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Autore: isjawaad    10/01/2014    2 recensioni
||Zayn non c’era. Zayn non c’era, ma lei lo sentiva, lo sentiva ogni volta che voleva, che ne aveva bisogno, perché il suo non esserci stato mai lo rendeva da sempre presente nel suo cuore. ||
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zayn non c’era.

 
 
La musica rimbombava nella sua testa, la sentiva vuota, allo stesso tempo pesante, i suoni erano capaci di rimbalzare da una parte all’altra del cranio, come una partita di ping pong, sarebbe svenuta, lo sapeva, e nessuno l’avrebbe presa al volo, si, anche questo lo sapeva.
Il nero cominciava ad offuscargli la vista, inesorabilmente, come arriva la notte per succedere al giorno, come le giornate si ripetevano una dietro l’altra, l’una uguale all’altra, quasi in fila, verso la finale condanna.
Si sedette su una panchina, una panchina sola, davanti alla piscina, era lì proprio per lei, sembrava che qualcuno la volesse salvare con quella panchina e così si senti meglio. Lei era un po’ come quella panchina. Una panchina sola, lontana da tutto e da tutti, ma, non ci crederete, lei c’era per gli altri, c’era quando c’era bisogno di aiuto o quando semplicemente Rose non sapeva che paio di scarpe mettere per la festa, lei c’era, c’era per indicargli quelle con il tacco alto, che riuscivano a rendere quel polpaccio muscoloso, una bella gamba femminile.
Storse il naso, lo storceva sempre quando stava male, era un’altra di quelle azioni che faceva per mascherarsi, era una specie di falso gesto, lo faceva così, non perché gli prudesse, ma perché almeno la gente avrebbe pensato a quel problema, il problema del naso, e non a tutti gli altri che affogavano la sua vita e che la facevano sprofondare nel vuoto man a mano, piano come una locomotiva in partenza.
‘Tutto okay? Oggi vi ho fatto lavorare di brutto, mi dispiace ma avete le gare fra una settimana.’
Avete presente quelle ragazze che stanno a casa a leggere? Quelle con i maglioni, si, con il tè, tutte quelle cose rilassanti e calde, bene, lei voleva essere proprio così. E invece no, era un po’ il contrario. Era un po’ il gelo e il freddo insieme, il costume bagnato appiccicato sulla pelle, le gocce raffreddate che scivolano sulle guancie. Si guardava le gambe e pensava che non sarebbe andata da nessuna parte. Erano così instabili, forti si, pompate di muscoli, ma deboli nelle decisioni, nelle scelte, nel futuro.
Dove l’avrebbero portata quelle gambe?
Si alzò e si diresse sotto la doccia, non vedeva bene dove andava, si fece scorrere il flusso gelido sulla fronte, cominciò così a sentirsi meglio. Lavava i capelli, che erano un po’ un groviglio, un po’ di fili messi lì insieme, alcuni superavano la gravità e salivano su, altri scendevano, erano un po’ una palla quei capelli, nessuna mano li avrebbe mai accarezzati con fare protettivo, magari donando un bacio delicato sul capo. Dopo aver finito si avvicinò lentamente allo specchio, si, era sempre così lenta dopo aver nuotato, era come uscire da un film troppo veloce, un film che non finiva mai, ammorbante, opprimente.
Si specchiò nella lastra appesa vicino al bagno, avrebbe voluto frantumarla, buttarla giù e prendere a saltarci sopra, senza ciabatte, a piedi nudi, per stare male.
Invece non fece niente, si specchiò e vide scritti nella nebbiolina condensata due nomi, sommati, si, facevano il solito cuore di merda, quel cuore accompagnato dal solito ‘per sempre’, che poi non durava neanche l’attimo di dire ‘ti amo’.
Immaginò lì, vicino a lei una figura possente, di quelle magroline, minute ma che danno potenza, che se ti stringono troppo forte sono capaci di farti male, quelle persone che sono delicate per scelta. Vedeva accanto a sé quella persona che sorrideva giusto un po’, non troppo, altrimenti sarebbe stato cattivo, sapete, quel sorriso sapeva ferire come nessun’altra lama riusciva a fare, e lei lo sapeva si, lo sapeva bene. Quel sorriso giusto un po’ accennato e quegli occhi che completavano l’opera d’arte, ci potevi leggere la malinconia in quegli occhi, il mare d’inverno, la calma della sua anima, il dolore mascherato, le sigarette fatte di ricordi. Potevi leggerci un ragazzo vero, di quelli senza maschere, di quelli che le telecamere non cambieranno mai, di quelli che le cose le dice in faccia, altrimenti non le dice proprio.
Silenzi.
I silenzi li riuscivi a percepire in quel tono, quella voce silenziosa che però quando canta riesce ad aprire qualsiasi porta, ad avanzare contro ogni confine, ad entrare in ogni cuore. Ma soprattutto nel suo. Nel suo cuore ci era entrato come una legione romana, con tanto di formazione a testuggine, l’aveva aperto, lacerato, dopo essere entrato l’aveva richiuso, l’aveva cucito, ora era dentro, non ne sarebbe più uscito.
Era tardi, sarebbe dovuta andare, provò a togliere la matita calata a causa dell’acqua ma non ci riuscì.
Guardò in fondo, di nuovo nello specchio. Zayn non c’era. Zayn non c’era, ma lei lo sentiva, lo sentiva ogni volta che voleva, che ne aveva bisogno, perché il suo non esserci stato mai lo rendeva da sempre presente nel suo cuore. 
  
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