Fanfic su attori > Ben Barnes
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Autore: saraviktoria    11/01/2014    1 recensioni
Dal prologo:
"oddio, chi lo vorrebbe morto?"
"tanto per fare un esempio? Io " certe volte era proprio una bambina. Stava a me riportarla con i piedi per terra. Ma al nostro capo non piaceva molto il mio modo di fare. Era lì, seduto dietro la scrivania, che ci guardava beccarci come due galline. È che proprio non la sopportavo. Ma dico io, con tutta la gente che lavora qui, proprio lei dovevo beccarmi? E, come se non bastasse, adesso anche questo. Avevo ventotto anni, avevo passato due anni a fare l'addestramento a Norfolk, diciotto mesi di servizio attivo a bordo della Enterprise, sei sulla Kitty Hawk, prima di diventare un agente di servizio ordinario della CIA. E ora mi sarebbe toccato fare da baby-sitter a un attore strapagato, viziatissimo e pieno di sé?
Genere: Azione, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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buongiorno a tutti/e!
spero abbiate passato delle buone feste, e che il tempo sia stato più clemente che qui da noi :)
aggiorno di corsissima nella pausa pranzo, ma prometto che domani troverò il tempo per rispondere anche alle recensioni!
buona lettura
baci
SaraViktoria

40-ti prego, fammi dimenticare chi sono

"Halo?"

"Chantal, non volevo disturbarti …. "

"mi dica, direttore" tagliai corto

"prenditi pure tutto il tempo che vuoi, non ci sono problemi … . Non appena rientrerai a Langley devo parlarti di un'offerta interessante"

"non può parlarmene adesso?" chiesi, in cerca di qualcosa che mi distraesse.

"meglio di no. Devi pensare a te, e alla tua famiglia" come non detto. Salutai, le lacrime di nuovo sul viso. Ma dovevo sempre trasformarmi in una fontana umana?

Fui io questa volta, ad avvicinarmi alle sue labbra

"ti prego, fammi dimenticare chi sono" mormorai, tra le lacrime.

Iniziò ad accarezzarmi dolcemente, come se volesse svestirmi di qualcosa, prima di farmi sdraiare sotto di sé. Passò le sue labbra su ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere …

Un ricordo confuso. Piacere, senz'altro. E la sensazione, per la prima volta, di  essere amata da qualcuno. Non avevo mai conosciuto l'amore, nonostante avessi scambiato una stupida recita per l'amore della mia vita. Io, che a poco più di vent'anni, mi ero convinta dell'amore di un uomo che mi aveva solo usata, mi ero ripromessa di non innamorarmi più. Non solo, avevo giurato a me stessa -e a mia sorella- di farmi suora piuttosto che andare di nuovo a letto con un uomo. Come se non bastasse, mi ero fatta un'idea completamente sbagliata dell'amore. Avevo finito per non crederci più, a convincermi che l'amore non esistesse, che fosse solo un'invenzione degli uomini, qualcosa per giustificare la venuta al mondo dei figli, il matrimonio. Anche da piccola, non credevo nel matrimonio. Non credevo nell'istituzione del matrimonio, in quell'anello simbolo di chissà cosa. Non che adesso avessi cambiato idea. Mia madre aveva sempre cercato di spiegarmi quanto il matrimonio fosse stato importante nella sua vita. Nella sua, non nella mia. Avevo ricevuto i sacramenti, per poi allontanarmi dalla chiesa, come da tutto il resto.

Era una sensazione strana, come un senso di speranza che non trovava riscontri.

Un profumo familiare mi costrinse a tornare alla realtà. Colazione.

"ehi, svegliati!" lo scossi con poca gentilezza

"ti adoro quando sei così delicata" mormorò, sarcastico, in risposta. Tra botte e spintoni riuscimmo a scendere. c'era mia madre, gli occhi rossi a gonfi di chi ha pianto molto e dormito poco.

"ciao, mamma. Va meglio?" chiesi. Lei fece un mezzo sorriso e mi strinse a sé, come se potessi farle da ancora.

"bonjour, madame. "

"ma che lingua parla questo?" chiese mio padre, sulla porta della cucina.

"francese. A modo suo" risposi, con un'alzata di spalle. Mia madre lo aveva capito, ma papà, canadese fino in fondo, non riconosceva il 'vero' francese per tale.

Mia mamma aveva superato se stessa, per la colazione di quella mattina. E a niente valsero le scuse di Barnes, per non farla lavorare tanto.

"andiamo a fare un giro? " chiesi, dopo un imbarazzante silenzio di quindici minuti, durante il quale mia madre era scoppiata di nuovo in lacrime.

"non riuscite a stare nella stessa stanza?"

"non voglio rimettermi a piangere" mi giustificai. Camminammo per il giardino, che da una parte confinava con il bosco. "mia madre starà male per sempre" mormorai, tra me e me.

 "non dire così, si riprenderà"

"tu non la conosci" e io, conoscevo i miei genitori?? "ha pianto per un anno quando mi sono trasferita in America. Ora che era abituata ad avere Yvonne per casa … " non finii la frase, perché non riuscivo a immaginare il vuoto -maggiore della voragine che sentivo io- lasciato da mia sorella nella vita dei miei genitori.

"mamma, lo sai …. Devo andare"

"cosa so?" chiese lei, tagliente. Avanti, sapeva che non sarei rimasta per tanto! E già una settimana passata lì mi sembrava un'eternità, con mia madre che piangeva quattro o cinque volte al giorno e la presenza, invisibile ma pesante, di mia sorella. Perché quella era stata anche casa sua. Era una sensazione terribile, passare per i corridoi, immaginando una specie di fantasma perlaceo che aleggiava a qualche centimetro da terra. Non che fossi superstiziosa, ma mi lasciavo suggestionare.

"Emma, basta " intervenne mio padre, calmo. Più calmo di lei, se non altro. Mio padre, ne avevo l'impressione sin da piccola, sapeva tutto sulle persone. Riusciva a capirti senza ascoltare e a calmare gli altri.

Non volevo litigare con mia madre.

"maman, mi dispiace. Ma devo tornare in Virginia" riprovai, per l'ennesima volta. Che mi urlasse dietro, ma dovevo spiegarglielo. Non potevo permettere che mi  portasse rancore, che pensasse che mi interessava più il lavoro che la mia famiglia. "mi conosci, lo sai che non ce la farei a rimanere qui. Ma se avete bisogno di qualcosa, qualunque cosa … " l'arrivo di Barnes impedì a mia madre di ribattere. Ad ogni modo, la sentii inveire in un francese degno di papà, mentre ce ne andavamo. Avevo insistito perché Barnes rimanesse da noi e aveva accettato volentieri. Come mi aveva fatto notare solo qualche giorno prima, era l'unico vero amico che avevo. Questo non mi impediva di prenderlo in giro per qualsiasi cosa, ne di rinfacciargli ogni volta di essere inglese.

 

   
 
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