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Autore: piperina    10/01/2014    1 recensioni
«Amici miei, di certo vi starete chiedendo il motivo di questo invito» disse Klaus, apparentemente felice come non mai di avere ospiti a cena e non per cena.
«Spara la proposta.»
Klaus continuò a sogghignare, forse divertito da ciò che stava per dire.
«Un legame.»
Stefan corrugò la fronte.
«Un legame magico, intendo. Certo, se lei avesse un fidanzato umano opterei per la procreazione adolescenziale, ma purtroppo non ho fortuna neanche con questa strada, quindi creerò un legame magico tra me ed Elena.»

Klaus/Katherine; Damon/Elena; Caroline/Tyler - Stefan, Bonnie, Matt, Elijah, Rebekah.
Genere: Angst, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert, Katherine Pierce, Klaus, Originari, Un po' tutti | Coppie: Caroline/Tyler, Damon/Elena
Note: Lime, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Vampire Stories'
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*Act VII*

Welcome Back, Love

 

 

 

Tyler Lockwood non era mai stato un tipo sentimentale. Si era sempre comportato in maniera superficiale con le ragazze, senza sforzarsi di fare qualcosa di carino.

Aveva avuto molte avventure di una notte e altrettante relazioni che, in media, duravano meno di due mesi. Era un bulletto arrogante e antipatico, senza il minimo senso del dovere e di responsabilità. Attaccava briga con chiunque ed era in guerra aperta con suo padre.

Poi era arrivata lei. Caroline Forbes. La ragazza più frivola e irritante che avesse mai conosciuto.

Caroline era bionda, carina, amante delle feste e dei bei fusti, capo cheerleader, appassionata di moda e maniaca della precisione, soprattutto quando, da egocentrica che era, si autoproclamava organizzatrice di qualsiasi evento. Era anche stata Miss Mystic Falls. Un titolo non da poco.

Tyler non le aveva mai dato credito, eppure ora era l’unica donna con la quale avrebbe voluto trascorrere il resto della sua vita.

Non era per gratitudine che si era interessato a lei: Caroline gli era stata vicina nei momenti più terribili, rischiando la sua stessa vita pur di non abbandonarlo.

Aveva scoperto che dietro l’aspetto da Miss e le espressioni da bambina c’era una persona insostituibile: forte, combattiva, determinata e di buon cuore. Era un vampiro che aiutava un licantropo, pur sapendo che un suo morso l’avrebbe uccisa.

Tyler si era innamorato di lei senza accorgersene.

Era per lei che aveva deciso di partire e spezzare il sirebond che lo legava a Klaus, perché quel maledetto asservimento l’aveva messa in pericolo e lui non l’avrebbe permesso mai più.

Amava Caroline con tutto se stesso. Sarebbe morto per lei.

Quel giorno, emozionato come non mai, si presentò a casa Forbes con un enorme mazzo di fiori tra le braccia. Suonò a fatica il campanello e quando la porta si aprì… oh, avrebbe ricordato quell’espressione per sempre.

Caroline aveva gli occhi sgranati e la bocca aperta. Rimase così a fissarlo per un minuto buono, chiedendosi se stesse sognando di nuovo o se finalmente il sogno fosse diventato realtà.

«Tyler…» sospirò infine con un filo di voce.

«Sono tornato.»

Lei sbatté le ciglia più volte, cercando di contenere le lacrime, ma fu del tutto inutile. «Sei davvero tu? Sei… sei qui…»

Per tutta risposta lui lasciò cadere a terra i fiori, la strinse a sé e la baciò: fu un bacio disperato, intenso, che lasciò entrambi senza fiato. Tyler respirò il profumo fruttato dei suoi capelli, Caroline lo stritolò con le braccia tanto forte che avrebbe potuto fargli male.

«Mi sei mancato da morire» singhiozzò la vampira, a metà tra il pianto e una risata isterica.

«Non me ne vado mai più» disse lui, prendendole il volto tra le mani e guardandola intensamente negli occhi azzurri. «Mai più.»

 

 

 

 ***

 

 

 

«Ricordi il mio matrimonio con Katerina?»

«Ero presente.» Finalmente Klaus si era deciso a parlare, pensò Elijah. Gli stava raccontando cos’era successo, senza omissioni né bugie.

«Il celebrante era un mago» spiegò in tono annoiato l’ibrido, dirigendosi in salotto. «Ci legò con la magia e l’incantesimo venne attivato la prima notte di nozze.»

Sapeva che Elijah si sarebbe infuriato, ma ormai il danno era fatto, era inutile arrabbiarsi. Inoltre, lui non avrebbe rinunciato ai suoi propositi.

«Voglio creare un legame con Elena, ma non posso farlo finché non rompo quello con Katerina, e siccome serviva a unirci, dato che non ci amavamo…»

«Lei ti amava» puntualizzò Elijah, già al limite della sopportazione. La donna del suo cuore aveva amato e sposato suo fratello. Faceva male dirlo a voce alta, ma era la verità.

Klaus lo ignorò. «L’unico modo per spezzarlo è renderlo inutile, quindi…»

«Mi stai dicendo che devi innamorarti di lei?»

«Questo è irrilevante.»

Elijah alzò una mano e cercò di mettere insieme i pezzi di quell’assurda situazione. «Aspetta, cosa c’entra questo con il cambiamento di Katerina? È stato il legame?»

L’altro si lasciò cadere mollemente sul divano e incrociò le gambe con pigrizia. «No, sono stato io. L’ho costretta a riaccendere la sua umanità.»

 

 

 ***

 

 

Elijah era stato molto vicino a torcere il collo a suo fratello. Non avrebbe mai immaginato che potesse fare una cosa simile… era fuori controllo. Era toppo da sopportare, troppo con cui convivere.

«So che sei lì da mezz’ora» la voce di Katherine giunse da dentro la stanza – proprio accanto a quella di Klaus, come un ennesimo dispetto. «Entra.»

Ci aveva messo qualche giorno a decidersi: non era stato facile per lui fare i conti con i sensi di colpa che provava nei confronti della vampira, tanto che non era tornato a casa per un’intera settimana.

Facendosi coraggio, l’originale aprì la porta. Katherine era seduta sul setto con un libro sulle gambe. Le tende erano semi aperte e il letto era in ombra.

«Scommettiamo che so anche perché sei qui?»

Gli fece segno di sedersi accanto a lei. Elijah obbedì e si sedette sul bordo, mantenendo un metro di distanza – era un Lord nato – e la studiò a fondo: all’apparenza non sembrava diversa, era sempre bellissima, con i capelli perfettamente in piega e la malizia dipinta sulle labbra.

Solo i suoi occhi erano diversi. A uno sguardo attento non poteva sfuggire la nota di malinconia che aveva minato la sua solita sicurezza.

«Mi dispiace» sussurrò, non osando toccarla, nonostante il forte desiderio di farlo – avrebbe sempre avuto desiderio di lei. «È colpa mia.»

Lei scosse la testa. «Non sei stato tu a mettermi in gabbia.»

«Ma sono stato io a dire a Klaus che volevi andare via. Gli ho parlato io dei tuoi dubbi sul suo strano corteggiamento.»

Katherine sapeva che avrebbe dovuto arrabbiarsi, ma non ci riusciva. Che fosse stato lui a spifferare tutto a Klaus non era una novità, l’aveva sempre saputo. Inoltre, lui dava sempre la sua parola, ma ogni volta spuntava fuori qualcosa che gliela faceva rimangiare in qualche modo.

«Ti stai confessando, Lord Elijah?» sorrise. «Vuoi il mio perdono?»

Lui rimase in silenzio. Poteva essere perdonato per ciò che aveva fatto? Avrebbe osato chiedere a Katherine di farlo?

«Klaus avrebbe trovato altri modi per ferirmi.»

«Ma non ti avrebbe sposata» che razza di persona era? Aveva sempre avuto un atteggiamento di superiorità, credendosi migliore di suo fratello, ma non era affatto diverso da lui. Anzi, era anche peggio.

Lei non disse nulla. Non era facile gestire la sua umanità insieme ai ricordi e ai sentimenti provati prima di diventare vampira, in aggiunta a tutte le azioni compiute in quei cinquecento anni.

Doveva essere arrabbiata con Elijah? Sì. Valeva la pena esserlo? No.

«Immagino quanto sia difficile per te questa situazione.»

«No, non lo sai» ribatté più acidamente di quanto voluto, «ma non si può fare nulla. Klaus ha preso ogni precauzione possibile per assicurarsi che io gli obbedisca ciecamente e che per nessun motivo possa lasciare questa casa. Battere i piedi per terra è inutile.»

I sensi di colpa di Elijah toccarono vette mai raggiunte prima. Katerina sarebbe sempre stata speciale per lui. Una parte del suo cuore le sarebbe sempre appartenuto.

«Cosa…» esitò qualche secondo. «Cosa provi per lui?»

La vampira non rispose. Parve in conflitto con se stessa e lo era davvero: cosa si poteva provare per uno psicopatico omicida come Klaus? Per uno che l’aveva chiusa in casa e costretta ad essere di nuovo vulnerabile? Per uno che l’aveva sposata con l’inganno?

Quella non risposta ferì Elijah, che abbassò lo sguardo. Era l’unico responsabile di quella situazione: come poteva convivere con quella croce addosso?

Katherine si allungò per sfiorargli la mano e lui fissò di nuovo il suo volto.

«Non crucciarti, Elijah. Ormai non ha più importanza. Possiamo solo andare avanti.»

 

 

 *** 

 

 

Rebekah si trovava di nuovo nella stessa situazione di sempre: Klaus la trattava come un oggetto, fregandosene dei suoi sentimenti e chiudendola in una bara quando non era d’accordo con le sue follie.

Cosa ci guadagnava a stargli vicino? Perché era così legata a lui?

Questa volta era davvero furiosa, non aveva alcuna intenzione di stare ancora dietro ai suoi capricci, sperando che fosse in buona e pregando di non contrarialo.

Era sua sorella, non la sua sguattera.

Aveva partecipato a quello stupido ballo poche sere prima per salvare le apparenze e godersi una serata mondana, ma si era rivelato un disastro: Matt non voleva saperne di lei, Klaus aveva fatto il cascamorto con quell’oca di Caroline ed Elena si era presentata al braccio di entrambi i fratelli Salvatore, da brava Petrova che era.

Davvero, cos’era quella fissazione delle Petrova per i fratelli? Tatia aveva fatto la smorfiosa con Klaus ed Elijah, che si erano contesi Katherine, la quale aveva avuto un’aperta relazione con Stefan e Damon nello stesso periodo e ora era toccato a Elena prendere il suo posto.

C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel dna delle donne di quella famiglia.

«Voglio andarmene da qui.»

Kol si sedette sul divano accanto a lei, poi decise di sdraiarsi e appoggiare la testa sulle sue gambe. «Andiamo» le disse. «Non c’è niente per noi qui e io non ho intenzione di aspettare che Klaus ci pugnali di nuovo.»

Rebekah valutò le sue parole seriamente. «Potremmo farlo davvero» mormorò.

«Certo che possiamo» Kol alzò un braccio e le accarezzò i capelli. «Cosa ci trattiene qui?»

«Elijah.»

«Non abbandonerà mai Klaus, lo sai.»

Sì, lo sapeva. Guardò il viso del fratello e pensò che avesse dannatamente ragione. Perché perdere altro tempo a Mystic Falls? Matt in quel periodo non voleva neanche vederla per errore. Perché farsi comandare a bacchetta da quello stronzo di Klaus? Lui amava solo se stesso, non era in grado di provare sentimenti sinceri, sapeva solo usare gli altri per il proprio egoismo.

«Va bene.»

«Grande!» Kol balzò in piedi con un grande sorriso sulle labbra. «Vado a scegliere la nostra destinazione.»

Rebekah si lasciò contagiare dall’entusiasmo del fratello. Corse nella sua stanza per preparare la borsa e rifornirsi di contanti. Udì delle voci provenire dalla camera di Katherine, che notò essere proprio accanto a quella di Klaus. Scosse la testa e sentì Elijah scusarsi con la vampira: li ignorò, la cosa non la riguardava e non aveva la minima intenzione di farsi coinvolgere.

Dopo aver finito con i bagagli ed essersi ripassata il lucidalabbra, Rebekah scrisse un biglietto di saluti e lo affisse alla porta della stanza di Klaus con un coltello preso dalla cucina.

Scese le scale e trovò Kol ad attenderla nell’ingresso. Sembrava un bambino. Lui non aveva mai visto nulla del mondo, aveva una gran voglia di viaggiare e scoprire ogni cosa che si era perso durante i secoli che aveva passato chiuso nella bara.

Ora che ci pensava, non era molto diverso da lei: aveva sempre vissuto accanto a Klaus, seguendolo ovunque lui volesse, senza mai veder realizzato un suo desiderio. Ogni volta che era stata pronta ad abbandonarlo per seguire la propria strada o un amore, puntualmente quell’amore veniva ucciso o lei veniva pugnalata. O entrambi.

Negli anni ’20 Rebekah aveva scelto Stefan a Klaus e questo l’aveva fatta marcire nell’oblio per ottant’anni.

Sorrise, entusiasta, e afferrò la mano del suo fratellino.

«Andiamo!»



***



 

Finn aveva rifiutato ogni contatto con la sua famiglia. Detestava essere un vampiro, si considerava un abominio e preferiva morire piuttosto che vivere nel peccato mortale. La sua stessa esistenza era un peccato imperdonabile. Con che stato d’animo i suoi fratelli gioivano di quell’immortalità?

Stare da solo nel mondo moderno in quei giorni non era stato facile, ma aveva accettato aiuto e denaro da parte di Elijah. Lui non gli aveva chiesto niente, si era limitato a dargli ciò di cui aveva bisogno e di questo gli era molto grato.

Era riuscito a non cedere all’istinto di cibarsi di esseri umani e questo, di nuovo, grazie alle sacche di sangue che Elijah gli aveva dato. Sentiva enormemente la mancanza della sua vita umana: non aveva mai superato quella fase della vampirizzazione e, a dirla tutta, neanche voleva farlo.

Finn Mikaelson era un vampiro triste e malinconico, che odiava se stesso e non voleva riprendere alcun contatto con i suoi diabolici fratelli.

Klaus era uno psicopatico manipolatore che traeva godimento nel massacrare le persone.

Elijah vantava virtù che non gli appartenevano, sentendosi superiore agli altri, ma non si risparmiava un bagno di sangue.

Rebekah era una ragazzina rancorosa troppo succube di Klaus.

Kol era sempre in cerca di guai, per lui non esistevano regole.

Tutto ciò che Finn desiderava era trovare un modo per porre fine a quella patetica e mostruosa esistenza priva di senso.

Stava passeggiando lungo le vie di Mystic Falls, cercando sollievo al proprio malessere interiore, quando si sentì chiamare da una voce amata.

Si voltò e vide qualcuno che aveva sempre portato nel cuore. «Sage…?»

«Oh mio Dio» sussurrò la vampira. «Sei davvero tu.»

Per la prima volta dopo mille anni, Finn sentì qualcosa di dolce scaldargli il cuore. Sage gli saltò al collo e lo abbracciò con forza. Pianse senza vergogna, mormorando tra le lacrime che l’amava e che le era mancato da morire.

«Cosa ci fai qui?» chiese, ancora incredulo, respirando il suo profumo e ritrovando un po’ di quella pace che aveva perduto da tempo. «Perché sei a Mystic Falls?»

«Avevo delle cose da fare» sciolse l’abbraccio e lo guardò in viso. «Tu… com’è possibile?»

Lui scosse la testa. «Non importa. È una lunga storia.»

Continuava a sorridere. Sage era stata l’amore della sua vita prima che Klaus lo pugnalasse. Da quando si era risvegliato aveva pensato molto a lei, senza osare sperare di rivederla, e invece… quante possibilità c’erano?

«Ti ho sempre aspettato» disse la vampira, accarezzandogli dolcemente il volto. «Non ho mai smesso di amarti né di sperare che un giorno saresti tornato da me.»

Quello era un risvolto della storia del tutto inaspettato.

Nei suoi pochi giorni di vita indesiderata, Finn aveva concentrato ogni pensiero sulla morte, cercando di trovare un modo per pote abbracciare finalmente il sonno eterno e poter finalmente smettere di soffrire.

Sentì una lacrima solcargli il viso e provò una gioia da tempo dimenticata.

«Ti amo.»

Forse aveva trovato qualcosa per cui valeva la pena vivere.



***


 

Da due giorni a quella parte, Klaus si comportava in modo strano. Più del solito. Katherine non capiva, ma non era sicura di volerglielo chiedere. Aveva però notato un’atmosfera strana in casa. Cosa stava succedendo?

Stava giocando alla Play nel salottino moderno quando avvertì la presenza di Klaus. Fece finta di niente, come sempre, perché non si poteva mai sapere di che umore fosse il padrone di casa.

Come previsto, andò subito a disturbarla.

«Vedo che ti stai divertendo» fu il suo saluto. Senza essere invitato a farlo – ne aveva davvero bisogno? – prese posto accanto a lei sul divano. Molto vicino, anzi, decisamente troppo.

«Ho trovato cose interessanti da fare» fu la risposta distratta della vampira, intenza a sconfiggere un boss un po’ deboluccio.

Klaus la fissò sfacciatamente per svariati minuti senza dire una parola. Forse pensava che lei l’avrebbe mandato a quel paese, invece aveva scelto semplicemente di ignorarlo. «Due giorni fa giocavi all’VIII. Sei già alla fine del IX?»

«Ho molto tempo libero, nessuno con cui passarlo e il IX è fin troppo facile. Ridicolo, direi. Anche se la storia lascia un sorriso» Katherine sferzò il colpo finale e quel breve combattimento ebbe fine.

«La principessa che chiede di essere rapita» sorrise, divertito. «Ti rivedi in lei?»

Lei fece una smorfia, mentre chiamava il piccolo Kupò nella mappa e salvava la partita. «Io non ho chiesto di essere rapita.»

«Gidan avrebbe comunque rapito Garnet, anche se lei non stesse già pianificando la fuga.»

«Stai paragonando me a una bellissima e potentissima principessa o te stesso a un ragazzo-scimmia in super deformed?»

Il tono di voce e l’espressione strafottente della vampira lo divertirono molto. Nel 1492 lei non era così sfacciata, ma era comunque piacevole stare in sua compagnia. Ora scopriva nuovi aspetti del suo carattere ogni giorno e apprezzava anche quelli.

Klaus aveva scoperto anche un’altra cosa: il senso di colpa. Piccolo, piccolissimo, quasi inesistente, tanto che non aveva ancora capito che era proprio senso di colpa quello che provava per lei e che in quei due giorni lo spingeva a farle compagnia.

«Non è vero che non hai nessuno con cui passare il tempo» allungò un braccio e infilò le dita tra i suoi capelli, legati in una coda alta. Ebbe un flash e la sua memoria gli riportò davanti agli occhi l’immagine di lui che giocava con i suoi riccioli sparsi sul cuscino. Lei era nuda sotto le coperte e sonnecchiava con il volto sul suo petto.

Provò l’improvviso impulso di toccarla, di portarla in camera e mostrarle come avrebbe voluto farle passare il pomeriggio, ma trasse un profondo respiro e cacciò subito quella strana idea.

Vivere a stretto contatto con Katerina Petrova era dannoso per un uomo.

«Leggi per me.»

Lei lo fissò con gli occhi sgranati. «Prego?» arrotolò il cavo del controller e spense tv e console. Forse aveva capito male.

«Voglio trascorrere il resto della giornata con te. Mi piacerebbe che leggessi qualcosa.»

C’era qualcosa sotto e Katherine promise a se stessa di scoprirlo. «Puoi leggere per conto tuo.»

«Voglio farlo con te.»

Distolse subito lo sguardo dal suo. «Agli ordini. Cosa vuoi che ti legga?»

Klaus sorrise, la prese per mano e si alzò. La condusse nella biblioteca privata, quella con i volumi antichi messi sotto chiave e Katherine notò un divano che non aveva visto la volta scorsa.

«La Divina Commedia» mormorò lui, scorrendo le costine dei volumi. Estrasse la sua scelta e, senza lasciare la mano della vampira, andò a sedersi sul divanetto.

Katherine fu felice quando le passò il libro, perché così poté lasciare la sua mano. Si sentiva a disagio e troppo emozionata per quel semplice gesto. Si ripromise di impegnarsi di più per mascherare l’effetto che suo marito aveva su di lei.

Iniziò a leggere con calma, cadenzando perfettamente la voce, senza sbagliare un solo accento, nonostante non leggesse in vecchio italiano da molto tempo.

Tre pagine più tardi, Klaus si mosse e lei diventò rigida come un pezzo di legno: si era sdraiato appoggiando la testa sulle sue gambe. Lei si sentì vulnerabile, quel contatto le sembrò più intimo di molti altri e le riportò alla mente ricordi a cui non voleva assolutamente pensare.

«Cosa stai facendo?»

«Continua a leggere.»

«Mi distrai.»

Klaus ghignò sotto i baffi. «Mi rilassa stare così. Dovresti saperlo. Continua a leggere.»

Katherine sbuffò sonoramente e cercò di riprendere il filo da dove era stata interrotta. «Ma certo. Il signorino vuole che io continui a leggere e così farò. Agli ordini, marito mio» borbottò, scocciata, ma poco dopo tornò a recitare i preziosi versi di Dante.

Il caro marito chiuse gli occhi e si godette quel momento, come tanti ne avevano avuti in passato, quando lei non aveva paura di ogni sua mossa e quando lui, seppur inconsciamente, trovava riposo e serenità tra le sue braccia.

Non farmi questo, pensò la vampira, colta da un mare di sentimenti ed emozioni che la travolsero come un fiume in piena. Poteva sopportare la sua vicinanza, poteva fingere che tenerlo per mano non la toccasse, poteva rispondergli a tono dalla mattina alla sera, ma il soggiogamento stava funzionando eccome e si sentiva attratta da lui sempre di più.

Lo odiava, ma era felice di vederlo. Detestava la sua arroganza, ma avrebbe potuto ascoltarlo parlare all’infinito. Non voleva che invadesse il suo spazio personale, ma un brivido intenso la coglieva ogni volta che lui toccava la sua pelle.

Finirà male, si disse, cacciando via la tristezza e proseguendo nella lettura.

Klaus trovò quel momento così piacevole e rilassante, così sereno e spontaneo, che si addormentò.

E per qualche ora dimenticò che la gentilezza nei confronti della sua ospite non era affatto spontanea: per evitare indesiderate interferenze, aveva soggiogato Katerina a dormire il giorno del ballo, compreso il giorno precedente – i preparativi l’avrebbero insospettita – e quello successivo.

Strano ma vero, non voleva litigare con lei e sapeva che, se avesse scoperto quello che aveva fatto, Katerina si sarebbe allontanata da lui.

Il suo ultimo pensiero cosciente prima di addormentarsi fu che lei non avrebbe mai dovuto sapere quello che aveva fatto.

 

 

 

 

 

   
 
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