Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: yo_ki_min    12/01/2014    1 recensioni
AU di Shingeki no Kyojin. Ambientato nel mondo della musica, dato che è un campo che mi piace.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Berthold, Huber, Jean, Kirshtein
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il mio problema è che non riesco mai a concludere nulla.
 
Il ragazzo si passò una mano sui capelli ramati e sbuffò. Scostando le coperte, si mise seduto e si guardò attorno intontito. Una sottile lama di luce illuminava il pavimento della sua stanza. Era già giorno inoltrato.
 
Stiracchiandosi, il giovane scese lentamente dal letto e si diresse verso la cucina. La casa era vuota, i suoi già al lavoro. Certo, erano le undici.
 
Forse avrebbe dovuto mettere una sveglia. Ma tanto era sicuro che non l’avrebbe sentita.
 
Passando davanti allo specchio del soggiorno, osservò se stesso. Splendido, sembrava un reduce di guerra. Ma non aveva nessuna voglia o motivo per darsi una sistemata, dal momento che avrebbe passato l’intera giornata a casa da solo. E probabilmente a studiare, per giunta.
 
Se solo riuscissi per una volta a completare tutti i compiti senza perdere tempo.
 
Ogni volta che prendeva una decisione, non riusciva mai a portare a termine ciò che aveva iniziato. Tutto ciò che faceva restava incompleto. E la cosa lo innervosiva parecchio.
 
Se non fossi così, a questo punto avrei già trovato un maledetto chitarrista.
 
Eh si, perché il mondo era pieno di chitarristi. E a lui ne bastava uno solo. Ma non riusciva a trovarne.
 
Certo, se fosse stato un ragazzo più socievole forse avrebbe potuto conoscerne uno e convincerlo a suonare con lui e con quei due pazzi che considerava i suoi due unici amici. Ma era una causa persa (o quasi, perché la speranza è l’ultima a morire, anche per qualcuno cinico come lui).
 
Dopo aver speso mezz’ora davanti al computer a vagare su certi inutili blog finalmente riuscì a convincere se stesso a prendere i libri di scuola e cominciare a leggere.
 
Dopo un’ora di studio il suo telefono pensò bene di squillare. Ora mi ci vorrà un’altra mezz’ora per concentrarmi di nuovo.
 
Rispose con voce stizzita “Eh?”
 
“Allegro come sempre, eh Jean?”
 
“Ah Connie, scusa, sono un po’ nervoso perché come al solito non ha ancora fatto nulla e sono già le dodici e mezza e ho fame ma credo che dovrei andare a studiare ancora o domani sono fottuto”
 
Connie sghignazzò “Calmati un attimo, non è la fine del mondo. Ma suppongo che tu non abbia intenzione di uscire con me e Sasha di pomeriggio, vero?”
 
Jean stette un momento a pensare. L’indecisione lo dilaniava. Chiuse gli occhi e si maledisse mentalmente.
 
“No, ok, vengo. Dove andiamo?”
 
“Uuuh, boh. Ma Sasha ci trascinerà di sicuro in qualche bar alla prima occasione, quindi qualsiasi cosa dovessimo decidere di fare, il risultato sarà lo stesso.”
 
“Vagare per la città senza meta, splendido. Ci vediamo alle cinque di fronte a scuola?”
 
“Ovvio. A dopo!”
 
Ora Jean non avrebbe più potuto tergiversare. Tornò subito nella sua camera e, fino all’ora di pranzo, compì diligentemente il suo dovere.
Senza troppi sensi di colpa per il lavoro non completato – era a buon punto, dopotutto- poco prima delle cinque il ragazzo si diresse verso scuola sua.
 
Ad un certo punto, mentre era perso nei suoi pensieri e nella musica che riempiva le sue orecchie, notò un individuo che camminava a pochi passi da lui.
 
La custodia della chitarra che portava sulle spalle copriva buona parte della sua figura, ma questo non impedì a Jean di comprendere che si trattava di un suo coetaneo.
 
Ecco, se solo fossi abbastanza coraggioso da andargli a parlare, potrei convincerlo a suonare con me.
 
Ma non ne sarebbe mai stato capace. Lo sapeva. Abbassò la testa con rassegnazione, e procedette fino a quando non arrivò di fronte al cancello verde dell’edificio scolastico. Il ragazzo, rimasto davanti a lui per tutto quel tempo, si fermò di scatto, e Jean con un sussulto si spostò all’indietro per non andare a sbattergli di sopra.
 
Connie e Sasha non erano ancora arrivati. Non c’era una volta che quei due fossero in orario. Jean si appoggiò al muretto esterno e incrociò le braccia. Il suo volto assunse il solito sguardo da “se mi parli finisce male”, che era assolutamente involontario, e che però faceva sì che molti – se non tutti- si tenessero lontani da lui.
 
Il ragazzo, che ora poteva vedere in faccia, si trovava a poca distanza da Jean, probabilmente per aspettare a sua volta qualcuno.
 
Non avendo nulla da fare, Jean si mise ad osservare quel brunetto. Il suo volto era sereno e allegro, il contrario di quello di Jean. Indossava una camicia a quadri e degli ordinari jeans. Aveva una sciarpa avvolta attorno al collo, che arrivava a coprirgli il mento. Jean lo trovò curioso, perché lui era vestito quasi allo stesso modo.
 
Proprio quando stava per voltarsi per evitare di sembrare troppo interessato, il giovane girò la testa dal suo lato. Jean, imbarazzato, abbassò lo sguardo, per poi sollevarlo nuovamente quando percepì il movimento dell’altro, che si stava avvicinando.
 
Jean avrebbe voluto dire qualcosa, ma non gli veniva in mente niente che non fosse ridicolo e poi aveva appena notato che il ragazzo aveva le guance ricoperte di lentiggini ed era adorabile, anche perché il suo sorriso le metteva in risalto e oddio, stava sorridendo a lui? A lui, Jean Kirschtein, l’essere umano più ignorato – se non odiato- sull’intero pianeta?
 
“Led Zeppelin?” chiese il ragazzo.
 
Jean non sapeva se esistesse l’espressione “voce sorridente”, ma era certo che non ci fosse termine più adatto a definire il tono con cui l’altro aveva parlato.
 
 
In un primo momento non capì il senso della domanda – se davvero di una domanda si trattava- ma poi notò l’indice del ragazzo bruno puntato verso la sua maglietta.
 
“Ah si – Jean sentiva che sarebbe andato in autocombustione da un momento all’altro, per quanto si sentiva stupido- sono i Led Zeppelin. Concerto alla Roal Albert Hall del 1970”
 
L’altro fece un sorriso ancora più grande – come fosse possibile, Jean non lo capiva- e con una risatina disse “ Wow, vedo che abbiamo un esperto qui. Ho cercato questa maglietta per più di un anno ma non l’ho trovata da nessuna parte. Devi essere davvero fortunato.”
 
“Non molto, veramente. Di solito quando cerco una cosa non la trovo mai. Ad esempio, al momento sono alla ricerca di un chitarrista con cui suonare, ma ancora non ho avuto nessun successo. Comunque la maglia la vendono in un negozio a due isolati da qui, però non ricordo il nome della via.” Solitamente, Jean non avrebbe mai rivolto così tante parole ad uno sconosciuto, ma lo sguardo del ragazzo era incoraggiante.
 
“Oh” fece l’altro, perplesso. “Ma tu suon-“
 
“JEAN!”
 
Connie era apparso dall’altro lato della strada, e stava attraversando. Sasha gli correva dietro, con il volto coperto dai capelli castani mossi dal vento.
 
Jean si portò una mano alle tempie. Non cambiano mai, quei due. Il suo interlocutore sembrava alquanto confuso.
 
Sasha lo superò senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Connie lo prese per un braccio e iniziò a trascinarlo via.
“Scusa per l’intromissione, tizio lentigginoso, ma abbiamo un’emergenza!”
 
Il tizio lentigginoso in questione, dopo un attimo di silenzio, scoppiò a ridere, e mentre Jean veniva portato via a forza dal suo amico, lo salutò scuotendo la mano.
 
Jean ricambiò il saluto, un po’ disorientato, e poi si voltò e seguì Connie senza più opporre resistenza.
 
Pochi minuti dopo, seduti ad un tavolino di una gelateria, Sasha masticava freneticamente. Connie invece si scusò con Jean per il loro brusco arrivo.
 
“Sai com’è Sasha quando ha fame”
 
“Lo so. Ma avresti potuto aspettare lo stesso, almeno tu”
 
“Mh” rispose Connie, senza prestare il minimo interesse. “Quindi, devo presumere che tu abbia un chitarrista per noi?” chiese poi, con entusiasmo.
 
Ma Jean non gli rispose. Chissà se sarebbe riuscito a ritrovare quel ragazzo. E a trovare il coraggio di parlargli.
 
Ho lasciato di nuovo tutto a metà.
  
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