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Autore: Mrs Maddox    11/01/2014    5 recensioni
-" William,c-che cosa sei...tu?"- balbettai, con la poca voce che mi restava.
Lui chiuse un attimo gli occhi,con aria disperata, e appena li riaprì mi disse quello che non mi sarei mai aspettata di sentire. Furono le ultime parole che percepii, prima di sentire le mie gambe cedere, cadere a terra e sprofondare nel sonno.
-"Io sono uno Shadowhunter, un cacciatore di demoni"-
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Storia ambientata nel XXI° secolo nonostante alcuni personaggi, che fanno parte di Shadowhunters- Origini, siano nel XIV° secolo. Inoltre i personaggi sono gli stessi ma la storia è completamente diversa: infatti nessuno degli avvenimenti di cui si parla nei libri di shadowhunters è già accaduto. Ci tengo a precisare che ho citato anche alcuni personaggi di TMI. Nonostante questi siano vissuti nel presente, nella mia storia fanno parte del passato. L'opposto avviene con quelli di Shadowhunters_le origini, che,invece, si ritrovano nell'epoca moderna.
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Appena  i due ragazzi fecero il primo passo all’interno dell’edificio, tutti si gettarono su di me.
-“Felice di conoscerti,cara”-
-“com’è andato il viaggio? E ti senti meglio?Abbiamo saputo della febbre che hai avuto ieri notte…”-
-“Will e Jem  ti hanno spiegato tutto?”-
-“Sei affamata?Stanca?Hai bisogno di qualcosa?”
Quelle voci diverse riecheggiavano nell’ampio atrio generando una confusione caotica. Già qualche secondo dopo mi sentivo la testa pesante. Troppe domande. Troppo fracasso.
Fortunatamente intervenne Will, come se avesse percepito la mia agitazione. Ultimamente sembrava fosse il mio angelo custode. Insomma, mi aveva salvata alla festa e portata a casa sua.  Mi avrebbe aiutata anche quella volta.
-“Basta con le domande! Emily è ancora molto confusa, diamole una stanza e lasciamole del tempo per pensare”-
Aveva parlato con tono così saldo che tutti ammutolirono. Nessun rumore, silenzio totale. L’unica nota stonata era il gatto nero col pelo ispido, a giudicare dall’aspetto anche abbastanza anziano, che miagolava ai piedi di uno dei tre domestici. Anche loro avevano contribuito alla confusione, scambiandosi pareri, probabilmente sul nostro arrivo. Erano tre donne sulla cinquantina, con solo qualche capello bianco, e indossavano la fascia in testa e la divisa nera., tipiche delle cameriere.
-“Hai ragione,Will . Vado a chiamare una delle altre domestiche così che potrà condurre Emily alla sua stanza e si occuperà di lei durante il suo soggiorno.”-
Fu tutto quello che disse la donna alla sinistra di Will, prima di scomparire lungo il corridoio. Doveva essere il capo dell’istituto, data la sua compostezza e fermezza. Tuttavia era una donna minuta ma dai bei lineamenti.
Non aveva l’aria di essere troppo autoritaria ed esigente, anzi ispirava simpatia.
Le domestiche e l’uomo vicino a lei, con in braccio un bambino moro dagli occhi nocciola,  svoltarono nel corridoio opposto, facendo  ad Emily  solo un breve cenno di saluto con la mano. Gli unici altri rimasti nella stanza erano Jem e Alison.
-“Emily”-disse Will –“Credo tu voglia scambiare qualche parola con Alison.  Io e Jem vi lasciamo sole.”
Ed ecco che anche i due ragazzi si allontanarono verso un’altra stanza.
 
EMILY’S POV
Appena rimanemmo sole, Alison mi venne incontro e mi strinse a sè.  Rimanemmo abbracciate per un po’ senza proferire parola.
Eravamo state lontane per parecchie ore.
Capitava di rado che non ci sentissimo per così tanto tempo; di solito parlavamo al telefono, per messaggio, o semplicemente ci incontravamo di persona.
Durante quelle ore non avevo avuto il tempo e la possibilità di contattarla in qualche modo. Il mio telefono aveva lo schermo totalmente scheggiato(probabilmente quando ero caduta, quello aveva colpito il pavimento talmente forte da rompersi).
Sembrava non funzionassero più neanche i tasti esterni.  Non potevo chiamare da altri telefoni perché non conoscevo il suo numero a memoria.  
Dopo una trentina di secondi, fu Alison la prima a scostarsi.
-“Non è fantastico? Esiste un mondo invisibile,  shadowhunters, spade angeliche, nascosti,  rune, di cui solo ora noi veniamo a conoscenza.  Riesci a immaginare quante cose impareremo qui? Chi incontreremo? Quanti..”-
Le tappai la bocca con la mano. In quel momento Alison era come un fiume in piena, avrebbe continuato il suo discorso per qualche altra ora se non l’avessi fermata.
-“Si, Alison. E’ fantastico, ma è anche strano. Insomma …. un mondo invisibile, demoni, cacciatori.
Credo che dovremmo fare attenzione, non sappiamo ancora se possiamo fidarci di loro. All’apparenza sembrano delle brave persone, questo è vero, ma chi può dirlo. Magari ci hanno rapite e non salvate. Potrebbero averci fatto una specie di lavaggio del cervello. Forse tutte quelle “cose” nere, che loro chiamano demoni, ce le hanno  fatte immaginare. Non conosciamo nessuno di loro,  meglio tenere gli occhi aperti.”-
Alison aveva una strana espressione in volto. Che fosse rabbia? Dispiacere? Di certo niente di buono.
-“Perché non riesci mai a fidarti delle persone? Ci hanno aiutato, offerto la loro casa e la possibilità di capire davvero chi siamo e “cosa” siamo. Io mi fido di loro e ho preso la mia decisione. Io resto, tu fa come vuoi.”-
Uscì a grandi passi dalla stanza, andando nella stessa direzione degli altri. Probabilmente le era già stata assegnata una stanza e si stava dirigendo proprio lì.
Ogni volta che litigavamo, o meglio, discutevamo, Alison interpretava la parte della vittima, convinta che io prima o poi mi sarei scusata.
E infatti mi decidevo sempre a dargliela vinta.
Le nostre discussione non riguardavano mai argomenti seri ma sempre sciocchezze: per esempio su chi doveva truccarsi per prima,o comprare il vestito che avevamo adocchiato entrambe,o persino su chi dovesse accaparrarsi l’ultimo pacchetto di Oreo alla macchinetta della scuola.
Quella però era una questione abbastanza seria.
La decisione di restare o no in quel luogo avrebbe potuto compromettere la nostra intera vita. A poco a poco mi stavo convincendo sempre di più della validità di tutta quella storia e infatti alla fine avevo accettato di rimanere all’istituto.
Nonostante ciò  avrei aspettato ancora un po’ prima di concedere totalmente la mia fiducia a quelle persone.   Mi sarei documentata sull’esistenza e le caratteristiche di questo strano “mondo invisibile”.
C’erano cose più importanti a cui pensare e il litigio non era tra quelle.
-“Vuole seguirmi, signorina Whiterose?”-
Sobbalzai. Una donna in divisa nera era esattamente dietro di me. Non aveva un’aria amichevole. Evidentemente era la cameriera che avrebbe dovuto accompagnarmi alla stanza.
-“Ehm..certo”-
Nessuno mi aveva mai chiamata Signorina Whiterose. Sempre e solo Emily.  Era una strana sensazione sentire che qualcuno mi aveva chiamata con il mio cognome.
Di certo non ero abituata a ricevere tutte quelle attenzioni e essere trattata come un tesoro inestimabile, da accudire e controllare.
Decisi di seguirla attraverso il lungo corridoio di marmo bianco, stesso materiale che rivestiva il pavimento dell’ingresso.
 Alle pareti erano appesi quadri che raffiguravano probabilmente nobili shadowhunters: tra le targhette scorsi diversi nomi, tutti a me sconosciuti: A. starkweather, J. Fairchild, A. Penhallow, e anche … Clarissa Fairchild Morgensten.
Mi soffermai un po’ di più su quel dipinto a olio. Raffigurava a mezzo busto una donna vestita in abito dorato da cerimonia. Al tempo in cui era stata ritratta non doveva avere sicuramente più di una ventina d’anni; la sua età era facilmente intuibile dai tratti delicati e giovani del viso.
Si distingueva il colore intenso delle sue iridi verde smeraldo,e i capelli rossastri erano acconciati in una lunga treccia al lato che lasciava ricadere sulle guancie solo qualche riccio ramato.  Il  suo sorriso smagliante e sincero era la prova della felicità che provava in quel momento. Sullo sfondo c’erano vasi colmi di fiori bianchi e dorati e la camera(probabilmente il soggiorno) era addobbata da nastri e petali.  L’anello luccicante che portava al dito e stringeva convulsamente come se fosse stato quanto di più prezioso avesse al mondo , era la prova finale che quello era il giorno del suo matrimonio. 



Evidentemente mi ero fermata ad osservare quel dipinto un po’ troppo a lungo, poiché mi ritrovai la cameriera alle spalle, intenta a guardarmi con sguardo truce. Batteva il piede a tempo sul pavimento, segno di aver perso la pazienza, e incrociava le braccia al petto.
Sembrava uno di quei soldati duri e insensibili che durante il lavoro non mostrano nessuna emozione.
-“Vuole seguirmi o no, signorina?”-
Annuii, mortificata. Il poco tempo trascorso in sua compagnia mi era bastato a farmi un’idea di lei: quella donna era fredda come il ghiaccio.
Mi fu assegnata una stanza abbastanza ampia ma non assomigliava per niente alla mia vecchia camera da letto.
Quella era spoglia, cupa. Le pareti erano di una tonalità strana, tra il grigio e il verde scuro. L’unica fonte di luce era una finestra, non troppo alta, sulla parete destra, da cui pendeva una tenda rossa.

Trascorsi mezz’ora stesa sul letto con le cuffie nelle orecchie,una delle poche cose che avevo  nella tasca della giaccia, insieme a 20 sterline e la carta di una caramella al caffè. Il letto occupava quasi un quarto della stanza: era a baldacchino, in legno di frassino, e , ad un’analisi più attenta,  aveva una piccola incisione.
Sulla testata del letto, nell’angolo destro c’era infatti una piccola scritta. Mi tolsi e cuffie e mi avvicinai per leggerla.
<< Voglio bene a tutti voi. T. >>
T? Chi mai poteva essere stato? Probabilmente una di quelle persone dell’istituto che però ancora non conoscevo o una dei loro antenati vissuti lì molto tempo prima. I miei pensieri furono interrotti da un rumore che proveniva dalla porta.
-“E’ permesso?”- Era Will, che indossava dei pantaloni scuri e una strana tunica nera, tenuta in vita da una cintura, anch’essa dello stesso colore.
-“Certo, entra”- dissi, aggiustandomi i capelli e spostandomeli sul viso.
Tentavo di nascondere il lieve rossore che mi era apparso sulle guance, che a poco a poco si faceva sempre più intenso. Che stava succedendo? Mi ero forse presa una leggerissima cotta per quel William Herondale ? Impossibile. Lo conoscevo da appena un giorno. Era simpatico,sì, e carino … ma non poteva piacermi. Eppure …
-“Che stavi facendo?”-
La sua voce mi riscosse da quei pensieri.
-“Mi ero fermata a leggere questa scritta”-la indicai-“ <> chi è questa T?”-
Will era immobile, come un manichino, bianco in volto. Probabilmente neanche lui era a conoscenza di quell’incisione e si vedeva che l’aveva colto di sorpresa.
-“Ecco..T  è.. Tessa. Tessa Gray.”-
-“Chi è questa Tessa?”-. Non riuscii a reprimere una punta di gelosia nel vedere la faccia di Will mentre raccontava. Quella ragazza doveva essere stata sicuramente importante per lui.
-“Tessa è una Shadowhunter. Era venuta a Londra per imparare ad addestrarsi come tale. Il fratello, un semplice mondano, voleva che lei imparasse ad essere una brava cacciatrice ma era stato il primo ad accorgersi che non era ciò che lei voleva. Il suo sogno era andare a New York e diventare una scrittrice. In quei pochi mesi che è stata qui ho avuto modo di conoscerla.  E’ sempre stata gentile con me e devo ammettere … che lei un po’ mi piaceva. Questo mio interesse, però, sfumò qualche settimana dopo la sua partenza. Il fratello alla fine le aveva permesso di lasciare l’istituto e seguire i suoi sogni. Qui era amata da tutti e infatti non uno di noi fu felice che lei se ne fosse andata. Tuttavia rispettammo la sua decisione.  Non era mai stata una di quelle ragazze dai “ti voglio bene” continui.  Si era integrata bene ma c’era sempre stato un muro sottile tra lei e noi, infatti non avremmo mai scoperto la vera Tessa. Nonostante ciò avevamo un buon rapporto e, anche se non abbiamo avuto più sue notizie, non la dimenticherò mai”-
Ci fu silenzio. Nessuno di noi era capace di parlare. Will mi aveva appena raccontato quella storia come se fossimo amici da tempo e io non sapevo come reagire.  Mi era difficile credere che stesse svelando i propri sentimenti proprio a me. Fu lui a rompere il silenzio trenta secondi dopo.
-“E’ il momento di andare. Inutile pensare al passato ormai. All’inizio ero venuto qui per portati in un posto che vorrei farti vedere. “-
 In quel momento la stessa cameriera che mi aveva scortato alla stanza entrò con dei vestiti in mano. Erano uguali a quelli di Will, con la differenza che sulla tasca davanti non era cucito il suo nome, bensì il mio. Emily. Il mio nome, scritto a caratteri corsivi e cucito con un filo dorato, risaltava su quella sorta di tunica, come una cometa in movimento su un immobile cielo stellato.
  “Indossa questo e poi esci. Ti aspetto fuori”
Detto questo, mi rivolse un ultimo sorriso prima di voltarsi e sparire dietro la porta.
Mi vestii in fretta, rifiutando l’aiuto della cameriera che si era offerta di darmi una mano. Dato il suo precedente comportamento, pensai che si fosse proposta non per cortesia ma perché era il suo lavoro. Non sembrava, però, che fare la domestica le piacesse. Dal momento che ero capacissima di vestirmi da sola, le dissi che non avevo bisogno di tutte quelle premure. Cominciava già a stancarmi essere servita e riverita. Non mi piaceva ricevere tutte quelle attenzioni.
Uscii dalla stanza  e mi ritrovai davanti Will. Peccato che non fosse solo. Un’altra cameriera le stava letteralmente appiccicata. Will sembrava non mostrare alcun rifiuto alla sua compagnia, anche se era la ragazza l’unica ad alimentare la conversazione con quella sua voce fin troppo acuta. Odiosa. Will alzò la testa e solo allora sembrò accorgersi di me.
-“Ah, eccoti Emily. Ti presento Sarah, è stata assunta questa mattina da Charlotte, la donna con cui hai parlato all’ingresso nonché capo dell’istituto.” Poi Will si rivolse a Sarah.
 –“Sarah, lei è Emily, anche lei è nuova qui.”-
-“Piacere …”- Rispondemmo all’unisono, entrambe usando un tono piuttosto arrogante. Lei già non mi piaceva, ed ero sicura che la cosa era reciproca.
-“Bene, adesso dobbiamo proprio andare. Ci vediamo, Sara.”- concluse Will, che sembrava non aver notato le occhiate omicide che ci stavamo scambiando io e la cameriera.
Lei lo salutò con un bacio sulla guancia e poi girò i tacchi, senza neanche degnarmi di uno sguardo. La mia antipatia cresceva sempre di più.  Dovevo, però, fermare le mie riflessioni su quella ragazza perché Will stava già correndo avanti, trascinandomi per il polso.
-“Veloce!Non perdiamo tempo!”- disse, con il tono simile a quello di un bambino che a Natale aveva appena  ricevuto il regalo che desiderava da tanto.  Non potei fare altro che seguirlo, correndo come non facevo da molto.
 
 
ALISON’S POV
Già avevo dimenticato dove fosse la mia stanza. Non c’era da meravigliarsi, quel posto sembrava infinito data l’immensa quantità di stanze.  Corsi lungo il corridoio finché non mi rinchiusi in una stanza. Ricordavo che quella fosse la mia ma non ne ero sicurissima. Lì le camere erano tutte identiche: pareti scure, tende rosse e letto a baldacchino. Mi lanciai sul letto, sfinita, e mi voltai con il viso rivolto al soffitto. Mi misi le mani nei capelli. Ero nervosa e dispiaciuta.
-“Perché deve essere tutto così complicato?”-dissi a me stessa.
-“A che ti riferisci?”-
Una voce, stranamente familiare, mi fece alzare di scatto e quasi lanciare un urlo per lo spavento.  Spostai freneticamente lo sguardo su ogni angolo della camera prima di accorgermi della figura vicino alla finestra girata di spalle.
Era Jem. Stava appoggiato alla parete e la pesante tenda lo copriva quasi del tutto.
-“Che ci fai lì?”- Gli dissi, forse con un po’ troppo impeto, prima di accorgermi che ero io quella fuori posto. Quella non era la mia camera, ma di Jem.
Ne ebbi la certezza guardando i vestiti maschili piegati accuratamente su una di quelle sedie, una lunga fila di CD di una band(mai sentita) e alcune cornici con delle foto di lui e Will sul comò vicino al letto. Mi sentii improvvisamente in imbarazzo.
-“Beh, questa è camera mia. Che cosa ci fai Tu qui?”- Aveva pronunciato quel” tu” ridendo sottovoce. Sprofondai ancora di più nella vergogna.
-“Credevo che fosse camera mia. Scusami. Le stanze qui sono tutte uguali e ancora non sono abituata a..”-
-“ si si va bene, calma.”- Rise-“ Non preoccuparti. Piuttosto … a cosa ti riferivi prima?”-
-“Ah … prima”- iniziai –“ Ho litigato con Emily. Ha ancora qualche dubbio su tutta questa storia degli shadowhunters e mi ha fatto il solito discorso da “mamma” sulla fiducia e tutto il resto. Mi ha di nuovo trattata come una bambina impulsiva che fa le cose senza pensarci. Le voglio un bene dell’anima ma non sopporto quando ha quell’atteggiamento con me”
“E’ normale che sia confusa.
Anche io lo sarei se da un giorno all’altro mi ritrovassi in un istituto, in mezzo a dei cacciatori di demoni. Non esserne dispiaciuta, prima o poi si renderà conto che voi fate parte di questo mondo tanto quanto noi.  Non compromettere la vostra amicizia per simili sciocchezze” – rispose.
In un certo senso quelle parole mi avevano tranquillizzata e fatto cambiare idea. Sarei andata scusarmi con Emily esattamente in quel momento.
-“Si, hai ragione. Vado a chiedere scusa a Emily..”- Appena mi stavo alzando dal letto con l’intenzione di cercare la mia migliore amica, Jem mi prese per il polso.
-“Adesso no, sarà impegnata. Will mi ha detto che si sarebbe occupato lui di lei per oggi. Le avrebbe mostrato la Sala Addestramenti e poi ci avrebbero raggiunti a tavola. Ora è meglio pranzare,è l’una,  poi ti porterò a fare un giro dell’istituto, ti va?”
Con gli occhi che mi brillavano per l’emozione, feci segno col capo di si. Dopo di che ci avviammo verso la sala da pranzo. 
Raggiungemmo la grande stanza dove al centro spiccava un lungo tavolo di legno nero levigato.
Sulla tavola erano disposte prelibatezze di ogni genere: come secondi arrosto di pollo agli aromi, patate, aragosta, quaglie, salse di ogni tipo(compreso il mio adorato ketchup), e dolci come ad esempio creme, torte al cioccolato, vaniglia e nocciola, creme brullee e altri ancora. 
I posti a sedere erano occupati dal capo dell’istituto, suo marito e suo figlio (che jem mi aveva detto chiamarsi Charlotte, Henry e Buford) , e, di fronte a loro, una coppia piuttosto strana dal momento che avevano la pelle verde e gli occhi di una strana sfumatura di giallo. E poi un ragazzo, probabilmente loro figlio.  Mi soffermai su di lui. Aveva qualcosa di familiare, nonostante gli occhi dorati e le orecchie leggermente a punta.
La sua pelle era normale ma , a differenza dei genitori, aveva i capelli biondi ossigenati, quasi bianchi. Nella postura e nell’atteggiamento, però, assomigliava moltissimo a qualcuno che però non riuscivo a ricordare …
All’improvviso un’immagine fece breccia fra i miei ricordi. 
Mi fermai di scatto, bianca in viso. Avevo tutti gli occhi preoccupati puntati su di me. Mentre l’attenzione degli altri era altrove, il ragazzo mi fece segno di stare zitta, con un’espressione maligna in volto.
-“Che succede, cara?”- chiese Charlotte.
-“N-Niente. Calo di zuccheri, credo”- Decisi di tacere, almeno per il momento.
Le espressioni preoccupate svanirono dai volti di tutti. Mi sedetti accanto a Jem.
Era l’unico che sembrava non aver creduto a quella bugia.
 Mi impegnai a mantenere un sorriso falso durante tutta la cena, in cui si parlò dell’attacco dei demoni alla festa e delle possibili cause. La mia attenzione però era rivolta esclusivamente a colui che sedeva proprio di fronte a me.
Quello che avevo davanti non era il ragazzino strambo che vedevo a lezione di chimica ma un “essere” completamente diverso, e non in senso buono.
Quello era Benjamin.






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Salve di nuovooo. Allora, questo terzo capitolo è un pò più lungo degli altri ma contiene molte informazioni riguardo alla storia. Infatti è raccontata la storia di Tessa, comincia a nascere qualcosa tra Will e Emily e anche tra Jem e Alison, entra in scena anche il personaggio di Clary( che in seguito si rivelerà molto importante), e , cosa più importante, il colpo di scena finale: Benjamin. In conclusione sono soddisfatta di questo capitolo e mi piacerebbe sentire cosa ne pensate. Se vi va scrivetemi o recensite. Alla prossima! 
 

 
 
  
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