»Chapter 16
Nothing more – As Ink On
Paper
Una
cosa era certa: le
vacanze erano finite.
Beth era a casa già da qualche giorno, il suo viaggio a
Londra era
stato più che soddisfacente. Jessy le aveva mostrato
l’accademia, e in Beth,
crebbe ancora di più quella voglia che già covava
di frequentarla.
Le settimane trascorse in quella città erano state per lei
come un
songo, dal quale, però, dovette risvegliarsi.
Tornare alla dura realtà, cioè, che pochi giorni
mancavano alla ripresa
delle lezioni, non ere piacevole; e a Beth mancavano l’aria
gelida del mattino
appena sveglia, la cioccolata di Jessy, le vie affollate e caotiche di
Londra,
e l’aria tutta sua che avvolgeva la città. Ma
soprattutto a Beth mancava quella
sorta di libertà che aveva lì: essere chi voleva.
A Beth mancavano, anche, le giornate passate a disegnare e dipingere, i
consigli dell’amica, e le uscite a Soho.
Ma, soprattutto, le mancava quell’assenza, alla quale, un
po’, ci si
era abituata poiché, sperava e confidava, in un altro
casuale incontro.
E Beth, si sentì, per la prima volta, in una
città troppo piccola per
lei; e nonostante avesse sempre saputo, e sognato, di andarsene da
lì, dalla
sua Bath, non potè non sentire una morsa allo stomaco a
quella sensazione
strana, che ora l’assaliva.
Insomma era la sua città, la sua casa, e andava bene sognare
e aprire
nuovi orizzonti, ma cavolo sentirsi prigioniera no.
Si colpì la testa come per scacciare quei pensieri e con un
- <<
basta! >> - s’incamminò verso il bar
dove avrebbe incontrato James.
Ed era lì, bello come lo ricordava, i capelli castani a
coprire la
fronte, e gli occhi azzurri schiariti dal sole e un sorriso ad
abbellirlo non
appena la vide.
A Beth era mancato, gli andò incontro e venne accolta da un
- <<
è bello rivederti >> - sussurrato sulla
guancia dopo un bacio. Beth
arrossì, non per il gesto in se, ma per quella strana
confidenza che non
ricordava si fosse creata.
<< già… anche per me.
>>
<< allora, raccontami, com’è Londra?
>> chiese con fare
curioso
E Beth gli raccontò tutto: delle sensazioni, dei luoghi
visti, della
neve, dell’aria, del caffè al mattino, di Jessy,
ma non di Alec… non sapeva
perché, ma un certo disagio la investiva al solo pensiero di
parlare di lui
con lui; insomma cosa avrebbe dovuto dirgli?
perché la cosa era
abbastanza assurda, non sapevano nulla uno dell’altro se non
i nomi e le
sensazioni strane che provano quando erano insieme; avrebbe dovuto
raccontargli
tutto, dal primo incontro fuori al bagno del terzo piano, ma
non poteva e
non voleva farlo, perché era una cosa loro,
solo loro, e non
le sembrava giusto condividerla con qualcun altro. E le sembrava
stupido
parlare di lui, perché, alla fine, tra loro cosa
c’era? Qualcosa c’era,
si… era ovvio: attrazione e interesse. Si, forse era quello,
ma nulla di più. E
allora, cosa avrebbe dovuto dirgli? Nulla, perché
non poteva e non
voleva farlo, perché era una cosa sua,
solo sua.
Beth trascorse il pomeriggio con James, tra una chiacchiera e
un’altra.
Dopo il suo racconto, aveva intrattenuto il tempo ad ascoltarlo, non
che la cosa la infastidisse, visto che è sempre stata una
buona ascoltatrice piuttosto
che una che parla.
James - Beth scoprì quel pomeriggio - aveva la chiacchiera
facile,
avrebbe potuto dirgli qualsiasi parola e lui avrebbe, efficacemente,
costruito
un discorso che durasse ore.
Beth sorrise, amava veramente parlare, non solo di se, ma di qualsiasi
cosa si potesse parlare.
Lei, invece, preferiva aprire bocca solo se le veniva chiesto, o se
aveva qualcosa da dire, per il resto ascoltava.
***
Alec
era tornato da Londra il giorno prima, ed ora stava in camera sua,
sul letto, dopo essersi appena svegliato.
I capelli castani erano arruffati e, divenuti troppo lunghi, coprivano
gli occhi neri.
Alec sbadigliò.
Si alzò, mise le gambe giù dal letto,
stiracchiò le braccia e sbadigliò
nuovamente.
Sul comodino alla sua destra giaceva il suo diario, quello rilegato in
pelle nero, dove ci scriveva le canzoni.
Lo prese, e quando aprì la prima pagina, un sorriso
spuntò sul suo
volto, con le dita callose accarezzò quelle lettere, una ad
una, e le
fissò,
così intensamente quasi a non volerle cancellare,
né dal diario, né dalla sua
mente.
Lì, nero su bianco, c’era la frase che lo spingeva
a scrivere.
Lì, nero su bianco, c’era scritto: Vivi
la tua vita fino allo stremo
delle forze, e alla fine strizzala più che puoi…
e scrivi, e fai musica, e poi
quando hai cantato tutto di quella vita, vivine un’altra, e
un’altra ancora…
Ed è quello che faceva Alec, viveva, viveva più
che poteva, lo faceva
fino allo stremo delle sue forze, e poi scriveva, e poi suonava, e poi
cantava.
Perché Alec era questo: parole, note, musica…
vita.
Ripose quel quaderno, lì, sul comodino alla sua destra,
quello fatto da
una pila di libri.
E la stanza di Alec non era piena solo di libri, ma anche di CD, dischi
in vinile, poster, film, rullini, macchine fotografiche, plettri,
chitarre…
panni, calzini e riviste, sparsi sul pavimento. Quella stanza era
davvero un
disastro e a detta della madre una giungla.
Più volte la donna lo aveva
ripreso con - << metti in ordine quella camera
>> - e tutte le
volte lui le rispondeva con - << la creatività
sta nel disordine…
>> - e la povera madre si rassegnava sorridendo.
Alec era una causa persa.
Prese la chitarra ai piedi del letto e la strimpellò un
po’ cercando di
dare un senso alle note che, quella notte, gli avevano reso impossibile
dormire.
<< Beth… >> sussurrò,
accarezzando quel nome con le labbra
sottili, e assaggiandone ogni lettera. E non potè non
risentire l’incredibile
attrazione e interesse che provava per lei sulla propria pelle.
Perché, alla
fine, era questo ciò che provava, nulla di più.
Perché, alla fine, era sì
diversa dalle altre, ma nulla di più.
Beth, per Alec era solo un enigma da voler indovinare. Un labirinto dal
quale uscire, vittorioso.
Nulla di più.
Scosse la testa, come a risvegliarsi da un sogno, posò la
chitarra e si
decise ad alzarsi.
Si passò una mano nei capelli, e con l’altra si
tolse i boxer, l’unico
indumento che lo copriva, e si tuffò sotto la doccia.
L’acqua fredda scivolava lungo il suo corpo, e con essa anche
la
frustrazione e i pensieri.
Appoggiò la testa contro la parete della doccia e rimase
così, almeno
per una ventina di minuti.
Poi, uscì dalla doccia, un asciugamano intorno alla vita e
una mano a
frizionare i capelli.
Si guardò allo specchio - quello che aveva difronte - dopo
averci
passato una mano, e sospirò.
Si incamminò per le strade di una Bath poco abitata. I jeans
neri
ricadevano sui fianchi; il maglione grigio lasciava intravedere la sua
pelle, lì,
all’altezza del collo; Alec si strinse nelle spalle, la
giacca di pelle non lo riparava
un granché dal freddo; gli anfibi neri scalciavano, di tanto
in tanto, qualche
sassolino; i capelli erano legati in un codino dietro la testa; Alec
era avvolto
da quell’aria misteriosa, che da sempre lo caratterizzava,
camminava guardando
i suoi piedi, con una mano a mantenere la sigaretta tra le labbra, e
con l’altra
la chitarra sulle spalle.
Non era certo strano vedere occhi, per lo più di ragazze,
che non
smettevano di guardarlo. Alec era bello: ed era un dato di fatto.
Sogghignò, poi alzò il viso e rivolse, a quelle
ragazze, uno sguardo
malizioso.
Jake lo aspettava al solito bar, quando Alec arrivò,
l’amico lo accolse
con una, consueta, pacca sulla spalla.
<< Cazzo, è bello rivederti! >>
gli disse Jake offrendogli
una birra, e Alec l’afferrò con un -
<< già, mi sei mancato amico!
>> - e i due, poi, scoppiarono a ridere.
Perché la loro amicizia era
fatta così, di poche parole, ma di grandi sorrisi. La loro
amicizia era vera,
lo era davvero. Tra loro c’era l’essenziale, poche
parole, pochi abbracci,
pochi ti voglio bene, perché bastava
un’occhiata per sapere di cosa aveva
bisogno l’altro, e bastava la loro amicizia per essere
felici. Perché erano
Alec e Jake: gli inseparabili.
<< Stasera c’è una festa da Josh, ci
sei? >> chiese Jake,
non curante, già sapendo di una risposta affermativa da
parte dell’amico, Alec
sospirò e con un - << non lo so
>> - rispose all’amico, che si girò
di scatto verso questi e maliziosamente disse - << dai,
amico, c’è anche
Anne >> - Alec scosse la testa e prendendo un sorso dalla
birra gli disse
- << chi? >> - Jake sorrise, il
solito Alec pensò - <<
come chi? La rossa che ti sei fatto alla festa di Jordan
>> - Alec
sospiro con un - << ah… >> -
Jake sorrise vittorioso e con un -
<< ci vediamo stasera allora >> -
salutò l’amico e andò via.
Seppur a malincuore Alec dovette ammettere che quel tanto agognato
giorno – quello, nel quale sarebbe ricominciata la scuola
– era arrivato.
Con una maglione nero e jeans dello stesso colore, si diresse verso la
sua aula, dove ad attenderlo ci sarebbe stata un’ora di
storia.
La giornata era passata nel più lento scorrere del tempo,
accompagnato
da una solitaria noia.
Arrivato a casa Alec potè finalmente gettarsi sul letto,
dormire e non
svegliarsi prima dell’indomani, ma qualcosa, o meglio
qualcuno, poche ore dopo,
glielo impedì. Jake era appoggiato sulla sua scrivania,
quella sotto la
finestra, e gli lanciava oggetti con l’intento –
nel quale riuscì – di
svegliarlo. Alec sospirò con un - <<
cazzo… smettila >> - ma
l’amico imperterrito continuò e il moro rassegnato
si alzò.
Una mezz’ora dopo, i due inseparabili, erano distesi sul
divano, quello
disotto in soggiorno, con una birra, due cartoni di pizza, intenti in
una
partita a Fifa che vinse Jake - << ehi, fai proprio
schifo >> -
Alec sorrise, consapevole che l’amico avesse ragione, ma solo
perché quella
sera, di giocare, non ne aveva proprio voglia.
Quella sera continuò in compagnia di amicizia, pizza, birra,
e fumo,
con un amico – con il quale – era impossibile
annoiarsi. Quella sera passò
così… all’insegna degli inseparabili
Alec e Jake.
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Ink
Droplets
Care
lettrici,
questo capitolo – che so non essere un granchè
– è solo di passaggio, e
mi serve per iniziazione del prossimo capitolo, nel quale, troverete,
spero,
una bella sorpresa.
Detto questo, devo aggiungere che seppur insulso questo capitolo
è
importante perché chiarisce alcune idee.
Nelle scorse recensioni ho notato che il messaggio che avete ricevuto
è
quello che Beth e Alec siano innamorati uno dell’altro, e
questo capitolo, ha
proprio il compito di smentire ciò.
Infatti, entrambi, provano attrazione e interesse per
l’altro, e nulla di
più. Spero non rimaniate deluse, ma ho preferito precisare
la cosa, perché non
voglio che sia una di quelle banali storie in cui
c’è il colpo di fulmine, si
innamorano, e vivono per sempre felici e contenti… No!
Quello che volevo trasmettere era – non so come spiegare
– la sensazione
che si ha quando si vede una persona e c’è
qualcosa nello sguardo, nel modo di
fare, o altro, che ti colpisce; e non fai altro, da quel momento in
poi, che
pensare a quel qualcosa, a quello sguardo, o a quel modo di
fare… e no, non ne
sei innamorato, ma incuriosito, interessato.
Quindi Beth e Alec non sono innamorati, o almeno non ancora, o forse
non
lo saranno mai…
Questo episodio della storia, non racconta nulla di eclatante, ma
normali
attimi di vita quotidiana, questo perché voglio che la
storia sia, per l’appunto
non una favola, ma vita reale.
Ringrazio queste persone per aver recensito, preferito e seguito questa
storia:
_miky_
DanceOfUnicorn
TheBlueGirl
Elamela
Tenera
Avril
Martowl
Vanel
Nuna99
TinyDancer
elev
Marii95
Occhi
di fuoco
shadows_fantasy
Una
canzone_ solo per te_
Erica_Writer
P.s.
ho scritto una One shot: Ho i tuoi residui tra le dita
passate a dare
un’occhiata. (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2372776&i=1
)
Ho
i tuoi residui tra le dita.
E mi odio, in un
modo che non puoi neanche immaginare, perché nonostante
tutto vorrei che tu
fossi qui.
E mi odio
perché
non mi importa del dolore che mi hai procurato.
E mi odio
perché,
se ora, tu, entrassi da quella porta e mi dicessi un flebile scusa ti
perdonerei.
Perché Ho
i tuoi
residui tra le dita.
E preferirei non
avere più nulla, di te.
Xx
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