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Autore: Somewhat Damaged    12/01/2014    0 recensioni
Tutto quello che avevo, lo avevo su quella Terra malata, e mi è stato portato via. Avevo solo la mia vita da difendere adesso, ma ovunque mi voltassi potevo solo vedere e respirare morte.
Genere: Drammatico, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Una foresta, la notte, il verso di un gufo, la corsa, l'affanno, il mal di testa, il vestito strappato. L'inseguimento sembrava non avere fine. Finalmente vidi il recinto del rifugio in riva al mare, aprii in fretta e chiusi a chiave, ero salva.

Il cuore mi martellava in petto, i sensi erano annebbiati, la paura mi divorava. Aprii la porta e raggiunsi gli altri superstiti.

“Com'è andata?”

“Male” dissi sbattendo la porta e chiudendomi nel bagno.

Mi sentivo l'aria mancare, un pugno nello stomaco. I miei occhi avevano impresso la morte di Nicholas. Un'istantanea di morte sempre davanti allo sguardo e a tutti i sensi. La vista del suo petto mentre viene fatto a brandelli, il rumore di denti che masticano il suo cuore e l'odore ferroso del sangue.

Vomitai finché di me non rimase nient'altro che un involucro di carne. Poi svenni.

Rinvenni confusa, sentivo il caos nelle altre stanze. Spalancai la porta: dei grossi vermi disgustosi uscivano dalla bocca di alcuni miei compagni. Alcuni fuggivano, per evitare di diventare bestie mangia-uomini. Per quei miei compagni era troppo tardi. Correvo da una stanza all'altra senza sapere neanche cosa cercare. L'interno della casa era pericoloso, fuori dal recinto c'erano Loro.

Corsi in cortile, vidi che con tutto il loro peso tentavano di buttare giù l'alta recinzione. Alcuni miei amici uscivano dal cortile tentando la fortuna in una fuga, ma Loro sono nettamente più veloci di un normale essere umano.

Sentivo la disperazione crescermi dentro, sentivo che era finita.

La recinzione iniziava a cedere. Un urlo di rabbia mi si fermò in gola.

Avrei voluto che fosse stato tutto un incubo. Avrei voluto chiudere gli occhi, poi riaprirli e constatare di trovarmi nella mia vecchia vita. Quella tranquilla che disprezzavo tanto. Perché è dovuto succedere tutto questo? Non riuscivo ad accettarlo, non era giusto. Non riuscivo a trovare un senso a tutto quel male. Invidiai quelli che vedevano un progetto divino nel caos, quelli che darwinianamente accettavano la legge del più forte e quelli che credevano in una ricompensa ultraterrena. Io non credevo in nulla. Tutto quello che avevo, lo avevo su quella Terra malata, e mi è stato portato via. Avevo solo la mia vita da difendere adesso, ma ovunque mi voltassi potevo solo vedere e respirare morte. Non era giusto.

Il recinto aveva quasi ceduto. Andai verso i tumuli di sabbia. Tirai fuori un mio compagno deceduto dal suo giaciglio, era già nella prima fase della decomposizione. Presi il suo posto, e mi ricoprii. Gli occhi, ricoperti di sabbia, erano chiusi. Le orecchie, anch'esse schermate, sentivano solo il mio stesso battito cardiaco, troppo accelerato. Mi sentivo bloccata, chiusa, inerme. L'ansia mi assalì.

Non c'era aria...

Mi ero consegnata alla mia stessa tomba.

Ma preferivo quella fine piuttosto che esser presa da Loro. Sarei rimasta lì in eterno, ad attendere l'inevitabile. Con gli occhi chiusi riuscivo quasi a proiettarmi nel passato. Vidi i miei amici e la mia famiglia, tutti insieme seduti a un tavolo enorme. Ridevano e scherzavano. Riuscivo quasi a sentire quel calore familiare riscaldarmi dentro. Se avessi creduto nel Paradiso, lo avrei immaginato proprio così.

Mi avvicinai al tavolo, tutti si alzarono. Mia madre si avvicinò, mi abbracciò.

Scoppiai a piangere e iniziai a urlare tutto il dolore accumulato, senza riuscire a smettere. Sentivo sempre qualcosa di pesante sullo stomaco. Perché non riuscivo a buttarlo fuori? Piansi e urlai tanto da sentire l'aria mancarmi. Non riuscivo a respirare. Non c'era aria, non c'era aria...

“Addio.” sussurrò mia madre.

  
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