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Autore: Asmodeus92    09/01/2014    0 recensioni
Perso in una zona industriale di una grande città, un uomo borghese si ritrova faccia a faccia con la povertà più misera. Incontra Pablo, un mendicante che vuole aiutarlo a ritrovare la via, ma non solo; gli insegnerà cosa davvero significhi essere poveri.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi ritrovo, come non so, in una zona malfamata di città. Il cielo plumbeo, l'aria pesante, tutt'intorno fabbriche ed industrie che sputano fumo dalle loro alte ciminiere. L'atmosfera è cupa e carica di disagio: sono finito in un labirinto di vicoli abitati da barboni che dormono su montoni di cartone, fumano e bevono da qualche fiasco nascosto in un sacchetto di carta marrone. Non mi sento al sicuro qui, sembrano squadrarmi da capo a piedi come pretendessero qualcosa da me; alcuni cercano di allungare le mani alle mie gambe chiedendo la carità, altri, muti, fissano con lo sguardo carico di tristezza con quel tipico viso di chi necessita di compassione, con cartelli scritti con un carboncino, farciti di chissà quali fandonie lacrimevoli che usano per estorcere denaro credendo di permettere a chi si fa abbindolare di fare una buona azione, donando soldi che utilizzeranno per poi alimentare i loro vizi o sperare di ricavare una fortuna nel gioco d'azzardo. Non posso fidarmi di nessuno.

 

Cerco con non poco affanno una via principale un po' più movimentata, dove possa sentirmi al sicuro, ma più mi addentro in quell'intreccio di cunicoli più sale la sensazione di non trovare una via d'uscita. Cosa potrebbe accadermi ora? Potrei essere borseggiato, nella migliore delle ipotesi. Questa gente è capace di tutto, devo stare molto attento. Sembrano passate ore da quando mi ritrovo qui e più ci penso, meno mi rendo conto di come ci sia arrivato. Tutta questa emarginazione che mi circonda crea un'ansia indescrivibile nel mio animo; come fa questa gente a vivere in queste condizioni? Molti paiono decisamente anziani, probabilmente costretti in questo stato per la maggior parte della loro vita. In questo posto sembra non sia mai esistita la felicità, o qualcosa di diverso dalla tristezza.

 

Mi sto facendo trascinare dalla situazione, non devo distrarmi se voglio ritrovare una via che mi riporti alla civiltà. Mi blocco e alzo lo sguardo per un secondo. Forse ho pensato a voce alta senza accorgermene: un gruppo di senzatetto piuttosto giovani, rispetto agli altri, mi fissa con aria minacciosa, come se avessi detto qualcosa che li abbia fatti alterare. Però, prima di poter rendere concreto qualunque pensiero, una forza misteriosa mi trascina da parte in un vicolo più scuro degli altri, senza avere alcuna possibilità di opporre resistenza. Due parole rimbombano nella mia testa: sono finito. D'istinto irrigidisco ogni singolo muscolo e mi preparo ad una colluttazione con un ladro, o un assassino, ma nulla accade. Qualche secondo ed ho modo di riprendermi dallo spavento, studiando la situazione.

 

Davanti a me si presenta un uomo alto, vestito per lo più di stracci ed un impermeabile sgualcito, come calzature dei lembi di tessuto cuciti a malapena, un bastone da passeggio usurato dal tempo ed un cappello abbastanza ampio da celare il viso del presunto aggressore dalla testa chinata. Alza lo sguardo e mi fissa, ma una cosa subito attira la mia attenzione e mi colpisce: il sorriso dell'uomo. Non è un ghigno malizioso, né inquietante, semplicemente un sorriso che pochi riescono a mostrare. I suoi occhi sono grigi come le nuvole nel cielo di questa uggiosa giornata e il suo volto ricoperto di peluria non molto curata da almeno qualche giorno. Mi rivolge la parola, con tono scherzoso e rassicurante: “Ma cosa abbiamo qui?? Un damerino che si è perso nei quartieri bassi?! Non è cosa che capita tutti i giorni!” e continua: “Questo non è un posto per gente come te, rischi grossi guai qui.” sempre con quel sorriso stampato sul suo volto, si inchina con fare molto elegante e aggiunge: “Permettimi di presentarmi: mi chiamo Pablo e mi offro come tua guida per ritrovare ciò che hai perso!”. La sua parlantina è incredibilmente azzeccata, quasi sembra appartenere ad un uomo colto della borghesia, anche se il suo aspetto sicuramente lo smentisce.

 

Questa situazione si fa sempre più assurda, non voglio fidarmi di costui, potrebbe colpirmi e spogliarmi di ogni cosa che indosso per poi abbandonarmi sul ciglio del marciapiede a morir di freddo; però è anche vero che non ho scelta, mi sono davvero perso e devo andarmene da qui. Accetto così la sua proposta e lui mi risponde con un sorriso ancora più grande, accompagnato da un inchino ancora più devoto. Mi decido a seguirlo, speranzoso di non aver messo a repentaglio la mia vita in maniera esponenziale. Il silenzio è di tomba, dall'ansia sono costretto a guardarmi nervosamente intorno per prepararmi a qualunque agguato o aggressione. Fino a che la mia guida non mi rivolge la parola. “Puoi stare tranquillo amico, non ti verrà fatto alcun male se sei con me!”. Non so se essere ancora più spaventato dopo questa sua affermazione, ma qualcosa mi suggerisce di non contraddire lo sconosciuto, “Sei capitato in una brutta zona della città sai? Qui non troverai belle donzelle a fare compere con gli amanti, o pargoli che giocano cantando qualche filastrocca, in questo posto vengono emarginati gli scarti della società, persone a cui non è stata data una seconda possibilità, a cui è stato negato il diritto di vivere. Persone la cui vita poco importa agli altri.”. Parole dure, che colpiscono, che accentuano maggiormente la sensazione angosciante che avvolge il mio cuore. Allora mi sento in dovere di porgere un quesito al signore: “Qui sembra un inferno da quello che mi racconti e da quello che i miei occhi vedono, però mi domando: tu dove trovi la forza di portare quel sorriso sgargiante sul tuo viso?”

 

Un'espressione nostalgica e malinconica dipinge il volto dell'uomo, senza però attenuare quella che ormai sembra una paralisi delle sue labbra; mi rispose: “Sai io ero come te, ero un borghese benestante, fino a che la mia famiglia non perse tutto. All'inizio fu difficile: sopravvivere al freddo, alla fame, ai cani randagi... Molti anni sono trascorsi da allora, è questione di abitudine. Venire a contatto con una realtà così grama, così deprimente ti porta a riflettere su tutto ciò che riguarda la vita, il denaro, la fede, l'amore. Ti senti schiavo di desideri che non puoi realizzare fino a detestare tutte le cose belle, tutto ciò che in questa realtà non ti puoi permettere.”. Assolutamente intrigato dai discorsi dell'uomo, quasi non mi accorgo dell'interruzione; mi scuso e lo prego di continuare. Con una sonora risata mi schernisce dicendo: “Credevo ti fossi addormentato camminando!”

 

Alzo lo sguardo al cielo intanto: sembra quasi schiarirsi come ad annunciare di trovarci nelle vicinanze di un posto più salutare. Nel mentre mi accorgo di un fatto curioso: Pablo, che mi precede di una qualche decina di centimetri, sulla mia sinistra, non emana alcun odore sgradevole o puzzo rispetto agli altri individui dei vicoli. Immagino che il mio olfatto sia parecchio inibito a causa dei gas di scarico industriali e del forte odore di escrementi che aleggia tra gli edifici. Il raffinato barbone riprende così il suo discorso: “Col tempo capii che la povertà è ben altra cosa rispetto a quello che si crede.”. Muove il braccio ad indicare un paio di clochard adagiati su un muro, l'uno contro l'altro per impedire la dispersione del calore corporeo, in uno stato di sonnolenza che è paragonabile ad un eterno riposo; “Prendi per esempio quei due uomini laggiù: loro secondo la tua società non sono nulla, solo fantasmi che abitano un quartiere malfamato di una città industriale, anime perse che vagano nel nulla dimenticate dal mondo. Secondo voi cittadini loro rappresentano la povertà. Mi sbaglio?”. Ora volge il suo sguardo a me, si aspetta una risposta che io non so dare, per quanto scontata essa sia. Il suo sorriso, prima sgargiante, è ora ridotto ad una leggera curva delle sue labbra socchiuse, il quale non perde però la sua natura enigmatica. “Tranquillo, non sei obbligato a rispondere.” mi rassicura con tono pacato, “Comunque siamo quasi fuori dalla periferia, tra poco arriveremo in città.”, aggiunge accennando un riso.

 

Dopo qualche minuto in silenzio a riflettere, sono ancora desideroso di comprendere: “Ritornando al discorso di prima, cosa intendevi dire?”. Come ricordandosi di un fatto dimenticato da tempo, alza la testa di scatto e ricomincia a parlare: “Oh, hai ragione, mi ero distratto cercando di ricordarmi la via.” mi risponde in tono svampito; “Vedi, durante le mie giornate da vagabondo ho avuto modo di riflettere parecchio sulla mia condizione, ed ho capito una cosa fondamentale: la mancanza di danaro non descrive affatto la povertà di un uomo.”. Sono perplesso, continuo a non capire cosa vogliano significare le sue parole. “Ah, forse tu hai frainteso; io non parlo dei soldi, dei gioielli e delle pellicce, non mi riferisco allo sfarzo di una villa o di una collezione di opere d'arte. Parlo della ricchezza dell'animo.” Le sue parole mi scuotono e mi fanno sentire frustrato, quasi in colpa. “Ci sono cose che il denaro non può comprare, né sostituire. Cose che vanno ottenute col sacrificio, con l'umiltà e la solidarietà, non con l'egoismo e l'avarizia. Voi più avete più desiderate avere, dimenticando la gioia racchiusa nei piccoli gesti e nelle piccole cose che rendono felici le persone, per quanto banali possano essere; vi rendete schiavi delle vostre stesse convenzioni sociali solo per apparire migliori, ma non per esserlo.”

 

Rimango immobile alle sue parole, un fiume di pensieri mi inonda la mente come una corrente impetuosa che spazza via ogni appoggio su cui i piedi si reggono. Sento di aver sprecato tutta la mia vita ad accumulare ricchezze di cui non mi importa più nulla, di aver bruciato la mia libertà di pensare ed agire come volevo per non creare sgomento negli altri. La mia vita è basata sui pareri di altre persone che ora mi sembrano tutte sconosciute, vipere dei ranghi sociali pronte a mordere ed avvelenare qualunque preda abbassi la guardia nelle loro vicinanze. Scoppio a piangere a causa dello stravolgimento interiore e le mie gambe non reggono, così mi inginocchio a terra lasciandomi andare ad un pianto disperato. Pablo, immediatamente accorre in mio aiuto appoggiando una mano sulla mia spalla e dicendo: “Bravo amico mio, sfogati, espelli tutto l'odio e le falsità che hanno spacciato per bellezza e nobiltà, lascia perdere tutto quello in cui hai sempre creduto ed inizia a vivere, da persona vera, non da marionetta.”.

 

Alzo lo sguardo e con gli occhi gonfi di lacrime, fisso il suo volto, e quel suo sorriso sempre presente: il sorriso della speranza e della libertà. Un uomo umile e nobile d'animo, spogliato di qualunque avere, ma con una ricchezza che solo in pochi possono vantare e capace di donarla a chi ne ha più bisogno. Mi tende la sua mano, invitandomi ad alzarmi, alza il suo braccio con l'indice teso come per indicare una direzione: siamo a non molte decine di metri dalla stazione centrale. Siamo praticamente nel centro città, anche se non riconosco più quel posto come familiare, non desidero più farne parte. Mi volto per ringraziare la mia guida, ma mi accorgo che già è lontano da me; immediatamente corro dietro a lui, intenzionato a ringraziarlo in qualunque modo, anche se sono convinto che mai riuscirò a ripagare ciò che lui ha fatto per me. Con fare molto tranquillo, mi dice: “Amico mio, non voglio essere ringraziato, avevi perso la tua anima e mi sono sentito in dovere di aiutarti a ritrovarla. Ora devo andare, devo andare in un certo posto che non è lontano da qui.”. “Permettimi almeno di accompagnarti, non che mi voglia impicciare nei tuoi affari, ma qualcosa per sdebitarmi dovrò pur fare!”. Non riesco a dire altro, quest'uomo mi ha cambiato la vita e gli sarò eternamente grato. Per un attimo mi rivolge uno sguardo perplesso, ma subito mi sorride dicendo: “Ma certamente, non è affatto un problema se vuoi accompagnarmi!” concludendo con una risata che mi riempie di gioia.

 

Percorriamo così una strada lungo un canale, giriamo a destra e poi a sinistra, per tutto il tragitto parliamo del più e del meno, scambiandoci opinioni su qualunque cosa. Sento di aver trovato un amico importante ed insostituibile, non so dove sarei potuto finire se non l'avessi incontrato. Dopo qualche chilometro arriviamo davanti al cancello di un cimitero. “Da molto tempo mi ero ripromesso che sarei venuto se fossi passato di qui, volevo venire a trovare una persona a me molto cara.”; immediatamente gli suggerisco di non indugiare oltre, così varchiamo la soglia del campo santo. Tomba dopo tomba mi viene da riflettere a tutto quello che è successo in queste ore, al cambiamento drastico che ha subito la mia vita, a quanto sia orrendo il mondo in cui viviamo e a come potremmo renderlo un posto migliore se tutti collaborassimo.

 

Quasi non mi accorgo che Pablo è fermo pochi centimetri davanti a me e per poco non vado a sbattere contro di lui. Non ho il tempo di proferire parola che Pablo mi precede: “Sono felice di averti incontrato amico mio, e spero di essere riuscito ad aiutarti senza sconvolgerti troppo negativamente, ma subito, appena ti ho visto ho capito che in te vi sono la speranza ed un animo buono, capace di grandi cose.” Mi fissa con i suoi cinerei occhi concludendo: “E' giunto il momento di salutarci, non dimenticare mai ciò che è successo oggi.” Nemmeno il tempo di comprendere le sue parole, che già la sua figura è scomparsa; invano mi volto, lo cerco, ma non vedo nessun altro a parte me. Il mio sguardo ricade così sulla lapide che mi trovo davanti, una tomba spoglia, senza fiori, senza fotografia esposta, solo un epitaffio che recitava così:

 

“Inciso sulla mia lapide, il mio corpo giace, ma io continuo a vagare.”

Pablo.

 

 

  
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