8.
This
town ain’t big enough for the both of us
«I
soldati ai varchi sono in posizione, Maestà.»
Odino
sollevò il capo nell’udire la voce di Týr figlio di Hymir, generale
dell’esercito del Reame Eterno, il quale si era appena inchinato alla base della
scalinata del trono con il proprio elmo ossequiosamente tenuto tra le mani. Il sovrano
raddrizzò Gungnir e osservò la grande sala: oltre al lui e al comandante gli
unici presenti erano le guardie silenziose disposte lungo il colonnato che dava
all’esterno e Thor, che a braccia conserte guardava verso l’Osservatorio.
«Che
ordini vuoi che dia al resto delle truppe, mio re?» chiese ancora il Dio della
Guerra.
«Fa’ che
siano pronti a tutto ma non dare disposizioni precise. Non sappiamo con
esattezza come giungerà l’attacco, e dobbiamo attendere il ritorno di mio
figlio da Jotunheim. Sino ad allora nulla faremo. Ti è stato possibile
mantenere il segreto sul suo piano?» rispose Odino.
Týr annuì
lentamente: «I miei uomini non fanno domande inopportune quando si tratta di
vostri comandi, Maestà. Sanno che sul regno grava la minaccia di una possibile
guerra, la stessa per cui avete mandato gli Einherjar nell’entroterra.»
garantì.
L’accenno
al diversivo suggerito da Loki e che il Padre degli Dei aveva messo in pratica,
pur con riluttanza, indusse Thor a voltarsi in direzione dello scranno reale
con vago nervosismo, mentre lo sguardo di Odino s’incupiva un poco:
«Molto
bene. Ho dato disposizioni a Lady Brunhilde affinché gli Einherjar rimasti a
Folkvangar siano messi a difesa delle mura della capitale. Una volta che il
principe sarà tornato manderò un messaggero oltre le montagne per richiamare
gli altri.» egli disse.
«E la
cavalleria, mio re? Chi la guiderà?» volle sapere il generale.
«Uno dei
migliori guerrieri della mia casata. Tu preoccupati delle legioni della
fanteria, valoroso Týr. Io e mio figlio Thor ti daremo manforte.»
Il dio
s’inginocchiò portandosi un pugno al petto, comprendendo che la conversazione
era giunta al suo termine: «Obbedisco, mio signore.» si congedò.
Il
sovrano lo salutò con un breve cenno solenne, quindi il barbuto comandante si
rialzò, si coprì nuovamente la testa con l’elmo e uscì a passi misurati dal
salone. Il Dio del Tuono aspettò che fosse scomparso oltre il portico prima di
avvicinarsi al seggio d’oro del padre; indossava già l’armatura completa,
sebbene avesse lasciato Mjölnir all’armeria.
«Cosa ti
cruccia, padre?» indagò, anche se conosceva la risposta.
Odino
abbandonò il trono e discese i gradini per accostarsi al primogenito:
«Seguire
il consiglio di tuo fratello sull’allontanamento degli Einherjar potrebbe
essere stato un errore. Con le truppe delle Valchirie a ranghi ridotti potremmo
avere gravi problemi nel respingere gli jotun, per quanto le trappole
funzionino e l’attacco non ci colga impreparati.» gli confidò; «I rinforzi
potrebbero arrivare troppo tardi comunque.»
Thor ebbe
un lieve spasmo d’insofferenza: «Parla chiaro, padre, ti prego. So che ciò che
temi è che Loki ci tradisca o ci abbia traditi, poiché è ciò che tormenta me.»
Ripensò a
quella mattina, quando il Dio degli Inganni era rientrato dalla sua ultima
visita alla moglie e si era fermato a scambiare qualche ambigua parola con lui;
poi lo aveva visto recarsi nelle proprie stanze e uscirne con indosso elmo,
corazza e mantello per chiudersi, infine, nella sala dei cimeli. Di sicuro da
lì aveva attraversato il portale per andare fin su Jotunheim seguendo i
sentieri oscuri che mai Thor aveva percorso. Immaginò che in quel momento suo
fratello stesse convenendo coi Giganti sull’inizio dell’assedio e sperò con
tutto sé stesso di vederlo comparire a breve lì, nella sala del trono, per
annunciare che tutto era andato alla perfezione: solo allora avrebbe ripreso a
respirare liberamente e avrebbe saputo che la fiducia che si sforzava di dargli
non era stata malriposta né futile.
«Hai
parlato chiaro per entrambi, figlio.» mormorò il Padre degli Dei con amarezza.
Tacquero,
e insieme camminarono fino alla balconata che fiancheggiava le logge. La città
brulicava di vita sotto di loro, coi suoi palazzi e ponti, e al di là delle sue
muraglie i Campi di Idavoll splendevano verdi nel sole velato, belli e infidi
come il mare prima della tempesta.
La mole
della Cittadella incombeva su di lui come un’infausta promessa, e tuttavia Loki
non si fermò. Lasciando una netta scia d’impronte nella neve profonda e
farinosa coprì il tratto che lo separava dall’ingresso della fortezza, le
spalle ben dritte nonostante giungesse a piedi e non a cavallo: passare dal
varco aperto nella gola tra i monti a nord dei Campi di Idavoll avrebbe
costituito un rischio, dacché era quello che l’armata dei Giganti avrebbe
utilizzato per riversarsi nel Reame Eterno – e portare un destriero nella
stanza dei trofei non sarebbe stato esattamente saggio. Del resto, il passaggio
era vicino alla rocca di Býleistr.
Gli jotun
erano ovviamente in fermento. Gruppi di fanti entravano e uscivano dalle mura, nel
grande cortile lupi e pentapalmi venivano bardati per essere cavalcati e l’aria
gelida odorava di fumo e metallo; l’asgardiano riconobbe Glaumar e Hroar e
scambiò con loro un’occhiata e un cenno, e considerò fugacemente che se gli
uomini del fratellastro erano tutti lì erano assai meno di quanti avesse
immaginato. Non riuscì a discernere se ciò fosse un bene o piuttosto
l’inquietante indizio di qualcosa che gli era sfuggito, e per un istante esitò,
pensando che forse avrebbe dovuto assicurarsi che ogni cosa si stesse svolgendo
come aveva previsto, prima di presentarsi dal figlio di Laufey. Ma questi comparve
in cima alle scale d’ingresso del castello a braccia spalancate, reso ancor più
possente dall’armatura di cuoio e nero uru che lo ricopriva, e Loki non potè girare
i tacchi e andarsene:
«Salute,
fratello. Sembra che tu sia pronto alla battaglia.» si sforzò di apostrofarlo.
«Salute a
te, fratello!» esclamò Býleistr; «Siamo invero pronti a marciare, se tu mi
darai carta bianca. L’ora della vendetta è finalmente arrivata.»
Il
principe ingannatore gli lanciò un sorriso storto e salì fin sulla soglia, sempre
guardandosi intorno nel tentativo di cogliere dettagli che potessero
rassicurarlo o allarmarlo definitivamente. Non vide però niente di particolare,
all’infuori dei soldati e delle bestie che già aveva notato e che continuavano
a muoversi nel vento offuscato da scaglie di ghiaccio.
«Hai
carta bianca. I varchi sono tutti aperti, gli Einherjar lontani dalla capitale,
e il Padre degli Dei non sospetta alcun attacco da parte vostra. I suoi timori
sono concentrati sull’ancor più catastrofica idea che sarà il Folle Titano ad
assaltare Asgard.» mentì dunque, e improvvisando aggiunse: «Mi crede nelle mie
stanze, intento a sondare il cosmo in cerca di segnali che indichino la
presenza di Thanos, e se non sarò di ritorno entro un giro di clessidra
s’insospettirà. Non sei riuscito a radunare le tue forze al completo, fratello?
Mi aspettavo un’armata assai più numerosa.»
Il
giovane re sorrise e gli fece strada dentro il palazzo, solerte:
«Riscaldati
e bevi una coppa di vino con me, fratello. Brinderemo alla vittoria.»
L’asgardiano
esitò di nuovo, e nel frattempo l’altro chiamò due servi con uno schiocco di
dita e ordinò che Hugrun fosse convocato al suo cospetto. I due obbedirono in
fretta, dileguandosi nel dedalo di alti e bui corridoi che si spalancava dietro
Býleistr, ed egli versò di persona il vino nei bicchieri di bronzo che gli
erano stati recati.
«Una
coppa soltanto.» concesse Loki con celato nervosismo, e con una mano saggiò la
tasca interna del pastrano per controllare che i suoi fidi pugnali fossero al
loro posto. Doveva assecondare il Gigante fino all’ultimo, si ripetè mentre
beveva l’aspro nettare.
L’anziano
generale comparve nella stanza, seguito da un drappello di guerrieri, e vi fu
un brevissimo intreccio di sguardi tra lui e il sovrano che il dio trovò
strano. Abbassò allora il calice e il fratellastro innalzò il proprio, il volto
ceruleo acceso e fiero:
«Brindo a
questo giorno, il giorno in cui chi ci colpì e distrusse a tradimento conoscerà
quella medesima sorte. Brindo alla caduta di Asgard e alla gloria di Jotunheim,
e brindo a mio padre Laufey il Grande, che mai sarà dimenticato.» declamò in
tono vibrante, fissando l’asgardiano dritto negli occhi – e i suoi ardevano di
una luce che a Loki non piacque.
Býleistr
gli passò un braccio sulle spalle, bloccandogli la visuale e buona parte dei
movimenti, e il principe contrasse d’istinto i muscoli.
E lo
jotun disse: «Brindo alla mia vendetta, fratello. E alla tua fine.», e nel
dirlo un ghigno gli aprì le labbra sottili, e fulmineo estrasse dal fodero la
propria daga.
Ma il Dio
degli Inganni non si fece cogliere completamente impreparato. Riuscì a divincolarsi
in modo da schivare il potenziale affondo dell’altro, e ruotò su sé stesso per
capire con precisione cosa stava accadendo e come muoversi: per adesso sapeva
soltanto che il suo glaciale congiunto lo aveva preso in contropiede, e ne
ignorava i motivi. Aveva sgarrato o fatto qualcosa che Býleistr aveva ritenuto
uno sgarro? Era una sua mera precauzione per evitare imbrogli da parte di colui
che degli imbrogli era il maestro? Oppure il Gigante aveva pensato di agire
così fin dall’inizio? Nel dubbio, Loki non aveva alcuna intenzione di farsi
catturare.
Un paio
uomini di Hugrun gli furono addosso e lui li prese di striscio con un unico
fendente dato con uno dei suoi pugnali; uno dei due urlò, portandosi una mano
alla faccia, e subito altri tre soldati si fecero avanti e compatti come
macigni si lanciarono sull’asgardiano: il primo lo colpì sulla mascella, facendogli
vibrare dolorosamente la testa e cadere l’elmo, il secondo lo costrinse a
piegarsi in avanti con un pugno al centro del torace e vi accompagnò una
gomitata ben assestata tra il collo e le scapole; l’Ingannatore crollò su un
ginocchio, digrignando i denti, il coltello gli sfuggì dalle dita e il terzo
jotun lo frustò sulla schiena con la lama della propria spada prima che potesse
allungarsi per riprenderlo.
Con un
grido ringhiante e furibondo Loki cadde su entrambe le ginocchia e le mani,
avvertendo il calore malsano della ferita unirsi al freddo che saliva dal
pavimento. Tentò di combattere il malessere e di scuotersi abbastanza da poter
ricorrere alle arti magiche, ma i Giganti gli furono nuovamente sopra e gli
cinsero i polsi con una bizzarra, leggera catena che bruciava come ghiaccio e
che gli tolse le poche forze che gli rimanevano.
Býleistr
rise di gusto: «Trattatelo come si conviene a un principe. Lo voglio innocuo,
non morto o incosciente.» comandò, e i suoi tirarono malamente su il
prigioniero tenendolo per le braccia incatenate. Hugrun rimase silente nel suo
angolo.
«Comincio
a credere che ci sia stato un equivoco, fratello. Uno spiacevole equivoco.
Parliamone, se lo desideri, e poi lasciami andare. Altrimenti il nostro piano
si vanificherà.» azzardò il dio facendo appello a tutto il suo fascino e
restituendo al ceruleo re una rauca risata, mentre si concentrava per
sdoppiarsi o smaterializzarsi. Eppure nulla accadde.
«Oh,
vorresti usare i tuoi incanti? Mi dispiace, non sono così sciocco da bloccare
te e non la tua magia. Quella catena è fatta di uno speciale uru che di certo
voi asgardiani conoscete meglio di me. L’ho avuto a buon prezzo da un mercante
di Vanaheim e ammetto che svolge alla perfezione il proprio dovere.» lo schernì
Býleistr quasi con affetto.
Loki si
divincolò appena: «Perché dovrei fuggire se non ho fatto niente di male?»
seguitò a blandire il fratellastro, pur con una punta d’ansia nella voce.
«Perché
io ti ucciderò, principe. Non è forse un’ottima ragione per volersi dare alla
fuga? Inoltre tu hai fatto qualcosa
di male. Non in questo frangente, te lo concedo, ma l’hai fatto eccome.»
rispose il figlio di Laufey lentamente, assaporando ogni parola e il mutare
delle espressioni sul viso dell’asgardiano, il suo pallore che aumentava a
dismisura; «Io ho sempre saputo, principe, che quello di cui accuso l’altro tuo
fratello è in realtà imputabile a te. Ho sempre saputo che sei stato tu a
lanciarci contro morte e distruzione. Ho sempre saputo che tu, e non lo stolto
Dio del Tuono, hai tradito e ucciso mio padre a sangue freddo.»
Lo
stomaco di Loki si contrasse, sebbene se lo fosse in un certo senso aspettato,
e dunque si mantenne quasi impassibile nel replicare sibilando:
«Mi rendo
conto di aver commesso un imperdonabile errore, e non a caso ho scelto di
aiutare la mia gente per rimediare. Ciò che probabilmente ignori è che mai finii
disperso tra le nevi, né mai venni rapito degli asgardiani. È stato nostro
padre ad abbandonarmi a morire al gelo, dacché non mi riteneva un degno erede.
Non te lo ha raccontato, questo?»
Le iridi
di Býleistr si ridussero a due fessure rossastre, ed egli si avvicinò:
«Mi ha
raccontato molto più di questo, mio
padre.» disse lapidario.
«Già due
volte ti sei riferito a lui come tuo
padre, invece che nostro. Devo quindi
pensare che tu non sia davvero mio fratello? O che io non sia meritevole
nemmeno d’esser definito “figlio di Laufey”?» chiese l’Ingannatore, la mente
d’improvviso confusa.
Il
giovane jotun sorrise: «Oh no, tu sei mio fratello, Loki. Solo, non da parte di
padre.»
S’interruppe,
godendo della palese e rabbiosa curiosità che scorgeva nei verdi occhi ardenti
del dio, e si rivolse al generale: «Hugrun, va’ a prendere posizione. Bláin e
Vardrun guideranno assieme a te il primo attacco con le truppe regolari. Hroar
e Glaumar vi raggiungeranno con la seconda ondata. Assicurati che i soldati
scelti attraversino i portali diretti alla reggia di Odino, poi guida l’esercito
fin nei Campi di Idavoll.»
«Consideralo
fatto, mio signore. Caleremo impietosi su Asgard.» asserì il comandante.
«Bene.
Voi,» riprese Býleistr facendo cenno ai guerrieri che ancora trattenevano il
prigioniero, «legate il nostro ospite e attendete qui.»
Quelli
fissarono la catena di uru alla colonna centrale del salone, e Loki non seppe
reprimere l’impulso di divincolarsi ed esclamare: «Cosa significa? Non potete
far partire ora l’assalto! Non senza che io sia tornato ad Asgard. Se non mi
vedranno...»
«Se non
ti vedranno, e non ti vedranno, penseranno ciò che io voglio che pensino.» lo
interruppe il Gigante: «Che li hai traditi. Il che è effettivamente accaduto,
dal momento in cui hai accettato la mia alleanza. Moriranno maledicendoti,
com’è giusto che sia.»
Prese a
girargli intorno come una belva con la sua preda ormai spacciata, e il solo
pensiero logico che il Dio degli Inganni riuscì a formulare fu che il suo
nemico non sospettava che lui avesse giocato sempre contro Jotunheim, e non
contro il Reame Eterno. V’era ancora speranza per Odino e il suo dorato
esercito, nonostante la precocità dell’assedio, e Býleistr ignorava l’esistenza
delle trappole ai varchi minori. Tuttavia per sé Loki ne aveva meno di un
soffio, di speranza: «Sarebbe questa, la tua vendetta? Confidare nella labile
fiducia che gli asgardiani nutrono nei miei confronti e quindi uccidermi?»
proruppe, sprezzante.
«Ti
ucciderò soltanto alla fine. La mia vendetta è appena iniziata e tu ed io non
abbiamo alcuna fretta. Ho una storia da narrarti, principe.»
Il
giovane re richiamò i servitori e si fece portare uno scranno su cui si assise,
placido e ferino, dopo essersi versato con calma un secondo calice di vino. L’Ingannatore
deglutì a vuoto, la gola fastidiosamente secca; la ferita sulla schiena gli
pulsava senza posa.
«Rammenti
quando ti parlai di nostra madre, fratello? Rammenti? Farbáuti la bella, dai
capelli color del buio e la risata d’argento, così bella che da Svartalfheim
sino a Nidavellir in molti si sfidarono per averne la mano, durante la sua
gioventù. Era figlia di un ambasciatore del precedente sovrano dei ghiacci, e
assieme al genitore viaggiava spesso, entrando in contatto con gli individui
più disparati.» esordì Býleistr, sognante e asciutto al contempo: «Conobbe
così, tra gli altri, un giovane degli Æsir, un nobile guerriero, e si dice che
tra i due sorse subito un’incredibile passione. Non che fosse destinata a
durare, come ben immaginerai. Farbáuti era stata promessa, a sua insaputa, a
colui che avrebbe ottenuto il trono di Jotunheim alla morte del vecchio Fornjót,
e dunque a mio padre che vinse la lotta per la successione. E il giovane
asgardiano sposò una dama della sua razza, non so se per scelta o per dovere.»
Fece una
pausa, scrutando il fratellastro da sopra l’orlo della coppa di bronzo, e Loki
sentì il proprio respiro farsi pesante e affannoso: non poteva trattarsi di una
banale coincidenza, quel riferimento del figlio di Laufey al misterioso,
anonimo, nobile guerriero di Asgard. E poiché lo jotun gli aveva rivelato che
condividevano il sangue materno, e non quello paterno, con un serpeggiante
brivido comprese che il racconto era volto a far luce sull’identità di colui
che assieme a Farbáuti lo aveva messo al mondo.
«Trascorsero
gli anni, e giunse la lunga guerra tra Asgard e Jotunheim. Iniziò su Midgard, e
solo dopo si spostò nelle nostre terre. Eppure fu al termine degli scontri su
Midgard che l’antico amante asgardiano di nostra madre tornò. Non è stato mai
provato che fosse lui, ma a quell’epoca comparve un ignoto viandante, nei
pressi della reggia di mio padre, e Farbáuti sovente lo ricevette, mentre il re
era tra gli umani. Soltanto dopo, quando gli Æsir intervennero per fermare la
nostra espansione tra i Nove Regni, fu chiaro che lo straniero dimesso e
incappucciato altri non era che una spia del Reame Eterno.» proseguì Býleistr
con una certa teatralità; «Al principiare del periodo di combattimenti su
Jotunheim, nostra madre scoprì di essere gravida di un figlio. “Il primogenito
del nostro sovrano!”, esultarono sudditi e soldati in ogni dove, e Laufey
medesimo ritenne che si trattasse del frutto del suo seme. Si venne a sapere
che anche Odino e Frigga sua sposa avevano avuto un erede, il biondo Thor, e
ciononostante la guerra non si fermò. Poi Farbáuti partorì, alla vigilia di
quella che sarebbe stata la battaglia finale, e qualcos’altro divenne evidente
agli occhi di mio padre: il neonato che diede alla luce aveva, della stirpe
degli Jötnar, unicamente il colore della pelle, un blu sbiadito su carne troppo
morbida e liscia. Ed era piccolo, e rotondo, ed esile, un cucciolo degli Æsir
con sangue dei ghiacci nelle vene. Il figlio bastardo della regina e del suo
amante asgardiano.»
Loki
cessò di respirare per una manciata di attimi. Il cuore gli rimbombò nelle
orecchie e gli occhi gli bruciarono, come se lacrime irose gli offuscassero la
vista:
«Quale
asgardiano? Chi era lui, Býleistr? Chi
era?» domandò convulsamente, la voce che a malapena gli usciva. Poteva
trattarsi di un’altra menzogna del ceruleo re, ma se realmente era figlio di un
uomo di Asgard e di Farbáuti molte cose si sarebbero spiegate: la sua conformazione
fisica, soprattutto, l’esiguo amore che provava per Jotunheim e il legame che
suo malgrado sentiva con il Reame Eterno; avrebbe finanche dato un’altra
dimensione al gesto del Padre degli Dei – e si chiedeva se lui avesse sempre
saputo chi era, e perché gli avesse fatto credere d’esser dapprima suo figlio e
dopo figlio di Laufey. Questo si chiedeva, o tentava di chiedersi, poiché la
sua mente non riusciva a elaborare riflessioni compiute.
«Pazienza,
principe, pazienza.» ridacchiò lo jotun con dolcezza, prendendo tempo e
sorseggiando il vino: «Non t’interessa sapere cosa ne fu della nostra povera,
bellissima madre? Mio padre non la uccise immediatamente. Le fece confessare
ogni cosa, e ti abbandonò tra la neve a morire di freddo e di stenti. Quindi la
ingravidò e tenendola sotto chiave attese che il suo legittimo erede nascesse,
e una volta che io fui uscito dal suo ventre la soffocò sul suo letto di
puerpera. Alla gente fu detto che era morta di parto e che tu, il primo
rampollo, eri scomparso durante l’ultimo scontro, lo scontro che sancì la
nostra sconfitta.»
Rise,
deliziato, e quello sgradevole suono andò a pungere lo sterno del Dio degli
Inganni, già stretto a causa dell’immagine della sua vera madre ammazzata come
una cagna:
«Dimmi il
nome di quell’asgardiano.» quasi gridò.
Býleistr
lo ignorò: «Ah, quale non fu la mia sorpresa nell’apprendere che eri vivo,
nientemeno che ad Asgard, e che proprio il Padre degli Dei ti aveva cresciuto
come un principe e come suo figlio! Il mio, di padre, non è vissuto abbastanza
per poter godere assieme a me di un tale beffardo, incredibile, perfetto
scherzo del fato.»
«Voglio
quel nome, Býleistr!» ripeté Loki ormai urlando.
«Non hai
ancora capito, fratello?» sibilò il Gigante facendosi serio e crudele: «Non è
abbastanza ovvio? Tuo padre probabilmente non si è mai reso conto di aver
salvato e accolto il suo erede illegittimo, o non avrebbe pensato che tu fossi
figlio di Laufey. Eppure tuo padre e colui che ti trovò sono la stessa persona,
e credimi, non potrei esserne più sicuro.»
Si alzò
dal seggio, e torreggiando sull’Ingannatore scandì:
«Quanta
sofferenza inutile hai seminato e patito, Loki figlio di Odino.»
Fu come
se un fulmine lo avesse colpito. Il quadro gli parve lampante, completo e spietato;
si aggrappò disperatamente alla possibilità che Býleistr stesse mentendo,
eppure in cuor suo era conscio del contrario: se comunque lo avrebbe ucciso,
perché rivelargli una cosa del genere? C’era stato un tempo, in seguito alla
scoperta di essere uno jotun – un mezzo
jotun – in cui Loki avrebbe dato qualunque cosa pur di cancellare quella
consapevolezza e tornare a essere il secondogenito del Padre degli Dei, e
adesso che ciò si era avverato, ribaltando nuovamente il suo mondo e le sue
convinzioni, si stupì di quanto odiasse quella verità.
Vanificava
tutto, vanificava il suo disprezzo, le azioni che aveva commesso in nome di una
causa divenuta sua soltanto, vanificava quel che aveva perduto, costruito e
infine riconquistato. Era una gigantesca beffa, un giro a vuoto attraverso il
cosmo, un ritrovarsi al punto di partenza con un fardello di rovine sulle
spalle. Difficilmente avrebbe potuto venirlo a sapere senza l’intervento del
suo vendicativo fratellastro, e tuttavia si sentì uno stolto, un patetico
ingenuo, un povero idiota. E se morirò qui, pensò, verrò ricordato dagli Æsir
come figlio di Laufey, traditore e criminale, e per loro niente sarà cambiato.
Dalle
labbra serrate esalò una gutturale e cantilenante risata simile a un lamento,
il capo chino sul petto: «E ora mi darai il colpo di grazia, fratello?» soffiò contro Býleistr.
«Lo
desideri così tanto? Non vorresti prima rivedere la tua dolce sposa mortale?
Oh, hai ragione,» rispose questi gesticolando verso i sei guerrieri che ancora
attendevano comandi sul fondo della sala, «non potresti comunque. Lei è su
Midgard e tu qui, e come se non bastasse l’hai ripudiata. La sua sorte non dovrebbe più toccarti,
giusto?»
Il
riferimento a Erin spiazzò l’Ingannatore, mozzandogli il cupo riso nella gola
arida.
«Erin di
Galway.» sillabò il giovane re: «Ritengo che tua moglie si trovi lì, essendo
Galway la sua città natìa. Prode Gangr, ti recherai subito là coi campioni tuoi
compari e troverai la Dama del Flauto. E quando l’avrai trovata, farai ciò che
sai.»
«Býleistr.
Quella donna non significa nulla per me.» azzardò il dio annaspando, le mani
chiuse a pugno. Sapeva dove il suo nemico sarebbe andato a parare. Lo sapeva,
lo avvertiva, inevitabile come il sudore freddo che gli colò dalla nuca fino
alla base della schiena.
«Vuoi che
faccia esattamente quel che mi hai
detto, mio signore?» s’informò Gangr.
Il figlio
di Laufey lo guardò, le iridi scarlatte che fiammeggiavano, e sorrise.
«Býleistr!»
tuonò l’asgardiano. Fingere che non gl’importasse di lei si faceva arduo, e
cominciava a dubitare che sarebbe servito a fermare il fratellastro. Si agitò,
scuotendo le catene, e l’uru gli graffiò i polsi.
«Lo voglio,
Gangr. Uccidete l’irlandese.» fu l’ordine del Gigante.
E mentre
i sei soldati uscivano, Loki gridò, e fu un suono inumano e terribile quello
che gli uscì violento dai polmoni. E Býleistr si versò soddisfatto l’ennesima
coppa di vino e mirò fuori dalla grande porta del palazzo, verso la strada
maestra che pullulava di legioni.
E ad
Asgard un allarme fu affannosamente lanciato: gli avamposti di Jotunheim stavano
sciamando, a centinaia e anzitempo, sul verde mare d’erba dei Campi di Idavoll.
Note
Ho
rimandato più a lungo del previsto la pubblicazione di questo capitolo per almeno un paio di motivi.
Il primo sono le vacanze natalizie – per me vacanze per modo di dire, visto che ogni
anno c’è da suonare come dei disperati; il secondo è l’impopolarità della mia
povera storia, della quale devo prendere tristemente atto tutte le volte che
apro EFP *sigh*; il terzo, infine, è il capitolo stesso, perché è il punto di svolta
di tutto quanto e la rivelazione che dà è una vera e propria bomba, e non sono
sicura di come la prenderete :D
Va da sé che non è una mia idea: in Earth-1610 Loki è effettivamente figlio di Odino e Farbáuti, che
viene “data” ad Asgard in qualità di ostaggio/offerta di pace. La storia qui è
diversa, ma l’avere sangue per metà asgardiano e per metà jotun spiegherebbe
molte cose del nostro Ingannatore, a partire dal suo aspetto fisico – a me
devono ancora spiegare, nei film, come faccia a essere soltanto un nato
prematuro da due Jötnar, visto che ha le fattezze di un neonato ‘umano’ dai
colori sballati!
Questo capitolo è di gran lunga il mio preferito, per crudele
che sia, e mi ha dato modo di mostrare finalmente il vero carattere di Býleistr,
villain di cui vado sinceramente
fiera :) sebbene la nostra irlandese sia ora nelle peste a causa sua, e peste
GROSSE…
Il titolo è quello di una canzone semi-sconosciuta degli anni
’70 degli Sparks che è stata utilizzata per la colonna sonora di Kick-Ass, anche se qui la soundtrack è
meglio rappresentata dall’Adagio dei
Daft Punk in TRON Legacy.
Se intanto volete venirmi a trovare su tumblr
troverete grafiche sui due ingannevoli sposini e sul MCU in generale.
Ci sentiamo al prossimo aggiornamento! Tantissimi auguri di buon inizio
anno e ossequi asgardiani a tutti ;)