Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: StarFighter    09/01/2014    11 recensioni
Tutto sembra procedere per il meglio ad Arendelle: Elsa ed Anna cercano di recuperare il tempo perso, ed intanto la principessa cerca di chiarire il suo rapporto con il suo-più-che-amico, Kristoff. Ma, durante il suo primo viaggio fuori dal regno, Anna è vittima di un incidente. Questo potrebbe mettere in pericolo il fragile equilibrio creatosi dopo il Grande Inverno? R&R!
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Kristoff, Un po' tutti
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 5: RICORDI

 

Elsa era ancora chiusa nel suo studio, seduta dietro ad una scrivania piena di fogli e libri contabili, quado il Sole tramontò dietro le montagne di Arendelle. Il tè che aveva chiesto ad una cameriera qualche ora prima, era rimasto ignorato su un angolo del tavolo, fino a diventare freddo. Aveva mangiato solo due biscotti alla vaniglia che accompagnavano il tè, ormai imbevibile.

Ormai stanca si stropicciò gli occhi con l’indice e il pollice, e cominciò a mettere un po’ d’ordine, prima di scendere a cena.

Un rumore ovattato di passi che si allontanavano, le giunse dalla porta. Si alzò curiosa di scoprire a chi appartenessero e fece giusto in tempo ad aprire la porta, che vide sparire dietro l’angolo del corridoio le trecce rosse di Anna.

Si chiuse la porta alle spalle e in silenzio seguì la sorella: per quel giorno aveva chiuso con gli affari di stato, era ora di dedicarsi alle cose davvero importanti.

 

 

Anna aveva passato un pomeriggio speciale con Kristoff, camminando sottobraccio tra le strade affollate di Arendelle, senza una destinazione precisa, felici solo di stare insieme, parlando di tutto e di niente; ed ora, dopo averlo salutato alle porte del palazzo, non voleva rintanarsi nella sua stanza o nella biblioteca, nel silenzio. Aveva così tanta voglia di muoversi, di saltare, correre e addirittura cantare, che non poteva stare ferma in un posto solo. Quell’uscita con Kristoff l’aveva caricata come un giocattolo a molla…sarebbe potuta andare avanti a camminare nei corridoi fino allo sfinimento, finché il sonno non l’avesse fermata.

Ma qualcosa, prima della stanchezza, le tolse il sorriso, costringendola a fermarsi.

 

Elsa osservò Anna gironzolare saltellando per il castello con un’aria trasognata sul volto, senza che si accorgesse di essere spiata. La principessa si muoveva quasi a passo di danza sui tappeti, che si estendevano apparentemente infiniti sul pavimento, mentre la gonna colorata le svolazzava attorno alle caviglie; giurò di averla sentita cantare e si beò di quel suono lieve e melodioso, mentre la sorella continuava a camminare spedita senza una meta apparente, inchinandosi ogni tanto ai dipinti che decoravano le pareti dei corridoi del castello e annusando i bouquet posti qui e li. La regina non poté fare a meno di trattenere una risata: Anna era davvero di buon umore, e sospettava che ci fosse lo zampino di un certo tagliatore di ghiaccio di sua conoscenza, e questo non poteva che riempirla di gioia.

Continuò a starle a qualche passo di distanza, finché lo stomaco non cominciò a reclamare e decise di saltare allo scoperto; ma qualcosa la trattenne: Anna si era fermata davanti ad una porta grande e di legno scuro, immobile, a fissare i pomelli d’ottone con uno sguardo strano.

Elsa non comprese cosa la sorella stesse facendo, fin quando non realizzò dove si trovavano. E allora tutto le fu chiaro.

 

Anna fissava la sua immagine distorta riflettersi nei pomelli lucidi, senza sapere cosa fare: qualcosa la bloccava.

Era da tanto che non passava lì, anzi, di solito evitava volutamente di avventurarsi in quella parte del castello. Ma quel giorno il suo fatale girovagare, l’aveva portata lì, come una sorta di crudele contrappasso per la felicità che provava in quel momento.

Quella porta dava su una parte del suo passato recente così dolorosa, da farle ancora sanguinare il cuore. Dietro quel legno scuro c’erano gli ultimi momenti di vita quotidiana dei suoi genitori, prima che il cupo mare del nord se li portasse via.

Avvicinò tremante la mano al pomello e girò piano, per aprire: una folata di profumo alla lavanda le pizzicò il naso e le riportò alla mente il ricordo di mille abbracci consolatori. La lavanda era l’essenza della madre, il profumo che la cullava quando era triste, era un odore che riusciva a calmarla.

 Dentro tutto era rimasto come l’ultima volta che i genitori avevano varcato la soglia di quella stanza: uno spaccato di intimità cristallizzato nel tempo.

Lo spiraglio che aveva aperto, lasciava entrare la fioca luce delle numerose candele che illuminavano il corridoio, facendo apparire la stanza come un luogo lontano dal tempo, sacro e quasi effimero.

Varcò titubante la soglia, muovendo pochi passi, avvicinandosi al letto a baldacchino che si ergeva al centro della camera: allungò una mano verso una delle colonnine di sostegno, dove si attorcigliava morbida una tenda damascata, e vi si aggrappò con tutte le sue forze, sopraffatta dai troppi ricordi.

Chiuse per un istante gli occhi e dietro le palpebre serrate cominciarono ad affollarsi i ricordi di notti di incubi e mattine festose passate in quella stanza, lì, dove ora incombeva solo la triste presenza dell’assenza.

Lì, in quello stesso luogo, li aveva abbracciati per l’ultima volta, con la speranza che li avrebbe rivisti presto. Invece non era andata così: si era ritrovata di nuovo sola con se stessa; la realtà della morte dei suoi genitori si era fatta prepotentemente strada tra i suoi sogni di ragazzina, distruggendoli inesorabilmente.

Riaprì di scatto gli occhi, riabituandosi alla poca luce e scorse con la coda dell’occhio il dipinto di famiglia.

Non era un’immagine ufficiale, come ad esempio il ritratto del padre in alta uniforme e con i sigilli reali, appeso nello studio di Elsa; no, era un ritratto vero, che più che rappresentare persone, ritraeva il forte legame che le univa, nonostante tutto.

Ricordava che la madre aveva tanto insistito per farlo, ed era stato in quell’occasione che aveva rivisto Elsa dopo tanto tempo, trovandola cambiata, scostante, altera, chiusa dentro i suoi freddi silenzi.

Li ritraeva insieme, stretti l’uno all’altra, come una famiglia normale, come se non ci fossero mai state porte chiuse o segreti inconfessabili: lei con una mano poggiata su quella della madre e Elsa aggrappata al braccio del padre, come se fosse l’unico elemento sicuro e stabile in quel mondo.

Si avvicinò al dipinto, con gli occhi puntati sulle figure regali dei suoi genitori. Rimase a guardarli per secondi, attimi infiniti che in quella stanza si dilatavano oltre il tempo e lo spazio. Oltre anche la morte. Fu come riaverli accanto: gli occhi luminosi del padre e il sorriso dolce della madre, così reali da sembrarle veri.

Allungò una mano verso l’immagine. Rimase ferma a mezz’aria per un istante prima di posarsi sulla tela ruvida, sull’intreccio di mani che univano le sue a quelle della madre. Un groppo in gola le impedì per un momento di respirare e non poté trattenere oltre le lacrime che le pungevano agli angoli degli occhi. Rivoli argentei le scivolarono silenziosi lungo le guance rosee, prima di lanciarsi nel vuoto e caderle sul vestito. Cominciò a singhiozzare sommessamente, quasi temendo di spezzare il silenzio immobile di quel luogo.

Poi diede voce ai suoi pensieri.

 

Elsa era rimasta immobile sulla soglia a fissarla, con il cuore che le si accartocciava pian piano nel petto. Non aveva mai visto quel lato di Anna, sempre allegra e solare, pronta a tutto. Si rese conto di come la sorella, quella bambina che era cresciuta a suon di no, sussurrati a denti stretti dal buco di una serratura, avesse imparato a nascondere dietro una facciata di finta sbadataggine le proprie emozioni.

Guardando a fondo dentro di sé, Elsa capì di essere stata non solo l’origine della tristezza di Anna, ma anche la causa del cambiamento della sorella. Faceva di tutto per nasconderlo dietro sorrisi luminosi e battute di spirito, ma in quel momento, nella quiete di quella stanza, pensando di essere sola, dava libero sfogo ai propri sentimenti.

Elsa sapeva che quella era la vera Anna, quella che aveva voluto proteggere da se stessa, ma che in realtà aveva solo distrutto. La facciata che la sorella si era costruita, era perfettamente uguale a quella della bambina spensierata e cocciuta che era stata un tempo. Ma in quell’involucro fragile che era il suo cuore, con la potenza di un’onda anomala, si davano battaglia spiriti opposti: da una parte c’era una principessina felice e dall’altra c’era la piccola Anna, costretta a crescere troppo in fretta, alla ricerca delle attenzioni di genitori troppo impegnati a salvare dalla follia l’altra figlia.

La regina era ormai sul punto di andarle incontro e stringerla a sé, quando sentì la sorella dire qualcosa.

-“ N-non voglio più rimanere da sola… non voglio più dire addio a nessuno.”- Anna stringeva il pugno sulla tela, mentre teneva il viso basso, affondato nel petto. I singhiozzi le scuotevano le spalle esili e sembrava che da un momento all’altro potesse andare in frantumi.

Elsa entrò nel cono di luce e la sua ombra si stagliò imponente nella stanza. Anna trasalì spaventata, senza voltarsi: si asciugò le lacrime e si girò a guardarla, con un sorriso stampato in volto.

-“Ciao Elsa, che ci fai da queste parti?”- l’ombra della sera nascondeva gli occhi rossi della principessa, ma niente poteva attenuare il tono malinconico della sua voce.

Elsa non le rispose e le corse incontro, abbracciandola.

-“Scusami Anna, scusa per tutto il male che ti ho fatto, per tutte le porte sbattute in faccia, per tutti i silenzi dietro i quali mi sono nascosta…scusa.”- Elsa aveva cominciato a piangere, mischiando le proprie lacrime con quelle di Anna, che era rimasta basita da quel contatto inatteso ma desiderato a lungo.

Dopo la faccenda dell’inverno perenne, Elsa non si era mai scusata per tutti gli anni di isolamento in cui aveva costretto anche Anna, e quando le saltava in mente di farlo, era sempre il momento sbagliato; ma quel luogo e quel preciso istante di debolezza, le diedero la forza di parlare.

-“ Non sarai mai più sola, Anna. Non sarai costretta a dire addio a nessuno, finché ci sarò io. Starò sempre con te, sarò la tua ombra se vorrai, ma ti prego, non piangere.”- Elsa la teneva per le spalle e la guardava pian piano calmarsi sotto il suo tocco freddo, senza lamentarsi.

Dopo interminabili minuti di silenzio, Anna le rivolse uno sguardo strano, a metà fra lo sconcertato e lo scherzo: “Non dirai mica sul serio, vero? Sarebbe da psicopatici, intendo il fatto di diventare la mia ombra. Io ho bisogno della mia intimità…”-

-“Oh Anna…”- Elsa rise di cuore –“Grazie!”

-“Per cosa?”-

-“Per essere te…”

Anna si allontanò di qualche passo, tendendole la mano: “Non preoccuparti, ci sarà il modo di ringraziarmi, prima o poi! Insomma hai da farti perdonare parecchie cose, non puoi certamente riparare tutto con un abbraccio e un’affermazione del genere.”

Elsa afferrò la mano tesa e la spintonò: “Farò qualunque cosa tu voglia, non dovrai far altro che chiedere.”

-“Oh beh, allora se la metti così avrei una richiesta: dopo tutto questo”- indicò lo spazio tra di loro -“avrei bisogno di una tonnellata di cioccolato per recuperare il buon umore di qualche ora fa. Per cominciare andrebbero bene quei cioccolatini che tieni sul comodino vicino al letto, quelli che ti fai arrivare dalla Francia e che non vuoi condividere con me…”

-“E tu come fai a …Aspetta, d’accordo, dopo cena ti aspetto in camera mia.”- Elsa chiuse la porta dietro di sé.

-“Ci conto, allora.”

 

 

NDA: No Comment! Capitolo inutile che non aggiunge nulla alla trama, ma che è uscito così di getto, prepotentemente dalla mia testa, e si è fissato sulla pagina di word.Sono rimasta un po' davanti al pc, indecisa se postarlo o meno, e alla fine l'ho fatto, tanto per rovinarmi. Capirò se qualcuno vorrà maledirmi per avervi fatto aspettare per un capitolo…così! Accetterò i pomodori e i vari ortaggi che vorrete virtualmente lanciarmi… Addio.

ps: Anna altamente ooc!

 

   
 
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