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Autore: SunriseNina    10/01/2014    4 recensioni
Tra lui e Riou scorreva una terribile mescolanza di complicità, casualità, finzione e incomprensibili –o solamente inesprimibili?- emozioni.
La necessità di ucciderlo si faceva sempre più pressante.

Anno 1788, Parigi. Monarchia di Luigi XVI.
Il destino di Light Dieunuit subisce una svolta improvvisa, quando entra in possesso del terribile dono di un misterioso discepolo del dio azteco Xolotl. Borghese rivoluzionario, capisce immediatamente come sfruttare il potere di decretar la morte per le persone a suo piacimento.
La città di Parigi è scossa dalle morti di numerosi funzionari regi e nobili altolocati: il Re scatena contro questo assassino amico della rivoluzione un investigatore dalle capacità straordinarie perché indaghi sulla serie di morti.
Tumulti, ribellioni, proteste: in questo scenario pittoresco e settecentesco un amore tormentato unirà un'improbabile coppia di giovani uomini, sconvolgendo e intersecando le loro vite per sempre.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: L, Light/Raito, Misa Amane, Soichiro Yagami | Coppie: L/Light
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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~
I can't make my own decisions
or make any with precision
maybe you should tie me up
so I don't go where you don't want me

if God's the game that you're playing
we must get more acquainted
because it has to be so lonely
to be the only one who's holy?
~








 
Il buio che li avvolgeva era spezzato solo da un sottile spicchio di luna, che rischiava vagamente i loro profili. Light poteva scorgere il corpo dell'altro sotto le sue stesse lenzuola e il luccichio malefico delle manette che li univano.
Erano un compromesso stabilito tra Sigismond e il detective austriaco: una catena di due metri, o poco più. Questa era la distanza che era stata decisa per separare il giovane Dieunuit dalla prigione o dalla forca: in cambio della sua vita, il padre aveva dovuto accettare che il figlio fosse costantemente sorvegliato da quello stravagante e inquietante soggetto. Ma che importava quanto misurasse? Il problema stesso era la sua esistenza materiale, la convivenza forzata dei due.
Per Light sembrava che il silenzio fosse completamente sparito dalla sua vita: anche nella più totale assenza di rumori esterni persisteva il metallico tintinnare delle manette. Nelle tenebre di quella prima notte, per di più, anche tenendo immobili le catene, il respiro di Eler gli invadeva le orecchie, la testa, il petto: l'unico modo per ignorarlo era coordinarlo al proprio, ma Light aveva una tremenda paura e non osava farlo. Sarebbe stato come accogliere il respiro dell'altro nei polmoni, stringere una intima collaborazione per vivere, un connubio delle loro esistenze!
Non poteva avvicinarsi ancor di più a lui.
«Light?»
Il ragazzo rimase immobile, cercò di fingersi addormentato.
«So che sei sveglio.»
Si voltò bruscamente verso Eler, immobile accanto a lui con aria pacata e amichevole: «Come mai non riesci a dormire?»
«Potrei chiederti la stessa cosa, Riou.»
«Io sono abituato a non farlo, ma sarebbe meglio per te se ti addormentassi.»
«Ti preoccupi della mia salute. Molto coerente, per una persona che mi voleva mettere in prigione fino a qualche ora fa.»
«Non potevo ignorare dei sospetti fondati, è una questione di onestà. Come potrei definirmi un poliziotto, se non fossi onesto e imparziale?»
Light sbuffò con aria irritata e piena di disapprovazione: «Onestà. Bella parola, davvero; peccato che sia inappropriata, in bocca a te.»
Il viso di Eler assunse subito l'espressione di chi è stato stuzzicato nel suo intimo orgoglio: «Sono onesto, e sempre onestamente mi sono comportato tanto con i miei superiori quanto con te.» Il suo perfetto francese inciampava goffamente.
«Questa è una bugia, non puoi negarlo.»
«Non ho palesato i miei sospetti, certo, ma era legittimo e soprattutto essi erano ovvi: sono sicuro che già li avessi capiti. Sono stato sincero dall’inizio alla fine.»
«Certo, sincero…» disse con un risolino ironico.
«Perché ridi, è la verità.»
«Allora diciamo tutto come sta!» disse iroso «Sincerità, onestà… belle parole, ripeto! Usa la bocca solo per parlare, però, perché baciarmi e assumere atteggiamenti fraintendibili per inguaiarmi non è stato affatto onesto!»
Ci fu un attimo di silenzio, interrotto solo dai loro respiri scoordinati.
«Tu pensi che io lo abbia fatto per questo?» mormorò Eler.
«Che altro motivo avevi, se non quello di ricattarmi?»
L’altro rimase in silenzio per un po’, poi si girò sul fianco e diede le spalle allo sconvolto interlocutore.
«Non posso sopportarti.» gli mormorò Light, che scivolava lentamente in una crisi nervosa.
«Senti…»
«Che vuoi ancora?»
«Quello è stato probabilmente il gesto probabilmente più sincero che io ti abbia riservato. No so se mi delude il fatto che tu non lo abbia capito, ma era decisamente prevedibile e non te ne farò una colpa. Anzi, forse è stato un bene.»
Il cuore di Light risalì lungo la gola del ragazzo, che provò testardamente ad ignorarne la presenza: «Tu farnetichi. Quel che dici non ha alcun senso.»
«Non è un concetto così complicato.»
«Spiegati, allora!» e nemmeno lui sapeva se quello che desiderava fosse che le sue intuizioni fossero confermate o smentite: sarebbe stato un bene o un male? Da una parte il sollievo di condividere quelle emozioni  nuove e profane, ma dall’altro la loro tremenda innaturalezza e scomodità.
Eler giocherellò con l’angolo sfilacciato del suo cuscino, come per tenerlo con il fiato sospeso ancora per un po; rigirò alcune parole tra le labbra, poi le sussurrò: «Mi attrai parecchio, Light. Tutto qui.»
Quelle parole lo travolsero come un fiume in piena: l’acqua gelata gli corse lungo il corpo, giù nei polmoni, intorpidendogli ogni muscolo e rendendogli impossibile il respiro. Sentì la propria anima liquefarsi e scorrer via in quel torrente trascinante, lasciandolo inerme, puro e al contempo vuoto: e che altro effetto avrebbero potuto avere quelle parole?
Tutto si era devastato, spazzato via dall’irruenza dell’acqua. Rimanevano loro due, inermi mortali sul letto del fiume, spiriti nudi e freddi.
Light si avvicinò a Riou, suo unico compagno in quella valle di nulla assoluto: non senza titubanza, lo abbracciò stringendosi alla sua schiena. L’altro non si mosse, anzi, sollevò un poco il busto perché le braccia dell’altro potessero cingerli completamente il busto. Nessuno dei due osò parlare ancora: qualsiasi frase avrebbe rotto quell’equilibrio precario per cui i due riuscivano ad assumere un simile atteggiamento, dimenticando qualsiasi cosa che non riguardasse quel preciso istante.
Non importava più, in quella frazione di tempo, del mondo esterno: il Quaderno della Morte, la rivoluzione, il caso che Eler stava risolvendo, gli amici rivoluzionari… nulla aveva più un significato rilevante, davanti a quell’abbraccio. Il maledetto diverbio da tra bene e male era una sciocchezza, una frivolezza che poteva essere accantonata in un angolo, almeno per quella notte.
Stretti sotto la segretezza delle coperte e consolati da quell’intima solitudine –perché l’inondazione della verità aveva lasciato vivi solo loro due-,  si addormentarono.
 
 
 
 
«Sbrigati a prepararti.»
«Dove andiamo a far colazione?»
Light scrollò le spalle, allacciandosi velocemente la camicia: «Dove preferisci.»
Eler annuì, mentre con fare placido e tranquillo indossava i suoi umili vestiti. Per chi lo vedeva dall’esterno era facile scambiarlo per l’apprendista di un calzolaio, ma chi viveva a stretto contatto con lui –e chi, più di Light?- sapeva quanto altolocata fosse la sua posizione.
Light notò vaghi segni biancastri sulla sua schiena. La sua discrezione gli impedì di far domande, ma all’altro non sfuggì il suo sguardo: «Ero un ragazzo vivace. Prendevo molte botte dalle suore, ma non posso dire che non avessero ragione.»
Light annuì, senza voler troppo capire cosa questo sottintendesse: Eler era complicato da affrontare al presente, conoscerne il passato lo avrebbe reso solo più pesante e incontrastabile per l’animo del dio incatenato.
«Vado in bagno, non scappare nel frattempo.»
Light fece un risolino: «Sissignore.»
Appena l’altro sparì, si gettò verso la propria scrivania: che fortuna disumana, che l’investigatore non avesse frugato tra i suoi cassetti disordinati!
Cercò tra i fogli e i libri gettati alla rinfusa, reliquie del suo tranquillo e glorioso passato da studente: quasi lo rimpiangeva, nella sua situazione di divinità decaduta.
Doveva trovare quel quaderno e nasconderlo sotto qualche asse sconnessa, oppure strapparne la copertina e… no,  no! Chi gli assicurava che questo non gli avrebbe causato problemi? Tante volte si era domandato dove risiedesse il fulcro di quel potere, e non doveva intaccare nemmeno un angolo di quello strumento demoniaco, per mantenere vivo il suo potere. Ma dov’era, dov’era il Quaderno della Morte?
Aprì l’ultimo cassetto con una furia quasi disperata: in cima a una risma di fogli usati vi era un piccolo foglietto sgualcito, fermato da un ciottolo raccolto palesemente dalla strada.
Lapidarie come le tristi frasi di un’epigrafe, ecco le parole che quel misterioso e terribile messaggio portava: “È in un posto sicuro.”
 
 
Inizialmente Light aveva valutato quel compromesso delle manette scomodo e preoccupante: ma in quel momento, davanti agli occhi stupiti dei parigini più mattinieri, lo considerava soprattutto imbarazzante.
Eler, invece, sembrava terribilmente a suo agio; questo non faceva che indisporre maggiormente il giovane Dieunuit, la cui mente era già affollata da ben più grandi preoccupazioni.
Il quaderno era sparito, e lui non aveva idea di come fosse possibile; o meglio, non riusciva ad accettare l’idea che qualcuno fosse sgusciato in casa loro di notte, vedendoli abbracciati e teneramente assopiti insieme, per sottrargli un oggetto tanto prezioso e pericoloso.
Inoltre, per quel che Light sapeva, solo una persona era a conoscenza del suo onere di giustiziere: ma i suoi tratti già si mescolavano nella memoria, divenendo confusi e a tratti quasi fantasiosi e inverosimili.
«Il suo tè, signore.» disse una voce roca con forzata gentilezza.
Prese la tazza, ringraziando il cameriere con un cenno del capo, e iniziò bere lentamente la bevanda quasi bollente. Il suo sapore lo stupì: non aveva mai assaggiato una miscela simile. Non riusciva nemmeno a dire se fosse meglio del normale tè indiano che importavano a Parigi, da quanto quel gusto fosse differente da ciò a cui era abituato.
Iniziò a chiedersi da dove provenisse: un aroma delle Americhe? Africa? O una qualche particolare coltivazione del Sud dell’India?
Varie immagini gli attraversarono la mente: i fiumi imponenti del Nilo, del Gange e del Rio delle Amazzoni; i profumi inebrianti delle spezie, il fruscio delle secche erbe della savana e il rumore degli acquazzoni nelle foreste pluviali.
 
Eler si voltò verso Light: barcollava leggermente, chinando inconsciamente la testa come in preda a un sonno terribile.
«Ti senti bene?» gli chiese, perplesso.
L’altro si fermò, trovando molto difficile l’operazione di sostenere il peso del proprio corpo; annuì velocemente, poi biascicò: «Tranquillo, possiamo andare.»
Uscirono dal locale, ma dopo pochi passi Light divenne una zavorra attaccata al polso di Eler. Il giovane austriaco gli rivolse nuovamente la stessa domanda, ma la risposta fu decisamente più eloquente: le pupille di Light si voltarono, e il giovane cadde in terra privo di sensi.
 
 
 
 
 
 
 
La cosa peggiore dell’oblio è la sua consistenza densa e pesante.
Ti saresti mai immaginato che fosse così, Light?
Ingoia ogni movimento, ogni respiro.
Sprofondi, come in un oceano di silenzio e rumori che l’orecchio umano non riesce a comprendere.
E improvvisamente non sei che un frammento di nulla, nell’immensità dell’universo.
 
 
 
 
 
 
«Chi si rivede.»
Light non riusciva a prendere coscienza del proprio corpo: dov’era finito, quell’ammasso di carne? Era solo, barcollante, etereo.
Chi gli parlava?
«Non pensavo che bastasse così poca Nectandra per portarti qui… meglio per me.»
Quella voce gli sembrava familiare. L’aveva sentita poco prima… poco prima di cosa?
«Che cosa stai farfugliando? E chi sei, dannazione!»
«Ti sei già dimenticato?»
Quella cadenza nell’accento, il tono sarcastico e la risatina soffocata e grottesca. Il cameriere? Sì, il cameriere! E purtroppo non solo lui!
«Sei… sei tu? Il sacerdote, o come ti sei fatto chiamare ...»
«Non ricordi nemmeno a chi hai offerto la tua anima... Sei ridicolo. In ogni caso preferisco essere chiamato sciamano.»
«Dove sono?»
«Non capisci nulla, vero? Qui non sei.»
«Voglio andarmene. Non riesco a respirare.»
«Te ne andrai presto, non preoccuparti; ma non prima di aver pagato un pedaggio.»
L’agitazione crebbe in lui, trasformandosi rapidamente in panico: «Cosa stai dicendo? Io non ti devo niente!»
«Non ti preoccupare, non è nulla di doloroso… Ma anche se lo fosse, non te ne ricorderesti.» di nuovo quella risata infernale, fredda e pungente.
«Ti prego… ti prego, lasciami andare… Cosa ho fatto di male?»
«Ti sei cacciato in grossi guai, Light Dieunuit. Non posso rischiare che il mio prezioso quaderno rimanga in mano a una persona imprigionata come te… Presto scopriranno te e i tuoi amici, e allora ti impiccheranno, e Xolotl sarà estremamente felice di ricevervi. Sono già molto generoso con te: per farti tacere non mi sto prendendo la tua vita, ma semplicemente la tua memoria.»
Una mano raggrinzita, grigia e putrefacente fuoriuscì dall’informe massa dell’oscurità, puntando le unghie giallastre verso di lui: e a quel punto Light, in preda a un destabilizzante déjà-vu, ricordò.
Quella stessa mano si era avvicinata alla sua fronte alcuni mesi prima, con lo stesso identico gesto, accompagnato da delle parole che solo in quel momento risuonavano nella loro terribile verità: ”Voglio solo la tua memoria. Nel caso la tua fedeltà a Xolotl venisse a mancare.”
«No! Ti prego, posso essere ancora utile al tuo Dio! Io posso ancora donargli un sacco di vite, datemi una possibilità, una sola…»
«Ormai ti sei legato al diavolo, come potresti essere un Dio?»
Si riempì di vergogna e di furore: «Mi libererò di quelle manette, lo giuro!»
 
«Le manette?!» un’ultima, tremenda risata risuonò in quell’anfratto di cosmo.
 
«Proprio non ci arrivi, vero, Light Dieunuit?»
 
 
 
 
 
 
Mille spilli gli trapassavano il cranio, il gomito sinistro pulsava innaturalmente in preda ad un fioco dolore: dove si trovava? Gli sembrava di essersi risvegliato da un sonno profondo quanto lungo, come se l’eternità si fosse appena interrotta.
Era sdraiato su delle lenzuola candide e familiari: aprì con difficoltà gli occhi e si guardò intorno. Impiegò un paio di secondi a realizzarlo, ma era in camera sua, al sicuro.
«Light?»
Il ragazzo si voltò: Eler lo guardava con sorpresa dall’uscio. Era a piedi nudi, indossava solo i pantaloni e la maglietta con le maniche rimboccate: tra le mani aveva un panno umido, che probabilmente intendeva posargli sulla fronte.
«Ciao, Riou.» la sua voce era roca e impastata, ma l’altro sembrò entusiasta di quei blandi segni di vita: gettò in terra lo straccio –non aveva mai, mai fatto nulla di così palesemente emotivo davanti a Light prima d’allora- e, gettandosi sulla sponda del letto, lo strinse in un abbraccio soffocante.
«Ti sei svegliato, finalmente.» mormorò, facendogli sentire il respiro caldo sul collo.
«Hai intenzione di soffocarmi? Dai spazio ai miei polmoni.»
Eler allentò la morsa e si alzò a rimirargli il viso.
Light si sentiva profondamente confuso, la sua mente era al contempo assopita e scombussolata; ma la vista di quel volto amichevole lo rincuorò, e non poté fare a meno di sorridere.
L’altro sembrò vacillare, cercando di mantenere un’aria contenuta e apatica come al solito: ma la farsa durò pochi secondi. Si abbassò verso di lui e gli diede un lieve bacio sulle labbra, delicato e sfuggente come un soffio di brezza: e al pari di un vento fresco, fece scorrere un brivido lungo la schiena di Light.
Con la stessa velocità e misticità con cui era entrato nella sua vita, il Quaderno della Morte sparì dalla sua mente: e annegando tra i suoi pensieri ancora vaghi e stanchi, Light si aggrappò a Riou, alla sua presenza, al suo corpo, a quelle sue labbra tanto segretamente desiderate.
Le manette erano abbandonate in un angolo del letto, insignificanti.













Note Autrice.

Siamo arrivati a un punto che penso possa essere definito fondamentale: Light, come nell'opera originale, perde la memoria (in questo caso contro la sua volontà).
Ho pensato a DECINE di modi in cui questo potesse accadere, compresa l'ipotesi di fargli planare un pianoforte in testa: spero vi sia piaciuta l'idea di mantenermi sul "surreale-ma-non-troppo" per il personaggio di Ryuk-umanizzato, e di fargli sottrarre la memoria di Light in una sottospecie di trance.
Fonti e piccoli accenni di maniacalità:  la Nectandra è una pianta che veniva usata dagli sciamani dell'America Latina nei loro rituali di cura, meditazione e auto-ipnotismo. In realtà è sostanzialmente un rimedio per piccoli malanni, febbre et similia. ( se volete essere sicuri, c'è addirittura wikipedia. )

Il testo all'inizio è di "Playing God", dei Paramore. Terribilmente adatta.


Nina.
 
   
 
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