Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Timcampi    10/01/2014    5 recensioni
Era quasi l'alba quando accadde.
Quando si svegliò di colpo, dopo aver visto Marco bruciare ancora una volta dentro la sua mente, non trovò la rassicurante presenza dei poster dei Led Zeppelin e di Blondie, né la sua amata lava lamp. C'era qualcosa, a ostruirgli la vista. Qualcosa che stava a cavalcioni sopra di lui, che lo sovrastava, qualcosa la cui vista lo paralizzò.
L'essere aprì la bocca.
«Chi sono io?»
Genere: Azione, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Christa Lenz, Jean Kirshtein, Marco Bodt, Un po' tutti, Ymir
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Alleati

 

Ymir scosse lievemente la testa, mentre il sibilo d'una risata maligna sfiorava la sottile curva delle sue labbra.

«Ah, stai rendendo il mio compito alquanto difficile» bofonchiò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli scuri.

«Certo, avresti preferito farmi fuori mentre dormivo, non è così? Sarebbe stato molto più semplice» ringhiò Jean, già pronto all'offensiva. Faceva guizzare lo sguardo dalla ragazza alla porta, meditando se fosse più saggio scattare verso quest'ultima in un momento in cui Ymir non se l'aspettava oppure affrontare faccia a faccia e corpo a corpo la propria rivale, ignaro delle possibili armi che poteva nascondere sotto il lungo cappotto.

In tutta risposta, però, l'altra si limitò a portare le mani ai fianchi e a sollevare un sopracciglio, scrutandolo con aria al tempo stesso infastidita e sinceramente curiosa.

«Sei veramente stupido» sospirò infine, sconsolata, come se avesse davvero soppesato con attenzione la sua figura da capo a piedi. «e hai mandato a monte il nostro piano. Ma tutto sommato sono contenta, cominciavo a stufarmi delle tue lagne da “hanno ammazzato il mio migliore amico”»

Seppure non consapevolmente, Jean aveva abbassato la guardia. La osservava con aria interrogativa, del tutto incapace di comprendere con certezza se rappresentasse o meno una minaccia.

«Allora, Jean» continuò Ymir «Hai intenzione di continuare a starmi alle costole, immagino. Oppure te la sei già fatta sotto e vuoi andare a casa a cambiarti? Non c'è problema, ti aspetto qui» biascicò.

«Non ho paura» mormorò Jean, abbastanza incerto della veridicità di quelle parole ma più che sicuro che mostrarsi timorosi di fronte a un potenziale nemico fosse alquanto controproducente.

«E allora piantala di tremolare incollato al muro e seguimi» tagliò corto la ragazza. «Ah, a proposito: bel pigiamino, ragazzino» sghignazzò. Soltanto in quel momento Jean ricordò d'essere in pigiama: probabilmente stava per affrontare la morte e tutto ciò che riusciva a pensare era che l'avrebbe fatto in pigiama.

Ymir lo precedette lungo una traballante scalinata metallica, e Jean la seguì senza fiatare e cercando inutilmente di non soffermarsi troppo sui molteplici pensieri che gli affollavano la testa, dal macabro ritrovamento di sole poche ore prima fino alle parole appena udite. La luce emanata dallo zippo era tanto fioca che Jean non tardò a realizzare che Ymir doveva già conoscere quel luogo abbastanza bene da non aver bisogno d'illumare i propri passi.

Ogni volta che terminavano una rampa percepiva il proprio cuore fare una capovolta. Dovevano essere saliti di tre o quattro piani, quando la sua guida si voltò a guardarlo con la coda dell'occhio.

«Non fare stronzate, ragazzino» mormorò, e benchè il senso di quelle parole suonasse come una minaccia il tono in cui erano state espresse aveva un che di cortese, quasi implorante.

Quando giunsero finalmente a destinazione, Jean potè chiaramente avvertire l'aria addensarsi.

Ymir gli lanciò un'ultima, eloquente occhiata, prima di tirare la cordicella che fece scendere con uno stridente cigolio la scaletta che conduceva al sottotetto. Poi, con uno scatto, lo zippo si chiuse.

 

Il pavimento del sottotetto emise un lamento, quando riuscì a riassumere la posizione eretta. Ne aveva avuto abbastanza, di scale, per quella notte.

Ymir era in piedi accanto a lui.

«Ci sei?» domandò la ragazza

Ma qualcosa, forse nell'intonazione con cui pronunciò quella frase, o forse semplicemente nel modo in cui essa vibrò nell'aria, lo indusse a pensare che non era rivolta a lui.

La risposta giunse un istante più tardi e gli sembrò quasi di sentirne l'eco sconquassargli la gabbia toracica.

«Chi c'è con te, Ymir?»

Era una voce di stoffa strappata, di forbici schioccanti e di noci frantumate, di pioggia contro i vetri e pagine accartocciate, quella che provenne dall'oscurità e che gli congelò il sangue nelle vene. La debole luce delle stelle che penetrava dai vetri dell'unica finestra s'abbatteva sul suo proprietario, rischiarando appena i contorni d'una figura rincantucciata dall'altra parte della stanza.

«Qualcuno a cui piacerebbe vederti» rispose Ymir. Jean udì lo scatto d'un interruttore, poi il ronzio della lampadina che pendeva dal soffitto: una luce giallognola rischiarò l'ambiente, lampeggiando diverse volte prima di stabilizzarsi.

E allora, per la prima volta, potè vederlo.

A una manciata di passi da Jean, con la schiena contro il muro e le ginocchia al petto, c'era qualcuno che non assomigliava affatto a un mostro.

A osservarlo con un mesto languore negli occhi -uno bruno, l'altro completamente candido, la bocca -da un lato della quale sporgeva una irregolare, minacciosa dentatura- socchiusa in un'espressione di puro stupore, la pelle -da un lato butterata, livida, agglomerata in calli e bitorzoli- ornata da un tiepido rossore, c'era un giovane uomo.

Un uomo chiamato Marco Bodt.

«Mi ha seguita» si giustificò Ymir, incrociando le braccia al petto e lanciando a Jean un'occhiata che egli non potè vedere: i suoi occhi erano cuciti sulla figura di fronte a lui, inondati di lacrime completamente diverse da quelle che ne erano sgorgate nei giorni precedenti. Lacrime calde, e dolci.

«Desideravo non venisse coinvolto» mormorò Marco, e a Jean non importava che quella voce gli graffiasse i timpani: era felice di ascoltarla, avrebbe desiderato ascoltarla finchè non fosse sopraggiunta l'alba, soltanto per riuscire a convincersi che Marco era davvero là, che non se n'era mai andato. Che avrebbe potuto finalmente lasciargli scegliere come ripagare il suo debito.

Attraverò la stanza a pugni stretti, per poi chinarsi sugli avampiedi per osservarlo da vicino.

A ben vedere, constatò con amarezza, ben poco era rimasto del suo reale aspetto: l'intero lato destro del suo volto sembrava plasmato da lava infernale, e così la gola, e la mano nodosa e chiazzata che sbucava dalla manica della camicia.

Marco si lasciò studiare con rassegnata costernazione.

«Non era previsto che lo vedessi» ridacchiò, ma non fece in tempo a terminare la frase che le braccia di Jean lo strinsero con una forza disperata. Soltanto quando sentì la camicia bagnarsi sopra la spalla sinistra realizzò che Jean stava singhiozzando.

«Ho visto la tua tomba, Marco, che vuoi che sia questo?» mugugnò Jean. Non aveva la più pallida idea di cosa stesse succedendo attorno a sé, del perchè Marco -viste le proprie certezze a proposito del mandante dell'incendio- fosse ridotto in quello stato e non ridotto in cenere, di quale fosse il motivo di tutta quella segretezza.

«Avresti dovuto dirci che eri vivo invece di piombare nella mia stanza in piena notte, dannazione, per poco non ci sono rimasto secco» asserì, lasciando la presa soltanto per poter abbracciare i suoi occhi con i propri.

«Mi dispiace. Non ero in me. Scusami, Jean»

Il volto martoriato di Marco s'illuminò d'un lieve, dolce sorriso.

Per quanto parte di esso fosse ormai stato trasformato in una terrificante smorfia di dolore, ciò che quel sorriso gli trasmetteva non era cambiato affatto.

«Non eri... in te? Ma ora va tutto bene, non è vero?» rantolò Jean, ma Marco rifuggì il suo sguardo, chinando il proprio sulle travi marce del pavimento e andando a morsicare quel poco che restava delle sue labbra.

«La sua memoria va e viene»

Nulla della sua solita, onnipresente e insopportabile sfrontatezza era presente nella voce e nel volto di Ymir, in quel momento, quando gli parlò. Marco si portò le mani al viso, la più profonda e agghiacciante mortificazione resa uomo.

«Che accidenti significa?» La voce di Jean suonò come una cantilena smorzata.

«Nient'altro che ciò che ho detto. Dimentica tutto: chi è, dove si trova, che faccia ha. Dimentica anche perchè è ridotto in quel modo... Ah, sopportarlo diventa un inferno, in quei momenti. Soltanto di una cosa, non si dimentica mai» brontolò Ymir, enfatizzando l'ultima frase con una nota decisamente canzonatoria.

«E... di cosa si tratta?»

«Di te, Jean» disse Marco. La triste ombra d'un triste sorriso non accennava a lasciare il suo volto.

«Ti cerca. Ogni volta. Come un povero disperato» sospirò Ymir, e a Jean parve quasi che tutta quella faccenda le apparisse divertente.

«E perchè non hai lasciato che venisse da me? Magari durante il giorno»

Ymir sollevò le spalle. Fu Marco a rispondergli.

«Non volevo mi vedessi. Non desideravo forzarti ad accettare qualcuno che non sono»

I riflessi di Jean non furono abbastanza pronti da fermare la gamba di Ymir, prima che il colpo si abbattesse sul lato sinistro del volto di Marco, tanto forte da atterrarlo. E quando, un attimo dopo, balzò in piedi, pronto a colpirla di rimando, non fu abbastanza rapido da sferrare la propria risposta prima che la ragazza gli immobilizzasse entrambe le mani con le proprie. Era forte, incredibilmente forte.

«CHE CAZZO FAI?» ringhiò, ma Ymir si limitò a scuotere il capo, aggrottando la fronte e stringendo la presa fino a che non percepì la collera di Jean farsi sempre più debole tra le sue dita. Fu soltanto quando Marco parlò, che si decise a lasciarlo andare.

«No, Jean, Ymir ha ragione. “Entrambi siamo il frutto di azioni di cui dobbiamo esser fieri”: è così che hai detto, no?»

Ymir annuì.

«Più o meno»

«E comunque non ti ho ancora ringraziata come si deve»

«Te lo dovevo. Dai vecchi tempi»

«Argh!» Jean si frappose tra i due, massaggiandosi energicamente la fronte. Non si era mai sentito tanto confuso in vita sua. «Vi dispiacerebbe spiegarmi di che cazzo state parlando, voi due? “Azioni di cui dobbiamo esser fieri”? Non ci capisco più un tubo»

Ancora una volta, Marco sembrò stringersi in se stesso.

«Vedi, Jean...»

«Ymir» implorò Marco, ma Jean desiderava sapere e Ymir desiderava che sapesse.

«È stato il tuo amico...»

«Ymir!»

«...il qui presente Marco Bodt...»

«Ymir, così gli prenderà un colpo»

Ma quando Ymir apriva la bocca per seminare discordia o confusione o insulti che fosse, non c'era verso di fargliela chiudere: e neppure quella volta vi furono eccezioni.

«...ad appiccare quell'incendio»









 

...Dopo questo capitolo, mi sorprenderei di vedervi ancora seguire questa storia.
Comunque, come vi avevo già avvertito, il mistero continua a infittirsi invece di districarsi, e spero davvero desideriate scoprirne le soluzioni e la fine insieme a me che, dal canto mio, mi scopro sempre più innamorata di questa fanfiction e orgogliosa e felice d'aver cominciato a dedicarmici. 
Ognuna delle vostre recensione, ognuno dei vostri commenti e delle vostre dimostrazioni di supporto verso di me e d'apprezzamento verso questa storia è preziosa, è un tesoro di inestimabile valore, per me. Grazie d'essere qui, grazie se ci resterete.
Vi abbraccio; ovunque voi siate, da qualsiasi città stiate leggendo questa mia storia, sappiate che vorrei essere là ad abbracciarvi. 
A presto,

Timcampi

   
 
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