Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: Fecalina    09/01/2014    2 recensioni
Il vestito bianco fruscia, Finnick la guarda rapito.
La testa della donna è rivolta verso nord: il suo sguardo è troppo alto per guardare il mare e troppo basso per ammirare il cielo.
“Cosa guardi?” le chiede Finnick, affiancandola.
“L’orizzonte. E’ perfetto, non trovi? Quasi quanto te.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
oceano

Autore: Fecalina.

Titolo: Oceano mare.

Fandom: The Hunger Games.

Personaggi principali: Finnick Odair, Annie Cresta, altro personaggio.

Personaggi nominati: Peeta Mellark, Katniss Everdeen, Johanna Mason, Beetee, Mags, Enobaria, Presidente Snow.

Timeline: pre-The Hunger Games, The Hunger Games, Catching Fire, Mockingjay.

Genere: Introspettivo, Sentimentale, Romantico, Drammatico.

Rating: Giallo.

Note ed eventuali dell'autore: [1] le parti tra virgolette sono citazioni tratte dal romanzo Oceano mare (Alessandro Baricco, 1993).

[2]Le parti in corsivo sono dei flashback, quelle normali, invece, sono un eventuale spazio temporale compreso tra l’ultima capitolo di di Mockingjay e l’epilogo.

[3]I 65° Hunger Games sono i primi ai quali partecipò Finnick Odair.

[4] E’ la prima fan fiction che scrivo nel fandom di Hunger Games, quindi spero non sia una schifezza xD In ogni caso sono aperta ad ogni critica, spero vi piaccia :)

 

Oceano mare

-Love is like a river: at the end, it becomes something bigger-

 

“Sabbia a perdita d'occhio, tra le ultime colline e il mare – il mare – nell'aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord. La spiaggia. E il mare.
Potrebbe essere la perfezione – immagine per occhi divini – mondo che accade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità – verità – ma ancora una volta è il salvifico granello dell'uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un'inezia che basta da sola a sospendere tutto il grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola eccezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata.”

 

Era presto, era l’alba, e due, anzi tre, figure si specchiavano nell’acqua salata dai colori del Sole. Finnick sorrideva, strofinandosi le mani sugli occhi per impedire che si chiudessero.

Era difficile, restare svegli, soprattutto con il rumore delle onde in sottofondo.

Sembravano annullare tutto, quelle onde, anche la voce ferma del padre che gli chiedeva le reti da pesca, persino la realtà del colpo di tosse –violento, secco e sempre più frequente- di suo papà.

Finnick scese dalla barca, recuperando le reti e passandole all’uomo: c’era d a fare, quel giorno, ce n’era sempre, ma quel giorno di più.

L’indomani era la mietitura, e Finnick sapeva che, la Mietitura –quella parola sussurrata che sembrava spaventare tanto tutti- era un evento importante.

Capitol City li guardava, quel giorno, più di qualsiasi altro, gli occhi di una strana donna vestita con colori sgargianti si posavano su di lui come sul resto della gente che si riuniva in pazza.

Distrattamente, quasi con disprezzo, velato disgusto.

La barca –piccola e diroccata- era pronta per salpare, per intraprendere il suo viaggio verso l’oceano, quel mondo sconfinato e meraviglioso che tutti amano, che nessuno capisce, perché: cosa c’è da capire nella libertà?

Lui non lo sapeva, quella parola non la conosceva, a scuola –tra guerre e inni e storie sul Presidente- non gliel’avevano insegnato il significato.

Una sola volta l’aveva sentita pronunciare, in un sussurro sommesso di un vecchio marinaio al porto del Distretto 4.

L’aveva recepita, criptata, custodia.

Mai pronunciata.

Non sapeva cosa fosse, la libertà, ma sapeva che sapore aveva: quello dell’acqua del mare.

“Finn, hai preso tu gli ami da pesca?”

Il bambino scosse la testa, gli occhi azzurri puntati su quelli del padre.

L’uomo sospirò, borbottando qualcosa che a Finnick non era permesso ripetere.

“Corri, vai a casa prenderli, ma fai in fretta e attento ai Pacificatori”

I Pacificatori.

Che parola orrenda, Finnick rabbrividiva ogni volta che la sentiva.

Il bimbo scese dall’imbarcazione e corse sulla sabbia, i granelli gli si insinuavano tra le dita dei piedi, freschi.

Corse a perdifiato fino a casa sua, quella piccolissima abitazione fatta di due stanze, un bagno e una cucina.

Prese gli ami da pesca e ricominciò a correre, più veloce, perché si faceva tardi e suo padre doveva cominciare a lavorare, o sarebbero arrivati i Pacificatori.

Ma Finnick era pur sempre un bambino, così, quando a una decina di metri dalla spiaggia notò una figura seduta contro una parete, si avvicinò.

“Che ci fai qui?” chiese accigliato alla figura minuta.

“Guardo il mare” rispose questa con semplicità.

“Ma è pericoloso, tua mamma non te lo ha detto che se i Pacificatori ti trovano qui tutta sola sono guai?”

“Mia mamma non lo sa”

Finnick continuò ad osservarla, confuso: quella bambina andava a scuola con lui, suo padre aveva un negozio in piazza.

Suo padre era suo cliente.

Era sempre sovrappensiero, però in un modo strana.

Aveva la testa fra le nuvole, ecco.

Ma non avrebbe dovuto, non si può avere la testa fra le nuvole in un posto come quello in cui vivevano loro.

Nemmeno a 7 anni.

Era strana, ma di uno strano carino, che lo incuriosiva.

Così, quando un Pacificatore gli si avvicinò a passo di marcia, Finnick le lanciò la scatola con gli ami in grembo, dicendo che era lì perché a suo padre servivano urgentemente degli ami da pesca.

Il Pacificatore andò via, quella volta, ma avrebbe potuto non farlo, avrebbe potuto non credergli.

Però, nonostante questo, era stato più forte di lui, l’istinto di proteggerla.

Lo sarebbe sempre stato.

***

Annie si alza, è l’alba.

Si affaccia alla finestra e il mare le da’ il buongiorno, le onde che s’infrangono sugli scoglie e i colori tenui di cui si colorano le nuvole hanno sempre avuto un effetto calmante su i lei.

Scende le scale, sicura di trovarlo in cucina, il vestito biancastro svolazza mentre lei saltella giù gradino dopo gradino.

E’ seduto sulla sedia di fronte al tavolino, pensieroso e un po’ assonnato, mentre con la mano si strofina gli occhi per non cedere al sonno.

Lei ride, e lui le da il buongiorno, sorseggiando latte e indicandole la tazza piena dall’altra parte del tavolo.

“Grazie mille”

Lui le tende un piccolo recipiente azzurro “Zolletta di zucchero?”

E si sorridono.

“Allora? Cosa si fa oggi?”

“Si va in barca” le dice lui, ancora il sorriso non ha abbandonato i loro volti.

E lei non può fare a meno di scompigliargli i capelli biondi e stampargli un bacio sulla guancia rosea.

“Forse il mondo è una ferita e qualcuno la sta ricucendo in quei due corpi che si mescolano.”

 

Il profondo e immenso blu dell’oceano, immenso e forse quasi profondo quanto gli occhi di quel ragazzo che amava in un modo incredibile quasi quanto i suoi sogni ad occhi aperti.

Era il mare: il loro custode, il padrino di due ragazzi che condividevano un amore innocente in un mondo in cui, per l’innocenza, non c’era spazio, ma intanto li proteggeva, indignandosi col resto del mondo e gonfiandosi d’ira, scatenando tempeste.

Le tempeste, nel distretto 4, erano una vera e propria tragedia: il raccolto veniva distrutto dalla pioggia, il mare incombeva, la marea si alzava fino, a volte, ad arrivare ad inondare le strade vicino al porto, mogli e figli in pena per i loro uomini, persi nel mare,  inghiottiti dall’oceano.

Capitol City aveva regole rigido riguardo alla navigazione:  aveva costruito una diga, a kilometri dalla costa, i pesci arrivavano da est e da ovest, dove i territori erano controllati da squadroni di Pacificatori.

Le misure di sicurezza si restrinsero quando il vecchio Joe provò a scappare, un giorno.

In realtà non era vecchio, Joe, aveva solo una quarantina d’anni, ma tutti lo chiamano così, ormai, perché lo sanno tutti che quando si è un vecchio marinaio si è degni di rispetto.

Fallì, ovviamente.

E il vecchio Joe morì, all’età di 45 anni, con un esecuzione pubblica.

Così arrivarono gli squadroni, e Capitol City imprigionò anche il mare.

Joe non aveva famiglia, non gli importava del futuro, perché un giorno in quel mondo non valeva mezza spina di pesce.

I ragazzini, nel buio delle loro camere, facevano a gara ad immaginare come si fosse sentito quel marinaio una volta oltrepassata la diga, prima che gli squadroni arrivassero.

Annie era la più brava, ad immaginare, a farlo e tenere quelle fantasie per se, senza rivelare il segreto di Joe e del suo cuore che si fermò per un attimo, alla vista dell’immenso oceano che gli donava la libertà.

Ma poi era finita, e quel battito mancato diventò un cuore muto in un corpo che giaceva sull’asfalto.

Almeno fino a quando il corpo non fu portato via, la tempesta cominciò, furiosa, facendo scivolare via il corpo d Joe dal furgone dei Pacificatori, trascinandolo alla riva e poi inghiottendolo.

Così ce l’aveva fatta, l’oceano mare, a liberare Joe.

Ed ora lavorava per Annie e Finnick, che mentre tutti se ne stavano a casa, mentre i Pacificatori controllavano le  strade, si rifugiavano sulla spiaggia.

Perché nessuno, con il mare che infuriava, si sarebbe avventato nella parte vecchia del porto, quella dismessa, quella che conosceva Joe.

“Non hai paura?”

Le chiese una volta Finnick, mentre osservavano la pioggia ticchettare a terra.

“Ci sei tu e c’è il mare. Perché dovrei averne?”

E così, occhi negli occhi, Finnick le sorrise, appoggiando le labbra su quelle di lei, che avevano il sapore dell’acqua di mare.

Fu lì, in quel capanno, che divennero ciò che sarebbero sempre stati.

Fu lì che, pelle contro pelle, divennero più uniti che mai.

Annie e Finnick.

Intrecciando i loro esseri e le loro anime, incatenando i loro cuori.

Erano piccoli, avevano quattordici anni, ed era il giorno rima della Mietitura: i 65° Hunger Games*.

Non lo programmarono –come avrebbero potuto farlo?- ma accadde, accadde e fu come essere cullati dal mare, spinti dalle onde l’uno verso l’altra, mentre le bocche si cercavano  e le mani di lui si perdevano nei capelli color miele di lei.

E fu forse un Ti amo, forse una carezza a renderli consapevoli che, loro due, sarebbero stati Per Sempre.

***

Corrono sulla spiaggia, i capelli di Annie sono mille boccoli di miele che s’intrecciano nel vento.

Finnick è dietro di lei, e corre veloce, cercando di raggiungerla: le urla di aspettarla, ma lei non lo ascolta, diretta verso la barca.

Corrono e corrono ancora: veloci, spensierati, due bambini alle porte di una pasticceria, anzi, più veloce.

Perché quando Peeta va a trovarli corrono in cucina, golosi di quelle torte che quasi ti dispiace mangiare per quanto sono belle.

Però ora sono più veloci, ora corrono contro il vento, inciampano sulla sabbia ma non si fermano, almeno non fin quando Annie volta la testa.

Il vestito bianco fruscia, Finnick la guarda rapito.

La testa della donna è rivolta verso nord: il suo sguardo è troppo alto per guardare il mare e troppo basso per ammirare il cielo.

“Cosa guardi?” le chiede Finnick, afffiancandola.

“L’orizzonte. E’ perfetto, non trovi? Quasi quanto te.”

E ride.

“Aveva la bellezza di cui solo i vinti sono capaci. E la limpidezza delle cose deboli. E la solitudine, perfetta, di ciò che si è perduto.”

 

Era passato tanto tempo, davvero tanto, da quando Finnick trovò quella bambina dagli occhi chiari appoggiata al muro, da quando cercò per la prima volta di proteggerla.

10 anni, ecco quant’era passato.

Bevve un altro sorso di vino: bianco, perché si sposa bene con il pesce, e lui amava il pesce.

Era un pescatore, dopotutto.

Erano passati 43 giorni dall’ultima volta che l’aveva vista.

Quarantatre.

Non un ora in più.

Lo sguardo rivolto verso la finestra: fuori il sole non è ancora sorto, e Finnick si chiese se sarebbe sorto ancora.

Se avrebbe potuto ancora guardare un alba con lei, se lei stessa avrebbe visto quella imminente.

Strinse la presa sul bicchiere, quasi in procinto di romperlo.

Avrebbe dovuto essere lì, esserci per lei, per prendere il suo posto, per proteggerla.

Era quello ciò che le aveva promesso: di amarla e proteggerla fino al suo ultimo respiro.

E invece non aveva tenuto fede a quella promessa, a lei, che era l’unica cosa della sua vita per ciò valesse la pena rischiare la pelle.

E invece non c’era, era a Capitol City, tra parrucche colorati e tessuti scintillanti che fasciavano il corpo di perfetti sconosciuti.

Il bicchiere si ruppe, finalmente, nelle sue mani, e lui gridò.

Un urlo sordo, uno disperato, quello di un uomo che aveva spaccato la sua televisione, quello di un uomo che aveva perso.

La settimana dopo andò a casa di Percy, a guardare quel macabro spettacolo di cui si era ritrovato ad essere protagonista.

Annie era viva.

Finnick pianse.

Annie vinse.

Finnick pianse.

Annie tornò, e non fu mai più la stessa.

Al distretto era spaesata, rideva istericamente: Finnick le corse incontro, spionando chiunque intralciasse il suo cammino.

E poi la vide: gli occhi persi, definitivamente, in quel paese delle meraviglie che da sempre era stato il suo rifugio, quel luogo in cui era annegato perché  oramai il mondo in cui vivevano l’aveva annientata.

E lei allora era scappata.

“Finn!” sussultò gettandosi fra le sue braccia.

Era Annie, la sua Annie: aveva la bellezza di cui solo i vinti sono capaci. E la limpidezza delle cose deboli. E la solitudine, perfetta, di ciò che si è perduto.

***

 

L’alba è il loro momento: di Annie e Finnick.

Quello di Katniss e Peeta è il tramonto, si ritrova a constatare Annie mentre scompiglia i capelli biondi di Finn, che intanto gioca con la sabbia.

L’alba è finita, ma non da molto: il mare è calmo e il loro giro in barca deve ancora iniziare, ma non c’è fretta.

Quella, ad Annie, non piace.

Finnick si alza in piedi, ignorando la sabbia  e concentrandosi sulla donna dagli occhi verdi:

“Pronta per il giro in barca?”

Annie osserva le onde del mare alzarsi e abbassarsi con l’incostanza di chi sa di essere tanto perfetto da non aver bisogno di seguire schemi precisi.

La perfezione è un dogma, e niente potrà scalfirla o rovinarla.

“Hai gli occhi del colore del mare” constata con un sorriso.

Il biondo la guarda attentamente, per poi scoppiare a ridere.

“Saliamo, forza”

E salpano.

 

“La prima cosa è il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta è fame, la settima orrore, l'ottava i fantasmi della follia, la nona è la carne e la decima è un uomo che mi guarda e non uccide. L'ultima è una vela. Bianca. All'orizzonte.”

 

Katniss correva, veloce e di soppiatto: era con Peeta, Finnick riconobbe Johanna.

Sarebbero stati bene, sarebbero stati tutti bene.

Gli ibridi erano tanti, feroci, disumani: il pelo folto e la bava alla bocca, gli occhi vitrei che comunicavano un solo concetto: morte.

Finnick sapeva che non ce l’avrebbe fatta, che era giunta la sua ora.

Pensò ad Annie, a cosa stesse facendo in quel momento: magari era a letto, rannicchiata sotto le coperto, sulle labbra il nome del biondo.

Come avrebbe fatto? Chi le avrebbe detto che era morto? Come avrebbe reagito?

Pensò a quel volto tanto bello, a quello sguardo disincantato da bambina di quattro anni, pensò a come tutto quello sarebbe stato rotto dalle lacrime.

Un colpo alla testa uccise la bestia davanti a lui, forse non era ancora troppo tardi, forse avrebbe potuto cavarsela.

Era sopravvissuto a due Hunger Games, infondo.

Ma non era di un gioco che si parlava.

Snow li voleva morti e, stavolta, non era un vincitore che voleva.

Finnick si voltò per schivare l’attacco di un altro ibrido.

Una luce, bianca.

Il suo nome pronunciato in modo soffice, con la voce squillante di una bambina di quattro anni –Andiamo al mare, Finnick!-.

I suoi occhi, verdi come un prato in Primavera, così pieni di vita e di sogni e di speranze, quegli occhi che avevano conosciuto la morte e il sangue e l’omicidio.

La luce scompare, e buio fu: intorno all’uomo decine di cadaveri: c’erano Mags e Beetee ed Enobaria, e poi altri, volti che aveva cercato cercato di dimenticare, volti che egli stesso aveva sfregiato.

La paura lo assalì come un animale famelico, facendogli rivivere quegli istanti di terrore, fame, rabbia.

Quanti ancora avrebbero dovuto patire ciò che lui aveva vissuto, quanti ragazzi, bambini avrebbero dovuto uccidere i loro coetanei –loro amici- pur di non essere massacrati?

Quell’incubo doveva finire, Katniss ce l’avrebbe fatta, ne era sicuro.

Pensò alla sua infanzia e pensò che, semmai tutto quello sarebbe passato, se ciò che stava vivendo non era la morte, semmai avesse avuto un figlio il mondo, per lui o lei, sarebbe stato diverso.

Fu il suo ultimo pensiero, quello di lui ed Annie con un bimbo tra le braccia, prima che la luce ritornasse, prima che aprisse e gli occhi e la vedesse: una vela bianca all’orizzonte.

L’ibrido l’aveva colpito.

***

E’ come volare, come stare sulle nuvole ed essere cullati da qualcosa di ultraterreno, mentre chiudi gli occhi e il sole ti colpisce in pieno, impedendo persino ora che l’oscurità ti raggiunga.

E’ così che si sente Annie, in barca.

E Finnick, beh, lui si limita a guardarsi in torno pieno di meraviglia, perché ogni volta che salpano riesce sempre a scoprire qualcosa di nuovo, qualcosa per cui vale la pena essere felici.

Passano la mattina così: seduti sulla barca guardando all’orizzonte, contando le nuvole e osservando i gabbiani, mentre sotto di loro l’oceano mare li culla, dolcemente, fino a quando Finnick borbotta che ha fame e ritornano indietro.

La sabbia è calda, bollente sotto il Sole di mezzogiorno, ma camminare sul bagnasciuga è piacevole, con i piedi che vengono costantemente bagnati dalle onde.

Finnick corre, inseguendo un gabbiano.

Quando torna da Annie ha qualcosa stretto fra le mani: è una conchiglia.

“E’ bellissima, amore” gli dice accarezzandogli la guancia.

Il biondino le sorrise, poggiando la testa sulla sua spalla

“Zia Katniss e zio Peeta arriveranno domani, mamma?”

Annie continua a stringerlo, annuendo.

“E porteranno anche Primrose?” chiede il bambino con un pizzico di speranza nella voce, puntando gli occhi azzurri in quelli verdi della donna.

Annie gli sorride, annuendo ancora, il bambino ricambia il sorriso: è un sorriso dolce, fatto di piccoli dentini bianchi e quelle fossette irresistibili.

Assomiglia così tanto a suo padre.

Il vento soffia, e loro ridono.

Il mare li guarda, silenzioso: quello sterminato oceano mare, che veglia su di lor, che ha giurato di proteggerli, e che lo farà per sempre.

 

“Sai cos'è bello, qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un'orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. È come se non fosse mai passato nessuno. È come se noi non fossimo mai esistiti. Se c'è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. È tempo. Tempo che passa. E basta.”

 

 

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Fecalina