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Autore: the_Masterpiecer    08/01/2014    1 recensioni
Questa è la storia di due ragazzi omosessuali, che si troveranno dopo aver superato le proprie insicurezze, sia del mondo che li circonda, sia di loro stessi. Capita, di aver paura di ciò che si è. La morte di uno dei due farà capire all'altro che l'amore in cui le anime si incollano fra loro è più forte di quello corporale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FUORI DALLINTERNO -–                          

 il Mamihlapinatapai.

 

Lì scrisse. Lì lasciò il suo personale segno.  Forse sarebbe rimasto impresso per secoli, forse per minuti. Persino il futuro di una scritta è incerto, figurarsi quello degli uomini. Quella frase ormai faceva parte della sua pelle, della sua storia. Un giorno l’avrebbe tatuata sul polso, tanto ne era contento. Su un vecchio muro di una casa abbandonata, la frase campeggiava, nera e acre in tutta la sua grandezza. Mordechai riusciva ancora a sentire il forte odore della bomboletta spray nera gocciolante e della scritta appena creata.

 

Due ore prima, 12:18

L’anno scolastico procedeva. Monotono come sempre, leggero come mai.               
Mordechai afferrò un libro di testo e si diresse verso l’aula teatro della prossima, agognante lezione. Sbadigliò davanti ad uno dei suoi compagni di classe, che non si accorse di avere di fronte. Seduto al suo banco, in seconda fila, vicino alle finestre, poggiò la penna sul foglio e la lasciò libera, libera di esprimersi. “Almeno lei può farlo senza restrizioni”, era il commento che il sedicenne riservava a tutti coloro gli chiedessero il motivo di tutte quelle ore buttate a scrivere sui quaderni frasi incomprensibili, totalmente estranee ai temi scolastici delle lezioni quotidiane. Apparentemente, Mordechai sembrava uguale dentro e fuori. I vestiti che indossava erano molto simili al resto della scuola, riusciva ad uniformarsi senza particolari difficoltà agli altri. Conoscendolo meglio, però, si riusciva ad intuire quanto in realtà fosse diverso. Per questo suo aspetto era spesso emarginato, poiché non molto socievole. Nessuno, a parer suo, lo conosceva davvero.                                              
L’ultima ora era appena suonata, solo sessanta minuti ed un’altra giornata sarebbe terminata.                                                                                                                       
Da qualche tempo, Mordechai si sentiva osservato durante le lezioni, anche se non dava mai molto peso alle sue sensazioni. Come suo solito, dava spazio alla sua penna. Ma qualcuno lo osservava davvero, furtivo, in ultima fila, in diagonale a lui. Ueli, un suo coetaneo, cercava di mascherare l’attrazione per Mordechai che da qualche tempo provava. Ogni giorno che passava, si rendeva conto un po’ di più di quanto in realtà lo amasse. Cercava di convincersi, sempre con più impegno  e volontà, di non provare “ciò che tutti chiamavano amore”, perché lo sapeva, l’amore faceva male. Mordechai pareva eterosessuale a tutti gli effetti. Aspetto che, sicuramente, non aiutava affatto Ueli, considerando la sua apparente irremovibilità.                              
Mordechai aveva i capelli arancioni, lo stesso pel di carota di Rupert Grint, la sua stessa bacchetta rotta, per lungo tempo irreparabile, sempre sotto la minaccia del suo Platano Picchiatore e la sua grande paura di perdere di nuovo quel Silente tanto amico. Gli occhi color nocciola lo avevano sempre distinto dalla maggior parte dei rossi della sua scuola; anche se non erano in molti a possedere quel colore di capelli, avevano tutti gli occhi bruni, se non neri, verdi o blu. Il suo nocciola brillava molto di più in estate, forse perché quei tre mesi riuscivano a farlo sentire un po’ più libero rispetto al resto dell’anno, perché si sapeva che gli occhi fossero da sempre lo specchio dell’anima. Era tipo da adorare l’inverno, con la sua temperatura da maglioni e abbracci, con le sue ricreazioni scolastiche passate a fare a gara per l’ultimo posto rimasto davanti al termosifone ed il suo piccolo pezzo di felicità dopo aver coperto anche il naso sotto il piumone, ma la risolutezza si faceva viva solo d’estate. La stagione in cui riusciva ad evadere dalla realtà della cittadina in cui era nato e cresciuto e da cui non si sarebbe spostato permanentemente almeno fino alla maggiore età. Per un mese, un solo mese all’anno, riusciva ad evaderne, e a sentirsi meglio con se stesso. La sua altezza ed il suo peso non erano mai stati un problema fisico; l’unica altezza che doveva raggiungere era quella degli altri, comuni, ragazzi che lo circondavano e l’unico peso che doveva portare era quello della gravità sulla sua testa.  Le felpe dei Doors  e degli AC/DC lo avevano sempre accompagnato, sin dalle medie, quando aveva cominciato ad ascoltarli. Canticchiava “Highway to hell” ogni mattina, quando il cellulare suonava la canzone come sveglia. Quel poster in camera sua era appeso sulla parete rosso bordeaux da tre anni. Ricordava ancora il giorno in cui suo padre era tornato a casa con un tubo in mano, porgendoglielo; non aveva esitato un attimo a tappezzarvi quella parte di parete leggermente deteriorata dal tempo. Ora tutto appariva così diverso, aveva desiderato più volte di poter tornare ai vecchi tempi, in quegli anni in cui il suo unico problema ruotava attorno alla scelta dell’uovo Kinder con la sorpresa migliore sullo scaffale del supermercato vicino casa sua. Aveva sempre i capelli arruffati, ma con stile. Era come se fossero cresciuti selvaggi ma con un certo rigore. Le lentiggini chiare occupavano tutta la zona al di sopra della bocca, guance escluse. Ciò lo aiutava a risaltare i suoi occhi, e a donargli ancora più luce.                                                                                                                    
Ueli non faceva altro che guardarlo di nascosto. Forse, un giorno avrebbe avuto il coraggio di parlargliene. Ma tutto ciò che faceva rendeva la situazione sempre più scomoda. Era impacciato nel parlargli, sudava spesso e si agitava, mentre con gli altri era tranquillo. Mordechai aveva cominciato a farsi qualche domanda, pensò. Non voleva, però, che lo capisse da solo: se avesse dovuto saperlo, lo avrebbe ascoltato dal diretto interessato, non intuito da solo. Ueli era sempre stato coraggioso, persino in momenti critici. La freddezza ed il suo sguardo sicuro lo rendevano d’acciaio agli occhi delle persone. Nonostante tutto, si reputava un buon attore, perché non era affatto d’acciaio; era d’aria, niente di più facile da spostare, trasformare, tagliare a piacimento del resto del mondo.                                                  

Mordechai ed Ueli sospirarono di sollievo: un’altra giornata scolastica era finita, loro erano liberi di tornare a casa e imprigionarsi di nuovo con i libri di testo. 
Mordechai adorava la sua bicicletta, e non perdeva occasione di salire sulla sua sella e andare ovunque in suo potere, così aveva preso l’abitudine di tornare a casa in bici. Ueli aveva sempre fatto affidamento sui suoi piedi. Sulla via di casa, si incontrarono, e Mordechai si fermò a salutarlo.
<< Beh, devo dire che quel compito ci è andato meglio del previsto, o no? A detta della classe, nessuno sapeva neanche di cosa trattassero i capitoli da studiare. >>              
<< In effetti, ehm, non è andato poi tanto male. Pensavo, ehm… Sarebbe stata una catastrofe. >>                                                                                 
<< Già, ero pronto ad innalzare un monumento ai caduti. Comunque sia, pensi di venire alla festa, sabato. >>                                                                         
<< Ehm, non so, domenica sono fuori città, ti farò sapere. Credo di sì, comunque. Ci vediamo domani, Mordechai. >>                                                                   
<< Certo, a domani. >>

Nella sua camera, Ueli cominciò a pensare a Mordechai. Per lui, ogni più piccola conversazione, compreso il saluto, era diventata motivo di felicità temporanea. Da poco sapeva dell’iscrizione di Mordechai ad un sito di domande e risposte personali. Qualcuno chiedeva qualcosa di personale ad un altro, l’altro gli rispondeva il più sinceramente possibile. Nel suo profilo, Mordechai aveva risposto ad un anonimo che gli chiedeva se fosse omosessuale. Il sedicenne aveva risposto di non esserlo a tutti gli effetti, ma di aver provato e voler provare esperienze simili. Per Ueli fu un grande passo avanti. L’amore che Ueli provava per Mordechai durava da tre anni, dal primo liceo, ma aveva completamente preso forma solo all’inizio del secondo. Nessuno sapeva del suo orientamento sessuale, poiché nessuno l’aveva lontanamente mai intuito.                                                                                                                               
<< Se sono coraggioso come dicono, dovrò dimostrarlo a me stesso. Quest’agonia dura da tre anni. Voglio togliermi questo peso. >>                                                  
Così prese il cellulare, cominciò a scrivere qualcosa. Dopo alcuni minuti lo ripose. Pensò che fosse meno impersonale fare outing con una lettera che con un messaggio. Prese una penna nera ed un foglio, poi cominciò a scrivere.

Mordechai,

da tre anni non faccio che pensare a come ti senti quando torni a casa e tutti i problemi vengono alla luce. Ti ho preso a cuore. Forse fin troppo. Ti ho preso a cuore talmente tanto che mi sta facendo male. Mi sta facendo male, ciò che tutti chiamano amore. Lo stesso amore che dovrebbe rendermi felice, in realtà mi sta uccidendo. Su quel sito hai scritto di voler provare esperienze diverse, prova con me.               
Questo è il grido disperato di qualcuno che conosci, che si reputa ed è reputato coraggioso, ma che in fondo sa di non esserlo nemmeno un po’, tanto che non si firmerà. Non voglio fare in modo che il mio amore ti allontani da me, perché la maggior parte delle volte è questo che succede. A me basta averti accanto, poterti guardare negli occhi, parlarti di qualsiasi cosa. Se a te non dovesse andare bene, sappi che io mi accontenterò di starti vicino quando avrai bisogno di qualcuno su cui contare, perché so che in questo mondo quel qualcuno è sempre più difficile da trovare, come un ago in un pagliaio. E penso che ognuno ne meriti. Anche solo per sfogarcisi. Ho notato che faccio pena a scrivere.

Quando mi chiesi quale fosse il mio nome, avevo già capito di amarti, me ne serviva solo la conferma. E da quando l’ho avuta, la mia vita non è stata più la stessa. Sono maturato, tanto. Guardando indietro, mi accorgo di quanto poco avessi capito del mondo, e della vita in generale. Mi hai aperto gli occhi e chiuso il cuore, ora è immune a tutti gli altri. Amo ed amerò te, fino alla fine dei miei giorni.

Con affetto,

                                                                                                                                                                                                             U. L., qualcuno che già conosci.

Ripiegò la carta e la ripose in una busta da lettere bianca. Dopo aver bagnato la porzione adesiva, sigillò la busta. La nascose sotto il materasso logoro, perché avrebbe consegnato quella lettera di notte, in modo da non essere visto da nessuno.

 

Tredici ore dopo, 01:18

Ormai la notte si avviava alla sua metà. Ueli uscì da casa e si diresse verso quella di Mordechai, due isolati più avanti. La strada era deserta, solo dei cani randagi passavano di tanto in tanto. Qualche ubriaco passeggiava per l’unico marciapiede presente. Tutta la via, fino a casa di Mordechai, era costeggiata di cespugli ed isole pedonali abbastanza ristrette, ma comunque utili. Con i Coldplay nelle cuffiette, Ueli camminava in compagnia di uno stato d’animo indeciso fra il panico e la determinazione.

When you try your best                                                                                                          
But you don’t succeed,                                                                                                     
When you get what you want                                                                                                     
But not what you need,                                                                                                       
When you feel so tired                                                                                                          
But you can’t sleep,                                                                                                                
Stuck in reverse.

And the tears come streaming                                                                                                  
Down your face,                                                                                                         
When you lose something                                                                                                   
You can’t replace,                                                                                                                 
When you love someone                                                                                                         
But it goes to waste,                                                                                                               
Could it be worse?

<< Quando si dice che una canzone sia stata scritta per te… >> Ueli mise una mano in tasca e si accorse di essere arrivato. Aveva indossato un felpa nera, a tinta unita, ed i jeans, neri anch’essi. In tanti gli avevano detto che il nero era il suo colore, e che si intonava perfettamente ai suoi capelli mori, simili a quelli di Jim Morrison ai tempi del suo gruppo, e ai suoi occhi verdi. La sua non particolare altezza e le cosce muscolose gli conferivano un’aria interessante. Di solito portava una catena di metallo appesa a due passanti dei jeans, gli era piaciuta l’idea sin da quando ne aveva vista una in un negozio etnico in Giappone, durante uno dei suoi viaggi. Nonostante non amasse particolarmente il metal, amava le borchie.                                                                                     
La cassetta delle lettere era posta sul lato destro del giardino anteriore, diviso in due dal vialetto d’ingresso alla modesta villa. Senza far rumore, Ueli infilò la busta nella cassetta, poi tornò a casa.

 

La mattina seguente

Mordechai si stiracchiò, ancora sotto le lenzuola. Mise le pantofole e scese in giardino a controllare la posta. Nella cassetta trovò una busta bianca, senza indirizzo, mittente o destinatario. La aprì senza esitare. Fu attento a non rompere troppo la carta. Quando ne lesse il contenuto, pensò subito a Noah, un ragazzo omosessuale dichiarato frequentante la classe accanto alla sua. Il contenuto della lettera lo sconvolse molto, tanto che ebbe bisogno di qualche ora libera per rifletterci sopra. Trascorse tutta la domenica mattina a pensare a chi potesse aver scritto qualcosa di simile nei suoi confronti. Rilesse qualche riga della lettera.

Mi sta facendo male, ciò che tutti chiamano amore.”

Era certo di aver sentito prima quella identica frase, forse da qualcuno più vicino di quanto credesse.                                                                                                    
<< Oh, che casino. Ho mentito su quella risposta, non mi sono mai piaciuti i gay. >> Una bambina di appena dieci anni gli si avvicinò. Aveva l’aria di essere più intelligente della media delle bambine della sua età. Si sedette vicino a lui, che teneva ancora la lettera aperta fra le mani. La bambina gli chiese quale fosse il suo nome. 
<< Mordechai, piacere. Tu sei…? >>                                                                                          
<< Zuri. I gay sono forti! >>                                                                                                                
<< A me non piacciono. Ma non sono omofobo, solo non so il perché. Penso sia una cosa… A pelle. Ma non è questo il punto, è che ora mi sento in colpa, perché a me un ragazzo piace, ed anche se spero che sia lui ad avermi scritto la lettera, in realtà non mi ci vedo come gay. Ma tu non puoi capire, hai dieci anni... >>                                
<< Fidati, capisco più degli adulti che conosco. >>                                                             
<< Già, me ne sto accorgendo. Tu che mi consigli, Zuri? >>                                                         
<< Beh, io ti consiglio di andare dal ragazzo che pensi ti abbia scritto e parlargli. Anche se non tutte, avrai le idee sicuramente più chiare. Mordechai, già ti voglio bene, voglio darti una mano. >>                                                                                            
<< Beh, mi piacerebbe, ma è una cosa che devo fare da solo. Scusami, Zuri. >>                 
<< Capisco… Però voglio sapere come va a finire, okay? Io vengo qui tutte le domeniche mattina. Ciao! >>                                                                                               << Ciao! E, Zuri… Grazie, davvero tanto. Ora so cosa devo fare. >>                                 
<< Non preoccuparti, mi piace aiutare i miei amici! >> la bambina tornò dai genitori e diede la mano alla madre. Poi scomparve nella folla di persone che si avviavano verso una fiera che si svolgeva tutte le domeniche del mese, per una volta l’anno. Mordechai ripiegò la carta e mise la lettera in tasca. Si alzò dalla panchina di marmo del parco cittadino e proseguì anche lui verso la folla della fiera. Pensò che, forse, svagarsi l’avrebbe aiutato a non pensare.                                                                         
La fiera occupava tutta la strada principale della città, ed aveva l’onore di essere annoverata dai cittadini come la fiera più importante e grande mai svolta in quel luogo. Il suo tema era mangereccio, e forse era quello il motivo di un tale afflusso di potenziali clienti ad una banale rassegna sul cibo. Una specie di sagra attirava così tante persone da impedire il traffico automobilistico di tutta la città e favorire quello pedonale e ciclistico. In ogni angolo dello spazio occupato dagli stands, le donne litigavano per il posto in fila e gli uomini badavano ai bambini.                                     
Mentre Mordechai cercava di farsi spazio, scorse Ueli dall’altro lato della fiera, intento ad uscirne il prima possibile. Gli si avvicinò con falsa casualità e cercò di salutarlo, provando a far risaltare la sua voce sopra l’isteria di massa.                                  
<< Ueli, ciao! Devo parlarti! >>                                                                                                       
<< Mordechai?! Ehm, dimmi! >> Ueli sembrava più sorpreso di quanto dovesse essere.                                                                                                            
<< Non qui, però! Si capisce pochissimo! Andiamo verso il parco, ora lì non c’è nessuno! >>                                                                                                 
<>

Il parco era deserto. Mordechai ed Ueli si sedettero uno di fronte all’altro, in orizzontale rispetto alla panchina, che non aveva schienale. Mordechai prese la parola prima di Ueli, che nel frattempo aveva assunto un’aria preoccupata.                                  
<< Ueli, credi che non abbia capito che quella lettera sia tua? >>                                         
<< Eh? Ma che dici, di che lettera parli? >> aveva cominciato a sudare.                                                                        
<< Di questa. Leggila. >> Mordechai gli porse la lettera, che pareva consumata, ed Ueli cominciò a leggerla ad alta voce. Si mostrò ingannevolmente sorpreso del suo contenuto, e Mordechai si disilluse.                                                                                     
<< Non l’ho scritta io, non so scrivere così bene. E poi, questa non è la mia grafia. >> 
<< Ah, va bene lo stesso. Senti, mi aiuteresti a capire di chi sia? Perché sicuramente hanno sbagliato indirizzo. >>                                                                                      << In che senso? >>                                                                                                               
<< Nel senso che nessuno si è mai innamorato di me. Non sono il tipo su cui la gente riflette di notte, non si perde il sonno per me. Io non rimango impresso nella memoria di qualcuno, io sono passeggero, così, senza una dimora fissa nella mente di qualcuno disposto a conoscermi. E non sono in molti, comunque. >>                     
<< Mordechai, devo dirti qualcosa. So di chi è la lettera, è stata scritta da qualcuno che conosco troppo bene e che darebbe la vita per conoscerti meglio.>>           
<< Non capisco… Chi è? >>                                                                                                   
<< Ti prego, non andare via quando lo saprai. Non togliermi la parola, perché io per te ci perdo il sonno ogni notte, ci rifletto, ci piango da tre anni ormai! Tu hai una dimora fissa nella mia mente, tu sei rimasto impresso nella mia memoria! Cazzo, sei tu! Tu e basta! Tu come sei, tu senza compromessi, tu ed i tuoi occhi! Io ti capisco, cazzo! Io ti amo e dovrei esserne contento, perché dicono che l’amore faccia bene e renda felici, invece sono più triste di quanto dovrei e vorrei con tutto me stesso, ma non posso farci niente, mi sta facendo male, ciò che tutti chiamano amore! E non posso farci niente, niet, nada, un cazzo! Ma io ti amo più di così, solo che non riesco ad esprimerlo. Scusa, ehm… Sono patetico. Lo so, non dovrei mettermi a piangere per cazzate simili, invece di scordarmi di te sono qui a piagnucolare come un cretino per una cosa che sento solo io. Scusa, dimenticati di me, sparirò dalla tua vita. Comunque sappi che ti amo più di quanto Romeo amasse Giulietta. >> Ueli raccolse la giacca di pelle nera e fece per avviarsi verso casa sua. Mordechai non fece in tempo a dire qualcosa, l’emozione ed il modo in cui Ueli gli avesse confessato tutto gli impedirono di aprir bocca, ma lo prese per un braccio. Prese una penna dalla tasca destra e scrisse qualcosa sul retro della lettera, poi la consegnò ad Ueli. Egli la lesse, la accartocciò e la gettò lontano da lui. Cominciò a singhiozzare silenziosamente. Le lacrime erano scese fin sotto il mento, ed il suo morale fin sotto l’asfalto della strada. Non sapeva il motivo di quello stato d’animo, sapeva solo che in qualche secondo aveva cominciato a piangere sorridendo. Mordechai gli asciugò le lacrime con il polso e lo guardò negli occhi. Rimasero a guardarsi reciprocamente negli occhi finché Ueli non sussurrò, abbracciando Mordechai, con la voce rotta dal pianto, qualcosa di incomprensibile. << Aspetta, questa è quella cosa in dialetto Yaghan, il “guardarsi reciprocamente negli occhi…” ehm… Già. >>                                                                                                             
<< Sperando che l’altro faccia quel qualcosa che tutti e due desiderano ardentemente, ma che nessuno dei due ha il coraggio di fare per primo”… Io, ehm, la conosco bene, e pare che si stia accadendo proprio adesso, giusto? >>                                                            
<< Già, è vero. Ma adesso baciami. >>

 

La domenica seguente, 10:20

<< Zuri! Zuri, ti ricordi di me? >>                                                                                             
<< Mordechai, certo che mi ricordo! Non è passato molto tempo, in fondo. Aspetta, sembri felice… Com’è andata con la lettera? >>                                               
<< Vieni, ti racconto. In poche parole, il ragazzo della lettera si chiama Ueli, è lo stesso ragazzo che speravo mi avesse scritto. Ci siamo baciati, e credo mi sia piaciuto. Sai, ancora non mi ci vedo come omosessuale. >>                                                 
<< Sono felice! Voglio conoscerlo! >>                                                                                 
<< Sapevo che me l’avresti chiesto, ti ho prevenuta. Ueli, vieni qui! >>                            
<< Ehi, ciao, qual è il tuo nome? >>                                                                                      
<< Zuri, sono un’amica di Mordechai. State insieme adesso, vero? >>                                
<< Io direi proprio di sì, piccola. Lo amo, e non penso che avremmo potuto finire diversamente dal fidanzarci. >>                                                                                 
<< Ti amo più di quanto riesca ad esprimere a parole, sul serio, Ueli. Ma io non riesco a vedermi come un omosessuale. >>                                                        
<< Non è proprio lo scoprire un lato di noi stessi diverso dai soliti che ci terrorizza? Si deve accettare ciò che si è, altrimenti si finisce per autodistruggersi. Ci amiamo, e credo sia questa la cosa più importante. Imparerai a far parte della tua pelle, Mordechai, e da quel giorno in poi non avrai più paura; ed io sarò qui, al tuo fianco, a testimoniarlo e a esserne felice per te. Per noi. Sai, non mi piace pensare al mio futuro, ma se lo penso insieme te, allora diventa la cosa più bella che potrò mai fare. Tu mi rendi migliore, tu mi aiuti a guardare negli occhi la paura e a sconfiggerla con le mie forze, tu mi fai capire che l’amore sopravvive persino alla morte. >>                       
<< Giuro che non troverò mai un fidanzato come te, Ueli. Mordechai, credo che tu, insieme a lui, farai grandi cose. Ho capito che siete grandi da quando Mordechai me ne ha parlato. Vi voglio bene, ragazzi, siete fantastici. Devo andare adesso ma, lui lo sa, io vengo in questo parco ogni domenica mattina. Ciao! >>                                     Mordechai ed Ueli si presero per mano. Attraversarono la strada davanti al parco, la stessa su cui si estendeva la fiera cittadina. Ancora con la mano unita a quella di Mordechai, Ueli si sentì trasalire. Con i piedi ancora sulle strisce pedonali, uno davanti all’altro, vide Mordechai venire spazzato via da un’auto nera alla cui guida c’era, probabilmente, un ubriaco. Ueli si trovava dal lato opposto a quello della macchina, sulla destra. Istintivamente si catapultò lontano dall’impatto e portò gli avambracci alla nuca. Si alzò in piedi e guardò la scena. Il sangue di Mordechai era steso su tutta la strada e ricopriva gran parte del parabrezza rotto dell’auto. I pezzi di esso avevano invaso la corsia e tre automobili avevano arrestato la loro corsa barbaramente davanti alla scena. I proprietari delle rispettive si erano precipitati sul ragazzo, morto sul colpo, ed avevano tentato di rianimarlo fermando con una maglietta l’emorragia al capo. Il sangue aveva però continuato a scorrere copiosamente, mentre Ueli, con le mani ancora attorno al collo, non era riuscito a tornare alla realtà ed era rimasto bloccato con lo sguardo perso nel vuoto, a mirare ad un futuro insieme svanito come sabbia tra le dita. Tutte le loro speranze erano volate via in sessanta secondi, lasciando al loro posto le lacrime. Le loro anime, intrecciate fino a far male, si erano sciolte inevitabilmente sotto i duri colpi della falce mortifera tenuta saldamente da mani scheletriche. Mai Ueli aveva provato qualcosa di più forte, anche se negativamente, del suo amore debilitante per Mordechai.                           
Mordechai era morto sul colpo, ma il suo cervello era riuscito ad elaborare la situazione, facendogli subire dolore e disperazione. La sua morte aveva sconvolto la sua mente, tutto ciò che aveva visto erano i suoi vestiti sporchi del suo sangue, le immagini dell’auto e della strada capovolte e mescolate in ordine completamente casuale, fino a che l’auto non si trovasse sospesa nel cielo e la luna calante sull’asfalto accompagnata nella sua discesa da quei corpi di luce e gas che tanto osservava ogni sera dalla sua camera, sognando un giorno, di essere libero come loro. Ueli si era avvicinato dopo qualche minuto, in cui non aveva fatto altro che fissare il vuoto in lacrime, ed aveva chiuso gli occhi, cambiato la benda e ripulito, per quanto possibile, la persona da lui tanto amata.

  
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