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Autore: Marti Lestrange    09/01/2014    4 recensioni
[STORIA SOSPESA]
Emma/Hook; long; New York!AU; what if?
Dal capitolo 6:
{– A proposito… Anche io so essere divertente, anche se non si direbbe. Se ti serve qualcuno con cui non essere seria, fammi un fischio.
Le fece l’occhiolino ed Emma sentì le guance prendere inaspettatamente colore. Cosa andava a pensare? Le aveva soltanto proposto di vedersi, qualche volta. Giusto? Non c’era assolutamente niente di allusivo. Proprio no.
- Oh, be’, sicuro – bofonchiò lei guardandosi le scarpe.
- Ci si vede in giro, Swan.}
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Haunted
CAPITOLO 6
 
 
 
 
*Greenwich Village, New York – Aprile 2013
- …e adesso per noi, il nostro esperto in collegamento da Chicago per gli aggiornamenti sul meteo dei prossimi giorni. Altra pioggia in arrivo sull’East Coast, Mark?
L’uomo chiamato Mark rise, gracchiando nella radio.
- Pioggia e sole, Isabelle. Buongiorno a tutti, America!
Emma spinse con forza sul tasto “off” e Mark e Isabelle si persero così nel vasto mondo delle trasmissioni radiofoniche. Fermò il maggiolino giallo poco distante dall’ingresso illuminato del Granny’s e scese dall’abitacolo. Aveva il giorno libero e quando non doveva lavorare le piaceva tirare fuori la sua vecchia automobile dal garage e farla correre per le arterie cittadine. Come al solito, la sua fedele compagna di avventure attirò gli sguardi incuriositi e ammirati di alcuni passanti, molto probabilmente collezionisti, amanti di auto d’epoca o semplicemente interessati osservatori. Percorse i pochi metri che la separavano dalla tavola calda con la testa immersa nella borsa comprata con i saldi da Macy’s l’inverno scorso – era stata una vera occasione -, alla disperata ricerca del telefono. Lo sentiva squillare, ma quel dannato aggeggio non voleva proprio farsi trovare.
L’urto con un altro corpo umano avvenne in una frazione di secondo. Emma alzò gli occhi giusto in tempo per incrociare quegli incredibilmente azzurri dell’altra persona di fronte a lei, ma ormai l’impatto era inevitabile. La borsa le cadde a terra e una parte del suo contenuto si sparse sul selciato umido. Emma ringraziò il cielo di aver tempestivamente posato un paio di assorbenti sulla lavatrice, quella mattina, altrimenti sarebbero di sicuro volati in aria e atterrati ai piedi dell’ultima persona che la donna si sarebbe aspettata di incontrare. Di nuovo.
- Jones! – esclamò stupefatta, precipitandosi a raccogliere la sua roba.
- Oh, Swan, mi dispiace – rispose lui aiutandola e passandole la sua piccola agenda nera rilegata. Emma l’accettò senza nemmeno guardarlo in faccia. Il suo cognome era suonato particolarmente bene, pronunciato dalle sue labbra. E non voleva che lui le leggesse in faccia lo stupore per quell’incontro e il piacere che le aveva provocato. Quell’uomo faceva nascere in lei emozioni dannatamente contrastanti.
- Non guardavo dove stavo andando – disse lei rialzandosi e stropicciando la borsa, per poi decidersi a guardare Jones negli occhi. Una fitta di qualcosa di non propriamente definito le artigliò lo stomaco, ma la ricacciò indietro, qualsiasi cosa fosse. Non aveva tempo per gestire anche quello, in quel momento. A dire il vero non aveva tempo per gestirlo in generale.
- Nemmeno io – aggiunse l’uomo sorridendole. Aveva un sorriso in qualche modo magnetico, sarcastico. E allusivo, aggiunse una vocina nella testa di Emma. Allusivo e sexy. Emma scosse la testa e guardò l’orologio.
- È presto, come mai in giro a quest’ora? – gli chiese.
- Potrei farti la stessa domanda, Swan – rispose. Ancora quel sorriso. Ancora quell’espressione. Sembrava la volesse spogliare con gli occhi mentre osservava il suo cappotto rosso e i suoi capelli biondi. Emma si sentiva esplorata e la sensazione stranamente le piacque. Perché Jones aveva quel potere su di lei? Cosa le stava succedendo?
- Be’, io ho un appuntamento per colazione. Da Granny’s.
- Un appuntamento? Galante? – le chiese con tono interessato e ironico.
- Con un’amica. La conosci: Lacey French, la libraia della Bruised Apple.
- Ah, sì. Lacey, certo.
- E tu, invece? – gli chiese Emma. Buttò alle ortiche ogni discrezione, visto che lui non sembrava aver adottato quella linea d’azione con lei. Anzi, le aveva rivolto domande esplicite e dirette e la donna si chiese perché lei non potesse fare lo stesso.
- Ho appena fatto colazione al Diner – le spiegò, le mani buttate nelle tasche del cappotto blu. – Mi piace alzarmi presto. Adesso probabilmente vagherò per il Village scattando fotografie.
William tirò fuori una vecchia macchina fotografica della Canon da una delle ampie tasche del cappotto, sventolandola sotto gli occhi interessati di Emma.
- Giusto, sei un fotografo – disse lei, ricordando i tempi in cui aveva interrogato Jones in Ericsson Place e lui le aveva raccontato cosa faceva per vivere. Lo aveva trovato estremamente affascinante.
- Niente lavoro, oggi? – le chiese ancora lui. Continuava a guardarla interessato, con quello sguardo attento e profondo e ironico che lo contraddiceva.
- È il mio giorno libero. Ne approfitto per non fare assolutamente niente e ingozzarmi di pancakes.
Jones scoppiò a ridere. Emma non lo aveva ancora visto ridere, da quando lo aveva conosciuto. La sua risata lo rispecchiava e gli illuminava lo sguardo. Tornò serio e tornò a guardarla intensamente.
- Sai anche essere divertente, Swan – la provocò. Quel nome le provocò altri brividi lungo la schiena. – Incredibile.
- Già – replicò lei, all’improvviso piccata. Chi diavolo si credeva di essere, quel Jones, per prenderla in giro così? Decise di porre fine a quella strana conversazione.
- Ora, se non ti dispiace… non vorrei arrivare in ritardo al mio appuntamento – concluse Emma risoluta.
- Non ti trattengo oltre, allora – disse lui. – A proposito… Anche io so essere divertente, anche se non si direbbe. Se ti serve qualcuno con cui non essere seria, fammi un fischio.
Le fece l’occhiolino ed Emma sentì le guance prendere inaspettatamente colore. Cosa andava a pensare? Le aveva soltanto proposto di vedersi, qualche volta. Giusto? Non c’era assolutamente niente di allusivo. Proprio no.
- Oh, be’, sicuro – bofonchiò lei guardandosi le scarpe.
- Ci si vede in giro, Swan.
Jones le rivolse un altro mezzo sorriso, la guardò un’ultima volta e poi si allontanò lungo il marciapiede. Emma lo osservò andare via, il passo lento e cadenzato di chi non ha fretta.
Dannazione, gli incontri con Jones la lasciavano sempre senza fiato, imbambolata a fissare il vuoto e con il cuore che le batteva furioso nel petto. Perché le faceva quell’effetto?
 
 
* * *
 
 
- Insomma, ti ha implicitamente chiesto di uscire?
- Non lo so, Lacey. Implicitamente o no, il riferimento era chiaro.
Emma guardò l’amica, seduta all’altro capo del tavolino da Granny’s. Sorseggiò la sua cioccolata con panna e cannella e giocherellò con gli avanzi dei suoi pancakes. Ruby volteggiava tra i tavoli, leggiadra e indaffarata ma sempre perfetta.
- Io dico che ti piace – aggiunse Lacey posando la sua tazza di tè. – Insomma, è palese che lui sia interessato a te. Ed è palese che tu ti struggi per capirlo. E non ci va il genio della lampada per fare due più due, Emma Swan. Ti piace, ammettilo con te stessa e dagli una possibilità.
Emma la osservò e le scappò un mezzo sorriso, che però nascose nella tazza. Non voleva dare a Lacey la soddisfazione di aver indovinato. Su tutta la linea. Forse, il fatto che qualcuno glielo avesse sbandierato davanti agli occhi ad alta voce aveva reso il tutto più reale. Soprattutto nella sua testa. Il fatto che le piacesse un uomo – e fosse dannatamente attratta da lui – non avrebbe dovuto essere anormale. Tutto ciò che il mondo considerava naturale, Emma lo trovava in qualche modo strano, come se tutto si capovolgesse. Non si sentiva più sicura di niente, quando si trattava del suo cuore. L’aveva già tradita una volta e non voleva che succedesse di nuovo. Non poteva permettersi di sbagliare. Di sbagliarsi. Non di nuovo. Non su di lui.
Emma alzò gli occhi dalla tazza, ma la sua attenzione venne calamitata dalla televisione, appesa proprio di fronte a lei sulla parete opposta, accanto alla porta che dava sul retro del Granny’s. Sullo schermo scorrevano le immagini di Tribeca e della Bank of America, la vetrina principale sfondata e quattro o cinque volanti ammassate all’esterno, sul marciapiede affollato della Broadway.
- Arriva adesso il collegamento con la nostra inviata, in questo momento all’esterno della filiale di Tribeca della BOA. Ti sentiamo, Ginny.
- Grazie, Meg. Come vedete, quello dietro di me è ciò che rimane della facciata principale della filiale della Bank of America presa d’assalto ieri notte. La polizia è corsa sul posto e tutti gli agenti sono stati allertati. Per adesso, il capitano Hunter di Ericsson Place non ha rilasciato dichiarazioni alla stampa, ma Li Fang, il direttore, appare tutt’ora piuttosto scosso dall’accaduto.
Emma riuscì solo a fissare lo schermo, sconvolta. Un’altra rapina. Dopo tutto quel tempo. Il cellulare prese a squillare, furioso. Questa volta lo trovò quasi subito e la voce tonante di Hunter la investì dall’altro capo.
- Swan! – esclamò. – Si può sapere dov’eri finita? E rispondi a quel dannato telefono, per favore!
L’incontro con Jones le aveva fatto completamente scordare il cellulare.
- Ho appena sentito la notizia, capo – rispose lei.
- Corri subito alla centrale. Ho appena chiamato Humbert, sta arrivando anche lui. Ci vediamo là.
Così dicendo, Hunter chiuse la comunicazione senza nemmeno attendere una risposta. Addio, giorno libero.
- Devo andare, Lacey – disse all’amica, che la guardava preoccupata. – Era Hunter. Mi vuole alla centrale.
- Mi spiace, Emma – rispose l’altra sorridendole dolcemente. – Non ti preoccupare, vai pure se devi.
Emma annuì e si alzò in piedi. Sondò il locale alla ricerca di Ruby e l’avvistò sparire in cucina.
- Salutami Ruby e spiegale tutto.
- Certamente. Sta’ tranquilla.
- Ciao, Lacey.
Emma si chinò e abbracciò l’amica.
- Ciao, tesoro. E non ti arrabbiare troppo – le gridò dietro mentre Emma procedeva a passo spedito verso la porta. Mentre raggiungeva il maggiolino, agguantò nuovamente il telefono, componendo il suo numero. Prima di chiamare indugiò. Non avrebbe potuto avere una conferma da lui prima di sapere l'ora effettiva della rapina. Non poteva essere certa della sua innocenza, ma nemmeno della sua colpevolezza. Lanciò il telefono in borsa e salì in macchina.
 
 
* * *
 
 
*Greenwich Village, New York - aprile 2013
Il tintinnio dei sonagli appesi alla porta e il suo lento richiudersi destarono Lacey dalle sue riflessioni. Si trovava nel retro e stava preparandosi l’ennesima tazza di tè del pomeriggio. Erano le cinque e il profumo del Prince of Wales la richiamava invitante dalla mensola della piccola cucina che aveva allestito in libreria.
- Arrivo subito - gridò all’indirizzo del misterioso cliente, asciugandosi le mani.
- Non si preoccupi - replicò l’altro con un marcato accento inglese.
Lacey, incuriosita, raggiunse il fronte del negozio con passo sicuro, i tacchi che risuonavano sul parquet antico.
L’uomo le dava le spalle, sfogliava una vecchia copia di “Tender Is The Night” poggiata sul tavolino nell’angolo, proprio accanto alla macchina da scrivere Underwood risalente forse ai primi anni del ‘900. Indossava un lungo cappotto scuro e teneva il colletto alzato. Si voltò non appena sentì il rumore dei suoi passi. Un paio di incredibili occhi azzurri la fissarono sorpresi, mentre un sorriso vagamente misterioso ma gentile gli illuminò il volto.
- Lei deve essere miss French, la libraia - esordì, e il suo accento inglese fu ancora più evidente.
- Sì, sono io - rispose Lacey, sorpresa di ritrovarsi un così bell’uomo nella sua piccola libreria. - Lacey French, per l’esattezza.
- Mi presento - continuò lui facendo qualche passo nella sua direzione. - Jefferson Dodgson. Incantato.
Le tese la mano e, quando lei gli porse la sua, lui gliela baciò, lievemente, e le sue labbra nemmeno sfiorarono la sua pelle. Lacey continuò a guardarlo, vagamente rapita.
- Dodgson… Lei è per caso parente del signor Dodgson, un mio affezionato cliente?
- Esattamente. Sono il figlio.
- Oh, il figlio! - esclamò Lacey, stupita. In effetti, aveva gli stessi occhi del padre.
- Proprio lui. Mio padre era impossibilitato a lasciare l’Inghilterra per problemi di salute e ha mandato me a sbrigare alcune commissioni lasciate irrisolte nel Nuovo Mondo.
- Mi spiace stia male - replicò Lacey dispiaciuta. - Spero non sia nulla di grave o irrisolvibile…
- Non si preoccupi. Non può alzarsi dal letto, ma le sue condizioni vanno verso un netto miglioramento. Grazie dell’interesse.
- Che maleducata, non le ho nemmeno chiesto di sedersi! - esclamò lei dandosi una sonora pacca sulla fronte. - Il tè dovrebbe essere pronto. Ne gradisce una tazza?
- È sempre l’ora del tè, dico bene?
Lacey gli sorrise. - “Alice’s Adventures In Wonderland”. Adoro quel libro.
- Io non particolarmente, ma capisco che possa suscitare un vago interesse, ecco.
Si sorrisero ancora per qualche secondo, forse più del dovuto, e poi Lacey sparì nel retro, da dove riemerse con un vassoio, due tazze e qualche biscotto. Era una strana persona, quel Dodgson, che forniva risposte altrettanto strane, ma decise di riservagli il beneficio del dubbio.
- Gradisce latte o limone, nel tè? - gli chiese poggiando il vassoio sul tavolino.
- Latte, assolutamente. Non capisco chi alteri il gusto del tè con il limone - rispose lui.
Lacey sorrise tra sé e sé. Aveva lasciato il limone in frigorifero.
Si sedettero sulle due poltroncine preferite di Lacey e sorseggiarono il tè in silenzio per qualche minuto.
- Allora - cominciò l’uomo, che intanto si era tolto il cappotto. Sotto indossava un completo giacca e pantalone grigio scuro, una camicia blu scuro e una stramba cravatta a pois blu e grigi. - Cosa l’ha portata ad aprire questo piccolo negozio qui a New York? So che suona impertinente, ma sono fatto così. Inoltre, mi sembra piuttosto giovane.
- Non così giovane - replicò Lacey poggiando la sua tazza sul piattino e sorridendo. - In ogni caso, mi piacciono le domande impertinenti. Ho sempre amato i libri, fin da bambina. Ho studiato in Francia e poi sono tornata a casa, qui a New York. Aprire una libreria mi è sembrata la strada giusta, forse l’unica possibile per me. Non c’è una spiegazione logica o sensata.
- Capisco. È stato un atto coraggioso, comunque. Nessuno oggigiorno rischia qualcosa per cose come i libri e la cultura.
- Già - concordò Lacey tristemente. - Invece lei? Ha fatto tutta questa strada solo per ritirare un libro?
- Certo che no. Il libro è soltanto uno dei motivi del mio viaggio. Mio padre ha insistito per scusarsi per il ritardo con il quale passiamo a ritirare la copia che le aveva ordinato. Ovviamente, non è stato possibile venire prima.
- Non è un problema - rispose Lacey. - Davvero. Capisco benissimo le circostanze.
- Mi tratterrò a New York per qualche tempo, in ogni caso - concluse Jefferson alzandosi e spazzolando via dal vestito briciole che non c’erano. Era strano: alternava momenti di allegria a momenti di cupezza, durante i quali sembrava ricordare all’improvviso tristi episodi della sua vita, che gli risucchiavano via ogni gioia. Quegli occhi così azzurri nascondevano segreti e oceani di misteri. Lacey si sarebbe ritrovata ovviamente ad immaginare mille scenari possibili e diversi, che partivano dallo spionaggio da parte della corona inglese a misteriose eredità e omicidi famigliari.
- Vado a prendere la copia de “The Hunting Of The Snark”, allora - si affrettò ad aggiungere lei.
Consegnò a Jefferson la copia del romanzo di Carroll e lui l’osservò soltanto per pochi istanti, prima di farla sparire in una delle profonde tasche del suo cappotto.
Le sorrise e i suoi occhi tornarono a illuminarsi. - Grazie mille per il tè, miss French. È stato un piacere conoscerla. Adesso capisco perché mio padre faccia tutta questa strada per comprare i libri qui da lei…
Lacey si sentì arrossire e cercò di non darlo a vedere a Jefferson scuotendo la testa e fissandosi le scarpe.
- Suo padre è sempre gentile. Il minimo che possa fare è esserlo anche io, soprattutto trovando tutti i suoi ordini.
- Sono sicuro che sia così. Quanto le devo per il libro?
- Dica a suo padre che è un regalo da parte mia, per una sua pronta e sicura guarigione.
- Regalare un libro ha un potere straordinario, lo sa, Miss French? È un po’ come svelare una parte di sé.
Lacey lo fissò per qualche istante, incantata. Le sue parole avevano il potere di incatenarla e allo stesso tempo spaventarla. Non era sicura che le piacesse davvero, eppure si sentiva attratta, attirata come un’ape da un fiore. Non aveva mai incontrato nessuno che le facesse un simile effetto. Nessuno che le fosse piaciuto in quel modo, così inaspettato e strano. All’improvviso si sentì spaesata, quasi spaventata all’idea di non rivederlo, forse mai più, anche se era affrettato, anche se non lo conosceva affatto e forse quello che sentiva era tutto tranne che ponderato e ben pensato. Eppure non riusciva a tenere a freno il cuore.
Jefferson Dodgson si avviò lentamente verso la porta ma, poco prima di aprirla, si girò nuovamente verso Lacey, che non aveva accennato a staccargli gli occhi di dosso.
- Quell’Underwood - e lanciò un’occhiata alla macchina da scrivere. - Da quanto tempo è rotta?
Lacey osservò la sua fedele amica solitaria sul suo tavolino. Scrollò le spalle.
- Da sempre, che io sappia. L’ho comprata ad un vecchio mercatino a Londra, due anni fa.
- Se vuole, posso provare a farla ripartire.
Lacey lo guardò stupita. - Sarebbe in grado di farlo?
- Aggiusto cose - replicò soltanto Jefferson. - Passerò uno di questi giorni a darle un’occhiata più attenta. Siamo d’accordo?
Lacey annuì. - Siamo d’accordo.
Jefferson le restituì il sorriso e sparì, lasciando dietro di sé una scia di mistero ed eroico e oscuro romanticismo.
 
 
* * *
 
 
*Tribeca, New York - aprile 2013

 - È appena arrivato il rapporto, capo - disse Matt avvicinandosi e sventolando un plico di fogli freschi di stampa.
- Sono compresi i dettagli sull’orario e le riprese delle telecamere di sorveglianza esterne? - chiese Miles Hunter, appoggiato ad una delle scrivanie della centrale, le maniche della camicia arrotolate e l’ennesima tazza di caffé ormai vuota poggiata sul piano in legno. Emma e Graham stavano in piedi di fronte a lui, attenti.
- C’è l’orario, ma le riprese arriveranno probabilmente domani mattina - rispose Matt porgendo i fogli ad Hunter. - Ci vorrà un po’.
Hunter storse la bocca ma non disse nient’altro, concentrandosi sul rapporto.
Emma attendeva quel dannato orario da ore, da quando quella mattina era arrivata in Ericsson Place. Avevano dovuto attendere, perché alcune testimonianze sull’accaduto erano risultate discordanti. Secondo un taxista passato da lì all’una di notte, tutto era tranquillo. Un altro testimone, invece, aveva udito dei forti rumori intorno alla mezzanotte e trenta. Il rapporto avrebbe chiarito tutto.
- Quel taxista era probabilmente reduce da una brutta giornata, per non aver visto i danni provocati alla banca - disse finalmente Hunter chiudendo il fascicolo e buttandolo sulla scrivania accanto a lui. - Il secondo testimone aveva ragione: la rapina è avvenuta tra la mezzanotte e trenta e l’una. All’una, i ladri hanno levato le tende e se la sono data a gambe. Lavorano bene: sono riusciti ad intercettare e filtrare il dispositivo di allarme, probabilmente con un ackeraggio davvero ben riuscito.
Mezzanotte e trenta, pensò Emma.
- Pensa che dietro ci possa essere la stessa banda dell’ultima volta, capo? - chiese Bryce, che poi lanciò un’occhiata tesa ad Emma. - Senza offesa, Emma, ma i dubbi in questo caso sono legittimi. Il tuo fidanzato è da poco stato rilasciato e un’altra banca viene rapinata.
- Neal non è più il mio fidanzato - disse solo lei, le braccia conserte, seria.
Bryce distolse lo sguardo puntandolo poi su Hunter, che intanto soppesava la cosa.
- Non lo so, agente Bryce - rispose, diplomatico. - In ogni caso, il modus operandi mi sembra leggermente variato dall’ultima volta, ma la banda potrebbe benissimo aver assunto qualche esperto del settore. Sarà comunque meglio sentire il signor Cassidy per ricevere un chiarimento sulla sua posizione all’ora della rapina.
- Non sarà necessario - disse Emma facendo un passo avanti. Sentì gli occhi di Graham puntati addosso. Sentì gli occhi di tutti puntati addosso. Fece un sospiro.
- Swan? - la interrogò Hunter, curioso.
- Non sarà necessario convocare Neal Cassidy. Non è stato lui a rapinare quella banca.
- E come fai ad esserne certa?
- Lo so perché al momento della rapina era con me. Neal era con me.
 
 
 
 
 NOTE
 
  • Ovviamente, la Bank of America esiste davvero, così come esiste una sua filiale sulla Broadway, all’angolo con Warren Street.
  • Li Fang è il presidente della filiale della BOA e padre di un personaggio che molto presto conosceremo… vediamo se indovinate a chi alludo…
  • “Tender Is The Night” è il titolo originale de “Tenera è la notte”, romanzo del mio amato Francis Scott Fitzgerald, al quale molto spesso faccio omaggio qua e là nelle mie storie.
  • La Underwood è davvero una nota marca produttrice di macchine da scrivere.
  • Jefferson è proprio il nostro Jefferson, ed è figlio del misterioso signor Dodgson, che aveva fatto la sua comparsa nel capitolo 4, ricordate?
  • “È sempre l’ora del tè”: citazione da “Alice nel Paese delle Meraviglie”.
 
 
 
Beh, chi non muore si rivede, non si dice così?
A parte di scherzi... mi scuso con tutti voi lettori adorabili per questo ritardone nelle pubblicazioni, è che lavorare in un negozio in un centro commerciale vuol dire passare i giorni antecedenti al Natale senza uno straccio di tempo libero utile e quindi senza tempo per scrivere. Ora il boom è passato - compresi i primi giorni di saldi XD - e riesco a tornare attiva, infatti eccovi qui un nuovo capitolo della mia long.
Nello scorso capitolo avete tutti sentito la mancanza del nostro Killian, che qui torna in scena, affascinante più che mai, e manda Emma nel pallone. Ovviamente. Aspettate di leggere il prossimo capitolo... :3
Che ne dite di Jefferson? Ho sempre sognato di riuscire ad inserirlo in una long e devo dire che sono riuscita a trovare il ruolo adatto a lui. Se vi ricordate del signor Dodgson - che appare appunto nel capitolo quattro - magari vi ricorderete che Dodgson è il vero nome di Lewis Carroll. Che coincidenza, eh? Ovviamente, vi permetto di shipparlo senza ritegno con la nostra Lacey. Non sarebbero bellissimi? A tal proposito, ringrazio infinitamente la mitica Giulia/Yoan per avermi fatto amare alla follia la MadBeauty <3
Infine, per quanto riguarda il finale a sorpresa, ricordate che niente è come sembra... per cui non disperate ;-)
 
 
Alla prossima!
Marti
 
ps colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che leggono e seguono Haunted. I followers sono saliti a 36 *^* da non crederci! Vi adoro <3
   
 
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