risalente al VI secolo a.C.! Ed ora è una rivista di gossip!”
“E' sicuramente più divertente, ora”
“Ma che ci parlo a fare con voi! Siete degli, degli...”
“Oggi non ti vengono le parole, Rem?”
“E' che mi sto trattenendo dall'urlarvi contro le peggio parolacce di cui sono a conoscenza!”

Sirius e James capirono solo in quel momento quanto fosse realmente grave la situazione: alla faccia di tutti i discorsi a vanvera sulla responsabilizzazione offertogli da Silente meno di un ora fa.

“Cazzo! Mi sono ricordato solo in questo momento che devo andare a parlare con Lumacorno!” James, propinando a Remus la prima scusa che gli venne in mente, fece dietro front e si diede alla fuga, non prima di aver lanciato a Sirius uno sguardo di scuse.

“Traditore!”
“Dove credi di andare, Sirius? Non ho finito!”
“Ma perché, tu credi seriamente che James debba andare a parlare con Lumacorno?”
“No. Ma a lui farò la ramanzina più tardi, ora ho te sotto mano”

Sirius, osservando il bel viso di Remus atteggiato nel peggior cipiglio del suo repertorio, sospirò, preparandosi al peggio.

“Eddai, Rem!”
“No, caro mio, non mi fregherai di certo facendomi gli occhi dolci!”
“Ma pensavo fossi più sensibile, visto che si avvicina la Luna piena”
“Sì, infatti ho una voglia matta di sbranarti in questo momento”

Sirius si scansò un po': certamente scherzava, ma era meglio non rischiare.

“E poi voi avevate già pronto l'incantesimo!”
“Certo, ma usarlo in biblioteca è stata, ehm, un'improvvisazione, ecco”
“C'è poco da andarne fieri! E voi dovreste avere sedici anni? Credo che Peter abbia più buon senso di voi due messi insieme!”
“Eddai, Rem! Anziché star qua a farmi la ramanzina, che sai che non ascolterò, che ne dici di iniziare a pensare a cosa fare la prossima Luna piena?”

Remus sbuffò infastidito, ma non era un brutto segno: tutt'altro.

“Ma Sirius! Tanto sai già che mi ricorderò ben poco di quello che faremo!”
“Però pian piano sei sempre più lucido. L'hai detto tu, no?”

Remus abbassò la testa pensieroso, per poi annuire con aria distratta.

“Sì, mi aiuta molto ecco”
“Quindi ci perdoni per l'episodio di oggi?”
“Mmh... Vedremo. Intanto cosa proponi di fare per la Luna piena?”
“Ti aizzeremo contro Mocciosus, ovvio”
“Sirius!”
“Scherzavo!”
“Mmh...”
“Non lo farei mai!”
“...Va bene, ti credo. Non potresti mai essere così stupido”
“E' un complimento?”
“No, un dato di fatto”
“Ah, ok. Grazie”

Remus si gettò a peso morto sul suo letto, facendo rotolare giù un paio di libri.
Sirius, sorridendo impercettibilmente, si sedette accanto all'amico.

“Però, ammettilo: oggi Mocciosus era proprio sexy!”
“Sirius!”
“Scherzavo, ovviamente! Però, non so se l'hai notato, sotto la gonna indossava un paio di mutandine di pizzo”
“Non ci ho guardato, io!”
“Volevo solo controllare che effetto avesse l'incantesimo. Anche se, secondo me, erano lì già da prima”
“Eh, tanto lo avevo immaginato”
“Cosa? Che Mocciosus indossasse biancheria femminile?”
“No, che ti piacesse”
“Certo, e a tal proposito propongo di controllare nel suo baul... Che?!?”
“Ti piace Severus, lo so”

Sirius fissò l'amico totalmente stupefatto, per poi iniziare a dare dei colpetti sulla fronte di Remus, all'improvviso.

“Remus, sei lì dentro? Aspettami ti salverò dalla pazzia!”
“Piantala, Sirius: stavo scherzando! Non pensavo te la prendessi tanto!”
“Ma vedi un po' tu! Mi hai appena detto che, secondo te, mi piace Mocciosus! Mi viene il voltastomaco solo a pensarci!”
“Se se, chi disprezza compra. Ammettilo Sirius: Lucy, la tua ex, era solo una copertura”
“Ah, ecco come si chiamava! A parte questo, io dico che ti sei fottuto gli ultimi neuroni che ti erano rimasti, peccato”
“Però sento odore d'imbarazzo: i miei sensi lupeschi non m'ingannano!”

Remus si stava divertendo un mondo a prendere in giro l'amico; ovviamente anche la frase sui sensi lupeschi era una scemenza totale: mica gli si affinavano le percezioni! Era pure mezzo raffreddato, figurati se sentiva qualcosa!
Peccato che l'amico ci cadde con tutte le scarpe.

Sotto gli occhi stupefatti di Remus, Sirius diventò di un bel bordeaux, che si intonava anche piuttosto bene alla divisa.
Il licantropo spalancò gli occhi sorpreso.

“Ma, Sir, io scherzavo!”
“Eh, sì, ehm, l'avevo capito”
“Non ti piacerà sul serio Mocc...”
“Ovviamente no!”

Remus fissò l'amico, ancora rosso in volto, facendo un bel respiro.

“Sirius, sei gay?”
“S..No! Ovviamente no! Ma come ti viene in mente”
“Sei proprio sicuro, nemmeno bisex?”
“Ma che domande mi fai, Rem?”

Remus non poté fare a meno di sorridere, avvicinandosi all'altro, che ormai era passato attraverso tutte le sfumature possibili di rosso.

“Mmh... Quindi non sei nemmeno bisex. Strano, eppure avrei giurato...”
“Ehm, cosa, di grazia?” La voce di Sirius era ormai un mezzo sussurro. Evidentemente avrebbe voluto essere ovunque, meno che lì.

Peccato che Remus si voleva togliere un dubbio, divertendosi un po', perché no.
Non per nulla era un Malandrino anche lui.

“Dai, Sirius puoi dirmi tutto, siamo amic...”

Remus si era perso un passaggio, evidentemente.
Eppure lui non si perdeva mai un passaggio, mai. A lezione prendeva tonnellate d'appunti: e lì i passaggi c'erano tutti.

Ma in quel momento gli era sfuggito qualcosa.
Un secondo prima prendeva in giro uno dei suoi migliori amici, ed ora aveva le labbra incollate su quelle del suddetto migliore amico.
Ma cos'era successo, esattamente?

Bhè, forse era meglio rimandare le domande a dopo, pensò Remus, aggrappandosi alla divisa di Sirius.

Dopotutto stava davvero bene così.
Sì, forse era meglio.

Era davvero meraviglioso: i capelli di Sirius gli solleticavano appena il collo, e sentiva il sorriso dell'altro sulle sue labbra.
Aveva voglia di mangiarselo, quel sorriso.

“Ops, scusate. Magari passo dopo”

Impegnati com'erano, non avevano neppure sentito la porta del dormitorio aprirsi.

Si staccarono, rossi in viso, proprio mentre la porta si richiudeva.
I pensieri di entrambi ruotava attorno ad un'unica domanda: ed ora?

Ma per ragionare su queste cose c'è sempre tempo, pensarono, mentre, quasi si fossero letti nel pensiero, riniziarono proprio lì dove James li aveva interrotti.



E Remus, anni dopo, non poteva fare a meno di pensare che quello era sicuramente uno dei suoi ricordi più belli.

Quasi odiava quella foto, dove ancora era felice; eppure se l'avesse persa, sarebbe morto.
Era tutto quello che gli rimaneva del suo Sirius.

Si fece scorrere tra le dita molti altri ricordi [la loro prima volta, la creazione della Mappa del Malandrino, il matrimonio di James e Lily, la nascita di Harry,...], centinaia di foto, che si interrompevano bruscamente il 31 ottobre del 1981, l'anno in cui erano morti tutti, e forse anche lui.

Lily e James nella casa che sarebbe dovuta essere il loro rifugio, e che fu, invece, la loro tomba.

Peter che, sfoderando un coraggio che non sapeva neppure di possedere, sull'asfalto di quella strada, tra le risate del suo assassino e migliore amico, lasciando di sé soltanto un indice.

Anche il suo Sirius era morto proprio quel giorno: era stato seppellito con tutti i suoi amici, portandosi via anche un pezzetto del cuore di Remus.

Eppure lui non poteva credere che quell'uomo che si agitava ed urlava senza voce dalle pagine del giornale, proprio quello accusato del peggiore dei delitti, potesse essere davvero Sirius, non poteva.

Se fosse stato veramente lui, semplicemente, Remus ne sarebbe morto.

Ecco perché Sirius, ora, avrebbe continuato a respirare ed a sorridere tra le pagine di un album nero e un po' vecchiotto, agitandosi in qualche vecchio ricordo, mentre Remus faceva scorrere le dita leggere tra le pagine, perdendosi nella plastica lucida, trattenendo il respiro, scordandosi di vivere.

“A Lunastorta da Felpato. Ti faccio dono del mio cuore: abbine cura”


FINE
   
 
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