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Autore: Puerto Rican Jane    09/01/2014    4 recensioni
Marzo 1967, New Jersey. Una giovane ragazza con problemi economici e familiari, in cerca di un amore per ribellarsi. Un ragazzo con un grande sogno da realizzare. Entrambi accumunati dalla voglia di scappare dalla città di perdenti in cui vivono.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 12 (I DON’T KNOW WHAT I’M GONNA FIND)
 
Bruce entrò nella stanza sbattendo la porta. Ogni fibra del suo corpo gridava, gridava un lamento di rabbia, di delusione, di vergogna. Com’era possibile? Com’era possibile che avesse dimenticato tutto? Cos’era successo? Cos’erano diventati? Non riusciva a trovare una spiegazione. O forse quella era troppo evidente e terribile per ammetterla. Avrebbe significato accettare che tutto contro il quale aveva lottato in quegli anni lo aveva sopraffatto, tutte le battaglie che aveva combattuto erano state inutili, uno spreco di tempo e di energie per un ideale che in realtà era solo un’illusione. Voleva andarsene. Un istinto adolescenziale represso da tempo nel fondo del suo cuore si stava risvegliando, e chiedeva di essere ascoltato. Chiedeva libertà, chiedeva ribellione, fuga, salvezza. Salvezza da quel mondo fatiscente, da quella fotocopia sbiadita e sbavata che la gente comunemente chiama “vita”. Non capiva dove aveva sbagliato. Doveva aver fatto un errore madornale per aver scatenato una così grande ira. Ma non riusciva a vederlo. Per dieci lunghi anni aveva impiegato le sue forze in una squallida fabbrica, il cui unico scopo era succhiargli il midollo dalla spina dorsale, solo per portare a casa un misero stipendio, solo per rendere la vita della sua famiglia un po’ più luminosa. Famiglia. Cosa significava ora quella parola? Un tempo lo sapeva, o aveva creduto di saperlo. La sua mente era in caduta libera, confusa da pensieri, sovraccarica di ricordi, ingombra di parole. Si lasciò cullare in quel dolce delirio di memoria dal passato, dal sottosuolo. Si lasciò trasportare da quelle sensazioni ormai polverose che riuscivano per un attimo a consolarlo, ma a ferirlo ancora più profondamente per tutti quelli successivi.
Ricordò quando aveva preso per la prima volta in braccio suo figlio. In quel momento aveva capito veramente cosa significava la parola “famiglia”. Ricordò di aver preso dalle braccia di Mary quel soldo di cacio, ricordò come le gambe gli tremavano, come i suoi occhi si erano fatti lucidi. Ricordò quando Joseph, con la sua manina morbida, gli aveva stretto un dito, l’indice per la precisione, se lo ricordava benissimo. Come si era sentito gioioso in quel momento! Così fortunato, così beato! I piccoli occhi innocenti del bambino lo avevano guardato con aria interrogativo, come se cercassero di capire se quello era un amico o un nemico. Bruce in tutta rispostagli schioccò un caldo bacio sulla fronte. Sì, era un amico.
Un altro pensiero, un altro ricordo si fece largo prepotentemente nella sua testa: era stato tanti anni prima. Le immagini, i dettagli, dapprima sfuocati, si fecero via via sempre più chiari e nitidi.
Ricordò quella notte di primavera di tanto tempo addietro, quando ancora era giovane, quando ancora tutto era più semplice. Aveva preso in prestito la macchina di suo padre, e aveva guidato, aveva guidato di nuovo assieme a Mary fino al fiume, il loro fiume. Ricordò il corpo di lei bagnato e abbronzato, morbido; loro distesi a terra. Ricordò che rimase sveglio tutto la notte solo per stringerla, per sentirla un po’ più vicina, e sentire ogni suo respiro. In quel momento aveva creduto seriamente di provare quel meraviglioso e terribile sentimento chiamato “amore. Ma era stato tanto tempo prima, erano così innocenti, così ingenui. Non si conoscevano ancora abbastanza, era successo tutto così in fretta. Tutto a causa di quel maledetto fiume. Quell’acqua che sembrava averli purificati, in realtà li aveva condannati. Era da tanto tempo che non ci andava più. Quei ricordi, quei lontani ricordi lo tormentavano, erano una maledizione, lo stavano logorando dentro… lo spingevano a tornare al fiume.
 
La sabbia sotto i suoi piedi scalzi. Lo scricchiolio dei sassolini. Il fruscio del vento che si alzava man mano. Gli era mancato, nonostante tutto. Nonostante rivedere quel luogo dopo così tanto gli causasse una fitta al petto e gli inaridisse la gola.
Ma il letto del fiume era vuoto, prosciugato. L’acqua non c’era. Fu come ricever una scossa. Inconsciamente aveva associato a quell’acqua il simbolo della purificazione, della salvezza; il fiume era stato l’inizio e la causa di tutto, il filo conduttore di quella sua nuova vita. Ma ora che lo vedeva arido, sentiva come il presentimento che presto, prestissimo, tutto sarebbe crollato, sarebbe finito una volta per tutte. Lo sentiva…
La testa gli girava. Si lasciò cadere di peso sulla sabbia dura per il freddo, fermo a contemplare il paesaggio senza vederlo. Dentro di lui un’ardua lotta si stava combattendo, confondendolo: speranza e desolazione, rabbia e gioia, rancore e perdono. Si sentiva impazzire. L’unica cosa reale erano le parole che prima Mary gli aveva detto. Non aveva nemmeno la forza, il coraggio di ripeterle mentalmente. Ma aveva detto quelle assurdità solo perché in preda alla rabbia… tempo, serviva tempo, il giorno dopo tutto si sarebbe sistemato. Ma in che modo? Avrebbero ripreso a comportarsi come degli estranei? Avrebbero ripreso a litigare davanti agli occhi impauriti del piccolo Joseph? Joseph… chissà cosa pensava della sua mamma e del suo papà con quella testolina di bambino. Aveva sempre desiderato essere per suo figlio un eroe, un esempio, un modello. Aveva sempre desiderato portarlo a pescare, a fare delle gite in montagna. Ma non c’era mai stato abbastanza denaro. Tutto era riservato ai beni di prima necessità. Maledetto denaro. Maledetto Paese. Nonostante tutto anche lui, dentro di sé,  ammetteva che alcune delle parole di Mary erano vere: era stanco di fare una vita di privazioni, una vita povera. Non per lui, ci era abituato, ma per la sua famiglia. Avrebbe voluto che fossero fieri di lui, che apprezzassero il suo lavoro, per quanto misero, che apprezzassero i suoi sforzi.
Ma non era sempre stato così, una volta era tutto diverso. Una volta si amavano, lui lo credeva; benché non avessero una vita sfarzosa, anzi, erano felici, felici solo per il fatto di essere assieme, di aiutarsi l’un l’altro, assieme erano più forti. Ecco, così doveva essere. Così doveva tornare. No, non era ancora tutto finito. Poteva ancora farcela. Dentro al suo cuore si era risvegliato un sentimento di fiducia nel futuro grazie al passato. Aveva conquistato Mary una volta, poteva farcela un?altra volta. Aveva speranze, grandi speranze. Avrebbe ricominciato a lavorare ancora più sodo, avrebbe ricevuto una promozione, avrebbe regalato a sua moglie un vestito nuovo, a suo figlio una chitarra. E che importava se quello stupido fiume era secco, tanto peggio per lui! La sua mente era ubriaca di pensieri; troppe, troppe cose la sua testa aveva elaborato in quelle poche ore, era stordito.
Si alzò barcollante sulle gambe, ma ancora indeciso sulla sua prossima azione. Il vento si fece sempre più forte, ululava, gridava… piangeva. Sembrava un flebile lamento, una preghiera.
-Mary!
Era lei, ne era sicuro. Non poteva che essere lei. Lo stava chiamando. Era un lamento che sapeva di rimorso, di perdono. Era un segno, doveva tornare a casa, tornare da lei e dalla sua famiglia. Bruce si chiuse in velocità la giacca, e cominciò a correre, a correre. Quelle gambe lo avevano portato ovunque, avrebbero percorso anche quell’ultimo tratto. Infischiandosene della sua cara automobile, Bruce corse attraverso i boschi, le strade. Era come impazzito, non dava più retta alla ragione. L’aria si schiantava violenta sul suo viso, sferzava sulla sua pelle. Il vento freddo lo faceva respirare a fatica, aveva il fiatone, ansimava. Sentiva il suo cuore dentro di lui battere freneticamente, per lo sforzo e l’emozione, l’emozione per la promessa di una nuova vita , di una nuova felicità. Il petto stava per esplodere. Sentiva le gambe che gli facevano male, diventavano sempre più rigide. Ma doveva fare un ultimo sforzo, la sua casa era così vicino, un ultimo sforzo…
Ed eccola, là, nella radura, dietro l’autostrada. La sua casetta, la sua dolce casetta. Quella corsa aveva eccitato il suo animo a dismisura, lo aveva reso quasi folle. Si fermò finalmente ad ammirarla. La luna quasi piena ne delineava il profilo, la rendeva surreale, magica. Guardando quella piccola dimora che un tempo aveva quasi detestato, ora si sentiva fiero. Tutti i suoi sforzi avevano portato a qualcosa. Ogni uomo, dall’alba dei tempi, aveva sempre desiderato avere un tetto sopra la testa e un fuoco con sui scaldarsi. Si sentiva fortunato.
Ricominciò a correre. Attraversò il giardino e alzò lo sguardo: la luce della sua camera, della loro camera, era accesa. Quasi sfondò la porta, oltrepassò l’ingresso senza nemmeno guardarsi attorno. Percorse fuori di sé le scale, inciampando un paio di volte nei gradini che faceva a tre a tre. La testa gli pulsava dolorosamente, ma doveva accantonare il male e mantenere quella poca lucidità che gli era rimasta. Aveva gli occhi spalancati, pazzi, i capelli scompigliati, le mani tremanti. Vide finalmente la porta socchiusa della loro stanza dalla quale proveniva la luce. Per la foga di raggiungerla cadde un’altra volta, ma subito si rialzò.
 
Eeeeeh… sono tornata! Pensavate di esservi liberate di me! Ebbene no, sono di nuovo qui a tormentarvi con i miei scarabocchi. Non so come farmi perdonare per questa lunghissima assenza, non ci sono scuse. MA ho imparato la lezione e mi sono presa “per tempo”, infatti il prossimo (ed ultimo) capitolo è già pronto, devo solo batterlo a computer.
Ma veniamo a questo pastrocchio: ditelo pure, è un capitolo senza capo né coda, piuttosto inutile. Sembra il delirio di un pazzo (e in effetti è così che doveva sembrare). E’ pieno di emozioni contrastanti, di contraddizioni, perché io Bruce ora lo vedo sconvolto, ha visto davanti a sé cadere tutto ciò che aveva di più caro, ma non si rassegna ancora del tutto, nonostante la mente cerchi di farlo ragionare, ha ancora speranza… sarà anche questa volta disattesa? Tutto questo nel prossimo episodio!
A parte gli scherzi, volevo ringraziare tutte voi di cuore, voi che leggete i miei capitoli deliranti e li recensite, siete la mia salvezza, “my reason to believe”. Grazie, grazie di cuore.

PRJ
  
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