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Autore: Keros_    09/01/2014    1 recensioni
[Famous!Au] [Singer!Sebastian + Assistant!Blaine]
Sebastian è uno dei cantanti più in voga del momento, bello, ricco e talentuoso. Il suo personaggio è un po' eccentrico e spesso finisce per andare fuori dai suoi compiti, combinando disastri quasi impossibili da sistemare. All'ennesimo grattacapo che riceve, James Cristin, il manager del ragazzo, decide di tenerlo sott'occhio affibbiandogli un "baby-sitter", un ragazzo con cui dovrà passare la maggior parte del tempo. Questo ruolo finisce nelle mani di Blaine, il ragazzo che vive con James e sua figlia Elizabeth; nonostante i due Cristin non siano molto felici della scelta.
Stare a stretto contatto l'uno con l'altro per i due ragazzi non si rivela affatto facile e come si erano aspettati; questo perché sono simili e differenti allo stesso tempo. Entrambi con un passato difficile che li tormenta ancora.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Cooper Anderson, Sebastian Smythe, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo due




“..Sebastian?”

Il ragazzo brontolò, con ancora la faccia immersa nel cuscino; con la mano cercò a tentoni il lenzuolo per potersi coprire alla meno peggio da James. Non ricordava d’aver messo le mutande o meno, oppure i pantaloncini con anche la canottiera, non doveva farsi vedere assolutamente in quel modo indecoroso da lui.

“Sebastian, non te lo ripeterò terza volta, hai capito quello che ti ho detto o no?”

In risposta alzò il pollice.

“Gradirei che mi guardassi quando ti parlo.”

A quel punto il ragazzo dovette cedere. Alzò la testa, si portò una mano a sfregarsi gli occhi e i capelli, sbadigliò e dopo aver cercato di darsi un certo contegno, rotolò sul materasso per poterlo vedere a qualche metro davanti al suo letto. “Ho capito: andrai a parlare con Santana e il suo agente. Non è così difficile.”

James annuì, le mani dentro le tasche e le gambe leggermente divaricate. Era affascinante, di una bellezza mozzafiato con quei capelli tendenti al rosso e gli occhi chiari, che lo guardavano con durezza e affetto allo stesso tempo. “M’interessa che tu comprenda la motivazione per cui tu rimani qui.”

Sebastian sbuffò, sentendo la rabbia crescere lentamente dentro di sé. Odiava essere punito in quel modo, comprendendo lui stesso i suoi errori. Non poteva semplicemente urlargli di tutto, come aveva fatto il giorno precedente, e chiuderla lì? Non sopportava quando lo trattava in quel modo, disonorandolo con sé stesso per ciò che faceva. Deglutì e guardandolo con disprezzo disse: “Perché rovinerei tutto.”

“Ed è lo stesso motivo per cui...?”

“Devo farmi trovare già vestito da Blaine e devo ascoltarlo, niente grane. Non sono un bambino, non ho bisogno di un baby-sitter.”

“Hai dato tutt’altra impressione,” tagliò corto James, guardando l’orologio da polso; annuì tra sé e sé. “Vestiti adesso.”

Sebastian non si mosse, non gliel’avrebbe data vinta, assolutamente. Se ne sarebbe pentito d’averlo trattato così.
“So badare a me stesso; non ho bisogno di te. Non ho bisogno di nessuno. Ho ventidue anni, posso decidere da solo della mia vita.  Tu e tua figlia non siete niente per me, dovreste smetterla di prendervi-“

“Non risponderò nemmeno ad alcune cose che hai detto, non ce n’è bisogno. Sei abbastanza grande, come dici tu, da poter capire da solo che volevi autoconvincerti di queste sciocchezze,” James si avvicinò al suo letto, gettò accanto a lui un pacchetto di sigarette e una bustina trasparente con all’interno degli spinelli. “Credi che non sappia che stanotte sei sceso in cucina e hai fatto piazza pulita di metà dispensa? Ricordati che sono nato prima di te.”

Sebastian rimase incredulo nel vedere quegli oggetti, era convinto d’averli nascosti bene. Mentre James si voltava per andare via, dentro di lui iniziava a sentire un peso alla bocca dello stomaco e disgusto per sé stesso. Non doveva trovarle. Per camuffare il suo stupore e quello che provava, fece una risata allegra che fece fermare l’altro uomo.

“Tutto qui? Vorresti prendermi in giro? Tutto per quattro sigarette? Questo non è niente rispetto a ciò che ho già preso in passato, le droghe pesanti; ti preoccupi per questo, sul serio? Stai scherzando, mi sembra più che ovvio.”

James si girò a guardarlo, impassibile, senza espressione; del suo solito sorriso rassicurante, gentile, che metteva sempre chiunque a proprio agio, non ce n’era traccia.  In realtà era un po’ che non lo rivolgeva più a lui.

“..Se non riuscissi più a reggere tutto il peso di questa fama e avessi bisogno di aiuto? non sono i manager a dare queste sostanze ai propri artisti?”

“Io non sono i manager, io sono il tuo manager, James Cristin e questo è il mio modo di lavorare,” sbottò ad un certo punto, cosa che sorprese il ragazzo. “Per quanto riguarda gli spinelli, ti sei già risposto da solo: hai assunto anche di peggio, non voglio una ricaduta; se li trovassi in casa di Nick o Emily, non mi preoccuperei neanche, al massimo gli direi che stanno compiendo un errore.” Gli puntò il dito contro, “L’unica cosa che non riesci a reggere è la tua idiozia.”

Detto questo, l’uomo girò su sé stesso e andò via, lasciando Sebastian lì, senza dargli nessuna possibilità di poter rispondere a sua volta.

Il ragazzo lo odiò con tutto il suo cuore per quello; ma soprattutto, perché gli aveva aperto gli occhi, di nuovo, e riportato alla verità dei fatti. Diede un pugno sul materasso, per poi gettarsi sulla schiena su di esso. Non sopportava quella situazione, non sopportava restare solo in quel momento, con soltanto il suo buon senso che aveva tanto la voce del suo manager, che gli diceva che stava sbagliando, che era uno stupido.

Sembri tanto una checca con il mestruo, pensò, cercando di riprendere il controllo dei suoi pensieri, che non facevano altro che riportarlo in dietro di qualche anno. Lui nel camerino da solo, sommerso dai regali dei fans; lui che camminava in giro per Parigi con le mani dentro al giubbotto e le lacrime a rigargli il viso; la stanza sommersa di scatoloni a casa sua; labbra carnose, occhi verdi come i suoi, sorriso gentile, capelli arruffati, naso all’insù.

Sebastian si portò una mano al fianco, proprio sopra al tatuaggio, per accarezzarlo e giocare con la pelle, intrappolandola tra il pollice e l’indice, lasciarla andare e ripetere il tutto di nuovo; gli occhi chiusi e il respiro profondo, perso nei pensieri.

“Smythe?”

Sussultò appena sentendo Blaine chiamare il suo cognome e in un attimo si mise a sedere, voltandosi a guardarlo. Come tutte le volte che posava gli occhi su di lui, rimase sorpreso per la sua bellezza. I riccioli scuri, quel accenno di sorriso che il ragazzo tentava di trattenere, gli occhi verdi luminosi come lucciole in una notte d’estate, la pelle ambrata, i lineamenti mascolini e dolci.

Doveva smettere di essere così patetico, i suoi pensieri erano uguali a quelli di una tredicenne.

“Zucchero.”disse in tono spavaldo, a mo’ di saluto. Lo guardò arrossire a quel nomignolo e abbassare lo sguardo a terra. Si ricordò in quel momento d’essere ancora in canottiera e pantaloncini, d’avere un corpo niente male e che Blaine aveva una grande cotta per lui dai tempi dei tempi. Nello stesso istante si ricordò di non aver fatto come James gli aveva chiesto e fece un piccolo sbuffo infastidito, sentendosi per l’ennesima volta in conflitto per sé stesso: da una parte non gliele poteva fregare di meno, dall’altra aveva questa sorta di peso nel petto; per questo cercava di non avere mai un’alta considerazione di qualcuno, finiva per farsi scrupoli.

“Pascal ha detto che ha appena sfornato le brioche e di mangiarle ancora calde.” Disse Blaine, evitando ancora in tutti i modi di guardarlo.

Ecco, forse era quello che lo irritava. Sebastian non si sapeva decidere se odiasse di più il suo "Io non sono gay" o ciò che continuava a suscitargli dentro la sua vista. Non riusciva a sopportare il modo in cui si ritraeva e diventava fragile nel parlare della sua omosessualità; c’era passato anche lui e non era stato facile, ma perché continuava a fingere di essere una persona che non era?

“Sai di che ho fame?” domandò retorico, ghignando malizioso. Blaine, molto probabilmente, non notò né il tono né il sorriso, perché di colpo si sforzò di dargli attenzioni e nei suoi occhi c’era interesse; ma non a quello che aveva da dire, era qualcosa che andava oltre, alla sua persona. Parlò senza riflettere veramente. “Ho fame di te. Saresti un bocconcino perfetto, con il tuo corpo piccolo e compatto sotto al mio. Ho fame del tuo cazzo e ho voglia d’ingoiare i tuoi gemiti e sospiri direttamente dalle tue labbra. Oppure di sentirli soffocare dal-“

“Basta!” urlò Blaine, dando un pugno alla parete di legno che divideva la zona letto dal resto della stanza. Sebastian fu talmente sorpreso da quello scatto di ira che si bloccò di colpo e lo guardò paralizzato, a bocca aperta, come ad attendere il resto del rimprovero da parte del ragazzo, che però non arrivò.

Blaine infatti si voltò dandogli le spalle e Sebastian notò subito come la sua schiena fosse rigida e le sue mani tremassero. Solitamente in questi casi se ne fregava e continuava il discorso, ma questa volta qualcosa glielo impediva e non era solo la voce di James nella sua testa che gli chiedeva di comportarsi bene con lui. “Potresti-“

“Mettiamo bene le cose in chiaro, Sebastian,” lo interruppe di nuovo il moro, tornando a guardarlo. Gli puntò il dito contro, i suoi occhi adesso fiammeggiavano di rancore e gli zigomi non erano più rossi per la timidezza. “Non sono più disposto a tollerare un comportamento simile! Lavoro per te ma questo non significa che mi lascerò dire tutto ciò che ti passa per la testa. Vuoi davvero iniziare questa guerra?”

“Guerra,” ripeté lui con sufficienza, per poi far scioccare la lingua contro il palato. Scoppiò a ridere involontariamente; un po’ perché Blaine aveva utilizzato un parolone, un po’ perché non si ricordava minimamente a cosa si stesse riferendo o forse anche perché sapeva di poter vincerla ugualmente.

“Io sono venuto qui con le migliori intenzioni ieri e anche oggi, perché c’ho riflettuto, ti da fastidio essere controllato; ma io non ti ho fatto niente, non devi prendertela con me. Io volevo solo fare il mio lavoro ed esserti amico.”

“Volevi?”

“Si.. Al passato,” rispose Blaine abbassando per un attimo lo sguardo, prima di tornare a guardarlo negli occhi, investendolo con tutte le emozioni che Sebastian ci trovò dentro. “James ed Elizabeth mi avevano sempre detto che non saremmo potuti essere amici, io non volevo crederci; ma tra ieri e oggi ho avuto la mia conferma. Ormai non m’importa nemmeno più. Ti chiedo- e m’impongo - di rispettarmi come assistente di James, tuo baby-sitter, decidi tu, e come persona.”

La stella del pop si ritrovò completamente spiazzato. Trovava difficile riuscire a credere alle sue orecchie. Da una parte doveva sentirsi sollevato, perché in poche parole aveva fatto ciò che Elizabeth gli aveva chiesto senza impegnarsi molto e perdere tempo, James non si sarebbe lamentato. L’altra parte, invece, non faceva altro che pressare ancora di più dentro di lui qualcosa che non riusciva a spiegarsi.

Doveva annuire e acconsentire, dicendogli qualcosa circa la loro futura collaborazione e il loro rispetto reciproco. Sebastian fu a uno sguardo dal farlo, sì uno sguardo, perché non gli costava nulla comportarsi bene con quel moro sexy e affascinante che si poteva portare benissimo a letto cambiando approccio; non gli costava niente farlo entrare davvero nella sua zona letto e non confinarlo accanto alla parete dove non poteva vedere i poster che vi erano attaccati, stringergli la mano e tutto come prima. Non ci voleva niente a far andare tutto bene, ma non lo fece. Si impose di non farlo nel momento in cui riuscì a decifrare le iridi cangianti del ragazzo.

C’erano molte emozioni in mezzo ma a lui bastò riconoscerne una per prendere la sua decisione. Blaine era arrabbiato, nutriva ancora ammirazione per lui, nonostante tutto, provava anche del disgusto, del rancore; ma c’era anche devozione e non c’era odio.

C’era affetto; e nessuno poteva provarlo nei suoi confronti.

Si ricordò della discussione che avevano avuto il giorno precedente che i fumi aveva cancellato. Fino a quel momento non aveva mai avuto la vera intenzione di combattere con lui, glielo voleva far capire solo combinando qualche disastro qua e là, fino a raggiungere il suo obiettivo: quello di fargli capire che non era la persona che credeva fosse; ma adesso le carte intavola era decisamente cambiate.

Elizabeth gli aveva detto che il ragazzo aveva una cotta, James glielo aveva ricordato più volte e lui stesso lo aveva  avuto l’occasione di appurarlo nelle varie volte in cui si erano incontrati. Era sempre stato gentile con lui, perché gli piaceva e sapeva benissimo che oltre a qualche incontro casuale non avrebbero mai passato del tempo insieme. Dal giorno precedente le cose però erano cambiate e di parecchio; Elizabeth gli aveva chiesto un favore- lo aveva incastrato- e non ci aveva riflettuto due volte a comportarsi da vero coglione con Blaine.

Solo che adesso non si trattava di un accordo da rispettare o meno, non si trattava di un dovere nei confronti della ragazza; no, quello era un dovere verso sé stesso, e infondo anche di Blaine; un giorno lo avrebbe ingraziato. Aveva un nuovo obbiettivo adesso: togliere per sempre il suo affetto e tutto ciò di positivo, nello sguardo di Blaine quando si posava verso di lui. Non c’era altra soluzione, era così che dovevano andare le cose.

“Avrai la Terza guerra mondiale.” Disse a voce alta e chiara.
 
 
*
 
 
Blaine scese in sala da pranzo ben venti minuti dopo Sebastian per trovare il vano completamente deserto e la tavola già sparecchiata.

Dopo la discussione, aveva iniziato a camminare per la casa alla ricerca di un bagno dove poter stare da solo, sciacquarsi la faccia e calmarsi; aveva sceso le scale a piedi e non ci vollero più di dieci minuti per perdersi. Una volta trovato quello che stava cercando, subito si era seduto sul bordo della vasca e aveva lasciato che le lacrime di rabbia gli scendessero lungo il viso, mentre si poneva le solite domande di routine sul suo orientamento sessuale a cui non riusciva mai a darsi risposte e i sensi di colpa facevano capolino. Restò a lungo a riflettere se avesse fatto male o meno a reagire in quel modo e alla fine arrivò alla conclusione che sì, non poteva sopportare il modo in cui lo stava trattando e che però poteva risparmiarsi di fare in quel modo per poi ritrovarsi a piagnucolare in bagno come una femminuccia. A quel punto si era asciugato le guance, aspettato che sul suo viso non ci fosse alcuna traccia di ciò che aveva fatto e tornò ad affrontare quel labirinto di stanze e mobili.

“Smythe, dove sei?” domandò al vuoto a quel punto, non ricevendo nessuna risposta. Fece il giro del tavolo e della stanza, come se si aspettasse di vederlo uscire da sotto il tavolo o uno dei pochi mobili della sala. “Sebastian?”

Si fermò e improvvisamente il timore che fosse uscito lo pervase. Nel tragitto che aveva fatto, non lo aveva nemmeno intravisto, di conseguenza quel pensiero non era proprio così distante dalla realtà. “Signor Smythe?” Tentò ancora.

Sentì qualcosa muoversi e speranzoso si voltò verso la porta che dava alla cucina; purtroppo di lì ne uscì soltanto Pascal con il suo pancione prorompente e le mani grondanti d’acqua. “Chiamavate qualcuno, signorino?”

Blaine arrossì per l’appellativo con cui era stato chiamato. Erano rare le volta in cui lo chiamavano in quel modo e solitamente lo chiamavano signore dato che ormai anche lui era un ragazzo, non più un bambino. Si portò una mano dietro la nuca, imbarazzato. “Stavo cercando Sebastian.”

“Oh certo, certo,” disse il cuoco risoluto, annuendo tra sé e sé. “Sedetevi pure, Amelia e Amanda le apparecchieranno la tavola e la serviranno.”

Blaine a quel punto strabuzzò gli occhi, forse non aveva capito ciò che gli aveva detto. “No, no, non voglio fare colazione, sto cercando Sebastian.”

“Si, ho capito,” gli rispose Pascal con sua grande sorpresa. “Al momento ha detto che non vuole essere disturbato,” fece un giro su sé stesso e rientrando in cucina disse: “non si preoccupi, non è uscito.”

Non essendo ancora soddisfatto della risposta, il ragazzo gli andò dietro. “Sa dov’è? Io ho fatto il giro di mezza casa ma non l’ho trovato;” disse seguendolo tra i ripiani d’acciaio, come le grandi cucine dei ristoranti.

“Allora, dove preferisce fare colazione? In sala o in giardino?” Continuò a chiedere Pascal, come se non avesse sentito nemmeno una parola di ciò che Blaine gli aveva appena detto. 

“Non ho fame!”

“Bugia,” disse l’uomo, con il suo forte accento straniero, “tutti abbiamo sempre un po’ di fame. E dal profumino che c’è li dentro, la fame di verrà nel giro di un minuto. Allora?”

Blaine si ritrovò in difficoltà, non sapendo bene cosa fare. In realtà un po' di fame l'aveva, allo stesso modo in cui voleva trovare Sebastian. A scegliere per lui fu Pascal stesso, quando gli mise davanti un vassoio pieno di pezzi dolci, un po’ di pancetta e uova strapazzate.  “Va bene anche qui.”

Le sopracciglia dell’uomo scattarono verso l’alto, ma preferì non proferire parola, limitandosi ad annuire. In men che non si dica gli prese una sgabello poggiato alla parete e glielo sistemò accanto al ripiano, così da farlo sedere. “Cosa preferisce, signorino Cristin?”

“Anderson,” si affettò a correggerlo, “Il mio cognome: è Anderson; non Cristin.”

Le labbra di Pascal di delinearono a formare una perfetta “O” di stupore e mortificato abbassò lo sguardo; “Mi scusi. Cosa preferisce, signorino Anderson?”

“Uova e pancetta,” rispose, poggiando le braccia conserte sulla superficie lucida dell’isola. “Non c’è problema, comunque. Molti mi scambiano per il figlio di James.”

“Lavoro qui da più di un anno ormai, ma nemmeno la signorina El ha detto qualcosa a riguardo.” continuò mortificato, passandogli un piatto con ciò che gli aveva chiesto.

“Si, sai.. Non è una cosa molto importante per noi,” Blaine si portò una forchettata alla bocca, perdendosi nel sapore squisito della pancetta, facendo trattenere a stento una risata a Pascal. Una volta ricomposto disse: “puoi darmi benissimo del tu e chiamarmi Blaine.”

“Stessa cosa vale per me,” rispose lo chef con un sorriso.

Il ragazzo continuò a mangiare voracemente, un po’ per la fame e un po’ per la fretta di dover ritrovare Sebastian; dato che sembrava non avesse scelta d’alzarsi di lì senza ripulire il piatto, per come Pascal lo guardava di sottecchi fingendo  di sistemare la cucina.

“Perché tutta questa fretta?”

Blaine arrossì a quella domanda e ingoiò un pezzo di bacon tutto intero; “Ho fame.”

Pascal si fece pensieroso, poi lo guardò con un mezzo sorriso. “Prima dici di non aver fame e adesso a momenti divori il piatto? No, non m’inganni ragazzino. Ha da fare, per una volta che non combina guai, lascialo in pace.”

“Non è questo il mio lavoro,” rispose lui con un’alzata di spalle. Cercò un tovagliolo per pulirsi con lo sguardo e subito Pascal si diede da fare per procurarglielo.

“Già, ognuno ha un proprio compito;” gli disse, passandogli un tovagliolo in tessuto. “Posso chiederti qual è il tuo? Sempre se non sono indiscreto.”

“Sebastian-sitter,” si limitò a dire;  entrambi scoppiarono a ridere nello stesso istante, ma Blaine non conosceva modo migliore per descrivere ciò che doveva fare. A quel punto prese la palla al balzo: “Mi hanno dato anche delle indicazioni, per rapportarmi meglio con tutte le sue stranezze e tra questi c’è che non dovrei mai lasciarlo solo.”

“Oh, dimenticavo,” commentò Pascal, questa volta con finto stupore, tanto che poi tornò serio. “Molte volte gli uomini scelgono sempre la via più semplice, quella di scappar via dai problemi.”

Blaine non capì a chi e a cosa si riferisse di preciso, tant' è che lo guardò confuso per un lungo istante, fino a convincerlo a continuare.

“E’ nella Sala degli Strumenti; Urla più volte il suo nome dal momento in cui entri al piano. Chissà cosa potresti trovarlo a fare...”

“Grazie,” Gli rispose con un gran sorriso a illuminargli il viso. Prese il piatto e disse: “questo dove lo metto?”

“Lascialo pure qui, ci penso io.”
 
 
*
 
“Sebastian?” Chiamò Blaine; si guardò in giro, immaginandosi di trovare Sebastian seduto su uno dei divani a suonare qualche strumento. Con suo grande stupore nel vano non trovò nessuno e ogni oggetto al proprio posto, come se l’altro ragazzo non ci fosse mai entrato.

Inclinò la testa di lato e aggrottò le sopracciglia, decidendo che quella casa era esageratamente grande e troppo dispersiva. Aveva già percorso tutto il piano per trovare quella stanza e non lo aveva visto; era già la seconda volta in un giorno.

“Sebastian, si può sapere dove sei?” Urlò un po’ più forte, sperando questa volta di farsi sentire e ricevere una qualche risposta. Ovviamente furono speranze vane, così decise di fare un giro lì a torno. Pascal gli aveva detto che era lì, di conseguenza non doveva essere andato lontano.

Così fece per due volte in giro del piano, continuando a chiamare, invano, il suo nome; si appuntò perfino nel cellulare di farsi dare una piantina della casa da James, dato che il suo senso dell’orientamento lasciava molto a desiderare ed era certo d’aver camminato ben cinque volte sopra il pavimento a vetri che dava sulla piscina interna sottostante, anziché due, come doveva essere.

“Oh, ma perfetto Sebastian!” Esclamò ad un certo punto, spazientito, “Adesso vuoi pure giocare a nascondino?” iniziò a camminare all’indietro per tornare alla stanza degli strumenti, guardandosi in giro alla ricerca del ragazzo, “Se questo è il modo per darmi del filo da torcere, nasconderti come un codardo, mi deludi davvero molto. Così è come mi farebbe dei dispetti un bambino. Non ci posso credere, sul serio. E pensare che tutti erano lì a dirmi di stare attento, terrorizzati da cosa tu potessi combinarmi. Come se-“

La voce di Blaine si spezzò di colpo per la paura quando andò a sbattere contro qualcosa, sussultando. Subito dopo del vetro di infranse sul parquet. Restò immobile per un istante, gli occhi spalancati e il fiato mozzo.

“Guarda che hai comminato,” imprecò una voce che conosceva abbastanza bene. Si voltò subito verso Sebastian, trovandolo a scotolare dei fogli grondanti di liquore; a terra i cocci di vetro erano andati a finire dappertutto.

“Dio...Sebastian, scusa, mi dispiace tanto,” farfugliò guardando il pasticcio che aveva fatto, davvero dispiaciuto. “Ripulisco a terra e ti asciugo i fogli,” allungò una mano per prenderli, ma Sebastian si tirò indietro.

“Non ho bisogno che tu faccia qualcosa, finiresti per dare fuoco alla casa,” gli rispose acido, guardandolo con astio. “Chiamerò una di quelle due incapaci, che a quanto pare sono migliori di te.”

Blaine non seppe se essere più arrabbiato per ciò che aveva detto alle due donne o ferito per quella risposta maleducata. Alla fine era entrambe le cose. Perché lui poteva pur dire il contrario e dare la colpa all’educazione, a cui era affezionato, ma vedere Sebastian comportarsi così con lui gli metteva tristezza per vari motivi; che andavano dall’immagine che amava e totalmente sbagliata che  si era fatto di lui al suo scarso autocontrollo.

“Guarda,” continuò Sebastian, mettendogli sotto il naso un foglio, che solo dopo riconobbe essere uno spartito, “non si legge più niente. Spero tu sia felice, perché James non lo sarà.”

“James?”

“Questi,” disse sventolando ciò che aveva in mano, “erano il mio nuovo duetto con Santana. Dovevo guadare questa robaccia; ma grazie a te non posso più farlo.”

Blaine si trovava in difficoltà e stava per rispondergli quando l’altro ragazzo fece un giro su sé stesso e iniziò a camminare senza nemmeno curarsi se lo stesse seguendo o meno. Il moro restò fermò lì dov’era per qualche secondo, poi sbuffò e gli andò dietro.

Sentendosi in colpa, non disse una sola parola e rimase in silenzio anche quando entrarono nella stanza degli strumenti, dove Sebastian iniziò ad imprecare a voce più o meno alta, cercando qualcosa tra i vari fogli posti sul tavolino da caffè vicino ai divani. Strano, Blaine prima non li aveva visti.

“Non c’erano prima.”

“Cosa?” Chiese Sebastian, sventolando una chiavetta in segno di vittoria.

“Gli spartiti, la chiavetta, il pianoforte aperto..”

Le spalle di Sebastian si irrigidirono appena e quando parlò la sua voce era irritata. “Se non ci vedi non è mica colpa mia. Faresti meglio a metterti un paio di occhiali, così copriresti anche quegli occhi enormi che ti ritrovi.”

Blaine rimase a bocca aperta. “Io non ho gli occhi enormi!”

Sebastian si voltò per guardarlo, indecifrabile.

“.. Sono espressivi. E’- È diverso...”

Sebastian sbatté più volte le palpebre, poi gli diede di nuovo le spalle e questa volta si diresse dentro nello studio, sbattendola porta in faccia a Blaine che lo stava seguendo, chiudendolo fuori.

Quest'ultimo lo guardò tagliente da dietro il vetro della porta e incrociò le braccia al petto. In realtà si aspettava di meglio. Batté il piede a terra e alla fine decise di non dargliela vinta; così si andò a sedere su uno dei divani. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di pregarlo per farsi aprire e andargli dietro con la testa bassa.

Blaine vide Sebastian inserire la chiavetta al pc e schiacciare qualche pulsante dell impianto; poi il ragazzo entrò nella zona insonorizzata, lasciando la porta aperta, dato che non doveva registrare. Blaine lo vide infilarsi le cuffie e ascoltare la melodia. Inizialmente Sebastian restò impassibile, più andava avanti più sembrava annoiarsi; solo per un istante, dopo quasi un minuto buono, sembrò prendere interesse, tanto che fece un mezzo sorriso; poi tornò ad ascoltare ancora più annoiato di prima.

Blaine nel frattempo non si mangiò le unghie. Era combattuto dentro, da una parte voleva sapere cosa stava ascoltando, quale sarebbe stato il suo prossimo singolo, magari leggerne il testo; dall’altra invece voleva infischiarsene, cosa ardua per lui che lo aveva idolatrato per anni.

Sebastian tornò nella stanza tirando in aria il pennino per poi riprenderlo al volo e così via. Prese tutti i fogli sul tavolino, sia quelli bagnati che quelli asciutti, e si sedette al pianoforte. Blaine si aspettò che iniziasse a suonare qualcosa, invece chiuse la tastiera e tirò fuori una penna della tasca posteriore del  pantaloni. Il moro si accigliò a quella vista e confuso lo guardò perplesso tutto il tempo in cui l’altro ragazzo scribacchiava appunti. Trovava strano che andasse in giro con una penna nelle tasche, Sebastian era un musicista, non uno scrittore e Blaine era abbastanza sicuro che in giro per casa ci fosse abbastanza cancelleria da far invidia a una cartoleria.

Si sistemò meglio sul divano e sbuffando accavallò le gambe. Stava prendendo il telefono quando Sebastian ruppe il silenzio.

“Gay.”

Un brivido percorse la spina dorsale di Blaine, come se fosse stato scosso. “Come scusa?”

“Come ti sei mosso,” disse Sebastian lanciandogli un occhiata furtiva, “è da gay.”

Il cuore di Blaine iniziò a battere freneticamente e mise subito a terra la gamba accavallata. Finse noncuranza rispondendo “A me non sembrava. Molti uomini si siedono a quel modo.”

Il cantante increspò le labbra in un sorriso tagliente, continuando a guardare gli spartiti. “Allora perché hai scavallato
la gamba?”

“Beh, perché-“ Si sboccò un attimo, non sapendo come rispondere. In fine disse: “Perché mi si stava addormentando.”

“Questo è il meglio delle scuse che sai dare?” Sebastian ne era compiaciuto, “Almeno non salterai il lavoro senza ragioni valide perché tanto lo capirei.”

“Il tuo ragionamento non sta in piedi, tu sei gay ma non per questo hai le gambe in quel modo.” Blaine fece finta di non aver sentito ciò che aveva detto.

“Io non ho mai dato conferma del mio orientamento sessuale,”  gli fece notare Sebastian rivolgendogli un occhiolino.

“L’altra volta l’hai lasciato intendere.”

“Anche tu lo fai intendere.” Fece una lunga pausa, guardando intensamente Blaine che si mordicchiava il labbro, ansioso, gli occhi che lo guardavano circospetti con ancora quel sentimento malcelato. Sebastian, prima di continuare, si portò la mano sinistra dietro il collo, proprio sopra il tatuaggio. “Con il tuo atteggiamento, i tuoi capelli, i tuoi vestiti. Persino come parli fa capire la tua frociaggine; il modo in cui gesticoli.”

Blaine finse d’incassare bene il colpo. Rilassò il viso, fino a guardarlo quasi senza interesse e abbozzò perfino un piccolo sorriso. Dentro di lui però qualcosa si era inevitabilmente rotto, lo capiva dal modo in cui il suo cuore batteva forte, all’impazzata; si sentiva irrimediabilmente stanco, come se dormire per giorni non gli sarebbe bastato comunque. Aveva un immensa voglia di scomparire da lì, dal mondo intero. Il groppo alla gola fu solo la conferma. Respirare stava diventando difficile, come Blaine fosse in mezzo all’oceano e stesse arrancando per restare a galla, durante una tempesta. E sapeva che quella tempesta c’era davvero dentro di lui e quel turbinio di dolore lo stavano distruggendo ancora una volta, proprio come quella mattina. La lacrime che sentiva lottare contro  per rigargli il viso, non erano nient’altro che i suoi cocci.

Sentiva, tra le tante, la rabbia volersi manifestare, ma questa volta non avrebbe ceduto. Non si sarebbe permesso di far notare, non più di quando già non avesse fatto , quanto quelle parole l’avessero ferito.

“Invece tu quando vai in giro con lustrini, pantaloni aderenti lucidi, i capelli colorati, i glitter, anche tu sei il modello dell’etero medio.”

“Almeno non vado nel panico se mi danno del gay,” Sebastian gli rivolse un sorriso sghembo, torturandosi ancora il tatuaggio, “cosa che sei.”

“Non sono gay.”

“Hai la ragazza?”

“No. SI.. No.”

Sebastian alzò un sopracciglio, portandosi adesso la mano a scompigliarsi il ciuffo viola. “Non è una domanda difficile a cui rispondere. Ti scopi sempre la stessa, si o no?”

“Andare a letto con qualcuno  non implica averci una relazione!” Protestò prontamente Blaine, sperando di poter cambiare discorso.

“Invece sì.” Controbatté l’altro, poggiando le mani sul pianoforte. “Non si fa sesso con la stessa persona più di due volte se non si prova qualcosa - con seconda volta intendo il secondo round- sennò perché si ci dovrebbe andare? Una volta che sai come lo prende non c’è più gusto.”

“Le persone instaurano intere relazioni basate solo su quello, niente coinvolgimenti sentimentali-“

“Una relazione senza sentimenti non è una relazione Blaine, ricordatelo.”

Il ragazzo in questione lo guardò torvo. Stava davvero affrontando una conversazione del genere con Sebastian Smythe?  Colui che forse non sapeva nemmeno cosa fosse una relazione e i sentimenti. A pensarci bene, adesso a Blaine poteva sembrare solo un robot.

“Io la penso così.” Continuò Sebastian non ricevendo alcuna risposta. Tamburellò le dita più volte sulla superficie che aveva davanti e poi disse: “Non hai risposto alla domanda.”

Blaine roteò  gli occhi al cielo, cercando di mantenersi calmo mentre il panico lo avvolgeva di nuovo.

“Ti hanno rubato la lingua.”

“S-si.. Ho una ragazza.”

Sebastian sembrava sempre più divertito. “E come si chiama?”

“Mmmmh-“

“Non lo sai?”

“E’ la mia ragazza, figurati se non mi ricordo il suo nome.”

“Perché ci stavi pensando?”

“Non ci stavo pensando,” borbottò Blaine. Sebastian lo guardò con un ghigno in volto, come se avesse già vinto. A quel punto il moro senza pensarci due volte disse: “El.”

“El.. Elizabeth? Tua sorella?” Chiese il cantante, ancora più scettico e divertito di prima.

“Non siamo fratelli.” Sapendo s’essersi cacciato in guai seri, perché la ragazza non l’avrebbe mai perdonato, continuò col la solita scusa utilizzata da tutti quando non si vuole affrontare un argomento; perciò disse: “E’ complicato.”

“Complicato?” Ripeté Sebastian, scoppiando in una fragorosa risata; la sua mano sinistra andò istintivamente a poggiarsi sul rispettivo fianco.

“Come i tuoi tatuaggi?” Blaine lo disse con leggerezza, per cambiare discorso, non si aspettava di certo un cambiamento radicale in Sebastian che smise subito di ridere e lo guardò serio per un interminabile secondo.

“Andresti a dire a Pascal che per pranzo voglio la pasta con i funghi e come secondo.. quello che vuole lui?”
Blaine strabuzzò gli occhi. “E’ ancora prest-“

“Digli anche quello che vuoi tu. Non preoccuparti, cucinerà anche venti pietanze differenti se voglio.”

“Hai il telefono per chiamar-“

Andresti. Blaine?” Disse a denti stretti, come un lupo che cerca di trattene un ringhio e il ragazzo fece come gli venne chiesto, senza infierire ulteriormente.
 
*
 
Per il resto della mattina, Blaine e Sebastian non ebbero altre discussioni. Rimasero in silenzio nella stanza, uno a leggere e l’altro a pizzicare distrattamente le corde di una chitarra, senza produrre mai una vera e propria melodia, perso nei propri pensieri. Si allontanarono l’uno dall’altro solo per andare in bagno o prendere qualcosa da bere.

Blaine per tutto il tempo non aveva sperato altro che Sebastian cominciasse a suonare una sua canzone, una qualsiasi, ma non ebbe questo piacere e sospettò che l’altro ragazzo lo avesse fatto apposta.

Quando Sebastian disse d’avere fame, entrambi scesero  in sala da pranzo dove con loro grande sorpresa trovarono James seduto che li stava aspettando. La tavola era apparecchiata per due e l’uomo non aveva il piatto davanti a sé.

“Ciao,” lo salutò subito Blaine, con un sorriso.

“Blaine,” gli rispose James a mo’ di saluto; poi si rivolse all’altro ragazzo. “Devo avvisarti sugli avvenimenti di questa mattina e come andranno le cose da qui in poi.”

Sebastian annuì pensieroso. “Ho fame. Potremmo parlarne dopo? Ti faccio preparare quello che vuoi, se desideri restare.”

“No, ti ringrazio. E’ urgente.”

“Va bene, andiamo in un altra stanza allora.” Sebastian non aspettò risposta, si girò da dove era venuto e cominciò a camminare.

“Tu mangia, sarà una cosa lunga,” Disse James a Blaine, prima di alzarsi dalla sedia e seguire l’altro ragazzo, che lo condusse fuori, nel giardino. Camminarono in silenzio e si fermarono all’ombra di un albero. “Tra qualche giorno daremo la notizia della tua rottura con Santana.”

Le labbra di Sebastian si modellarono in un sorriso, portandosi le mani nelle tasche. “Era ora. la pagliacciata andava avanti da troppo tempo ormai.”

“Già,” James fece un respiro profondo, “Perderai tutti i soldi investiti nel progetto, che ammonta a-“

“Non m’importa, mi va bene così. Preferisco gettare nel cesso tutti i soldi necessari pur di non cantare quella canzone con lei o fare dei concerti insieme. Sono nato come cantante singolo, non ho alcuna intenzione di mettermi in società con nessun altro.”

“Non ho alcuna intenzione di proportelo.”

“Bene.” Commentò Sebastian acido. “Come procederemo adesso?”

James ridacchiò. “Non parlare al plurale.”

“Perché non dovrei?”

“Lascio.”

Sebastian si girò di scatto a guardarlo, terrorizzato, labbra dischiuse. “Non puoi lasciare il lavoro, sono legato a te tramite un contratto per altri tre anni. O te ne sei dimenticato?”

“Hai frainteso le mie parole: Ti lascio nel senso affettivo del termine. Ti ho sempre trattato in modo speciale rispetto a Nick ed Emily, come un membro di famiglia; è stato un errore.” James si voltò a guardarlo per la prima volta da quando erano usciti e gli rivolse un sorriso stanco. “Ho provato a mantenere le promesse che ho fatto, a te e ai tuoi, ma non è più possibile continuare così. Devi prenderti le tue responsabilità e affrontare le cose. Non posso più preoccuparmi per te mentre tu non mi ascolti e fai ciò che vuoi; non sei più un adolescente come quando ti ho conosciuto. Io una figlia l’ho già e anche se acquisito, per così dire, anche un figlio, Blaine.” James fece una lunga pausa e notò che Sebastian aveva lo sguardo basso, “Ti voglio bene e sono sempre stato troppo magnanimo con te, mi sono preso doveri che non mi spettavano; tu questo lo sai e te ne sei approfittato. Avevi ragione tu stamattina.”

“E’ perché hai perso dei soldi nel progetto con Santana? Quanto? Te li puoi prendere dal mio conto.”

James scosse la testa, esasperato. “Quando smetterai di dire queste sciocchezze a cui nemmeno tu credi?”

Sebastian fece finta di non sentirlo, “Mi prenderò le mie responsabilità. Mi serve tempo.Non puoi decidere di farti i fatti tuoi da oggi, abbandonando le promesse che mi hai fatto ieri. Non è corretto.”

“Sai meglio di chiunque altro che la vita non è corretta,” tagliò corto James, mentre iniziava a vacillare. “Sono sicuro che affronterai tutto, ma lo farai prima di quanto ti aspettassi. Io non voglio proteggerti più.”

“Non sono ancora pronto,” farfugliò Sebastian, voltandosi dall’altra parte. Aveva la schiena rigida e la testa bassa con il tatuaggio ‘Jeremy’ che faceva capolino dal colletto della maglietta. Il ragazzo si portò una mano lì sopra, affondando le dita nella pelle.

Fu quel gesto a fare capitolare James. Era sempre quello, a farlo capitolare. Sebastian non era pronto ad affrontare ciò che aveva dentro, Jeremy,  tutto ciò che aveva passato e le sue paure. Poteva pur essere grande e forte, avere ventidue anni, ma dentro era ancora il ragazzino che aveva incontrato la prima volta; entrambi si ripetevano che non era vero, non più, ma sapevano che era una bugia. Era per questo che James si era preso carico di cose non sue e l’aveva trattato sempre con un certo riguardo. Era per Sebastian e quel Jeremy  con l’inchiostro che continuava a fargli promesse su promesse, mantenere i segreti più disparati, mentire anche ad Elizabeth e a non prendere mai seri provvedimenti su qualunque cosa facesse.

Sebastian sapeva che si riferiva a questo con quel discorso, ma non voleva ascoltare, soprattutto nella parte in cui diceva di volergli bene. Si impose con tutto sé stesso di non dare peso a quelle parole, che erano messe lì senza un vero motivo, se James non le provava davvero, che non diceva sul serio, né quelle tre parole né tutte le altre. Quando però l’uomo gli poggiò una mano sulla spalla, irrimediabilmente le sue barriere caddero e senza rendersene conto si ritrovò ad abbracciarlo.

James rimase interdetto da quel gesto che non si era aspettato. Se c’era una cosa che non sapeva fare, era come comportarsi in quelle situazioni; non era mai stato un uomo che andava pazzo per le effusioni d’affetto. Non sapendo bene come dover reagire, si limitò a battergli più volte la mano sulla schiena, in quello che per lui doveva essere un modo affettuoso e delicato.

“Non farmene pentire.” Gli raccomandò una volta che si furono staccati.

“Sai che non so fare altro.” Rispose Sebastian, rassegnato.
 
 
*
 
“Pascal?”

L’uomo alzò lo sguardo dal libro di ricette e si sorprese nel trovare il signorino Blaine davanti a sé. “Scusami, non ti ho sentito arrivare,” disse subito, “vuoi qualcosa da bere o che ti prepari qualcosa da mangiare? Sai, non hai bisogno di venire fin qui ogni volta, puoi usufruire dei telefoni che ci sono in casa.”

Il giovane scosse la testa, “No, non sono qui per mangiare, ma grazie,” si sedette su uno sgabello. “Sono qui per chiederti se sai dov’è finito Sebastian.”

“Oh,” l’uomo si finse sorpreso e sembrava voler restare sulla sue; quando però Blaine lo fissò a lungo disse: “Hai fatto un giro per casa?”

“Tre volte.”

“Lo hai chiamato?”

“Si, anche per cognome.”Pascal lo guardò implorante ma lui continuò: “Ho aspettato trentacinque minuti che venisse a pranzare dopo che James se n’è andato e lui non è arrivato. Non è da nessuna parte. So che tu sai dov’è.”

Il sudamericano lo guardò implorante. “Hai ragione, so dov’è e per questo.. Ti consiglio di tornare a casa.”

Blaine strabuzzò gli occhi a quell’affermazione, aggrottando la fronte, “Non posso, non ho finito il mio-“

“Vai a casa, Sebastian sta riposando. Se James te lo chiede, digli che te l’ho consigliato io.”

“Non credo sia una buona idea. Non posso andarmene-“

“Tu di a James quello che ti ho detto io,” lo interruppe Pascal, rivolgendogli un piccolo sorriso, “e vai a dormire, hai le occhiaie.”

Blaine fece per specchiarsi sul bancone in alluminio, ma riuscì a trattenersi, comunque non credeva che stesse mentendo, quella notte non aveva riposato per niente bene. “No, io devo rimanere..”

“Ti propongo un accordo,” disse a un certo punto Pascal, sporgendosi in avanti, “se entro due ore non lo trovi, tornerai a casa.”

Il ragazzo inclinò la testa di lato, “Cosa mi assicura che non lo stai proteggendo mentre è uscito?”

“Ho due figli e una moglie da mantenere; se lo coprissi James mi licenzierebbe. Ti basta?”

Blaine lo guardò circospetto, poi annuì. “Va bene. Se invece lo trovo, dovrai rispondere sinceramente a ogni mia singola domanda. Ci stai?”

“Ci sto,” rispose Pascal, stringendogli la mano.

E Blaine imparò a non fare più scommesse con lui.
 
 
*
 
Elizabeth chiuse il quaderno e si stiracchiò, allungando le braccia sopra la testa e stendendo la schiena, mentre la maglietta si alzava di poco, mostrando il suo ventre piatto. Si accasciò sulla scrivania, promettendosi mentalmente di sistemare i libri sparsi sopra più tardi.

Era davvero stanca, aveva bisogno di riposare. Negli ultimi giorni era sempre agitata, aveva dormito male ed era sempre più ansiosa del solito. In un primo memento aveva pensato che fosse nei suoi giorni, ma poi aveva scartato l’idea, sapendo benissimo che non poteva essere plausibile.

Era sveglia ed intelligente, non ci mise molto a capire di essere preoccupata per Blaine. Era terrorizzata al pensiero che gli potesse succedere qualcosa, che Sebastian parlasse o andasse troppo aldilà di ciò che gli aveva chiesto. Voleva che non lo facesse innamorare di lui, niente di più, niente di meno; non che lo riducesse a... Quel Blaine che bussò alla sua porta della sua camera.

“Hey.”

“Hey,” rispose lui, torturandosi le mani. Era in piedi davanti sull’uscio, spostava il peso da un piede all’altro e teneva lo sguardo basso.

Dentro Elizabeth scattò l’allarme rosso. Lo guardò silenziosamente sedersi sul letto e si girò a guardarlo. “Com’è andata la giornata?”

Blaine fece un gran sorriso che gli illuminò il viso e rispose subito “Bene, non è stata niente male.”

El capì subito che gli stava mentendo e scosse la testa, si alzò dalla sedia e si sedette accanto a lui. “I primi giorni sono sempre i peggiori con Sebastian,” e gliela farò pagare amaramente per questo, stava per aggiungere, ma riuscì a trattenersi.

“Credo non sia facile per lui abituarsi alla mia presenza.. Sai com’è fatto.”

Elizabeth tese la labbra in un finto sorriso comprensivo, cercando di celare la rabbia che sentiva dentro. “Ti andrebbe di dirmi cosa ha fatto?”

“Non è stato lui,” farfugliò Blaine dopo un lungo istante e lei capì che era stata colpa di Sebastian, qualsiasi cosa fosse successa. “Stavamo discutendo e ha voluto sapere il nome della ragazza con cui mi frequento.”

“Tu non ti frequenti con nessuna ragazza!” Sbottò Elizabeth irritata, guardandolo furente. “Voi ancora continuare con la pagliacciata che sei etero?!”

“Non potrebbe essere la verità?” Rispose Blaine allo stesso modo, intrecciando le braccia al petto.

“Certo che potrebbe, ma non lo è. Sei quello che sei, accettalo e basta.” Vedendolo ancora scettico e sul punto di continuare aggiunse, “Non è facile e io lo so. Ero con te, ricordi?” poggiò una mano sulla sua e gliela strinse, “ Hai fatto degli enormi passi avanti, sei cresciuto. Non tornare indietro.”

“Non sto tornando indietro, è solo che ero in difficoltà e non sapevo come reagire. Sai come sono.” Blaine la guardò con la sua faccia migliore da cane bastonato. “Ho detto il tuo nome.”

Elizabeth alzò gli occhi al cielo, “Sei davvero un idiota. Come ti è venuto in mente?! Come potrebbe mai crederci, me lo spieghi? Sa benissimo che sei tipo.. Mio fratello, uno di famiglia.”

“Non capisco perché reagisci così, diciamo sempre a tutti che siamo fidanzati quando qualcuno ci da rogne!”

“Si, a quelli che non ci conoscono. Non a.. A Sebastian.” La ragazza si fermò un attimo e respirò a fondo. “Gli hai detto che è una cosa complicata?”

“S-si,” rispose Blaine titubante,  non capendo dove volesse arrivare.

“La cosa è risolta allora. Di’ che stai con Jemma e che io sono gelosa, quindi stai un po’ con tutte e due, non sai bene cosa provi,  non ci vuoi ferire, blablabla.. Solite cose.” Sorrise al suo stesso piano, “Non sarà la cosa migliore, ma dovrebbe essere plausibile come scusa.”

“Semmai riuscirò a rincontrarlo in quella casa enorme, glielo dirò.”

“Vuoi.. Vuoi dire che lo hai lasciato solo!?” Elizabeth gli rivolse uno sguardo severo, dovendo controllare l’impulso di non strangolarlo.

“S-si, ma Pascal mi aveva detto che non dovevo preoccuparmi, che non era uscito.” Si affrettò a rispondere Blaine, sperando che questo aiutasse a sistemare le cose.

“Si, lo so,” borbottò lei, portandosi una mano ai capelli, “se te lo ha detto Pascal va bene, ma tu evita comunque di lasciarlo da solo, non va bene. Quante volte lo hai lasciato?”

“Beh.. Dopo colazione, ma poi l’ho ritrovato nella stanza degli strumenti che stava bene. E poi di pomeriggio, quando se n’è andato tuo padre. A me non sembrava così depresso. Anzi.”

Elizabeth scosse la testa, “Fammi indovinare: dopo è stato tutto il tempo a suonare svogliatamente uno strumento e ti ha stuzzicato. Ci sono riuscita?”

“Si,” confermò Blaine, guardandola come fosse stata un alieno. “Cos’è che non mi stai dicendo?”

“Niente. Tu segui i miei consigli e basta.” Minimizzò.
 
 
*
 
James tornò in camera passandosi una mano sul viso. Era distrutto e ciondolando si diresse a letto. Aveva sonno ed era sicuro che tra poco le palpebre avrebbero iniziato a chiudersi da sole. Quella era stata una giornata molto lunga, piana di emozioni e sbalzi d’umore non di certo di poco conto.

Nel giro di un paio di giorni stava avendo più lavoro delle due settimane precedenti. Non era la prima volta che si trovava sommerso da scartoffie da firmare, appuntamenti lavorativi l’uno dietro l’altro, telefono costantemente a squillare e giornalisti da cacciare via di malo modo.

Questa volta era solo un po’ più stancante e amareggiante del solito; non solo per le varie penali da dover pagare inseguito all’abbandono del progetto con la Lopez , ma anche per la preoccupazione crescente che aveva dentro il petto di dover proporre una terapia a Sebastian.

Non aveva alcuna intenzione di mandarlo in un centro di recupero, al momento non aveva alcun problema di droga o alcol –almeno che lui sapesse- e di certo per qualche “ragazzata” non era il caso. Inoltre, in quel modo, Sebastian avrebbe preso quel gesto come un abbandono, più che come un aiuto.

Eppure sapeva che le cose stavano andando peggiorando sempre di più e piano piano si sarebbero ritrovati nella situazione di qualche anno prima. I sintomi erano gli stessi: comportamenti ribelli, menefreghismo,restava costantemente in compagnia di qualcuno, era svogliato nei suoi compiti, aveva ricominciato a bere sempre un poco di più.. Ma chi stava prendendo in giro? Era ormai da un po’ che le cose andavano così; di certo non solo da qualche giorno o mese.

Si sdraiò sul materasso guardando distrattamente l’orologio che batteva quasi le due di notte e cercò una posizione comoda per riposare.  Una volta essersi sistemato su un fianco, lasciò rilassarsi i muscoli, nella speranza di addormentarsi presto. Non ci volle molto prima che entrasse in dormiveglia e si abbandonasse  alle braccia di Morfeo.

Fu in quel momento che il suo cellulare iniziò a squillare. Di malavoglia di mise a sedere e afferrò l’apparecchio elettronico senza farci caso. Appena lesse il nome sul display per poco non gli cadde di mano.

"Margot,” lesse a mezza voce, sotto shock.

Per giorni aveva continuato a ignorare le chiamate di Jeanne, mettendole in silenzioso. Adesso però non era lei a chiamare, non poteva lasciar correre su due piedi. Lei non chiamava mai per motivi futili; solo nelle occasioni necessarie o quando era troppo preoccupata.

Stava per prendere la telefonata quando in mente gli tornarono i ricordi di quel pomeriggio, l’abbraccio di Sebastian, il “Non sono ancora pronto” e.. E Jeremy.

Spense direttamente il cellulare e si girò dall’altra parte per fare le spalle al comodino dove lo aveva poggiato.
Come poteva aiutare lui, se l’unica cosa che sapeva fare era ignorare e scappare via?



 

Innanzi tutto: Buon Anno, anche se in ritardo! :3
 
Well.  Mi faccio viva dopo un anno (dai, la battuta squallida ci voleva) e mi presento con questo capitolo. 
 
umm, si, beh.. piaciuto? No? Siete ancora più confusi di prima? Non vi preoccupate che è tutto normale LOL No, ok, finalmente stiamo iniziando ad ingranare un poco, scavando di più anche gli altri personaggi e a capire un poco meglio perché Blaine sta con i Cristin (fratello, figlio. eheheh WTF!? LOL) e presto scopriremo ancora di più!
bene, oggi la mia parlantina mi ha abbandonato e non so davvero cosa dire, quindi me ne vo' tanto candidamente. 
 *getta petali di rosa* 
Baci! 
 
P.s. un grazie davvero grande alla dolcissima Sara che trova sempre il tempo per betarmi i capitoli <3 Love you.  

 
   
 
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