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Autore: shimichan    08/01/2014    3 recensioni
One-shot senza pretese su un possibile incontro tra Nico Robin e Barbabianca.
“Non si deve aver vergogna della fame”.
È dunque quello il nome del disagio che prova. Vergogna. Stringe nei pugni l’orlo del vestito.
Il mento scosso da un tremito è un segno di riconoscenza che mostra prima ancora di accettare.
“Grazie, signore”.

[Nico Robin Childhood]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Barba bianca, Nico Robin, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Loneliness



I suoi occhi sono grandi e sperduti, azzurri come il cielo che sovrasta la terra, abbracciandola anche quando terribili eventi la scuotono.
Perché il cielo, anche se sconfinato e onnisciente, è inerme: può solo guardare il mondo degli uomini accanirsi contro se stesso e, di tanto in tanto, piangerne le perdite.
I suoi occhi sono proprio due spicchi di cielo: hanno assistito, impotenti, alla deflagrazione di un’isola, hanno compianto ciò che le fiamme divoravano, poi sono andati oltre.
Ora, però, non riescono a sostenere lo sguardo di quell’uomo e, non potendo contare sulle nuvole, si abbassano a fissare le assi del pavimento, dove due piedini nudi cercano calore, sfregandosi uno contro l’altro.
È una sensazione, quella del calore, di cui tutto il corpo prova nostalgia.
La pelle scotta, ma è solo superficie, tutto quello che c’è sotto - ossa, carne, muscoli, polmoni - trema a causa del freddo e della fame.
Per entrambi l’è stata offerta una soluzione, una ciotola di minestra fumante e qualche tozzo di pane, ma Robin se ne sta ferma sulla porta, indecisa.
“Coraggio, piccola”.
Ha una voce profonda, Barba bianca, e tanto possente che può giurare di aver sentito vibrare le stoviglie. Eppure l’unica cosa che continua a muoversi in lei è lo stomaco.
Piega gli angoli della bocca verso il basso in espressione affaticata, stanca ed un improvviso brontolio, l’ennesimo, la costringe a mordersi le labbra, cercando di contenerlo, di non farlo uscire, suscitando il riso del pirata.
“Non si deve aver vergogna della fame”.
È dunque quello il nome del disagio che prova. Vergogna.
Stringe nei pugni l’orlo del vestito. Il mento scosso da un tremito è un segno di riconoscenza che mostra prima ancora di accettare.
“Grazie, signore”.
Seduta al piccolo tavolo, inforca il cucchiaio e se lo porta colmo di minestra alla bocca, venendo subito pervasa da un piacevole pizzicore alla gola. Mangia composta, senza la voracità che ci si aspetta da chi è tanto denutrito, e, quando il suo sguardo incrocia quello del pirata, sorride. Un sorriso timido, discreto, fatto alzando un angolo delle labbra alla volta.
Un sorriso che si allarga man mano e che muore in un istante, incompleto.
“So tutto di te, Nico Robin”.
Il tintinnio metallico del cucchiaio lasciato cadere sul tavolo si disperde nell’aria.
E Robin ricomincia a tremare, anche se il suo volto non ha cambiato espressione.
Quel volto dagli occhi azzurri, attenti, con fatica, come si apre una porta arrugginita, si solleva, e da quella porta socchiusa s’intravede il tragico prezzo dell’inganno: la paura.
Diventa mia figlia”.
Un sussulto. Un suono poco più forte del verso di un passerotto è tutto ciò che i suoi muscoli improvvisamente rilassati le permettono di emettere.
Scruta i suoi occhi alla ricerca di un’ombra, la bieca piaga del compromesso, trovandovi, invece, fermezza. La stessa con cui, è sicura, riesce a piegare i suoi nemici.
Figlia. Robin è già stata qualcosa di simile una volta, quando si sedeva sull’erba umida della scogliera e scrutava il mare, in attesa di vedere sbucare all’orizzonte la nave con l’unica persona che aveva il diritto di chiamarla così, sua madre.
“Non posso, signore”. Poco più di un sussurro.
Abbassa lo sguardo e si torce le dita, avvertendo ancora la rassicurante stretta materna che le aveva avvolte solo qualche mese prima. Sotto i polpastrelli c’è ancora quel calore inestinto.
È morta per lei, non può ripagarla divenendo figlia di un altro.
Barba bianca soppesa mentalmente quel rifiuto, annaffia la gola con un sorso di liquore. Il suo sorriso è un ristagno di stupore.
“Piccola, non puoi sopravvivere lì fuori da sola”.
“Ce la farò”. Si alza, premurandosi prima di finire la cena. “L’ho promesso”.
Gli concede un ultimo sguardo. È già cambiato.
 
Anni dopo l’avrebbe rivisto negli occhi annacquati d’ira del suo giovane sfidante, comprendendo quanto labile sia il confine tra il sentirsi abbandonati e l’esserlo realmente.
Anni dopo sarebbe stato capace di riconoscere che un cuore rotto necessita di essere aggiustato, ricercando da solo i pezzi mancanti, mentre un cuore vuoto è cieco e non riesce a cogliere la propria inconsistenza finché qualcuno non gli offre la possibilità di colmarla.
Anni dopo avrebbe condiviso la decisione di quella bambina, regalando a chi aveva più bisogno di un padre un posto nella sua famiglia.
 “Diventa mio figlio, Ace!”.
 






Angolo Autrice:
Salve a tutti!
Visto che è da un sacco che non posto nel fandom, ho pensato di ripescare questa piccola sciocchezza che avevo scritto millenni fa guardando le repliche di OP!
Beh...non so che dire...quindi lascio a voi i giudizi!

ps (per chi seguisse la mia raccolta): sto lavorando ai nuovi capitoli...so che è da giugno tipo che non aggiorno, ma abbiate fede!
  
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