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Autore: Miss Kon    12/01/2014    2 recensioni
Prima classificata al "Crack Pairing contest" indetto da stella98f.
11 Marzo 1854.
Salpa per il Baltico una squadra navale inglese, alla quale segue, a distanza di 8 giorni, l'invio di truppe francesi in Turchia.
Ad alcuni mesi di distanza dall'inizio di quella spedizione nel Mar Nero, in Crimea, incombe un grosso problema: per quanto lo svolgimento della campagna sia favorevole agli inglesi, i feriti e i malati della guerra muoiono per mancanza di assistenza.
Il ministro della guerra inglese, Herbert, invia Florence Nightingale¹ in Crimea con un gruppo di infermiere. Arrivata nel luogo del conflitto viene nominata sovraintendente del corpo delle infermiere degli ospedale inglesi in Turchia con il compito di organizzare la sfera assistenziale.
Il 15 Aprile, Mei Terumi salpò con il corpo delle infermiere di Florence Nightingale.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Mei Terumi, Tsunade
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Primi giorni del Luglio 1853.
Gli screzi tra Francia e Russia, inerenti alla gestione dei luoghi santi della cristianità in territorio ottomano, si esacerbano e quando la Turchia accetta le richieste dei francesi la Russia l'attacca.

Mei Terumi, 23 anni.
Diplomata in infermeria, figlia di un giapponese e di una giovane erede di un ricco industriale inglese.
Nata e vissuta sempre in Inghilterra.
Figlia unica.



4 Ottobre 1853.
La Turchia, spalleggiata dalle potenze europee, dichiara guerra alla Russia, nel tentativo di recuperare i territori presi con la forza dalla grande nazione rivale.

Nubile, nessun corteggiatore.
Nessuna dama di compagnia.
Entrambe le cose, con grande dispiacere della madre.



Ultimi giorni del Febbraio 1854.
La Gran Bretagna, coalizzata con la Francia, decide di scendere in campo, partecipando attivamente al conflitto per aiutare la Turchia.

Mei era sempre stata una bimba adorabile, crescendo, poi, era divenuta persino una splendida giovane donna.
La madre non si capacitava di perché a ventitré anni suonati ancora non si fosse coniugata a nessuno.
Il padre la osservava in silenzio, orgoglioso della tempra della figlia e sicuro avesse un segreto.
E si sa che tutti i segreti sono profondi, ergo destinati a diventare oscuri.
Forse era per evitare ciò che la figlia aveva scelto di partire con il corpo delle crocerossine.
La madre non aveva apprezzato molto; invece il padre, con quel suo portamento silenzioso, le aveva dato la sua benedizione.



11 Marzo 1854.
Salpa per il Baltico una squadra navale inglese, alla quale segue, a distanza di 8 giorni, l'invio di truppe francesi in Turchia.
Ad alcuni mesi di distanza dall'inizio di quella spedizione nel Mar Nero, in Crimea, incombe un grosso problema: per quanto lo svolgimento della campagna sia favorevole agli inglesi, i feriti e i malati della guerra muoiono per mancanza di assistenza.
Il ministro della guerra inglese, Herbert, invia Florence Nightingale¹ in Crimea con un gruppo di infermiere. Arrivata nel luogo del conflitto viene nominata sovraintendente del corpo delle infermiere degli ospedale inglesi in Turchia con il compito di organizzare la sfera assistenziale.

Il 15 Aprile, Mei Terumi salpò con il corpo delle infermiere di Florence Nightingale.






Far away, from the war.


L'odore di disinfettante chimico, misto al fumo e all'odore di corpi sudaticci, rendeva l'ambiente ospedaliero meno piacevole di quel che avrebbe dovuto.
Ovunque i mormorii delle suore e dei preti ai capezzali, inframezzati dalle urla di dolore di qualche paziente, riempivano le stanze e rinforzavano il concetto, espresso dal continuo via e vai di gente, che l'ospedale non si fermava mai.
Mei Terumi, infermiera per metಠdi origine nipponica, per quanto effettivamente nata e cresciuta in Inghilterra, era parte integrate di quel grande organismo che era l'ospedale.
Non aveva chiuso occhio tutta la notte e stava concludendo il turno di notte, attendendo le sei di mattina. La situazione, dalla sera prima, si era calmata e anche gli ultimi feriti erano stati curati e alloggiati nei vari letti.
Qualcuno non ce l'aveva fatta e i preti si prodigavano nelle ultime benedizioni, mentre le suore si occupavano, piamente, delle salme.
In lontananza si sentivano gli echi stanchi della guerra, qualche colpo di cannone, qualche vedetta che avvistava strani movimenti.
Ovunque la gente mormorava informazioni: dov'era questo, dov'era quello, se qualcuno aveva visto il vecchio John, se qualcuno poteva portare le ultime volontà alle mogli dei caduti.
Preghiere, spari, domande, si mescolavano senza tregua.
Se Mei fosse stata una di quelle giovani infermiere, con poca esperienza, tutto ciò l'avrebbe turbata profondamente. Sopratutto dopo quella che era la terza notte consecutiva di veglia a causa del turno di notte.
Ma la giovane Terumi si era già fatta le ossa e, al contrario di alcune giovani colleghe -il padre le aveva insegnato che il termine nella sua lingua era kohai-, non sentiva il bisogno né di uscire fuori a fare una pausa né, magari, di concedersi un piccolo pianto liberatorio, o un sonnellino ristoratore.
Però un piccolo bisogno lo sentiva comunque.
Era un fabbisogno diverso dal semplice impulso di riposarsi dalla stanchezza tanto psicologica quanto fisica.
Voleva ricaricarsi, sì, ma non aveva sonno.
Avrebbe potuto lavorare ancora due ore senza alcun problema e a pieno regime.
Ma era già da un'ora che sentiva un certo qualcosa. Una mancanza.
Che le premeva sull'animo e le riecheggiava in testa, tornando ad accompagnare qualsiasi pensiero.
Svoltò l'angolo a sinistra ed entrò nella stanza F33.
Le infermiere si alternavano ad alcune suore e qui e lì spiccavano le rare figure maschili di preti e qualche medico, lo spettacolo tanto quanto il brusio, erano perfettamente identici a quelli che si potevano in qualsiasi altra stanza dell'edificio.
Si sarebbe potuto definire uno spettacolo banale, se solo il dolore non lo avesse permeato in ogni sua forma.
E si sa, la sofferenza non è mai banale.
In mezzo al via e ai di gente cercò con lo sguardo quei capelli biondi e quelle spalle che le erano tanto familiari.
Fu una ricerca breve, la notò subito.
Era ferma davanti a uno dei letti della fila che costeggiava il muro a sinistra, a pochi passi dalla finestra. Tanto il capo chinato di lei quanto la postura del corpo che aveva davanti lasciava presagire che chi era disteso non si sarebbe rialzato mai più.
Se fosse stata un attimo più giovane, Mei ne era certa, avrebbe sentito un nodo alla gola; ma erano passati alcuni anni da quando aveva cominciato a fare l'infermiera sul campo di battaglia e ormai quel senso di oppressione era svanito, lasciando spazio alla disillusione tipica degli adulti troppo cresciuti.
Le si avvicinò camminando tra la gente che oberava la stanza e quando fu abbastanza vicina le sfiorò la spalla.
Lei non parve sentirla, poi si voltò piano e la guardò da sopra la spalla.
Mei sorrise.
“Sono le sei, il turno è finito”
La donna annuì poi si girò, la mascella impercettibilmente contratta.
“Usciamo, ho bisogno di prendere una boccata d'aria” disse solo.
Chiunque non la conoscesse abbastanza bene avrebbe pensato che la bionda fosse arrabbiata o di averle fatto qualche torto tale da suscitare il suo fastidio, ma Mei la conosceva e sapeva che era semplicemente stanca.
Hai³
Mormorò in quella lingua lontana che lei aveva ereditato dal padre e che Tsunade, l'interlocutrice, aveva ricevuto in dono dal nonno.
Percorsero i corridoi ormai fin troppo conosciuti dell'ospedale in silenzio, ognuna assorta nei suoi pensieri.
Quando finalmente arrivarono fuori Tsunade di stiracchiò un attimo poi si buttò pesantemente a sedere su una delle panchine in ferro, dalla vernice ormai completamente scrostata, una delle prime vicino alla grande porta dell'entrata.
Rimasero in silenzio ancora un po', quasi la semplice presenza l'una dell'altra bastasse già a far ricaricare a entrambe le pile.
E probabilmente era davvero così, forse la loro semplice vicinanza sapeva fare da balsamo a quel guazzabuglio di emozioni e sensazioni che, un po' alla volta, le logorava anche se forse non se ne stavano neppure rendendo conto.
“Dodici morti” esalò in fine la bionda, la voce stanca e il tono monocorde.
Poi un sospiro tremulo, di chi è semplicemente stanco, anche di piangere. Mei si sentì piccola e, per la prima volta dopo diverso tempo, si sentì di nuovo davvero impotente.
E quel nodo alla gola, che aveva imparato a domare di fronte alle ferite di guerra, si fece sentire.
Si avvicinò piano, trascinando un po' i piedi, d'improvviso sentendosi addosso tutta la stanchezza della nottata appena trascorsa.
Avrebbe voluto prendere l'anima di Tsunade e consolarla, coccolarla quasi fosse un gatto.
Ma sapeva di non poterlo fare, magari fosse stato così semplice.
Osservò per un attimo la donna, le sue occhiaie piene di sogni interrotti e promesse infrante.
Avrebbe voluto davvero poterla confortare ed essere più utile, ma sapeva bene che Tsunade non aveva bisogno di conforto o pietà. Cioè che desiderava era sapere di non essere sola, sapere che combattere ancora era importante e ne valeva la pena.
E lei era lì per lo stesso motivo.
Perchè credeva che valesse la pena, davvero, continuare a combattere e anche ricordare sia a sé stessa che agli altri che era una lotta in cui non bisognava arrendersi.
Tsunade alzò lo sguardo a cercarla e lei le diede una carezza sul volto, la bionda le prese la mano e ne baciò il dorso, poi tirandola un po' verso di sè la invitò a chinarsi.
Mei assecondò quella richiesta e si sporse verso di lei, Tsunade a sua volta si protrasse verso chi le stava davanti e le labbra si sforarono.
Fu un bacio breve, ma lo assaporarono entrambe.
Se fossero state scoperte sarebbe successo il putiferio, ma non gliene importava, almeno quel minuto era tutto loro.
Era l'unico istante giornaliero in cui potevano ricaricarsi, lenire quel dolore costante che si palesava con le occhiaie, era l'unico istante in cui potevano essere loro stesse fino in fondo.
Senza che la paura le cogliesse, senza che la gente le giudicasse -non ne avrebbero avuto il tempo, non erano una priorità-, senza che la guerra si intromettesse anche nei loro respiri. Solo loro, per un istante.
Quando si staccarono tornarono alla realtà. Ma con il sapore l'una dell'altra sulle labbra la realtà sembra fare un po' meno paura e pesare un po' meno sulle loro spalle.
"Sai?" disse in fine Mei, che una volta separatasi dall'amante le si era seduta accanto, "Avrei tanto voluto conoscerti lontano dalla guerra", commentò ancora, guardando il cielo che schiariva.
Tsunade in silenzio le prese la mano e gliela strinse.
“Anch'io” mormorò, godendosi ancora un attimo quella pace.








NOTE:
¹→Florence Nightingale è un personaggio realmente e storicamente esistito, conosciuta come la fondatrice dell’infermieristica moderna. Nacque il 12 Maggio del 1820 in Italia, a Firenze e intraprese la professione infermieristica contro i desideri della famiglia.
Nel 1854, quando l’Inghilterra entra in guerra con la spedizione nel Mar Nero(fatto storico realmente accaduto) si pone il problema dell'igiene, le principali cause di morte infatti erano dovute alle epidemie di colera e di tifo, alla gangrena e alla dissenteria, ma non strettamente correlate alle ferite di guerra. Florence Nightingale attuò una serie di provvedimenti quali:
-Pulizia degli ambienti;
-Camicie, lenzuola e biancheria;
-Lavanderia con una caldaia per bollire tutta la biancheria;
-Cucina per diete speciali;
-Stanze per l’alloggio delle infermiere.

²→Per una questione di coerenza storico-narrativa spaccio Mei per una ragazza per metà giapponese, questo perchè è nell'ottocento che il Giappone, con molta difficoltà e diffidenza, inizia ad aprire i primi porti agli stranieri è quindi possibile che negli anni del conflitto di Crimea ci siano alcuni figli meticci. Di contro è assai difficile immaginare che una famiglia giapponese, o quantomeno una coppia, abbia lasciato in quegli anni il proprio paese natale per trasferirsi nel tanto distante ed estraneo, nonchè in parte odiato, Occidente. Ho attuato l'escamotage quindi della figlia metà giapponese e metà inglese (nel caso un/a giapponese si fosse innamorato/a di una/o straniera/o sarebbe stato più accettabile e probabile che almeno il figlio/la figlia si spostasse nella patria originaria di uno dei due genitori.) Con Tsunade adopero lo stesso escamotage con lo scarto di una generazione in più, parlo infatti di lei come “nipote di un giapponese molto influente, legatosi a suo tempo con una donna inglese”.
³→sì, in giapponese.






Aaaaah! Non credevo ce l'avrei ma fatta e...WOW 1° posto *///*
Fatico ancora a crederci, ringrazio infinitamente la giudice sia per il giudizio (con annesse correzioni di cui farò debito tesoro) che per aver indetto questo contest dandomi la possibilità di mettermi alla prova! ♥
É stato faticoso trovare il giusto contesto storico e anche gestire questa coppia in un passato un po' problematico per le relazione omossessuali, il risultato però ammetto che mi lascia abbastanza soddisfatta e spero presto di tornare a scrivere qualcosina su questo contesto storico ♥
Detto questo ringrazio che l'ha letta e chi ha voglia recensisca, suvvia ♥
  
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